Domenico era un buon uomo, sempre allegro, al lavoro era il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire. Preciso, anche un po’ pignolo, ma per un bravo tipografo questo era un pregio. Era sposato da alcuni anni, con Lucia, una bella ragazza, non molto alta, magrolina, ma con riempiture giuste ai posti giusti, e i capelli nerissimi, corvini, lunghi fino alle ginocchia, che erano il suo vanto e ostentava orgogliosa. Avevano messo al mondo due figli, Giovanna, che frequentava la seconda elementare, e il piccolo Marcello, ancora all’asilo.
Lucia teneva moltissimo alla casa, ai figli, ad apparire una brava moglie che curava il marito e gli assicurava camicie pulite e vestiti stirati. Lei cercava di essere sempre in ordine e non usciva mai senza l’approvazione dello specchio al quale, con un’occhiata chiedeva: ‘Come sto?’
Abitavano nel nuovissimo quartiere delle case popolari. Begli edifici, fatti come si deve, con qualcosa di civettuolo nell’aspetto, nella disposizione dei vani. Lei assillò Domenico perché dovevano riuscire a farsi assegnare un appartamento in qual complesso, il più grande, e per aumentare il punteggio si mise a carico i genitori e la sorella più giovane.
Il proprietario dell’azienda editrice dove lavorava Domenico. uno dei maggiorenti del paese, ottenne facilmente che a un suo capo-operaio fosse destinato uno dei migliori alloggi. La gioia di Lucia fu immensa, ma emerse il problema del canone di locazione, enorme in confronto al quasi nulla che pagavano nella vecchia casupola. Lei, inoltre, voleva qualche mobile nuovo, logicamente da comprare a rate. Cominciò col ringraziare genitori e sorella, rimandandoli alla loro antica abitazione. Ora, però, il modesto bilancio familiare era aggravato dall’affitto e dalla rata dovuta al mobiliere.
Domenico aveva confidato il suo problema ad un compagno di lavoro, mentre erano al bar, e fu sorpreso, all’uscita, di essere avvicinato dal giovane forestiero, che pur incontrava spesso, trasferitosi da qualche tempo in quella città per motivi di lavoro.
‘Scusate se v’importuno, ma ho ascoltato quello che avete detto al vostro collega, e permettetemi un suggerimento. Perché non vi aiutate, almeno per un po’ di tempo, affittando una camera?’
‘Si, anche mia moglie ha avuto la stessa idea, ma a chi? Sapete, ho una moglie giovane, due bambini piccoli…’
‘Si tratta di trovare la persona giusta.
‘Sareste voi, per caso?’
Il giovane sorrise e gli batté, confidenzialmente, una mano sulla spalla.
‘No, io sto qui con mia moglie e il piccolino. Però c’é il mio nuovo direttore, che attualmente vive in albergo, in cerca di una sistemazione del genere per il periodo che rimarrà in questa città.’
‘Che tipo é?’
‘Una persona molto seria, a modo. é il miglior capo che io abbia mai avuto.’
‘E’ vecchio?’
‘Non credo, ha qualche anno meno dei quaranta.’
‘Ah!?
‘Perché ah!?’
‘Niente, niente…’
‘Che fa, se lui é d’accordo lo conduco da voi?’
‘Ma si, proviamo, io sarò a casa domani dopo le sei del pomeriggio.’
‘A domani, allora.’
^^^
Davide Simoni, il Direttore provinciale, e Rino Sposetti, uno dei suoi collaboratori, suonarono alla porta di Domenico nello stesso istante che l’orologio del Comune batteva le sei del pomeriggio. Sulla lucida targa d’ottone, in corsivo inglese, risaltava il nome Domenico Venosta.
La porta s’aprì su un ingresso abbastanza vasto e ben illuminato, e Domenico li invitò ad entrare, li precedette nella stanza da pranzo, uno dei recenti acquisti, dov’era anche un lungo e comodo divano.
‘Prego, accomodatevi.’
Sposetti fece le presentazioni.
Lucia, dopo essersi accuratamente esaminata allo specchio, apparve sorridente. Indossava un semplice vestito verde smeraldo, sul quale risaltavano i lunghi capelli, lisci, appena tenuti da un nastrino dello stesso colore.
Domenico si rivolse ai suoi ospiti.
‘Questa é Lucia, mia moglie.’
