Parte 2: Prepararsi per uscire
Arianna aprì la porta solo di uno spiraglio. Nessun rumore, nessuna voce. Il corridoio era vuoto. Il cuore le martellava nel petto, ma non era paura. Era quella tensione viva, sporca, che le montava dentro ogni volta che c’era il rischio. Era sapere di essere nuda, completamente, con la pelle ancora segnata da quello che si era fatta. Aprì un po’ di più. Ancora silenzio. Allora uscì.
Camminava lenta, sicura, senza coprirsi. A piedi nudi sul pavimento freddo, la figa che colava ancora tra le cosce, le tette pesanti che ondeggiavano a ogni passo. Nessuna vergogna, nessuna fretta. Ogni centimetro di pelle era un invito. E una parte di lei lo sperava davvero: essere vista. Beccata così, in quello stato. Nuda, bagnata, fiera. Col corpo intriso del suo vizio.
Raggiunse il bagno. Entrò, lasciò la porta socchiusa. Solo uno spiraglio. Ancora. Perché faceva parte del gioco. Si infilò nella doccia, aprì l’acqua. Calda, forte, le cadeva addosso come pugni. Provò a chiudere gli occhi, a pensare ad altro. Ma la testa correva, la figa pulsava, il respiro le saltava in gola. Era troppo piena, troppo carica. C’era qualcosa sotto pelle che graffiava, che spingeva, che voleva uscire.
Cominciò dai capelli. Li lavò in fretta, le dita impastate di schiuma. Ma appena scese sul collo, poi sulle spalle, e infine sul seno, saltò tutto. Le mani iniziarono a scivolare. Le tette si gonfiavano sotto i palmi, le stringeva, le sollevava, le afferrava come sacche da svuotare. I capezzoli reagivano subito, ogni sfioro era una scossa. Le piaceva affondarci le dita, torcerli piano, farli scivolare tra i polpastrelli. Sentiva la carne viva sotto le mani, la massa che spingeva, che cedeva. Si toccava come se stesse cercando se stessa. Come se senza quelle mani addosso, non sapesse nemmeno chi era.
Poi scese. La pancia, il basso ventre. Il fiato diventava irregolare. Le dita scivolarono tra le gambe. La figa era gonfia, tirata, sembrava aprirsi da sola. Due dita entrarono subito. Le labbra si divisero e le risucchiarono. Calda, viscosa, la stringeva come se volesse trattenerle. Lei affondava, spingeva, muoveva la mano di scatto, senza ordine, solo istinto. Fame. Pura.
Non poteva farci nulla. Non esisteva una doccia in cui riuscisse a resistere. Bastava poco: un pensiero, un’immagine, e crollava. La testa si spegneva, il corpo prendeva tutto. Non serviva un motivo. Non c’era mai stato un motivo. E non c’era mai stata una volta in cui fosse riuscita davvero a fermarsi.
L’altra mano si muoveva già. Dietro. Le chiappe scivolose si aprivano sotto l’acqua. Un dito dentro. Poi un altro. Il buco si apriva piano, ma prendeva. Caldo, stretto, vivo. Pulsava intorno alle dita. Due davanti, due dietro. Le mani affondate, il bacino che si spingeva da solo, i fianchi che battevano contro l’aria. L’acqua copriva ogni suono, ma lei lo sapeva: bastava un passo fuori posto, una maniglia girata, e sarebbe stata vista. Quella possibilità le faceva tremare le gambe. Le saliva l’orgasmo in gola solo a immaginarlo.
Si piegava. I gemiti chiusi tra i denti. La fronte schiacciata contro le piastrelle. Le mani piantate nei buchi. Il bacino che si muoveva come se qualcuno la stesse scopando da dietro.
