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Stefania aveva appoggiato il tallone del piede nudo sulla tomaia ed io immaginai cosa avrebbe visto qualcuno che fosse improvvisamente arrivato: l’altera Stefania, dritta ed impettita a trafficare col cellulare ed io, inginocchiata in terra con i gomiti e gli avambracci sul pavimento, il sedere in alto, intenta a leccare e succhiare i piedi di Stefania…

«Ma tesoooro, hai la mini elasticizzata???» Mi chiese con tono sarcastico, con una gentilezza falsa come una banconota da 17 euro.

Smisi un istante: «Sì, Stefania»
Mi dedicò un sorriso che mi ricordò Crudelia Demon della carica dei 101: «Prima di tutto, merdina, per te sono la SIGNORA Stefania!

E poi: lo sai che stando in questa posizione la gonna ti è risalita e hai mezzo culo di fuori?»
«Sì… signora: sentivo l’orlo…»

«E non ti sembra, per una come te, fin troppo dignitoso stare col culo mezzo coperto?» e senza neanche darmi il tempo di pensare a ad un’eventuale risposta, prese l’orlo e mi scoprì fino alla vita.

«Oh-ohhhh! Ma cos’abbiamo qui! Ci siamo dimenticate di indossare le mutandine, nella fretta di venire a lavorare, stamattina?
O magari ti agghindi così per trovare qualche maschio arrapato che ti monti? Guardami! Ecco brava così, cosi si vede bene il tuo musetto insieme al tuo culo nudo!»

Allungò il piede tra le mie cosce e poi, con le dita, andò a cercare la mia topina bollente, mentre contemplavo il suo ginocchio davanti agli occhi e, osando, sbirciai sotto la sua gonna, cogliendo un lampo di pizzo bianco.
«Sei davvero una troia… e ti ecciti anche, schifosa! Sei un lago! Non posso passare tutta la mattina a giocare con te, cretina, anche se troverò il modo.
Adesso puliscimi bene il piede che me lo hai tutto bagnato coi tuoi succhi di cagna»

Mi prese per i capelli ed io aprii la bocca dal male, ma lei mi ci spinse subito il piede dentro, il più in fondo possibile e io leccai e succhiai, anche se l’unghia dell’alluce mi graffiò dolorosamente il palato.
Alla fine levò il piede, fece due passi per venirmi dietro e fotografarmi in quella imbarazzante postura aperta.

Poi socchiuse la porta, verificò che nessuno la vedesse sgattaiolare fuori ed uscì.

I miei sensi erano in subbuglio: ero eccitatissima ed avevo una voglia di darmi sollievo toccandomi da impazzire! Inoltre non avevo mai assaggiato le mie secrezioni e l’esperienza non era stata per nulla negativa: tornata alla mia scrivania, osai intingere l’indice nel mio sesso bollente e poi ne succhiai via avidamente ogni secrezione, non osando ripetere la manovra per non correre il rischio di lasciare il dito ( o più di una!) nella mia polla ribollente per darmi sollievo ed infrangere il giuramento fatto al mio padrone, il dottor Paolo.

In qualche modo la giornata finì e tornai a prendere la mia utilitaria.

Pensavo di poter attirare gli sguardi di qualcuno, sul piazzale, ma quando lasciai la palazzina, un ultimo autotreno stava uscendo dal cancello e l’area era deserta.

Partii verso casa, con un vulcano di voglie che ribollivano dentro di me (Come mai? Non ero mai stata così… assatanata, per il sesso! Boh…) e non vedevo l’ora di arrivare a casa, denudarmi e restare in attesa dell’arrivo di mio suoc… ehm! …del mio padrone!

Così, dopo aver fatto rapidamente un po’ di spesa nel supermarket vicino a casa, corsi su e mi spogliai completamente ancor prima di riporre la spesa.
E poi attesi, in ebollizione, che il mio padrone arrivasse…

Mi aggiravo per casa, sostando davanti ad ogni finestra, facendo finta di fare qualcosa, sognando decine di persone a spiarmi, a masturbarsi sulla mia visione.