Davide s’alzò per salutarla.
‘Prego, prego’ ‘disse la donna- ‘restate comodi.’
‘Prima di tutto’ ‘cominciò Domenico- ‘vorrei mostrarvi la camera che vorremmo affittare. Lucia, va ad accendere la luce.’
Si alzò e invitò Davide a seguirlo. Anche Rino si unì al gruppetto, preceduto dalla donna.
Anche i mobili della camera erano fiammanti. Un letto ad una piazza, un armadio, con specchio interno, comò, comodino, un tavolino due sedie. Tutto molto funzionale, senza eccessive pretese.
Davide dette un’occhiata, Sposetti si soffermò su tutto, meticolosamente.
‘E qui’ ‘disse Lucia, aprendo una porta, nel corridoio- ‘il bagno.’
Spazioso, pulitissimo, con sanitari lucidi.
Tornarono nella sala da pranzo.
Lucia chiese il permesso di allontanarsi per preparare un caffè, fatto in casa, logicamente, aggiunse.
Davide chiese dei figli, Domenico gli disse che erano andati dalla nonna.
La donna apparve poco dopo, con un vassoio sul quale era una caffettiera moca, una zuccheriera, tre piattini e tazzine. Versò il caffè nelle tazzine e porse la prima a Davide.
‘Quanto zucchero, dottore?’
‘Niente, grazie, preferisco non alterare il sapore originale della bevanda.’
Assaggiò il caffè, fece i complimenti a Lucia.
‘La camera é di mio gradimento. Logicamente, dovrete gentilmente pensare voi alla biancheria da letto e da bagno. Che pigione chiedete?’
Lucia s’affrettò a rispondere.
‘Penserò io a tutto e, se occorre, anche a lavare e stirare la vostra biancheria personale. In quanto alla pigione…’
‘Richiese qualcosa in più del loro canone di locazione.
Domenico la guardò cercando di nascondere la sua sorpresa, ma la donna, con sorriso smagliante sulle labbra, fece finta di non accorgersene.
‘Molto bene’ ‘disse Davide- ‘pagherò in anticipo. Quando potrò venire?’
‘Potete restare anche adesso.’
S’affrettò a rispondere Lucia.
‘Bene, farò portare le mie cose, tra poco, e verrò dopo cena.’
‘Se volete cenare con noi ne saremo lietissimi.’
Aggiunse, quasi precipitosamente, la donna, sempre più sorprendendo il marito.
Davide, sorrise, ringraziò, ma disse che aveva già un invito, ma che non avrebbe fatto tardi. Dal portafoglio trasse una certa somma che pose sul tavolino.
‘E’ quanto vi devo per i prossimi due mesi.’
Domenico ringraziò, aggiungendo che non era necessario affrettarsi.
Lucia si rivolse al suo nuovo inquilino.
‘Dovete andar via subito? Di dove siete? Avete famiglia? Ma, voi che siete il Direttore, comandate tutta la Provincia? E chi é il vostro superiore?’
E, forse, sarebbe andata avanti nel porgere domande se Domenico non l’avesse interrotta.
‘Lucia, mi sembra che tu sia indiscreta, non devi importunare il dottore.’
Davide sembrava divertito.
‘Nessuna indiscrezione, sono legittime informazioni su chi si accetta di ospitare nella propria casa. Cercherò di rispondere a tutto. Dunque…vediamo. Allora, non devo andar via subito, l’appuntamento per una frugalissima cena é tra circa due ore. Poi… ah… sono nato nel Veneto ma vivo da tempo nel centro d’Italia, sono sposato e ho due figli, sono responsabile di tutta la Provincia, dipendo dal Direttore regionale. Se avrete altre domande, fatele pure, credo che ne avrete il tempo e io spero di poter soddisfare la vostra curiosità.’
Luci scosse un po’ la testa, quasi con aria sbarazzina.
‘Siete avvocato?’
‘No, sono economista, ho un incarico all’Università del Capoluogo di questa Regione, e anche in alcune strutture pubbliche.’
‘E quanti stipendi prendete?’
‘Uno solo, purtroppo, qualche gettone di presenza e il rimborso delle spese che sostengo per svolgere i compiti affidatimi.’
‘Lucia, per favore, stai diventando scorretta.’
Domenico era rosso in viso.