E allora arrivava. Sempre lei. L’immagine. Sempre la stessa. Più reale dell’acqua, più forte del getto sulla pelle: Lucio, il marito della padrona di casa. Dietro la porta. Occhio incollato allo spiraglio. Il cazzo già fuori, gonfio, duro, la pelle tirata come se stesse per esplodere. La mano che si muove, prima lenta, poi nervosa, a scatti. Il fiato trattenuto, le labbra serrate. Lui che guarda tutto: la sua fica sotto l’acqua, le dita che spariscono, il culo che si apre. E si sega in silenzio. Come uno che prega.
Poi, nella testa, il passo successivo. Lei si gira. Lo becca. Finge un pudore inutile, si copre con le mani, poi sorride. Quel sorriso. Quello che conosce solo chi l’ha vista nuda dentro.
«Dai… entra…» mormora, voce bassa, roca. «Ormai hai visto tutto… vieni ad aiutarmi…»
Lucio non risponde. Apre la porta. Entra. Gli occhi incollati a lei. Si toglie la maglietta, poi i pantaloni. Il cazzo scatta fuori, grosso, pieno. Esattamente come lei lo immagina ogni volta che lo vede passare in pantaloncini. Lucio è alto, massiccio. Il cazzo è in proporzione. Un attrezzo da monta. Lei lo guarda avvicinarsi. Non lo tocca. Si gira. Gli dà le spalle. Si piega. Le mani contro il muro della doccia. Le gambe aperte. Il culo in fuori. La figa ancora che gocciola. Il buco dietro già pronto, che pulsa da solo.
Lui le apre le chiappe con le mani. Forti. Senza dire una parola le pianta il cazzo nel culo. Dritto. Tutto. In un colpo solo. Arianna urla. Ma non per il dolore. E lui, per zittirla, le mette una mano sulla bocca, le affonda l’altra nel fianco, la tiene ferma, e comincia a muoversi. Colpi netti. Profondi. Le natiche che sbattono contro il suo bacino. Il cazzo che affonda, la riempie, la spinge fino all’ultima fibra. Lei geme, si allarga, il buco che si dilata intorno a quel pezzo duro che la spacca in due. La figa colava. Il corpo che si muoveva da solo, come se lo volesse ancora più dentro.
«Ti piace, eh?» le sputa nell’orecchio. «Farti inculare mentre mia moglie fa colazione? Con la porta aperta? Sei proprio una troia.»
Arianna annuisce, la faccia schiacciata contro le piastrelle, le dita aggrappate al muro, il culo che gli spinge incontro. Il cazzo che la riempie sempre di più, fino in fondo, ogni colpo un sussulto che le spezza il respiro. Gode. Con la gola piena di gemiti trattenuti. Le mani tremano, le gambe si piegano. Il buco lo stringe come se volesse trattenerlo per sempre.
E lì, sola nella doccia, l’acqua diventa fredda di colpo, solo per pochi secondi e tutto svanisce. Niente Lucio. Nessun cazzo. Solo dita. Solo lei. Il respiro si spezza. Tira fuori le mani. Il culo vuoto. La figa che ancora pulsa. Si appoggia alla parete. Il petto che sale e scende come dopo una corsa.
«Basta, Arianna…» ringhia, sottovoce. «Basta, cazzo…»
Ma non è una preghiera. È una resa. Perché il corpo vuole ancora. Le gambe molli, i muscoli tesi, il buco dietro che si chiude a fatica, le labbra della fica che restano aperte, gonfie, brillanti. Doveva lavarsi. Ma ogni fibra chiedeva di continuare.
Uscì dalla doccia col respiro corto, la pelle che ardeva, pizzicava. Si sentiva ancora umida, ancora intrisa. Ancora sua. Si asciugò i capelli senza guardarsi. Poi prese l’asciugamano, se lo avvolse addosso. Ma era solo scena. Lo strinse sopra i capezzoli, le tette quasi scoperte, le spalle nude, il collo esposto. Come un’offerta ancora calda. Come un invito che nessuno aveva colto. Per ora.
