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Racconti Erotici

Eneide Postmoderno-Dell’incontro di Janus con l’eremita

By 6 Aprile 2020No Comments

Janus abbandonò il villaggio a piedi, errando per la foresta. Sorprendentemente per lui, non incontrò animali sul suo cammino, come se essi, sapendolo straniero, di proposito lo evitassero.
Trascorso un buon tre ore di cammino e senza fare pause, giunse ad Amrita.
-Benvenuto, straniero. Come possiamo aiutarti?-, chiese un giovane che pareva uno dei Monaci della Montagna. Vestito nella tunica arancione mostrava un fisico nerboruto e uso alle fatiche delle coltivazioni e del lavoro. Janus gli sorrise.
-So che nei dintorni vi é un eremita. Desidero incontrarlo.-, disse.
-Ah… Stai parlando di Devi! Rinuncia, o straniero! Lei abbandonò le nostre vie tempo fa e decise di esiliarsi nella foresta. Rinuncia se hai a cuore la tua mente e il tuo benessere poiché alcuna certezza ti giungerà dal suo consiglio ma solo dubbi.-, lo ammonì il Monaco.
-Ciononostante ritengo che lei possa consigliarmi. Ti prego di aiutarmi a trovarla.-, insistette Janus. Il giovane sospirò.
-Perché ritieni di doverla vedere?-, chiese, -Quale consiglio può darti lei che noi Monaci non possiamo?-. L’uomo scelse di non spiegare tutto nel dettaglio, sapendo che non sarebbe riuscito.
-V’é invero una somiglianza tra lei e antichi saggi della mia città, io credo. O buon giovane, non potresti concedermi codesta grazia?-, chiese l’Esule.
-Comprendo. Non approvo ma capisco. E comprendo altresì che non vi sarà mortale o immortale a fermarti o a dissuaderti. E sia! Devi vive a nord-ovest da qui. Altre due ore di cammino e raggiungerai il suo rifugio. Sii rispettoso e cauto poiché sebbene cresciuta con le nostre regole ella é ora totalmente diversa da noi. Mi fu detto che fu vista mangiar carne…-, disse il Monaco. Parve rabbrividere. Janus annuì, la fronte corrugata ma lo sguardo fiero.
-Starò attento, o Monaco.-, si limitò a dire.