‘No, no, nessuna scorrettezza. Per favore… Sono lieto per queste domande e grato alla signora che me le fa.’
Rino, che era rimasto silenzioso tutto il tempo, ricordò che era opportuno passare per l’ufficio, prima della cena, e che si doveva anche ordinare all’albergo di far portare le valige a casa dei Venosta.
‘Interessatevi voi della cosa, per favore, non voglio dare subito il mio nuovo indirizzo.’
‘Benissimo, dottore.’
Si alzarono e presero commiato dalla coppia.
Sulla porte, Davide strinse la mano a Lucia, le sorrise.
‘Signora, se un dubbio vi tormenta, v’assale, oppure no, ebbene, interrogatemi, io vi risponderò.’
Fece un cenno col capo e uscì.
Appena furono soli, Lucia si rivolse al marito.
‘Tutto risolto, Domé, hai visto?’
‘Si, ma la tua faccia tosta non la supera nessuno.’
^^^
I rapporti tra Davide e quelli che chiamava i suoi padroni di casa erano molto cordiali, improntati a una certa familiarità. Lucia aveva la tendenza alla confidenzialità. La mattina, uscito il marito, che prima di raggiungere il luogo di lavoro accompagnava i bambini a scuola, bussava alla porta di Davide per dirgli che il caffè era pronto, sul tavolo della cucina. Una mattina gli chiese se voleva che glielo portasse lì e, senza attendere risposta, bussò appena ed entro nella camera dove lui era ancora a letto, sfogliando il giornale. Gli porse piattino e tazzina e sedette sulla sedia ai piedi del letto. Un po’ scarmigliata, con la vestaglia, non completamente abbottonata, sulla camicia da notte. Dalle larghe maniche uscivano due braccia, deliziosamente disegnate, che, muovendosi, lasciavano scorgere i fitti cespugli neri delle ascelle.
Lucia si accorse di come Davide le guardava l’attaccatura delle braccia.
‘Vi sarete accorto che non uso depilarmi, non mi sono mai depilata, mai.’
Quasi con aria di sfida maliziosa, aggiunse che neppure quando andava al mare era usa rimuovere quelli che molti consideravano peli superflui. Se la natura ce li aveva messi, concluse, dovranno pur servire a qualcosa.
‘Credete che sia indice di scarsa pulizia? Io mi lavo sempre e scrupolosamente. Sentite.’
S’alzò e andò a mettere una sua villosa ascella sotto il naso dell’uomo, premiandolo, comunque con la affascinante visione di una soda tettina dal roseo e turgido capezzolo.
Davide le guardò le gambe. Belle, snelle, lisce e senza alcun accenno di peluria.
Lucia poggiò un piede sul letto.
‘Non mi depilo neanche le gambe, sono così di natura. Toccate.’
Lui passò lievemente la mano sulla pelle serica, seducente. Gettò uno sguardo sotto la vestaglia, sotto la camicia. Gli sembrò di scorgere, o volle immaginare di vedere, un crespo groviglio di riccioli neri.
Lucia non ritrasse subito la gamba, scrutando l’espressione del volto dell’uomo. Visibilmente turbato, Davide alzò le ginocchia. Forse per nascondere la sua eccitazione, pensò lei.
Tornò a sedere ai piedi del letto.
‘Posso portarvi il caffè in camera, la mattina?’
‘Ne sarò felice, grazie. Ma sedete un po’. Ditemi un po’ di voi, se volete, desidero conoscervi meglio. Mi fate parlare tanto, state lungo ad ascoltarmi, a lungo, sugli argomenti più disparati, di economia, religione, politica, sui rapporti col prossimo. Ma voi parlate poco, perché?’
‘Mi piace ascoltarvi, sentire la vostra voce, le vostre parole così precise, chiare. Sto imparando tante cose che ignoravo. Non avevo mai conosciuto una persona così colta…’
‘Non prendetemi in giro, signora Lucia, del resto gran parte della mia attività consiste nel parlare, nell’esaminare problemi, cercare di spiegarli ad altri e di risolverli. Specie all’Università.’
‘Non chiamatemi signora, mi sembra che vogliate tenermi a distanza. Il mio nome é Lucia. Ma ditemi, voi credete che i genitori trasmettano ai figli le proprie caratteristiche?’
‘Non vedete come spesso i figli somiglino ai genitori?’