Poi suonarono alla porta. Stavo per andare ad aprirgli nuda, ma ricordai che mi aveva imposto l’accappatoio.

«Un attimo arrivo!» Urlai verso la porta.
«… pacco, sign…» mi parve di capire: quindi era un fattorino, non il dottor Paolo! Del resto la maniera di suonare non era la Sua.

Aprii la porta con un sorriso impacciato, tenendo accostati i lembi dell’accappatoio con una mano «Mi scusi, sa: stavo per entrare sotto la doccia…»

Il tipo, un giovane con la divisa di un noto corriere, mi sorrise, gentile: «Mi scusi lei, signora, ma devo proprio consegnarle questo collo» e intanto allungava il suo, di collo, per cercare di sbirciare la mia nudità.

Quando arrivò il momento di firmare la ricevuta, ingobbita sul ripiano del mobile dell’ingresso, lasciai liberi i lembi e notai che il fattorino, che era alle mie spalle si stava comunque godendo la mia nudità, riflessa nello specchio.

Speravo che mi chiedesse qualcosa, che volesse qualcosa, ma purtroppo si riprese solo la penna e mi salutò con un sorriso, reso ancora più ampio dallo spettacolino che era convinto di aver rubato a mia insaputa.

Non avevo ordinato nulla, ma il nome e l’indirizzo erano inequivocabilmente i miei e quindi lo avevo portato in cucina per aprirlo con un coltello, quando suonò di nuovo la porta.
Mi infilai l’accappatoio, lasciato sull’attaccapanni lì di fianco, ed aprii, pur avendo riconosciuto il modo imperioso di scampanellare.

«Ciao troia!» disse, entrando col solito piglio, gettandomi un’occhiata annoiata mentre mi toglievo l’accappatoio ed andandosi poi a sedere sul divano.

Mi misi dritta davanti a lui, ma «No, da oggi si cambia: da oggi starai inginocchiata, col culo sui talloni e le mani sulle cosce, se non ti dico di stare in altra posizione»

Assunsi la posizione e mio suocero mi guardò: «Allora: voglie strane, oggi? Accadimenti particolari?»
Prima gli narrai del permanente stato di eccitazione che mi aveva dominato tutto il giorno, gli dissi del fattorino e infine gli raccontai di Stefania.

Si dimostrò molto interessato: mi fece domande, mi portò a sforzarmi per riferirgli esattamente quanto era stato detto e fatto ed alla fine fece il suo vago grugnito, che ormai avevo imparato a riconoscere come un segno di apprezzamento.

Alla fine, si fece portare il pacco ed io lo portai con un coltello, per aprire l’involucro.

Dentro c’erano alcuni falli finti ed alcuni oggetti conici torniti che, visti di profilo, ricordavano il seme di picche delle carte.

«Vieni qui, appoggiati con la pancia», disse mio suocero, battendo piano il palmo sul tavolo.

Feci quanto detto e lui mi fece tenere le natiche divaricate; poi cominciò a giocherellare col mio sesso, già infradiciato dall’eccitazione, infilando e levando dita, da uno a tre o quattro, alla fine.
Ero vicina ad far esplodere il mio piacere, ma lui cominciò a spingere le dita anche dietro al mio buchetto e -anche lì- prima una poi, sforzando un pochino, un’altra e poi facendole ruotare e andare dentro e fuori e poi piegandole e tirando e poi un terzo dito e di nuovo le manovre di prima, mentre il disappunto ed dolore iniziali si dissolvevano in una sensazione che a poco a poco lievitò fino a diventare vero piacere.
Non avevo mai considerato l’ottenimento del piacere da quel lato (ahem… cioé.. volevo dire… Vabbé fa lo stesso, dai!), ma mio suocero, il dottor Paolo, il mio padrone mi faceva scoprire su di me cose che neanche immaginavo di poter sospettare.
«Dai, spingi in fuori, che ti si allarga bene…»
Ed io feci come aveva detto e in effetti mi sentii… più larga; lui ne approfittò per intrufolare dentro un quarto dito, sempre scorrendo avanti ed indietro e sempre ruotando ed allargando le dita dentro di me.
Poi smise ogni movimento che non fosse la penetrazione, ma mi dava possenti spinte, come se volesse spaccarmi in due.
Alla fine, quando ormai ero quasi pronta a far esplodere il mio piacere, tolse le dita (la mano?) e dalle mie labbra uscì un sommesso «Nooooooo…» ma subito sentii le sue forti dita afferrarmi per la pelle dei fianchi e… e mi entrò lì dietro, di colpo!!!
Restai senza fiato, un po’ per la sorpresa, un po’ perché ero in attesa dell’esplosione di dolore che quella pratica “doveva” provocare (lo dicono tutti!), ma invece niente: solo il ritmo della sua penetrazione che, come cucchiaiate di riso, una dopo l’altra andavano a colmare la ciotola del mio piacere.

