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Erotici Racconti

Amica mia

By 25 Gennaio 2021Gennaio 30th, 2023No Comments

Erano quasi le ore venti e come ogni volta ero inevitabilmente in ritardo, suonai il campanello e attesi la voce al citofono, spinsi il portone e salii su per le scale, dal momento che la porta era accostata e con un leggero tocco s’aprì. L’appartamento era alquanto tiepido, giacché i vestiti s’appiccavano alla pelle, nella penombra lui si muoveva sicuro mentre stava preparando dei piccoli bocconcini da gustare, in quell’occasione io non potei fare a meno d’osservarlo diligentemente. Il suo corpo era snello e ben modellato, poiché mi procurava dei brividi inattesi lungo il corpo, i suoi capelli scuri come l’ebano ne contornavano in conclusione adeguatamente la presenza e debitamente il viso. Lui alzò lo sguardo e sorrise vedendomi in quell’istante lievemente pensierosa, tolse la bottiglia di vino bianco dal ghiaccio, ne versò due abbondanti bicchieri, venne lentamente verso di me e porgendomene uno mi disse:

“Ecco l’aperitivo, tieni, gustatelo amica mia”.

Io sorrisi, in fondo ero la sua amica, un’amica diversa, all’opposto l’autentica pretendente, la genuina spasimante che tutti gli uomini volevano, lui però come aveva fatto a tenermi tutta per sé? Era una giornata piovosa e come sempre io non avevo l’ombrello, perché pur ritenendoli utili detesto gli ombrelli, li trovo ingombranti e poi t’allontanano dalla bellissima sensazione che la pioggia ti regala cadendo sul corpo, eppure devo ammettere e riconoscere che servono parecchio, eccome. Ancora una volta il negozio era chiuso, io imprecai verso me stessa, poiché era la terza volta che ci passavo ed era sempre chiuso, sennonché un gesto di malumore e stizza m’invase mettendo alla prova i miei già fragili nervi, in tal modo per effondere il mio disappunto diedi un calcio a un sasso, che con lunghi rimbalzi finì dentro una pozzanghera.

“Adesso che cosa faccio? Che cosa regalerò a Lidia? Io indosso solamente capi firmati” – commentava con la voce acida e pungente, eppure delle volte l’avrei strangolata volentieri. Sarei tornata un’altra volta, oppure avrei riciclato qualche sciocchezza.

In quel preciso istante mi sentii osservata, mi voltai ancora una volta verso quella vetrina allestita con meticolosa fantasia, mentre due occhi scuri mi squadrarono dall’interno e un bianco sorriso mi fece quasi sussultare. L’uomo aprì la porta e affabilmente mi chiese:

“Ha bisogno di qualche cosa? Sarò ben lieto e contento d’aiutarla”.

“Certo che ho bisogno di qualche cosa. Lei pensa altrimenti che io passi qui soltanto per fare un giro. E’ la terza volta che passo ed è sempre chiuso. Accidenti”.

Lui mi guardò quasi meravigliato, poi con un gesto sottinteso e palesemente implicito m’indicò un cartello appeso esposto bene in vista: “CHIUSO PER FERIE”.

Le mie mani affondarono nelle tasche, con un cenno di netta disapprovazione e con un manifesto segno di totale dissenso m’avviai verso il parcheggio.

“Signora, mi scusi. La prego, mi ascolti, non se la prenda. Nel caso avesse bisogno urgente posso fare uno strappo” – quasi strepitando per farsi sentire.

Io mi fermai e lo guardai, lui era apparso molto disponibile e garbato, ripensandoci bene che cos’avrei regalato a Lidia? Tornai verso di lui e scusandomi timidamente per il mio inatteso sfogo entrai nel negozio. L’odore forte di legno appena posato, mi faceva richiamare alla memoria immensi boschi norvegesi e il profumo agli agrumi del suo dopobarba mi ricordavano le giornate primaverili, la camicia che volevo acquistare repentinamente mi colpì, in quanto aderiva perfettamente al manichino esposto in vetrina, perciò io gliela indicai dicendogli:

“Voglio quella” – lui mi guardò e sorridendo brillantemente in maniera acuta enunciò:

“Vedo che lei è molto sicura, è un ottima scelta sa. Penso che non sia della sua misura, perché lei è molto prosperosa”.