‘Non intendo fisicamente, mi riferisco alle altre qualità, al carattere, all’intelligenza, alle attitudini.’
‘Sono convinto che anche questo si trasferisca da padre a figlio, poco o molto non so, ma sono certo che un genitore dia parte delle proprie qualità, buone o cattive che siano, alla propria prole.’
‘E’ vero che Gesù aveva natura divina perché era il Figlio di Dio?’
Con la sedia s’era spostata verso la testiera del letto, e aveva poggiato le mani sulla leggera coperta stesa su Davide. Lui le prese la mano, sorridendo.
‘Ricordate il Credo, Lucia, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre. La sostanza del padre, quindi, passa al figlio.’
Lei lo guardava con gli occhi lucidi, come incantata, ammaliata.
‘Lo immaginavo, ora lo so.’
‘Sapete cosa?’
‘Che il figlio acquisisce le stesse caratteristiche del padre.’
‘Dal vostro interesse mi sembra comprendere che é cosa molto importante, per voi.’
‘Essenziale.’
‘Avete un segreto, in proposito?’
‘Forse.’
‘Non lo posso conoscere?’
‘A suo tempo. Ora, scusatemi, ma mi attendono le solite faccende, e scusate per le chiacchiere, e se vi ho importunato.’
‘Grazie a voi, Lucia, per l’ottimo caffè e la compagnia che mi avete fatto. Come sapete, e vedete, sono abbastanza solo.’
‘A proposito, dottore, grazie per il buono omaggio relativo a un trattamento completo al Beauty Center del Capoluogo di Regione, ma non é facile, per me, recarmici. Voi quando contate di andarvi?’
‘A voi non serve un trattamento del genere, giovane e bella come siete. Comunque, io andrò domani alla Direzione regionale. Volete profittare e venire con me?’
‘Non si seccherà il vostro autista?’
‘Perché dovrebbe?’
‘Potrei davvero venire con voi?’
‘Certo.’
‘Grazie, ne approfitterò.’
‘Io starò fuori tutto il giorno, come farete coi bambini?’
‘Ci penserà mia madre.’
‘E Domenico?’
‘Lo stesso.’
‘A domani, allora.’
‘A che ora?’
‘Partirei dopo le dieci. La mia riunione é alle quattordici.’
‘Sapete che orario osserva il Beauty Center?’
‘Orario continuato dalle nove alle diciotto.’
‘Ma come avete avuto il buono omaggio?’
‘Il proprietario é un mio caro amico.’
‘A domani, comunque, alla solita ora vi porterò il caffè.’
Uscì canterellando, e andò in cucina.
Davide prese le sue cose e si chiuse nel bagno.
^^^
Lucia cercava di riordinare i mille pensieri che le affollavano la mente. Davide l’affascinava. Coi suoi modi, con la voce, con le sue mani forti ed eleganti nello stesso tempo. Era attratta dalla sua intelligenza, dalla cultura, dal modo di spiegarle le cose. Sarebbe rimasta per ore, accoccolata ai suoi piedi, ad ascoltarlo, poggiandogli la testa sulle ginocchia che avrebbe ammantato con la lunghissima chioma.
Non era riuscita ad evitare un confronto col sempre sorridente Domenico, il padre dei suoi figli, pur rendendosi conto della disomogeneità dei termini di paragone.
Lei, che era riuscita appena a terminare la scuola media, figlia d’un povero bracciante e moglie d’un modestissimo operaio, si sentiva la Cenerentola ammaliata dal principe. Era consapevole che a mezzanotte, comunque, tutto sarebbe finito, ma fino a quell’ora potevano accadere tante cose che avrebbero certamente lasciato un indelebile ricordo in lei.
Il suo turbamento le aveva provocato un senso di repulsione verso il marito. Le dava fastidio perfino il tono della voce, il suo modo di muoversi. Aveva simulato un’insolita lunghissima durata del suo ciclo mensile, lamentato disturbi vari, immaginata un’inesistente visita medica, nella quale sarebbe stata riscontrata una flogosi vaginale che richiedeva un periodo d’astensione assoluta dai rapporti sessuali. Domenico la guardava con una certa meraviglia, notava un certo cambiamento nel comportamento della moglie, e attribuiva tutto, anche l’esagerata igiene personale e cura del corpo, a quella infiammazione che proprio non ci voleva.