Alla fine lo sentii intostarsi e poi scaricarsi dentro di me, mentre il riso della ciotola traboccava ed io provai un’onda di piacere come mai prima…

Stavo ancora cercando di capire se ero viva o morta e se sarei mai riuscita a respirare regolarmente, quando me lo spinse contro le labbra, molliccio, lucido di umori, appiccicoso e mi disse solo «Lustramelo!» ed io, da brava, lo leccai e lo succhiai, nonostante il vago sentore amarognolo che aveva, ma glie lo pulii proprio bene.

Alla fine, mi gratificò con un pat-pat sulla testa, come si fa coi cani e poi tirò fuori il barattolo e mi fece ingoiare altre tre compresse.

Si mise comodo sul divano: «Allora… -stetti ad ascoltarlo attentamente- … domani torna quella mezzasega che hai sposato, giusto?» Confermai.

«Bene… per adesso non gli faremo sapere che sono tornato… Non deve notare nessun cambiamento, a parte che tu non ti concederai a lui, trova una scusa!
Ci rivedremo quando dovrà di nuovo partire per lavoro… non fare quella faccia: sarà tra pochi giorni, perché ho le conoscenze giuste per farlo star via per un po’…

Nel frattempo, tutte le sere prenderai tre di queste compresse e, quando lui non è a casa, starai sempre nuda: vestiti quando sai che sta per arrivare e spogliati appena va via.
Finestre sempre aperte e quando esci mai biancheria: inoltre lascerai che le persone possano desiderarti e sarai disponibile a qualunque richiesta loro possano fare. Hai nastro da imballaggio?» Glie lo portai.

Lui estrasse un oggetto dalla scatola e la sigillò: «Questa falla sparire, non voglio che per adesso la mezzasega la veda! Questo è un plug anale» Lo guardai: era d’acciaio, del diametro massimo di cinque centimetri e sulla… base, aveva incastonata una sorta di smeraldo finto, sfaccettato.

Mi fece piegare sul tavolo, mi fece insalivare per bene il plug e poi me lo spinse dentro e mi fece un po’ male.

«Da adesso lo terrai sempre; all’inizio potrà forse darti un po’ fastidio, ma poi ti abituerai ed allora saliremo di dimensioni.
Se la tua collega, la segretaria del capo, ti chiama, appena sarete sole le dirai umilmente che il tuo padrone ti ha imposto di indossare il plug anale e glie lo mostrerai.
Se ti chiedesse chi è il tuo padrone, dille serenamente che è tuo suocero, che ha appena iniziato a sottometterti, che è contento di lei e che non le vuole porle alcun limite.
Ti sentirai vogliosa: puoi farti fare qualunque cosa da chiunque, salvo quella mezzasega di Marco che non ti deve neanche sfiorare, ma guai a te se ti tocchi da sola!

Tutto chiaro?»
Lo confermai.

«Ci rivedremo alla solita ora, il giorno che la mezzasega sarà partito!»
Come suo solito, mi lasciò lì, imbambolata, nuda e -stavolta- col plug dentro.

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