Rientrò in camera senza chiudere. La porta solo accostata. L’odore era ancora lì. Piscio, fica, pelle calda. Stagnante. Suo. Lo inspirò a bocca aperta, come aria buona. Poi lasciò cadere l’asciugamano. Scivolò giù dalle spalle come uno straccio bagnato. Rimase nuda, la pelle lucida, le tette pesanti ancora segnate da gocce, i capezzoli duri, spinti in alto come due punte tese.
Scelse il perizoma più piccolo. Nero. Pizzo ruvido, quasi trasparente. Lo tirò su tra le gambe ancora bagnate. Le labbra lo afferrarono, lo inghiottirono. Appena il tessuto toccò il clitoride, scattò dentro di lei un colpo secco. Il filo dietro sfiorava il buco a ogni passo, si spostava, si infilava, lo faceva vibrare.
Poi la gonna. Un gesto meccanico, quasi annoiato. Rimase un attimo a pensare al reggiseno. Ma no. Non oggi. Troppa voglia addosso. Indossò la maglia, poi il maglioncino. Il suo travestimento. Arianna tornava alla maschera. Quel tessuto ampio bastava a nascondere la sesta che si portava addosso, tonda, piena, viva. Ora era la ragazza tranquilla. Quella con gli occhiali, che ascolta, prende appunti. Ma sotto era ancora tutta aperta. Tutta bagnata. Tutta da fottere.
Si mise le scarpe. Una, poi l’altra. Con calma. Le mani leggere. I movimenti precisi. Il corpo pareva quieto, ma sotto la pelle c’era tutto: calore, umidità, l’eco delle dita ancora dentro.
Prese lo zainetto dalla sedia, lo posò sul letto, lo aprì. Cerniera giù con un colpo di pollice. Controllava tutto. Libri, borraccia, fazzoletti, penne, quaderno. Tutto al suo posto. Tutto perfetto. Almeno fuori.
Uscì dalla stanza e andò in cucina. L’aria fresca della casa le arrivò addosso come uno schiaffo sulla pelle ancora viva. I padroni di casa erano già lì, seduti al tavolo. Una scena da spot pubblicitario. Lui — alto, robusto, brizzolato — con il giornale aperto e il caffè in mano. Lei — minuta, bionda, curata — al lavandino. Lenta. Acqua, tazze, ordine.
«Buongiorno, Arianna!» sorrise lei, gentile.
«Buongiorno…» rispose Arianna con tono morbido, composto.
Arianna si mosse tranquilla, come se nulla stesse succedendo dentro di lei. Andò al tavolo, prese una tazza, versò il caffè. Si sedette. Le gambe si aprirono appena, il perizoma che tirava, invisibile ma presente. Beveva a piccoli sorsi, silenziosa. E intanto li guardava. Tutti e due. Lei che sistemava stoviglie, lui con il giornale in mano.
Ma nella sua testa malata, le immagini già correvano. Giù, in fondo, dove c’era solo fango e voglia.
La padrona di casa, con quel grembiule da casalinga perfetta, che all’improvviso si abbassa le mutande lì, in mezzo alla cucina. Le fa scivolare fino alle ginocchia, poi sale sul tavolo e si accovaccia sopra una ciotola trasparente. Non dice nulla. Solo quel sorriso. E poi inizia a pisciare. Un getto lento, caldo, giallo che le scende tra le cosce, schizza sul vetro, si allarga sul fondo. La guarda dall’alto, con la voce dolce, come se le stesse servendo il tè.
«Tieni, tesoro… la tua colazione. Bevi tutto. Non ne sprecare nemmeno una goccia.»
E mentre la piscia colava, lei si toccava davanti alla sua bocca, due dita veloci, bagnate, senza eleganza.
Le gemeva sopra:
«Guarda che troietta tenera… tutta eccitata… tutta sottomessa…»
Arianna beveva, ingoiava, tossiva, singhiozzava. Le labbra le tremavano, il vetro si appannava, l’odore era ovunque. Ma non si fermava.