‘Lucietta mio, io ti desidero.’
Le diceva, a letto, il trascurato consorte.
‘Abbi pazienza, Domé, quando sarò guarita ci rifaremo del tempo perduto.’
Gli volgeva le spalle e fingeva di dormire, con le mani strettamente serrate tra le gambe.
Davide era il suo dio e signore.
L’indomani avrebbe viaggiato con lui. Chissà, forse lui avrebbe occupato il posto accanto all’autista, e lei sarebbe stata dietro, sola.
Aveva detto a Domenico che andava a farsi fare una visita di controllo presso un primario suggeritole da un’amica. Per non affaticarsi eccessivamente, salendo e scendendo da mezzi pubblici, avrebbe profittato che il dottore andava alla Direzione regionale. L’autista l’avrebbe accompagnata alla clinica universitaria e sarebbe ritornata a prenderla prima del ritorno in sede.
Domenico si strinse nelle spalle, senza dire nulla.
L’indomani s’alzò per tempo, poltrì nella vasca da bagno dove aveva disciolto dei costosi sali profumati, spazzolò a lungo i capelli, poi, in accappatoio, allestì la colazione al marito e ai figli, svegliò tutti, li preparò per uscire, attese che se ne andassero. Allentò la cintura dell’accappatoio, riempi di caffè una tazzina, s’avvicinò alla porta di Davide, bussò appena e, senza attendere risposta, entrò accendendo la luce.
‘Buongiorno, dottore. Le ho portato il caffè.’
Davide, ancor assopito, si svegliò del tutto e si mise a sedere. Lucia gli si avvicinò e gli porse la tazzina. Nel movimento, l’accappatoio le si aprì quasi del tutto, offrendo l’incantevole spettacolo del piccolo corpo perfetto, proporzionato in ogni suo particolare, col minuscolo ombelico deliziosamente disegnato, e il nero e folto triangolo del pube. Resto lì, come in mostra, fingendo di non accorgersi di come Davide la fissava, la percorreva col suo sguardo avido e goloso. Riprese la tazzina vuota, che l’uomo le porgeva, e con la massima indifferenza si voltò e uscì.
Quando fu pronto, Davide uscì dalla sua camera, andò in cucina, per salutare Lucia, ma non c’era nessuno.
‘Signora Lucia?’
Gli giunse la voce dal bagno.
‘Sono qui.’
Lui s’avviò per dirle qualcosa, restando dietro la porta.
L’uscio era aperto, Lucia, completamente nuda, era sulla bilancia, pesandosi, volgendogli la magnifica schiena, le rotonde ed eccitanti natiche appena coperte dai lunghi capelli corvini.
‘Scusatemi, Lucia.’
‘Scusate voi se ho lasciato la porta aperta.’
Prese un asciugamano e lo avvolse intorno ai fianchi, cercando di raccogliere il seno scultoreo nelle sue piccole mani.
‘Volevo dirci che faccio un salto in ufficio e sarò qui tra un’ora.’
‘Grazie, mi troverete pronta.’
Davide uscì e, senza affrettarsi, s’avvio verso il vicino ufficio, con negli occhi la visione di quel corpicino incantevole ed allettante. Più la vedeva, specie nelle insperate condizioni di quelle ultime volte, e più si sentiva preso dalle grazie di quella piccola incantevole donna. Forse si stava montando la testa, equivocava involontarie disattenzioni.
Lucia l’attendeva affacciata alla finestra. Vide fermarsi un’auto vicino al portone e scenderne Davide. Non era quella dell’Ufficio, e la guidava Davide stesso, che alzò gli occhi e le sorrise, facendole cenno di andare giù. Lei annuì col capo, si ritirò, chiuse la finestra. Poco dopo apparì sul portone. Blusa di seta écru sulla lunga gonna blu, abbottonata davanti, di cotone setificato, grossa borsa e scarpette con tacco sportivo, tutto intonato alla gonna. Era proprio elegante, Lucia, e molto bella.
L’uomo aprì lo sportello, la fece sedere, richiuse, andò dall’altra parte, salì.
‘Indossiamo le cinture, per favore.’
Lei eseguì. Lo guardò interrogativamente.
‘Questa non é l’auto di servizio.’
‘No, é la mia. Preferisco così.’
‘Guidate voi?’
‘Perché, non vi fidate?’
