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Racconti Erotici

Come l’acqua salmastra

By 4 Gennaio 2016Dicembre 16th, 2019No Comments

MARCO

L’acqua salmastra, pigramente, lambiva i mattoni verdognoli d’alghe delle rive del canale. Un dolce incessante sciacquìo, come una musica sottostante ad ogni altro suono.
Un’altra musica, molto meno dolce, si cominciò a frapporre tra l’ipnotico dondolio della superficie liquida e i pensieri del ragazzo che passeggiava mollemente sul selciato, fino ad identificarsi a fondo canale con una hit da discoteca sparata a tutto volume da un barchino di nulla storia o sostanza, un guscio di vetroresina buono solo a ferire l’acqua come un coltello, condotto da un gruppetto di diciottenni ululanti, diretti verso la terraferma o chissà dove. Passarono, ulularono, squassarono l’acqua, sparirono.
Il ragazzo lasciò che l’acqua tornasse alla sua calma pigrizia per ingannare ancora un po’ l’attesa, prima di guardare l’orologio. Si sincerò nuovamente di non aver sbagliato strada
“Fondamenta de Ca’ Vendramin”, recitava con sicurezza la vernice nera a fondo bianco proprio sopra di lui, e aveva controllato bene che non ci fosse qualche doppione, come capitava a volte in quella città.
Lei, ovviamente, fece diventare un anticipo la puntualità, la puntualità un ritardo, anche se lieve. Si aspettava, Marco, di vederla spuntare a piedi da qualche strada, si aggirava pensando da dove potesse arrivare, mentre approfittava dell’altezza del ponte per sbirciare un po’ in giro, immaginandosi il rumore di scarpe affrettate, la sua ombra che si allungava sotto uno dei lampioni mentre sbucava sulla pavimentazione… E invece niente.

Lui odiava i ritardi, lei ne era composta totalmente. Foss’anche per un solo minuto, lei doveva essere fuori orario. Questo l’aveva capito fin dal primo giorno al bar dove si era trovato un lavoro estivo nella pausa dell’Università.
Non c’era giorno che lei non entrasse fuori orario. Forse solo al cinema o a teatro si avvicinava all’idea di una puntualità, ma in quel caso era un anticipo. L’importante era mancare l’ora esatta di un ritrovo, di un ingresso, di qualsiasi cosa.
Aveva delle argomentazioni, certo, da quanto mal si adattasse la vita frenetica alla Serenissima, a quanto semplicemente lei fosse in perfetto grado di recuperare con il suo lavoro anche due ore di ritardo rispetto a lui. Lo derideva, si fingeva offeso, lei sorrideva, e non riuscivano più a fingere di non piacersi. Erano ancora in una fase di reciproco tira e molla, e lui sentiva ancora il sapore dei baci che si erano dati quel pomeriggio di lavoro in attesa della serata libera di tutti e due.

L’attesa, il timore che gli desse buca, lo rendevano irrequieto e -se ne stupì anche lui- lievemente eccitato. Il figurarsela arrivare, bella com’era, non risultava insensibile al suo sesso. Decise di chiamarla, quando il borbottìo sordo e calmo di un motore si intrufolò tra i muri del canale, prennunciando l’arrivo di una barca di modeste dimensioni che avanzava tranquilla scivolando sull’acqua, accostava, e il cui marinaio alzando la testa e un sorriso urlava “Oee! Basta andar su e zo come la péle del casso!”.
Marco sorrise, scendendo i gradini del ponte fino ad arrivare alla barca.
“Non sei un po’ piccola per guidare quella barca?” “Non sei un po’ grande per guidarla tu?” ribatt&egrave lei, con una linguaccia. Marco capì subito e salì a bordo, tentennante, perdendo quasi l’equibilibrio dopo un secondo che la piccola imbarcazione fu ripartita.
Lei rideva come non mai. “Sei un disastro in barca, per essere dei Caraibi!” Marco sorrise, ma puntualizzò che i suoi genitori erano dominicani, lui era nato e cresciuto in Italia.
“Sì, sì, lo so, bel morettino!” lo zittì lei, tirandoselo addosso per infilargli la lingua in bocca.
“Ma sei un disastro lo stesso… E ho anche preso la patanea, che ha il fondo piatto…” lo umiliò ulteriormente, e bonariamente, lei.