«Non ce la faccio… è troppo…»
«Sì che ce la fai, puttanella. Ce la fai eccome. Bevi e non discutere.»
E poi arrivava lui. Il marito. Lucio. Nella sua testa si alzava piano, lasciava cadere il giornale, la patta già aperta, il cazzo fuori. Grosso. Duro. Venoso. Una mazza da lavoro. Le si piazzava dietro in silenzio. Due mani sulle anche. Una spinta. Lei piegata sul tavolo, la gonna sollevata, la figa gonfia, umida. Ma lui puntava più in alto.
Voleva il culo.
Le apriva le chiappe con le dita, la infilava senza chiedere. Tutto. Secco. Diretto. Lei urlava nella fantasia, la bocca ancora sporca di piscio.
«No! Aspetta… fa male!»
Ma lui la ignorava. Le affondava dentro comunque. Colpi secchi, continui. Il buco bruciava, si dilatava oltre ogni limite. Ogni spinta era uno strappo. Il cazzo entrava ed usciva come una mazza rovente.
«Taci, troia. Pensavi di farmi venire duro e restartene lì col culo intatto? Ora aprilo tutto.»
Ogni volta che la prendeva, sentiva la carne cedere. Aprirsi. Sfibrarsi. Qualcosa dentro si rompeva davvero. Il cazzo di lui diventava scivoloso, impastato di sangue e schifo. Rosso alla base, lucido in punta. L’odore ferroso si mescolava a tutto il resto: piscio, umori, saliva, pelle surriscaldata.
«Oddio… mi stai spaccando… sto sanguinando…» piagnucolava lei, ma la voce era rotta dal piacere, piena di ansia e voglia.
«Ah sì? E allora?» ringhiava lui, affondando ancora. «Guarda come gocciola la tua fica. Guarda come ti muovi, puttana. Lo vuoi. Vuoi farti sfondare il culo. Questo culo grasso, tondo, fatto per prenderlo tutto.»
Le mani affondavano nelle sue anche. Le lasciavano lividi, le dita stampate nella pelle bianca. Ogni colpo era più forte, più profondo, più cattivo. L’ano non opponeva più resistenza. Solo carne viva, dilatata, pulsante, spaccata. Lei tremava. Non sapeva se stava per venire o per svenire.
E accanto, la moglie rideva. Le dita tra le cosce, veloci, frenetiche. Le labbra socchiuse, le guance accese.
«Guarda com’è bella… col cazzo nel culo e le urla in gola… Spaccala, amore. Sfonda questa cagnetta come merita.»
Arianna chiuse gli occhi, solo per un secondo. Ma bastò. La fantasia la travolse. Le dita tremavano sul manico della tazza. E senza accorgersene, erano già scese lungo la gamba, sotto la tavola. Si stava toccando. Di nuovo. Un gesto lento, naturale, come se niente fosse. Una mano ferma. Il viso tranquillo. Le gambe appena aperte. Sembrava solo assorta, come una studentessa qualsiasi, in attesa di uscire per andare a lezione.
Ma sotto, premeva forte. Il perizoma già inzuppato. Le dita premute sul clitoride, con la pressione giusta per farle girare la testa.
Pensava a venire. Pensava a farsi sfondare il culo da quel cazzo. A leccare il piscio dalla ciotola mentre la moglie si toccava davanti a lei. Pensava a tremare, a urlare, a svuotarsi in mezzo alla cucina.
E tutto questo… con la faccia più pulita del mondo.
«Vuoi altro oltre al caffè?»
La voce della padrona la riportò di colpo indietro. Arianna la vide voltarsi, tranquilla, il barattolo dello zucchero in mano. Un gesto normale, in una mattina normale. Ma il suo corpo no. Il cuore le esplose nel petto. Il dito ancora premuto tra le gambe. La figa bagnata, inondata.
«Eh?… no no… va bene così… grazie.»
