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Dormii male e la mattina mi sveglia rintronata e stanca.
In qualche modo affrontai la giornata e, pur avendo voglia, con momenti di assoluta disperazione per la mancanza di contatti sessuali, non cercai occasioni e non ne trovai.
Sapevo che avrei potuto andare in quell’area di capannoni a ritrovare i miei… “amici” stranieri dell’ultima volta, o altri, ma -come si usa dire- davvero non mi diceva il cuore… e proprio da un punto di vista cardiaco, non sentimentale!
Comunque, bene o male (male, a dire la verità: feci uno stupido errore che irritò molto il mio capo) la giornata passò e alla fine me ne tornai a casa, sperando di non aver visite (avevo deciso di non rispondere a campanello e telefoni e far finta di non esserci) per potermi buttare sul letto e recuperare un po’ di sonno.
Girai la chiave nella serratura e… strano: quella mattina avevo dimenticato di dare le mandate!

Entrai, chiusi la porta dietro di me… voci!
«Ah, eccoti, troia!» il mio Padrone! Già, che stordita… era entrato perché aveva le chiavi, date da me…
«Questi sono due miei amici, che vogliono svagarsi un po’… Dai spogliati e datti da fare…»

E così, col cuore che mi si addormentava, venni impalata in fica e culo, succhiai i loro cazzi mentre mi riversavano addosso fiumi di oscenità.

Poi decisero, con le grasse risate del Dottor Paolo che assisteva, di mettermi due cazzi insieme dietro, nel culo e mi sentii spaccare: urlai e piansi, ma non si commossero e continuarono imperterriti, mentre a poco a poco il dolore passava e cominciavo a sentire stimoli piacevoli…
Quando i due, alla fine, se ne andarono, lasciandomi dolorante in tutti i buchi, Il mio Padrone pretese il suo divertimento, non prima di avermi praticato le iniezioni ai seni ed alle labbra della fica ed essersi assicurato che assumessi le tre compresse.
Dal giorno dopo entrai in un vortice di avvenimenti e persi il conto delle umiliazioni, delle persone che usarono il mio corpo per il loro piacere.
La Signora Stefania pretese di farmi fare alcuni cambiamenti e mi trovai, sempre coi sensi in ebollizione, anche a fare a volte “quella” deviazione, fino alla palazzina abitata dagli stranieri ed anche Liliana, la mia vicina, aveva sempre suoi amici da presentarmi, oltre a Padron Paolo che, oltre ad ottenere il suo piacere, arrivava con suoi amici per farmi usare da loro ed inoltreseguiva anche i cambiamenti che il mio corpo -ormai lo vedevo chiaramente nello specchio!- stava subendo…

Una trasferta così non la dimenticherò più!

Porca miseria, dovevano essere tre, massimo quattro giorni ed invece… ed invece sempre complicazioni e cose da vedere, verificare e poi anche girare in diversi siti laggiù «Già che sei da quelle parti…», mi dicevano ed io, come un fesso, a sbattermi tra luoghi, interpreti improbabili, collegamenti che saltavano, con perdite di tempo e deviazioni di centinaia di chilometri…
Speravo di poter avere il conforto facendo videochiamate con la mia adorabile mogliettina, ma invece c’era sempre qualche problema, da parte sua, per cui potevamo solo sentirci, senza vederci.
Anche se negava, sentivo che aveva la voce stanca e pensavo di regalarci, alla fine di quella lunga trasferta, una bella breve vacanza per ricaricarci entrambi e per stare un po’ insieme…

E finalmente, dopo diverse -interminabili!- settimane, a casa!
Entro e Monica non è ancora rientrata dal lavoro, come già sapevo: le avevo proposto di andarla a prendere all’uscita dal lavoro, ma ha detto che lavorava in una nuova sede e che… che non era il caso, insomma e che appena finito sarebbe subito venuta a casa.