Il motore scoppiettava soddisfatto, mentre la strana coppia si dirigeva verso le Fondamenta della Sacca San Girolamo per fare un po’ il pieno.
“Ecco, fai tu!” sorrise lei porgendogli una banconota, facendolo sbuffare. “Ma non so neanche come si fa, la barca &egrave tua!” rispose, non esimendosi comunque dallo scendere traballando, mentre lei con un piccolo balzo raggiungeva la riva, la cima in mano pronta a fermare l’imbarcazione.
“No, no, io sono troppo piccola per guidare una barca!” rispose lei con aria scandalizzata, mettendosi le mani sui fianchi. Lei era una bellezza fatta, si può dire, di contrasti.
La pelle candida e i capelli scuri si sposavano alla perfezione con la maglietta a righe bianche e nere che indossava, e alla gonna corta di un colore scuro indefinibile. La sua età, e gli attributi ormai di una giovane donna. Una liceale che teneva testa a molti adulti, se non direttamente gliela faceva girare quando entrava nel bar al mattino, sempre perfettamente in tiro.
“Quindi sei tu che devi fare benzina alla tua barca!” scandirono due belle labbra polpose.
Quella ragazzina lo faceva ammattire, non sapeva mai se darle una sberla o un bacio, ma finiva sempre con il secondo dei due.

Marco si arrese, litigò con il distributore e fece attenzione a non farsi un bagno nelle pozze d’acqua marina che sempre costellavano l’area attorno agli ormeggi. L’odore del carburante si miscelava a quello della laguna in maniera quasi gradevole, strinse la mano sulla leva e lasciò che la pompa facesse il suo dovere, guardandola.
“Sei molto carina, Vittoria.” sorrise, apostrofandola. “Pffff!” sbottò lei, incrociando le braccia su due seni che già promettevano di divenire generosi a sviluppo completato. “Viktorie, Viktorie, va bene! Vedi come sono bravo?” rise lui, con un gesto della mano.
Sorrise anche lei, ironicamente. “Stai attento, con quel pistolone.” Marco arrossì, temendo che l’aria quasi fredda della notte, o la scollatura di Viktorie, avessero avuto qualche effetto sul suo amico nei pantaloni. Abbassò lo sguardo facendola scoppiare a ridere. “La benzina, deficiente! Stai dentro nel buco!” disse lei, quasi strozzandosi dalle risate.
Qualche minuto dopo ripartivano, carichi di benzina, verso la laguna.
Marco abbracciò Viktorie, senza osare darle troppo fastidio. La loro imbarcazione non era minuscola, dotata di luci funzionanti e tutto il corredo per essere visibile, ma non c’era gara fuori dalla città, di Sabato sera, dove ogni due secondi venivano sorpassati da qualche motoscafista con più potenza nel motore che nel cervello.
“do p’či!!” imprecò lei quando finirono quasi lavati dal moto ondoso provocato da un bolide con due motori spinti a tutta birra. Marco ancora non capiva come non si potessero prevenire tali imbecilli. Aveva capito persino lui dopo due giorni in città che le tratte più lunghe diventavano un circuito di gara. “Vlez mi na hrb!!” urlava Viktorie con un medio alzato inutilmente.
Marco la abbracciò e la tirò a s&egrave per un bacio. Viktorie era così… Piccola, flessibile, calda, lo faceva impazzire, non sapeva come avrebbe continuato la loro storia, ma non gli importava, non in quel buio.