Io lo guardai e scoppiai in una risata nervosa e alla mente mi ricomparve all’istante l’immagine di Lidia, magra e con dei seni piccoli e sodi, dato che assomigliava più a un’adolescente che a una trentenne, l’esatto opposto di me, esuberante, prosperosa e bene in carne, non grassa, eppure morbida e rotonda.

“Beh, ovviamente non è per me, perché io non sceglierei giammai un capo così colorato” – risposi io di getto.

Lui accigliò la fronte e mi guardò, visto che la sua espressione lasciava trasparire una certa critica, un inequivocabile giudizio, una valutazione tutta da discutere e d’approfondire.

“Lei invece avrebbe proprio bisogno di tanti colori, così come una cornice preziosa che senza un’adeguata tela, non esalta né potenzia la sua naturale e indiscussa bellezza”.

Mi sentii incantata e assai lusingata, ma anche addolorata e in un certo senso ferita. Come si permetteva costui di giudicare, soppesando e in ultimo valutando il mio modo di vestire? La mia espressione quasi stordita lo spronò a continuare, perché cominciò a elogiare i colori e i gusti dei vini pregiati, le opere d’arte e le sculture, finendo con un vero e proprio congresso sull’importanza e sul valore dei colori nella vita di tutti i giorni. Bruscamente i miei nervi urtati all’inizio dalla sua insistenza, sembravano in seguito benevolmente attratti e rapiti da quella voce sensuale e profonda, in tal modo mi ritrovai chiusa in uno stanzino provando vestiti d’innumerevoli colori e di svariate taglie, mentre lui giudice amichevole e clemente si complimentava con me per il mio straordinario modo di portare quei capi.

I minuti passavano e mi ritrovavo in modo insperato allegra, distesa e gioiosa, in quell’improvviso, insolito e alquanto folle gioco. Per l’occasione, difatti, io scelsi senza esitazioni un vestito lungo con dei colori pastello, visto che il tessuto leggero cadeva sul mio corpo come una carezza, donando in definitiva al mio viso una luce indiscutibilmente radiosa e lucente. Pagai la merce e m’avviai alla porta, la mia mano si posò sulla maniglia, però fu raggiunta sollecitamente dalla sua, un gesto del tutto normale poiché la porta era chiusa e lui la doveva aprire, eppure la mia pelle fu scossa da mille brividi. Io lo salutai e uscii, l’aria rinfrescata dalla pioggia di poco prima odorava d’erba e di sole, perché sarebbe stata una stupenda passeggiata. L’umidità rafforzata dalla pioggia, rendeva ogni cosa più pesante e anche le mie gambe cominciarono a chiedere il meritato riposo, mi ritrovai seduta su d’una piccola panca di legno scuro nella semioscurità d’una piccola ma accogliente osteria, dal momento che la bibita fresca mi rigenerava rapidamente a ogni sorso, però a un tratto una voce mi riscosse e fu di nuovo caldo:

“E’ veramente piccolo il mondo, eh sì, piccolo ma indubbiamente affollato e ben frequentato. Che cosa vedono i miei occhi, sa che non si possono bere certe porcherie. Assaggi questo, lo provi e non menta”.