‘Assoluta fiducia. Forse é malato l’autista?’
‘Sta benissimo, ed é in regolare servizio. Forse non gradite che siamo solo noi due?’
‘Anzi, così se ho da dire qualcosa non devo star a pensare ad altri che mi ascoltano.’
Si era avviato verso l’uscita della città, guidando senza fretta. Stavano imboccando la strada per il Capoluogo regionale. Il traffico non era eccessivo.
‘Volete andare più velocemente, o sta bene così.’
‘Va benissimo. Grazie.’
‘Sapete che siete molto elegante, Lucia, certo che non so proprio cosa ci andate a fare in un centro di bellezza, forse potrete fare da modella. Siete così giovane che penseranno che sia vostro padre.’
‘Mi state prendendo in giro, dottore. Avete solo qualche anno più di me.’
‘Diciamo, più di dieci.’
‘Ma non si vedono, anche se il vostro modo di fare é d’una persona matura.’
‘Vi secca?’
‘Mi incanta.’
‘Grazie.’
‘Non é un complimento, é la verità.’
‘Avete una graziosa gonna, ancor più pregevole perché, tra un bottone e l’altro, quando siete seduta lascia scorgere le vostre bellissime gambe. Non si usano sottane sotto tali gonne, vero?’
‘Io no.’
‘E fate bene, almeno allietate la vista degli altri.’
‘E voi, siete tra gli altri?’
‘Veramente, non vorrei considerarmi altro, mi sentirei estraneo, che mi tenete a distanza.’
‘Tutt’altro, vi sono vicinissima, e siete il solo a vedermi. La gonna, però, è abbastanza stretta, specie in basso, e costringe ad una posizione non molto comoda.’
‘Slacciate qualche bottone.’
‘Non vi disturba?’
‘Può mai disturbare la vista del paradiso a un peccatore come me?’
‘Perché, vi ritenete peccatore?’
‘Non quanto vorrei.’
‘Non mi é chiaro il senso delle vostre parole.’
‘Voglio dire che non sempre mi é dato di peccare quanto e con chi vorrei, e questo é certamente un peccato.’
‘E’ un grazioso giuoco di parole.’
Intanto, aveva aperto la gonna fin sopra le ginocchia.
Davide la guardò espressivamente.
Lucia gli sorrise maliziosamente, con civetteria.
‘State attento alla strada, dottore. Volete che riabbottoni tutto?’
‘Volevo accertarmi che stavate comoda.’
‘In un certo senso, si.’
‘Come in un certo senso?’
‘Potrei stare anche meglio?’
‘Come?’
‘Ve lo dirò al momento opportuno. Ma, cambiando argomento, perché vi chiamate Davide. Forse come vostro nonno o qualcuno in famiglia?’
‘Nessun rinnovo, come usa dirsi. Sono nato dopo tre sorelle, e questo é il motivo del mio nome che significa il beneamato.’
Gli occhi di Lucia esprimevano rapimento, l’adorazione per il nume. La voce sommessa mormorò: ‘Davide, beneamato!’
‘Avete detto qualcosa?’
Chiese l’uomo.
‘Ho detto tutto. Il vostro nome.’
‘Lucia, quando arriveremo in città, anche se é un po’ presto per gli usi locali, andremo a pranzo, poi vi accompagnerò al Center, dove verrò a riprendervi dopo circa due ore. Spero che non vi annoierete, perché a voi non dovranno fare proprio nulla. Quando scendere dall’auto, però, riabbottonate la gonna.’
Si guardarono intensamente, con complicità.
‘Si, Lucia, sono gelosissimo della donna che é con me, se siete voi.’
Lei gli sfiorò la mano che teneva il volante.
^^^
Quando Davide tornò al Beauty Center, Lucia era seduta, nel salotto d’attesa, intenta a sfogliare una rivista di moda. Lo vide subito, s’alzò, gli sorrise, fece una piroetta, girando su sé stessa. I capelli sembravo più morbidi, più setosi, il volto era stato appena ritoccato con qualche cosmetico che gli aveva donato quasi una luminescenza. Le ciglia, un po’ più lunghe che in precedenza, facendo ancor più risaltare la profondità degli occhi.
Gli andò incontro.
‘Mi riconoscete, dottore?’
‘Vi stavo scambiando per Lucia, una bella ragazza che conosco.’