VIKTORIE

Lei lo sapeva bene come sarebbe finita. Non la loro storia, ma di sicuro quella serata. Quanto dovevano ancora trattenersi inutilmente? Lui la faceva morire, la punzecchiava, la tentava, ma si tirava indietro per chissà che paura o timore. E lei, lei si sorprendeva ad avere i brividi sulla pelle e le farfalle nella pancia quando riuscivano a stare appartati abbastanza a lungo. Non era ancora diventata, come si può dire, una donna, ma quella sera, il suo corpo glielo diceva, sarebbe successo. Aveva ponderato tutto, compreso un invito quasi all’ultimo momento. Aveva trovato le chiavi della patanea di suo zio, che non era in città, aveva nascosto con cura coperte su coperte, e deciso dove e quando.
Le fremevano il cuore e le membra, mentre con dolcezza dirigeva il loro guscio di noce verso un’isoletta disabitata, parte del sistema di batterie, le isole fortificate difensive della città. Abbandonate, riprese dalla natura, abitate di nuovo, abbandonate al loro destino, meta di naturalisti, cannaioli e innamorati.
Marco le sembrava preoccupato. “Sai orientarti?” rispose solo con un sorriso, mentre una mano scivolava sulla coscia del suo ragazzone, per piantarci le belle dita affusolate. Si trattenne dal saggiare quanto stesse intuiendo il ragazzo perché, nella debolssima luce dell’interno barca, si evinceva il suo sesso.
La tratta, non brevissima in effetti, le sembrò infinita.
“Ci vuole una vita!” sbottò lei, sulle labbra calde di lui. “Ma siamo assieme” rispose rassicurante.
Certo, siamo assieme, e… “Voglio essere più assieme di così…” sussurrò lei, prima di baciarlo con tutta l’intenzione di svelare le sue carte. Lui recepì, non obbiettò, e si lasciò portare sulla costa dell’isolotto.
Attraccarono ad un vecchio palo, vicino ad un muretto diroccato, e lui controllò bene i nodi mentre lei scivolava a prendere coperte e cuscini.

“Malfidato!” lo rimproverò lei. “Dovrei legarti al palo e lasciarti qui, così vedremo chi sa fare bene i nodi!”. Lui non se la prese. “Che hai portato?”
Coperte. Un cuscino. Altre coperte. Slivovice. Il ragazzo accese la radio, a volume bassissimo. Il rumore delle onde e delle navi lontane non lo metteva a suo agio.
“Non sei tipa da champagne, immaginavo…” sorrise, prendendo la bottiglia “… Bicchieri, niente?”
Viktorie sorrise. “E poi come faccio ad ubriacarti?” lo provocò, mentre lui dava un piccolo goccio.
Non era proprio un amante di quella roba, ma in fin dei conti un poco di alcool poteva aiutarlo a sciogliersi un po’. Si sentiva nervoso, ma non voleva dirle il perché.
La moretta prese la bottiglia, lentamente, fissandolo nella semioscurità. Le mani accarezzavano in maniera lenta ed oscena il collo della bottiglia, accostandolo sempre più alla piccola bocca carnosa, fino ad appoggiarvelo, e a finire delicatamente carezzato dalla lingua di lei. Era oscena e provocante, nel suo fare quel ridicolo pompino alla bottiglia.
“Ah, si beve così?” commentò Marco, distendendo coperte su coperte sul fondo della barca, cercando di creare un giaciglio, guardandola senza pensare troppo a cosa stesse facendo. Gli tirava, tantissimo, nei jeans.
Viktorie scoppiò a ridere. “ahahah! No, si fa così…” e detto questo, infilò il collo della bottiglia in bocca solo per estrarlo, rimanerci attaccata, e tracannarne un sorso infinito in un solo colpo.
“Santo cielo, dai qui che vomiti!” intervenne lui, cercando di riprendersi la bottiglia.
“… Che poi non la dovresti neanche bere!” chiuse il discorso, e la bottiglia.
Lei lo guardava con un sorriso a metà tra il dolce e l’ironico, abbracciandolo.
“ci sono…” si lasciò cadere tirandoselo dietro, nel fondo della barca “… Così tante cose che NON dovrei fare…” finirono a rotolare assieme, baciandosi, sempre più avvinghiati.

