Skip to main content
Erotici Racconti

Chimera annunciatrice

By 22 Ottobre 2019Febbraio 13th, 2023No Comments

Come di frequente il convoglio era in ritardo, io guardai lestamente l’orologio accorgendomi che erano le nove meno venti, dovevo in effetti affrettarmi perché alle ore nove avevo un appuntamento, tenuto conto che per mia precisa indole personale disdegno fare tardi, in quanto è per me un aspetto poco serio e professionale. Tanta gente si trovava in quella circostanza all’interno della stazione ad aspettare: turisti, impiegati, braccianti, commessi, mamme con bambini e studenti, sennonché disponendomi con la gamba accavallata e il mento sulla mano, scrutai distrattamente e senz’interesse i vari soggetti che attorno mi circondavano. Nessuno in verità attraeva la mia attenzione, poiché erano tutte persone abitudinarie che come me prendevano il mio stesso treno a quell’ora del giorno, giacché dopo un po’ di tempo s’impara a riconoscerle. Ciò nondimeno c’erano degl’individui recenti e tra questi un adulto dalla faccia assai attraente, che sfogliava il quotidiano e indossava impeccabilmente un classico vestito grigio, io non ero lontana da lui, in tal modo riuscivo a percepirne agevolmente il suo profumo, peraltro aromatico, corposo e inebriante. 

Lui non aveva anelli al dito e questo mi fece inavvertitamente e inconsciamente sorridere, come di consueto la mia mente cominciò a volare fantasticando su quell’uomo e rapita dalle mie stesse fantasie, non m’accorsi di fissarlo pur non vedendolo e lui che presumibilmente avvertiva su di sé l’occhiata di qualcheduno, perché girandosi casualmente incrociò affabilmente i miei occhi. In quel frangente arrossii non solamente per essere stata sorpresa nell’esaminarlo, ma anche per il fascino della sua faccia e per l’inedita profondità del suo originale sguardo, in quanto aveva grandi occhi blu, le ciglia folte e un bel naso leggermente aquilino, in definitiva possedeva un fascino molto cingente e intrigante. 

Dopo qualche secondo ritornai a rivolgere lo sguardo nella sua direzione e lui si era nuovamente tuffato nel suo giornale. Era in particolare un bell’individuo, mai visto da queste parti, sfortunatamente però le mie fantasie furono interrotte dal fischio del treno in arrivo, a tal punto presi la mia valigetta e m’alzai. Involontariamente lo cercai con lo sguardo incontrando ancora i suoi occhi, però questa volta non mi feci intimorire, in tal modo rimanemmo così fissandoci per qualche secondo sorridendoci timidamente a vicenda. Il suo sguardo era enormemente accattivante, assai incantatore e molto magnetico, io abbassai la testa quando m’accorsi che mi stavo nuovamente imbarazzando fissandomi in tale maniera. Salii sul treno e cercai un angolo riparato, per non rischiare d’essere completamente travolta dall’orda degli studenti che si dimenavano in modo rumoroso affollando speditamente le carrozze. Le porte si chiusero, avvertii ancora quel profumo, dato che lo avrei riconosciuto in ogni parte. Lo scoprire che anche lui era in quella carrozza mi turbò, dal momento che il cuore mi balzò nel petto cominciando a battere velocemente. Che cosa mi stava succedendo? In fondo c’eravamo solo guardati. Lui era là a breve distanza da me, perché avevo la capacità di percepire la fragranza della sua epidermide. Lui mi stava squadrando, mi sovrastava di due buone spanne e aveva delle spalle larghe e forti, pensai come sarebbe stato nudo. Provai un’inedita soggezione e ugualmente sconcezza e vergogna per quei pensieri, come se questi ultimi si potessero fiutare, sentire o vedere. Il mio imbarazzo era chiaro, com’era evidente il fatto che lui stesse cercando una scappatoia per volermi abbordare, poiché l’occasione gli fu ben presto offerta dalla solita fermata brusca che lui non fece nulla per evitare, anzi, sembrò cadermi addosso con tutto il suo peso: 

“Mi scusi signorina, sono desolato, ero totalmente distratto. Le ho fatto per caso del male?”. 