‘Più bella di me?’
‘Certamente no, quindi lasciamola dove sta e andiamocene.’
S’avvicinò al banco dov’era la cassiera, e lasciò una generosa mancia per il personale, pregando di salutare caramente il suo amico, assente per affari.
Uscirono, salirono sull’auto, indossarono le cinture.
Mise in moto e s’avviò verso il Corso Vittorio Emanuele.
‘Cosa ne dite di prendere qualcosa al bar, o volete andare al cine?’
‘Se potessi scegliere, mangerei un gelato, in riva al mare e poi, dopo… non so… Sono sfacciata?’
‘Ottimo programma. E se telefonaste a Domenico per dirgli che molto probabilmente farete tardi perché la mia riunione va per le lunghe? Ditegli che vi ho lasciato il cellulare per sapere come contattarvi. Gli potete telefonare quando saremo in riva al mare.’
Le brillarono gli occhi.
‘Allora va per il gelato?’
‘Sicuramente.’
‘Siete un tesoro. Davide, il beneamato.’
Si sporse verso lui e lo baciò leggermente sulla guancia.
Lui le rivolse un lieve sorriso e voltò a destra, per il lungomare.
Sedettero in un dondolo, prospiciente l’azzurro dell’acqua. Lucia chiese una granita di caffè con panna, con cialdoni, Davide una bibita analcolica.
Furono serviti senza attesa. Una generosa coppa con una raggiera di cialdoni, e il rosso della bevanda.
Lucia batté le mani, allegra come una bambina.
‘E’ enorme, mi aiuterete?’
‘Cominciate. Anzi, prima telefonate a Domenico. Io, mi allontano.’
‘Statemi vicino, dottore.’
‘Prese il telefono cellulare, formò il numero della tipografia, chiese del marito. Gli disse del probabile ritardo, che alla visita era andato tutto bene, però doveva ancora seguitare le cure in atto. Concluse che se avesse dovuto attendere molto sarebbe andata al cine. Lui, Domenico, per favore, doveva pensare alla cena dei bambini e a metterli a letto, se il ritardo fosse stato sensibile. Chiuse l’apparecchio e lo restituì a Davide.
‘Scusate, Lucia, che visita e che cura?’
‘Vi dirò tutto, ma non adesso. E’ troppo bello essere qui.’
Con un cialdone prese della panna e la portò alla bocca, una parte le rimase sul labbro superiore.
Davide le si avvicinò col volto.
‘Posso?’
Senza attendere il consenso, le tolse con la lingua il pezzetto di panna. Lei fu pervasa da un lungo rimescolamento che le fece venire la pelle d’oca. Guardando verso il mare, con un cialdone prese della panna e se la spalmò sulla bocca. Le labbra di Davide la succhiarono avidamente.
‘Mangiate il gelato, Lucia, e scusatemi.’
‘Mangiamolo insieme, come adesso.’
‘Non sono più un bambino, piccola Lucia, che s’abbonisce con un gelato. Finite la vostra granita, gustatela. Avete lasciato in sospeso un e poi, per il dopo. Cine?’
Lucia riprese a mangiare, cogli occhi luccicanti, tirando su col naso, di tanto in tanto. Grosse lacrime le rigavano il volto, e Davide prese il fazzoletto per asciugarle dolcemente. Le fece soffiare il naso, come a un bimba. Chiamò il cameriere e pagò il conto.
La coppa, ormai, era vuota.
‘Allora, cosa volete fare?’
‘Baciarvi.’
‘Venite.’
La prese per mano, la condusse all’auto, la fece salire, andò a sedere al suo posto, guidò verso un gruppo di capannoni chiusi, parcheggiò in uno stretto spazio, tra due di essi.
‘Parliamo un po’, piccola splendida Lucia. Venite dietro, saremo più comodi.’
Era seduta accanto a lui, vicinissima, sentiva il calore del suo corpo invitante. Le cinse le spalle, l’attirò a sé, sentiva sul volto i suoi capelli.
‘Lucia, siete una fanciulla incantevole, e non potete immaginare quanto mi costi non stringervi tra braccia. Ma cosa significherebbe? Siamo sposati, entrambi. Cosa ci proponiamo? Una squallida avventura? La rovina delle nostre famiglie?’