Vedo che ha già apparecchiato: tovaglia del corredo, bicchieri di cristallo, piatte e posate del “servizio buono”, candele sulla tavola… Sorrido: adoro Monica con questi slanci d’affetto, per questi suoi “bentornato!”
Mi metto sul divano e aspetto… Poi sento un tic-tic-tic di tacchi a spillo fuori dalla porta, che si fermano giusto davanti e il tintinnio del mazzo di chiavi… Strano, Monica avrà voluto farmi una sorpresa, visto che lei non usava mai i tacchi a spillo, non li amava…

Balzo in piedi e la vado aspettare nell’ingresso: come apre ed entra, la abbraccio e la bacio… poi allungo le braccia, tenendola per le spalle e la guardo…
Labbra a canotto e tettone e… e fianchi più pronunciati; un paio di decolté ai piedi con tacco vertiginoso e una mini -già corta!- che tende a risalire da sola e una camicetta striminzita che quelle… nuove tettone, non sorrette da un reggiseno, sembravano voler far esplodere!

«Ma amore…» provai a cominciare a chiedere.

«Stt! Stt! Aspetta, non parlare, amore mio…
Siediti a tavola che adesso arrivo col vino e poi cominciamo a cenare…» mi dice Monica.
La guardo mentre va verso la cucina, sculettante; rifletto che con quei tacchi dev’essere costretta a quell’andatura sensualissima.

Avrei voglia di prenderla, spogliarla, metterla sul tavolo, strappando via la tovaglia con piatti bicchieri eccetera e prenderla lì, come un animale, ma… ma lei ci rimarrebbe male, dopo aver organizzato tutta la cenetta per il mio rientro, poverina…
Così arriva con una bottiglia di spumante, che stappiamo e poi -dopo un brindisi mentre ci sorridiamo- cominciamo a sorseggiare.

Poi lei, con un sorriso stranamente velato, come se avesse… il freno a mano tirato, va in cucina per prendere la zuppiera con la pasta.

Mentre la guardo tornare, sento aprire di nuovo la porta di casa, dietro di me; mi giro, stupito e… mio padre!!!

«Sei arrivato alla fine, mezzasega…»

«Papà! Ma… cosa ci fai qui? Sì… no… cioè… uhm… volevo dire… ecco…» mi turbinano un milione di domande in testa, a causa del fatto che non ha mai smesso di denigrarmi, nella vita e che non lo vedevo dal mio matrimonio con Monica… Poi mi venne in mente di fargli una domanda… «Ma… come sei entrato, papà?»
«Vedi che sei sempre il solito coglione? Con le chiavi… vedi?» e mi mostra un anello con le due chiavi.
Sto cercando di pensare ad una risposta, quando lui chiama: «Vieni qui, baldracca!»
Sono esterrefatto! Come si permette di chiamare la mia Monica così?

«Ma papà…!!!»

«Ma papà cosa, mezzasega culorotto??? Ti “offende” -quanto sarcasmo in quell’unica parola!- che riconosca i meriti di Monica?
Ora ti faccio vedere… Troia: spogliati, prendi il secchiello e mettiti nella terza posizione sul tavolino!»
Non credo alle mie orecchie! E non credo neanche ai miei occhi: mia moglie, senza un attimo di esitazione, si toglie la camicetta e la minigonna inguinale, restando completamente nuda, come era evidente sotto i due capi.

Resto esterrefatto, nel guardarla: oltre alle labbra decisamente più gonfie, anche i seni, che adesso hanno due anelli sui capezzoli, sono diventati molto più… pesanti, voluminosi -e onestamente: le due modifiche la rendono ancora più appetibile- ma mi interrogo sui cambiamenti: Tatuaggi? Piercing? Lei che aveva sempre affermato di odiarli? La osservo mentre, con un’incredibile naturalezza, si inginocchia, con le ginocchia appena dentro ai due angoli, sul tavolino davanti al divano e poi posa le mani sugli altri due angoli dell’estremità opposta restando così, offerta e immobile, con la schiena parallela al piano del tavolino, con le mammelle che pendono pesanti e che -lo vedo in quel momento- hanno due anellini nei capezzoli.