“Beh, penso di poter camminare fino all’ospedale più vicino. No, scherzo, non m’ha fatto nulla, non s’allarmi né si preoccupi” – dissi io frattanto sorridendo bonariamente. 

Ti prego, non rovinare tutto, ti supplico, sta’ buono e tranquillo, lo implorai con il pensiero, mentre voltavo la testa per guardare distrattamente fuori dal finestrino, perché non volevo che lui con la solita arroganza tipica dell’uomo si buttasse a caccia. Lui sembrò captare sottilmente il mio pensiero, dato che si rimise a leggere dopo avermi sorriso. Quello che ricorderò per sempre è il colore dei suoi occhi d’un blu così intenso in cui è facile perdersi, d’un blu talmente sgargiante in cui viene voglia di tuffarsi, poi quella voce suadente, armoniosa e sempre fiduciosa e tranquilla. Tutto di lui faceva supporre che fosse il classico placido e quieto ragazzo, tuttavia non mi lasciai ingannare. Quando lo guardavo il suo sorriso mi lanciava messaggi tutt’altro che rassicuranti, mentre i suoi occhi brillavano d’una luce astuta, avveduta e malpensante. I nostri incontri continuarono per qualche giorno, sempre sullo stesso tono, giacché la mattina m’alzavo sperando che fosse il giorno giusto, però non accadde nulla. 

La mia voglia di conoscerlo nel modo più vantaggioso era prepotente, molto imperiosa, perché in cuor mio speravo che non ci saremmo limitati unicamente a quegl’incontri fuggevoli sul treno, ciononostante dovevo aspettare e sperare. Sapevo perfettamente che tutto faceva parte del suo gioco, dovevo temporeggiare in modo paziente che lui facesse la prima mossa. Devo affermare e precisare che inconsciamente, forse non troppo, mi creavo tutta una serie di ritrovi e di stratagemmi del mattino in modo da poter utilizzare il treno con lui, però i giorni passavano e noi non facevamo progressi, per il fatto che rimanevano soltanto degli sguardi e dei sorrisi. Un giovedì un collega mi chiese d’occupare il suo posto a un incontro con un cliente riferendomi affettuosamente: 

“E’ un amico sai, perché è interessato a investire un piccolo capitale. Tiprego Stefania, domani proprio non posso liberarmi, mi faresti un enorme piacere se ci andassi”. 

“Non c’è nessun problema, dammi l’orario, l’indirizzo e il nome, stanne certo che sarò puntuale” – risposi io, in maniera alquanto ardita e risoluta. 

L’indomani come prestabilito mi presentai all’ufficio di quest’individuo di primo acchito pareva uno studio professionale molto elegante, una cortese segretaria mi fece accomodare nella sala d’aspetto, francamente piccola ma debbo affermare accogliente, infine qualche minuto dopo incontrai il dottore. Io non volevo credere ai miei occhi, forse in quel frangente avrò di certo addirittura assunto un’espressione insulsa, perché non riuscivo a manifestare una parola. Il colore del mio viso cambiò almeno un paio di volte dal bianco pallore al rosso imbarazzato, dato che si trattava del ragazzo del treno, lui s’avvicinò sorpreso quanto me e dopo qualche secondo d’interminabile remora ci presentammo sorridendo reciprocamente: 

“E’ un vero piacere, un’inaspettata e fortuita coincidenza, non trova?” – dissi acutamente io. 

“Devo dire che sono rimasto gradevolmente confuso e piacevolmente scompaginato quando l’ho vista, onestamente pensavo che stessi sognando” – replicò sagacemente lui. 

“Lei è oltremodo civile e simpaticamente garbato, in fondo il mondo non è poi così grande come appare”. 

“Se posso parlarle sinceramente, io non riuscivo a trovare il modo appropriato né confacente per conoscerla in treno, perché non volevo sembrarle insignificante né insulso e tanto meno passare per il tipico adescatore quotidiano”. 