La foresta lo accolse con la consueta serenità. Janus aveva con sé un arma ma si sentì un idiota ad averla portata, poiché pareva evidente che l’aggressività della fauna fosse ben poca.
Eppure, in lontananza vide un felino di grosse dimensioni dai denti lunghi e possenti sventrare un’antilope, a dimostrazione del fatto che se gli uomini non erano preda certamente il ciclo della vita continuava, nonostante tutta la serenità dei Monaci.
Fu dopo breve tempo, che Janus s’accorse di essersi perso. La foresta appariva tutta uguale, fine a sé stessa, e nessun punto di riferimento v’era che potesse aiutarlo a ritrovare la strada.
Gli ricordò un poema letto tempo prima, da ragazzino, nella natia Licanes.
-Mi ritrovai in una selva oscura, che la diritta via era smarrita…-, mormorò. Eppure non cedette al timore, sapendo che l’eremita doveva essere nei paraggi.
-Viandante.-, disse una voce né di donna né d’uomo, -Cosa vai cercando per contrade come queste? Quale impulso ti porta qui?-.
-La ricerca di risposte, se tu sei Devi, l’eremita.-, rispose lui.
-Colei che cerchi non desidera vedere nessuno e niente. Essa é morta! Torna indietro!-, esclamò la tonante voce, che Janus sentì su di sé quella potenza vocale. Non tentennò.
-Debbo tuttavia parlare ai suoi discepoli, se ne ha avuti, o a chi l’ha conosciuta.-, disse.
-Torna indietro, o uomo di Licanes! Non vi é risposta qui!-, ruggì la voce.
Atterrito, Janus si strinse la curiosità, il sospetto, come un uomo stringe un amuleto in fronte ai demoni, nella speranza che lo salvi dalla dannazione.
-Come puoi sapermi abitante di Licanes?! Sei tu un veggente? Parlami!-, insistette.
-Non ho nulla da dire. Che sei di Licanes si vede dal tuo passo, dalla tua postura. Porti il peso del massacro.-, disse la voce, -Perché tu ne sei il fautore!-.
-È vero.-, riconobbe Janus, -Per questo chiedo consiglio a Devi! La dici morta! Puoi tu offrirmi le risposte?-, chiese. Non si curò di nascondere il dolore e il pentimento ma non cedette.
-Ancora avanzi pretese, uomo? Torna ordunque al villaggio di Jala da cui vieni! Non continuare a cercare queste risposte poiché non ve ne sono al di fuori di quelle che tu sceglierai!-, tuonò la voce.
-Non posso tornare! Su di me riposa la responsabilità della scelta! Ho bisogno di un consulto, fosse anche l’ultima cosa che faccio, io lo avrò!-, ringhiò l’Esule. Impugnò l’arma.
-Osi minacciarmi?-, chiese la voce, -Non sai che l’arma che brandisci é un giocatollo in confronto alla potenza che posso richiamare?-. Janus gettò a terra l’arma.
-Allora distruggimi, se lo ritieni giusto, ma prima rispondimi, poiché né luce né oscurità, né dannazione né salvezza muoveranno di un solo millimetro il mio essere da questo luogo!-, gridò.
Si fece silenzio. Un silenzio di piombo. L’Esule sentiva il cuore rimbalzare in petto, spietatamente feroce nel suo battere, nel palpitare annunziante la vita.
Si accorse di essere pronto a morire e di non provare paura. La bocca gli si aprì in un ghigno.
-Vieni.-, disse la voce. Lui mosse i passi esitando, cautamente, attraversando la folta vegetazione e trovandosi davanti una grotta. C’era un fuoco acceso sul quale cuoceva una mistura bluastra che identificò come la zuppa di loto che era il cibo standard dell’isola. E, accanto al fuoco, una giovane.
Nonostante la toga arancione, il primo dettaglio che colpì l’uomo furono i capelli, lunghi sino alle reni e organizzati in una lunga treccia. Il viso era bello, armonioso, con una carnagione scura come il cacao, forse appena più chiara. Gli occhi erano grigioazzurri, bellissimi e fondi, le labbra sottili e il petto della giovane era appena evidenziato da dei seni piccoli ma visibili.
-Hai avuto coraggio, Janus.-, disse alzando lo sguardo dalla pentola.
-Come sai il mio nome? Eri tu a parlare, prima?-, chiese lui, confuso.
-Oh sì. E per quanto riguarda la tua prima domanda, o esule, sappi che so molte cose. Il nostro incontro era scritto. Com’é scritto ciò che accadrà.-, disse lei.
-Ossia?-, chiese lui. La giovane sorrise.
-Verrò con te. Lascerò quest’isola per nuovi lidi.-, rispose con tono calmo.
-Perché?-, chiese l’uomo, incuriosito.
-Perché così é scritto. Qui vivo da eremita ma invero l’esilio é una ricompensa, sebbene dolceamara. Mi concede di praticare a mio modo, in libertà.-, disse lei, -Devi capire: compresi la debolezza dell’insegnamento dei monaci, la falsità insita in esso. E mi ribellai.-.
-Quale falsità?-, chiese Janus.
-Essi insegnano che bisogna compiere rinunce, abbandonare l’ego. Ma queste rinunce di cui parlano altro non sono che altre vie per l’ego di dominare la nostra esistenza. Quando venni a sapere questo e contestai Panchen Lame al riguardo, egli mi bandì. Me ne andai senza protestare, a praticare quaggiù e qui sognai di te, della tua gente sulla nostra isola. Siete giunti, come sognavo. Ora, come i miei sogni mi hanno detto, vi seguirò.-, disse lei.
-I tuoi sogni mostrano anche come continuerà il viaggio?-, chiese Janus. La giovane scosse il capo.
-No. Ma una cosa posso dirti, o navigante. Non attaccarti all’esito, continua sulla tua strada come hai fatto trovandomi.-, lo esortò. Lui non comprese fino in fondo quelle parole.
-Era una prova-, realizzò tuttavia. Lei annuì.
-I sogni mi hanno detto molto di te e della tua gente, e molto ricordo dai miei anni nel Tempio.-, disse, -Ma ciò non é importante.-, concluse servendo la zuppa di loto in due scodelle di legno.
Janus ne prese una. Era calda e attese prima di mangiare.
-E cos’é importante, o saggia Devi?-, chiese. Lei rise, un riso gaio e solare.
-Prima, non chiamarmi Devi. Questo é il nome che mi fu dato al Tempio. Il mio nome é Draupadi. Preferirei usassi quello. Secondo, é importante che tu comprenda che ciò che hai fatto non é stato né bene né male, solo destino. Il fato ha voluto che Licanes cadesse ed il fato ha decretato che tu giungessi qui. Riposa sereno sapendoti in mano a un destino immutabile, o viandante!-, rispose.
Janus rifletté sulle parole da lei dette, poi annuì.
-Ti ringrazio.-, disse. Lei sorrise. Mangiarono senza parlare e poi, Draupadi si alzò.
Spense il fuoco spargendovi terra sopra e prese le ciotole.
-Dunque, dobbiamo andare Janus. Il tuo amico Asteius sta male.-, disse.

La predizione di Draupadi si rivelò veritiera: Asteius pareva morente, giacente su di un letto.
Era pallido, respirava a fatica e tossiva appena. Pareva allo stremo.
-Ha avuto un malore.-, disse Aniseus a Janus appena questi arrivò, -È in questo stato da ore.-.
-Janus…-, sussurrò la flebile voce del vecchio. Lui si fece più vicino.
-Continua il viaggio. Continua! Anche quando tutto apparirà perduto…-, sussurrò.
-Lo farò!-, promise lui. Asteius sorrise.
-Io raggiungo la casa dei miei padri, tra i cieli. Veglierò sul vostro cammino.-, sussurrò.
-Nobile sommo…-, sussurrò l’Esule, affranto da quella perdita di un uomo che fu come un padre.
-Sappi che non vi é condanna, o Esule.-, bisbigliò Asteius. Poi reclinò il capo e spirò.
Fu bruciato sulla spiaggia, secondo l’usanza di Licanes. Draupadi osservò la cerimonia.
-Nella morte vi é la vita. Perché rattristarsi o temere, sapendo che ciò che siamo é come un legno bruciato a cenere?-, chiese. I Monaci la guardarono male, evidentemente turbati da quell’eretica veduta o forse dalla giovane stessa. Lei sorrise loro e s’imbarcò insieme agli Esuli, portando con sé una falce con una catena cui era legato un’oggetto pesante in bronzo.
Come augurio di un buon viaggio, gli abitanti dell’isola avevano riempito le stive di foglie di loto, frutti e verdure di altro tipo. Il viaggio poté riprendere il mattino seguente.

I Lotofagi e la loro isola prosperarono, ignorati dal mondo. Si dice siano in pace ancora oggi.

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