Con mio padre mi avvicino e noto che su una natica ha il tatuaggio di due manette, con dentro due arzigogolate iniziali (la P e la S, unite da un & in mezzo), tatuaggio grande come un piattino da caffè, assolutamente visibile salvo non indossi una gonna od un paio di pantaloni.
Sulla caviglia sinistra, un altro tatuaggio: il seme di Picche delle carte -ovviamente nero, ma con all’interno una Q e a cingere l’articolazione, una catenella con alcuni piccoli monili pendenti: un altro simbolo della Donna-di-Picche e poi due piccoli cazzi, ma delle proporzioni incredibili rispetto ai testicoli e due minuscole figure: una di un uomo di spalle che sta evidentemente scopando una donna di cui spiccano le gambe tese ed aperte a V per accoglierlo ed l’altra con una figura femminile, nella stessa posizione assunta adesso da Monica, con due maschi che la prendono “allo spiedo”, uno in bocca e l’altro da dietro.

Ed un altro -lo noto in quel momento!- più grande, colorato che occupa tutto il braccio sinistro e anche parte della spalla: un grosso cazzo con tutte le sue vene in rilievo e la cappella turgida e violacea e due grossi coglioni pelosi con, inoltre, due alucce bianche.

Sono esterrefatto, ma poi vedo l’altro tatuaggio che ha appena sopra l’inizio del solco delle natiche: una larga e corta freccia verso il basso -indicando appunto lo spacco- e con la scritta ‘sborratoio’ al suo interno, in maiuscolo.
Mentre mi avvicino per vedere meglio, noto che la sua fica è… diversa: più… gonfia, ecco! Ma anche con le labbrine interne più lunghe, più pendule e che… non riesco a resistere ed allungo le dita: sento tre anellini per ogni labbrino, ma anche il fatto che Monica abbia il sesso zuppo di eccitazione!!!
Scostandomi, quasi spaventato da tutte quelle scoperte, incrocio lo sguardo di mio padre: «Allora culorotto: ti piace come ho trasformato la tua mogliettina?
E non hai ancora visto il meglio: spingile due dita nel culo!»
«Ma papà…»

«Ma papaaaaa cosa, segaiolo? Fai come ti dico!»
Immaginavo di dover forzare per introdurne uno… figuriamo due insieme!
E invece… Nessuna resistenza! Come metterle… in una tazza di panne, ecco!
Vedo mio padre che mi guarda e ride, probabilmente della mia espressione esterrefatta.
«Adesso ti faccio vedere altre due cose… ma ti devo preparare»
Ormai sono rassegnato ad ascoltare qualunque turpitudine sulla mia povera Monica con la quale ho solo voglia, dopo la lunghissima e dilatata trasferta, di stare insieme e fare l’amore… e anche -perché no?- giocare anche con le… variazioni del suo corpo!
«Dai… dimmi»
Mi guarda, con quell’aria feroce che ha sempre con me: «Come sempre, non hai capito un cazzo: non devo dirti qualcosa, ma solo farti indossare una cosa… -pesca dalla tasca dei pantaloni un oggetto che mi butta e che afferro al volo- … dai mettitela!»
Guardo l’oggetto che ho in mano: è una gabbietta per la castità maschile!

«Ma papà!» protesto, anche un po’ offeso dall’idea -incombente- di doverla indossare davanti a lui.

«Ma papà un cazzo! Mettila e non farmi girare i coglioni! Anzi: per non stare a ciondolare stupidamente, spogliati completamente!»