Questo concetto lo enunciò guardando avanti a sé e quando m’adocchiò ecco ricomparire prontamente la luce astuta, perspicace e sottile, perché fu lì che mi balenò il primo sospetto: perché non lo vedevo mai scendere? Perché spariva all’avvicinarsi del capolinea? Che m’abbia seguito più d’una volta? Parlammo di tutto tranne che d’affari e d’investimenti, le sue domande precise m’imbarazzavano un po’, eppure io ero completamente prigioniera e finanche succube del fascino magnetico che il colore dei suoi occhi esercitava su di me, in quanto non esitavo a rispondergli. E’ inutile dire, che quella sera andai a cena con lui, per il fatto che fu una serata speciale come solo nella mia fantasia avevo ideato e immaginato. Mi portò a cena nel suo appartamento che aveva all’interno del bellissimo quartiere. Lì ci aspettava il cameriere d’una nota agenzia con il quale aveva concordato il menù. Come aveva fatto con così poco preavviso? 

Io ero piuttosto guardinga, abbastanza vigile, tutto era troppo bello, dissolutamente e sfrenatamente perfetto, giacché lui sembrava uscito da una favola, sicché io mi domandavo dove volesse arrivare. Continuavo a essere prevenuta, ma anche tesa, Paolo mi raccontò del suo viaggio in America, dal momento che fu sciupone di particolari sulle cose che aveva fatto e visto. Ci trovammo concordi e unanimi su molte cose e lentamente la tensione svanì, non mi sentivo più come una liceale al suo primo appuntamento, bensì cominciavo ad accorgermi che esercitavo un certo fascino su di lui. Le candele sul tavolo ben apparecchiato erano arrivate a metà della loro durata, quando Paolo allontanò il cameriere e venne dietro di me, mi poggiò delicatamente le mani, quelle splendide mani che avevo notato in treno sulle spalle nude, in quell’occasione m’irrigidii: 

“Che cosa fai?” – gli chiesi io, malgrado ciò non ottenni risposta. 

Lui cominciò a baciarmi sulla nuca, sul collo e dietro l’orecchio, dato che al contatto con la sua bocca la mia pelle vibrò, il mio corpo traballò essendo profondamente scosso da un brivido di piacere e cominciai a eccitarmi. Chiusi gli occhi e il respiro iniziò a diventare affannoso e rauco, le sue mani sondavano i miei seni dentro il vestito, le sue dita cercavano il mio capezzolo reso gonfio dal piacere. Io m’alzai dalla sedia e mi strinsi a lui, dato che le sue mani mi carezzavano inizialmente la schiena, il sedere e in conclusione il pube. La sua bocca lasciò il mio collo e cercò la mia che trovò aperta e disponibile, la sua lingua morbida giocò con le mie labbra poi si tuffò all’interno esplorando la cavità. Gli tolsi la giacca lentamente, perché mi piaceva il ritmo che avevamo preso così lento e regolare, carezzai quel corpo che si stava rivelando perfetto e una mia mano andò a dargli piacere. Quando lo toccai lui gemette, in quanto il suo cazzo era duro, aveva voglia di me quanto io di lui. Io gli sbottonai i pantaloni, prima la cintura, poi la chiusura lampo senza staccarmi dalla sua bocca, alla fine lo liberai delle mutandine ed ebbi voglia di sentire il sapore del suo cazzo. Ero eccitata all’inverosimile, infervorata in maniera inconsueta, giacché provavo un insolito dolore nel basso ventre proveniente dal pube, il desiderio stava diventando incontenibile e trascinante. 

Io mi piegai in maniera assennata, considerato che aveva un buon sapore e mi piaceva vedere quanto Paolo stesse godendo, perché volevo farlo gioire, volevo farlo godere dentro di me, lo volevo svisceratamente. Solo i nostri respiri rompevano il silenzio di quell’appartamento, sicché il vestito mi cadde ai piedi, mi sollevai per sbottonargli la camicia, frattanto lui intanto mi slacciava il reggiseno togliendomi nel contempo le mutandine. Ci sdraiammo per terra cominciando a leccarmi i capezzoli mordendoli e succhiandoli, il desiderio e il piacere mi fecero strepitare. La sua mano s’insinuò fra le mie gambe mentre mi baciava dovunque, un suo dito mi penetrò e il godimento che ne provai mi fece arcuare la schiena perché ero pronta: 

“Vieni, voglio sentirti dentro di me” – dissi con una voce che non rassomigliava alla mia. 