La voce le uscì bassa, roca, come se avesse appena gemito. Le guance le bruciavano. Ma non di vergogna. Era calore puro. Pressione. Voglia compressa che saliva dalla fica fino al cervello.
Avrebbe voluto dire altro. Dire la verità. Sputarla lì, davanti a quella cucina ordinata.
Sì. Voglio altro. Voglio inginocchiarmi e bere la tua piscia finché non mi cola giù per il collo. Voglio sentire le tue cosce tremare sulla mia faccia mentre tuo marito mi sventra il culo con quel cazzo grosso che mi spinge dentro fino a farmi sanguinare. Voglio piangere. Urlare. Per quanto fa male, per quanto godo. Voglio che mi distruggiate. Qui. Adesso. In questa cucina che sa di caffè e pane tostato.
Si morse l’interno della guancia. Le dita ancora lì, premute tra le labbra gonfie. Lente. Precise. Un attimo in più e avrebbe tremato tutta. Si fermò. Tolse la mano. L’odore rimase sulle dita. Lo riconobbe subito: figa bagnata, viva. Le portò alla bocca. Ne succhiò una, poi l’altra. Lenta. Morbida. Come se stesse solo assaggiando il caffè.
«Finito?» chiese la padrona, voltandosi dal lavandino.
«Sì, grazie.» Arianna rispose con un sorriso dolce, il tono perfetto. Quello da ragazza educata. Ma mentre parlava, incrociò lo sguardo di lui.
Lo stava pensando. Lo stava vedendo, dentro la testa. Le mani sulle sue tette. La faccia affondata nella carne. I denti. La lingua. Forse l’aveva spiata. Forse l’aveva sentita gemere sotto la doccia. O forse voleva solo tirarsi fuori il cazzo e sborrare sul suo viso da brava ragazza e su quelle tette da puttana.
Arianna lo guardò per un istante più lungo del dovuto. Uno sguardo lento, sporco. Un sorriso negli occhi. Un cenno leggero con la testa, appena visibile. Come a dire: Lo so. Lo vuoi. Lo voglio anch’io. Perché sono una troia.
Poi si alzò.
«Grazie per il caffè…» disse piano, senza staccare lo sguardo da lui.
La donna sorrise. «Buona giornata, Arianna!»
Lui restò zitto. Immobile. Ma non serviva parlare. Quegli occhi avevano detto tutto.
Uscì dal portone con un passo lento, composto. Ma dentro, era fuoco. L’aria fresca del mattino le toccò il viso, le gambe nude sotto la gonna, e sembrò quasi una carezza maliziosa. Il perizoma si era incollato tra le labbra come una benda bagnata. A ogni passo strusciava sul clitoride, tirava dietro, spingeva sul buco del culo. Una tortura silenziosa. Costante. Voluta.
FINE parte 2
Ciao a tutti! Vi è piaciuto? I miei racconti sono tutte esperienze di vita vissuta in prima persona e non, ovviamente romanzati. Se questo vi è piaciuto fatemelo sapere, così saprò se continuare. Se non vi è piaciuto, fatemelo sapere lo stesso! ;) Suggerimenti e idee mi piacciono sempre e scusate se su alcuni aspetti psicologici dei personaggi mi dilungo ma mi piace sia il corpo che la mente e odio i personaggi piatti. Un bacio! Cherise
Sono un po’ perplesso per come hai mandato avanti gli eventi e per il comportamento di Giulia. Avrei preferito un…
A questo punto sono curioso di capire se Giulia non ha il vizietto … vediamo quando uscirà il capitolo cosa…
Spero a breve il seguito della storia Veramente ben scritta ed eccitante . Sono curioso di sapere se Giulia si…
Il prossimo capitolo è quello dove Gabriele, messo alle strette dallo scadere del tempo e completamente traviato dai discorsi del…
Plot twist! Ah, devo dire che questo racconto si sta rivelando molto interessante per questa dinamica ossessiva che porta Gabriele…