La sua espressione è assolutamente feroce e, nonostante la vergogna di denudarmi davanti a mio padre -così sicuro, così massiccio e tonico, sprizzante di mascolinità, con quella giusta quantità di pelo che -lo ammetto- ho sempre invidiato, mi spoglio sotto il suo sguardo derisorio.
Poi prendo l’oggetto, una gabbietta di metallo e seguendo le istruzioni che sprezzantemente mi detta mio padre, chiudo i due semicerchi -articolati tra loro- alla radice dei miei attributi virili e poi infilo il membro nella gabbietta ricurva, mettendo l’apposito anello a tener uniti i due anellini fissati ai semicerchi e bloccando poi il tutto con un lucchettino ed estraendone la minuscola chiave.
«Dammi, te la tengo io…» mi dice in tono gentile ed io, assorto nella contemplazione dell’apparato, glie la porgo.
Mi rendo conto che mette la chiavettina del lucchetto in una taschina del portafogli e provo a protestare: «Ma papà…»
«Piantala di rompermi il cazzo piagnucolando! Tanto adesso non ti serve!» Mi risponde, secco.
Poi gira lo sguardo Monica ed il tono sembra addolcirsi: «Hai visto che belle tettone da vacca, che le ho fatto venire? Non son mica finte come quelle da impianto chirurgico, eh! Queste sono tette vere!!! Guarda!»

Mette il secchiello da ghiaccio sotto i pesanti seni di Monica e poi… e poi comincia abilmente a mungerla! Come si fa con le mucche, le capre, le pecore!
E resto attonito a guardare, ipnotizzato dal rumore ritmico dei getti di latte che finiscono gorgogliando nel secchiello, mentre sento il cazzo dolermi, con la pulsione ad ergersi, ma costretto nella minuscola gabbietta.

Guardo mio padre, intento alla mungitura, ma lui percepisce il mio sguardo e lo incrocia, feroce.

«Vedo che ti eccita, tua moglie in versione vacca da mungere! Vorresti che te la levassi, ché ti fa male?» mi chiede, irridente.

Intimidito, annuisco e lui sghignazza: «No, ti ci dovrai abituare, per un po’!»
Interrompe la mungitura (il secchiello è quasi pieno!) e mi dice: «Però ho una soluzione, per i tuoi problemi; voltati e aspetta!»
Io obbedisco e, con la coda dell’occhio, lo vedo estrarre dalla sua borsa una siringa, riempirla da una boccettina e poi venirmi dietro, sfregarmi rapidamente una natica e poi… chebbruciore!!!… una intramuscolo dolorosa!

Poi sfila l’ago, mi sfrega ancora col cotone bagnato di disinfettante e mi dice: «Vedrai che già ti sentirai meglio in una mezzora… Ti farò questa iniezione anche le prossime sere e vedrai che starai sempre meglio…»
«Ma papà… -protesto- … non mi puoi dare la chiave, adesso?»
«E bravo! Se te la do, tu ti levi la gabbietta! No, no, voglio che la tieni per un po’… vedrai che poi ti abitui…»
Sogghigna ed io… io non posso altro che abbassare la testa, anche letteralmente.
«Oh, ma che distratto… -dice con un tono falsamente rammaricato- … ho dimenticato l’allenamento della va… ehm… di tua moglie»
Prende dalla borsa un sacchetto dal quale estrae sei pesi di piombo da mezzo chilo con un piccolo moschettone, che aggancia a ciascuno dei piercing nelle labbrine di Monica.

Finito, contempla il lavoro e mi mostra le ninfe del martoriato sesso di mia moglie, stirate dal consistente peso dei piombi.
«Allora, culorotto: hai visto che bel ficone spanato e che bel culo sfondato che ha messo su la vacca che hai sposato?»

«Ma papà…» provo a protestare, ma lui mi stoppa e si rivolge a lei che intanto, ad un suo gesto, si era rialzata ed aveva cominciato a muoversi per la casa tenendo le gambe allargate per i dondolanti ingombri.
«Sai, per fortuna, fin dai primi giorni, ho potuto contare sull’inaspettato aiuto di Stefania, una sua collega che si diverte molto a sottometterla ed a farla tatuare e piercingare, coodinandosi con me.
Troia, vuoi raccontare al tuo cornuto culorotto cosa è successo negli ultimi tempi in ufficio tra te e la signora Stefania?»

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