‘Baciatemi, dottore, stringetemi tra le braccia, fatemi sentire che mi desiderate come io desidero voi, e poi vi dirò cosa voglio. Niente di squallido, niente di distruggente. Baciatemi.’
Fu un bacio lungo, appassionato, voluttuoso, avido. Gli si sedette sulle ginocchia, gli prese la mano e se la portò al seno, fremente, palpitante. Gli sussurrava all’orecchio, con voce rotta, smozzicata.
‘Accarezzatemi, baciatemi, suggetemi, svuotatemi.’
Davide si sentiva sconvolto da tanto ardore. La carezzò, le succhiò i capezzoli carnosi, intrufolò la mano sotto la gonna, tra le gambe, nei riccioli irti per il piacere. Incontrò il sesso, freneticamente convulso in un irrefrenabile orgasmo. Finalmente, ancora tremante, Lucia si rannicchiò tra le sue braccia.
‘Mi vuoi spiegare, Lucia, cosa significa poi vi dirò cosa voglio?’
‘Non ancora… non ancora… dovranno prima verificarsi altri eventi. Forse é meglio tornare a casa, farlo qui sarebbe veramente squallido.’
^^^
Davide s’addormentò molto tardi.
Dormiva ancora quando la sua porta s’aprì e apparve Lucia, in camicia da notte. Si fermò vicino al letto, lascio cadere in terra la camicia si infilò accanto a lui, lo abbracciò, gli carezzò il volto, lo baciò teneramente. Cominciò a sbottonargli il pigiama.
Fu un’amante appassionata e tenera, avida e generosa, golosa, vorace ma deliziosamente soave. Chiedeva molto, ma dava tutta sé stessa. Quando il piacere diveniva più intenso, dalle sue labbra, tra gemiti voluttuosi, giungeva un mormorio continuo, appena percettibile, mio dio… mio dio… signore… signore…
Mentre, ancora ansante, deliziosamente sfinita, riposava sul suo petto, Davide le chiese cosa dovesse dirgli.
‘Lo saprete al momento opportuno, dottore.’
‘Posso sapere, almeno, cosa mormori mentre fai l’amore?’
‘Non quando faccio l’amore, ma quando sono con voi.’
‘E cosa sussurri?’
‘Vi chiamo, dottore, vi chiamo.’
‘Ma se sono qui, con te.’
‘Vi invoco perché rimaniate in me, per sempre.’
Davide scosse il capo, non credeva di aver compreso bene.
I giorni passavano veloci, specie le ore in cui Lucia, ogni mattina, si rifugiava nel letto di Davide. Ormai era così. Momenti di passione, di piacere, di tenerezza, di dolcezza. Pieni di ardore, specie quando Davide tornava dopo qualche breve assenza.
Domenico era abbastanza tranquillo, perché gli era stato assicurato che la cura proseguiva con esito abbastanza soddisfacente.
^^^
Quella mattina Lucia apparve in una vaporosa vestaglia, con la solita tazzina di caffè, il volto radioso, quasi trasfigurato, estatico. Si spogliò lentamente, si sdraiò vicino a Davide, gli prese la mano e la portò sul suo grembo.
‘Sentite?’
‘Cosa?’
‘Qui c’é vostro figlio, dottore.’
Davide trasalì.
‘Mio figlio? Come fai a dire che é mio?’
‘Dopo le ultime regole ho avuto rapporti soltanto con voi, come volevo. Perché é questo che dovevo dirvi: volevo un figlio da voi, dal mio dio in terra. Ora questo desiderio si é realizzato. Ho concepito la creatura che volevo. E’ questo che dovevo dirvi. Un figlio che sarà come voi, generato della stessa sostanza del padre. E’ un maschio, ne sono certa, e lo chiamerò Salvatore.
‘Perché?’
‘Perché il Salvatore é il figlio di dio, discendente di Davide. Gli farete da padrino? Lo farete, dottore?’
Gli si distese sopra e lo possedette, golosamente, assaporando ogni istante, con voluttuosa esperienza, con eccitata riconoscenza, cercando, con fantastica maestria di donargli indimenticabili piaceri, sconosciuti godimenti. Sembrava volesse svuotarlo, mungendolo deliziosamente. I capelli erano sparsi dappertutto, gli occhi socchiusi, e il lieve sussurro dalle sue labbra: signore… mio dio… signore… eccomi!
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…