Paolo si sdraiò accanto a me facendomi salire sopra di lui, adesso ero io che dirigevo e volevo farlo aspettare, come lui aveva fatto tentennare me. Continuava a leccare e a succhiare i miei seni spingendo il mio corpo verso il suo cazzo, io lo accontentai e finalmente lo sentii dentro di me, dato che restammo per qualche secondo immobili travolti dall’intensità delle sensazioni, perché sentirlo parte di me mi donava un piacere immenso. Paolo continuava a ripetere che voleva farmi godere, che voleva farmi male, fino a quando il nostro ritmo divenne più solerte e le nostre posizioni cambiarono. Quando gli dissi che non potevo più aspettare e che volevo venire, il suo movimento divenne più frenetico. Fu un orgasmo convulso, irrefrenabile, pastoso e travolgente, poiché tutte le cellule del mio corpo tremarono e mentre godevo d’un piacere immenso sentii il liquido denso della sua consistente e lattiginosa sborrata riempire tutta la mia foltissima e pelosissima fica osservando frattanto il corpo di Paolo tendersi, finanche lui colpito da un poderoso orgasmo liberatorio per quel piacere istintivamente raggiunto. Era questa l’immagine che avevo di Paolo, tuttavia quando riaprii gli occhi io ero totalmente al buio distesa sul letto della mia camera.

L’orologio segnava le sette e trenta e fra due ore avrei dovuto incontrare il cliente del mio collega, tale dottor Paolo. Ancora visibilmente impressionata, ovviamente amareggiata e perfino turbata dal sogno, mi vestii e scesi alla fermata del treno. Il ragazzo non c’era e questo fu un bene, perché dopo quello che avevo sognato e di cui avevo ancora la mente piena, m’avrebbe messo enormemente a disagio incontrare il suo sguardo, sennonché mi diressi puntuale all’appuntamento con il cuore in gola ripetendo verso me stessa se tutto ciò non fosse stato un sogno premonitore. Io non stavo nella pelle dalla curiosità, giacché lo studio professionale dove questo cliente lavorava era ben ornato, elegante e sobrio con la sala d’attesa molto luminosa: 

“Le vado a chiamare subito il dottor Paolo” – m’annunciò gentilmente la segretaria. 

Io contemplavo frattanto il panorama che si potava ammirare dalla finestra, sentii dei passi dietro di me e una voce d’uomo che mi salutava, poiché ebbi rapidamente un insperato tuffo al cuore e chiusi gli occhi. Non potevo credere alle mie orecchie e quando mi girai lui era lì in piedi in mezzo alla stanza con un’espressione completamente sbigottita sul viso: 

“Che inattesa e piacevole sorpresa” – proclamò lui, superati i primi istanti di confusione. 

Sperimentare, sostenere e vivere una situazione così acutamente e intensamente energica non mi era per nulla capitato al mondo, per il fatto che le sensazioni erano gradevoli, immense e soavi. Il mio cuore batteva a velocità elevata, in quanto ero disorientata e pietrificata, dal momento che se non fosse stato per i suoi occhi di quel colore blu intenso, dello stesso colore cristallino degli zaffiri e per la sua mano cordiale e ferma che esercitava una pressione nella mia, non mi sarei scossa né scrollata da quell’estasi e da quell’incantevole visibilio in cui ero caduta. 

Io entrai in maniera determinata nella sua camera profondamente eccitata e assai turbata, quasi con la stessa inclinazione e l’identico spirito d’un condannato, dal momento che entrambi sapevamo che cosa ci avrebbe riservato il prossimo futuro, eppure io in qualche modo potevo dissentire e chiaramente oppormi, dal momento che potevo perfino sottrarmi a ciò che il sogno m’aveva palesemente indicato e francamente prospettato. 

Il problema a ben vedere attualmente era dimessamente un altro: ambivo e volevo realmente che le cose andassero in modo diverso? 

{Idraulico anno 1999}    

 

 

 

 

 

Leave a Reply