Il piccolo calice conteneva un vino bianco leggero e profumato, per la precisione era una bottiglia di Voria bianco frizzante della Sicilia. La mia lingua gustava l’aroma fruttato e gentile, intanto che il mio palato assaporava gusti mai scoperti, donando alla mia bocca piaceri intensi e piacevoli mai sperimentati prima d’allora. Istanti brevi in verità, che a me parvero lunghissimi, mi lasciarono quasi sfinita in attesa d’un altro piacere così eccelso, nobile e sublime. I suoi occhi ridevano, manifestavano e riflettevano tutta la sicurezza d’una nuova vittoria, perché mi ritrovai a ridere ancora guardando le sue labbra che si muovevano, intanto che mi spiegavano come riconoscere la provenienza del vino e di quale grande impegno serviva per imparare ciò. Le sue mani sfioravano le mie e i suoi occhi percorrevano i tratti del mio viso, era inutile negarlo: lui m’attraeva e con i suoi modi così dolci ma sicuri riusciva a farmi volare dappertutto. La cena che lui m’offrì fu una logica serie d’inquadrature e una sensata sequenza, di quella giornata così moderna, nuova e originale per me. La sera ci regalava colori e odori dolci di primavera, mentre i nostri corpi ci supplicavano di non fermaci a un semplice e comprensibile saluto.

Ancora una volta i suoi occhi mi chiesero di rimanere con lui, di seguirlo, di regalargli ancora del tempo, il ticchettio delle mie scarpe si perdeva sotto il porticato di quell’antica piazza e il mio cuore balzava battendo forte nel mio petto. Quell’attico arredato con gusto raffinato e decorato con vari oggetti orientali era davvero un luogo magico, i nostri occhi per l’occasione s’allacciarono, non seguirono parole ma gesti appassionati e modulati che animarono ancora di più l’eccitazione dei nostri corpi. Le sue mani scorrevano lungo i miei fianchi e la sua passione premeva contro la mia intimità senz’angoscia né paura né vergogna, ma solamente animata e vivacizzata dalla pura passione, dove io guidai quel membro eretto e proteso verso la mia folta e sugosa intimità. Io fui riempita da quel sesso pulsante che mi donava ondate di piacere a ogni singolo movimento, mentre la sua pelle sotto le mie labbra emanava profumo d’uomo.

La mia eccitazione sembrava senza limite e come un’assetata io chiedevo ancora piacere. La sua lingua percorse il solco dei miei seni, le sue mani stuzzicavano i miei capezzoli, mentre le mie unghie graffiavano la sua schiena, la lingua continuò la sua discesa fermandosi tra la mia foltissima peluria e cercando il clitoride. Lui come un esperto e ferrato amante si prese cura di me, io gli succhiai quel pene, lui digradò ancora verso la mi foltissima e nera fessura e portando al palato con le sue dita i miei umori me li fece assorbire, facendomi gustare, in quanto si trattava dei miei stessi fluidi, peraltro aspri ma al tempo stesso gradevoli. La mia mano cercò il suo membro e lentamente lo portai alle labbra, la lingua lo leccava priva d’ogni pudore e d’ogni ritegno gustandone il sapore, il piacere che saliva faceva pulsare quel sesso sino quasi a farlo scoppiare, mentre lunghi e densi fiotti inondarono inaspettatamente la mia bocca.

Io assaporai il gusto amabile e speziato del suo seme, mentre la mia eccitazione scendeva verso il mio ventre, regalando alla sua bocca anche il mio orgasmo. Rimanemmo in quella postura, sazi e stanchi sorseggiando in conclusione un bicchiere di whisky. Non ci furono complimenti o parole per quello che c’era stato, perché i nostri sensi avevano parlato per noi.

“Voglio dividere ogni momento di piacere con te, noi saremo amici”.

Uscii da quella casa, sapendo che ben presto ci sarei volutamente ritornata. Noi saremo amici, sì lo saremo stati, io non sapevo nulla di lui e lui non conosceva niente di me, solamente una fila illogica e insensata di numeri che formavano una destinazione telefonica, quello ci avrebbe legato, sì, soltanto quello.

I miei pensieri si diradarono al tocco della sua mano, perché ancora una volta i nostri corpi parlarono strepitando per noi, giacché non ci fu più tempo per il cibo né per il vino perché essi ci avrebbero atteso al nostro ritorno, per il fatto che entrambi attualmente debilitati ed esausti dal piacere, ci raccontiamo ogni piccola cosa.

Nessuna cosa è nascosta tra di noi, attualmente dobbiamo assentarci e partire per il lungo viaggio: sì, il viaggio verso l’estasi e il totale incanto.

{Idraulico anno 1999} 

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