Lo voleva, ecco, era un sentimento così crudo e semplice e puro, che non aveva altro in testa. Si lasciò stringere, toccare, palpare, sorridendo quando lui cercava di esplorare una zona un po’ più spinta.
Sospirò davvero, quando lui le prese i seni sotto le sue mani calde. Palpatine fuggevoli, quasi caste, non c’era stato tempo e modo per altro, ma in quel momento…
“Sei libero di gustarle per bene…” sorrise, stringendo con le sue mani candide le sue, sui suoi seni. E Marco gustò, infilando una mano sotto la maglietta fece sgusciare fuori come un ovetto sodo dal guscio il seno di Viktorie, presto riempito di mille baci.
Oh, era tutto così fantastico, come l’aveva immaginato nel suo letto, puntualmente finendo con il toccarsi, nell’ultimo mese e mezzo. Il mare che li cullava, l’isoletta che le era sempre piaciuto andare a cirumnavigare, il suo copro più adulto di quello dei suoi coetanei che le sembravano, sempre, dei ragazzini incapaci di crescere.
Quei pettorali loro non gli avevano, e quelle braccia… Viktorie infilò le mani sotto la sua maglia per saggiarne gli addominali finora solo sfiorati, spiati, intuiti. Sodi, allenati, Marco correva tutti i giorni e faceva nuoto, a qualcosa serviva… Era tutto così uguale alla sua immaginazione… Persino spogliarlo fu inedito, ma quasi familiare. Naturale, ecco.

Si trovò ancora vestita su di lui a petto nudo, sentiva sotto di s&egrave il suo sesso pulsare, e sorridendo più a sé che a lui pensò che aveva proprio voglia di vederlo bene da vicino.
“Vik, aspetta, aspetta un attimo…” cosa voleva lui, mentre delicatamente slacciava la cintura?
“Lasciami fare…” miagolò lei. “… Dai, un’occhiatina…” no, non voleva solo guardare, voleva toccare, stringere, baciare, magari anche succhiare, non &egrave che avesse programmato proprio tutto, ma era ben disposta alla sperimentazione.
La sua prima sperimentazione, nel vero senso della parola. Marco la lasciò arrivare a slacciare, a calare un poco i jeans, ma la fermò quando le sue dita un po’ fredde arrivarono a solcare la deliziosa e appetibile fossetta degli addominali, che puntava dritta all’inguine.
“Oh… Neser me!” sbottò Viktorie. Santo cielo, era la sua prima volta, perch&egrave continuava a interromperla. “… Che cazzo hai, i tentacoli? Ma lasciami fare!” sbuffò, rivolta a lui.
“No, &egrave che…” Marco non terminò la frase, le dita candide tirarono giù i boxer con decisione, era il momento di far prendere aria all’uccellino.

“To… Mě… Doj’m’.”
Furono le uniche parole che uscirono, dopo qualche secondo di totale, immenso silenzio, dalle labbra di Viktorie. L’ascendenza dominicana di Marco, il suo codice genetico, o la casualità, quello che fosse, aveva fornito l’imbarazzato ragazzo di un sesso di dimensioni impressionanti.
O almeno, fu questo il sentire della mora, ancora con le dita lievemente tremanti arpionate all’elastico dei boxer, mentre nella penombra osservava qualcosa che supponeva esistesse solo per ipotesi.
I ragazzi avevano dimensioni diverse, d’accordo, quindi dalle più piccole alle più grandi, ma…
Non immaginava quel ‘grande’, non immaginava ‘lì’, non così, a cinque centimetri dalla sua bocca e dalla sua testa, preparata a tutto meno che a quello.

“Oddio…” rantolò Marco, portandosi le mani al volto. Era di una tenerezza infinita, le mille occasioni per vantarsi del suo cazzo che potevano capitargli ogni giorno e l’unica cosa a cui pensava era di avvertirla, evitare un incontro simile. Una tenerezza che suscitò in Viktorie un aumento dell’interesse per tutta la situazione.
D’altronde era un cazzo, era quello del suo ragazzo, quello che si era portata lì perché potessero per la prima volta stare assieme, e lei voleva che quella notte lui la prendesse.
“Entrerà.” pensò, toccando l’asta che ebbe un tremore, prima di prenderlo in mano. Relativamente, perché di fatto le punte delle sue dita non si toccavano. Un diametro proporzionato alla lunghezza, un cilindro, un tronco, un sesso che si rivelò più morbido di quanto pensasse, evidentemente non ancora al pieno della felicità.
Entrambi smisero di parlare per quella che fu una reciproca scoperta. Le mani di Viktorie stuzzicavano teneramente il sesso di lui senza saper bene che fare, scorrendone i rilievi delle vene e della pelle con curiosità per una cosa nuova, ma soprattutto lei stava scoprendo che quello che faceva dava sì piacere a lui, ma eccitava anche lei.
Abbastanza da esercitare una fascinazione per quella situazione, la curioistà del provare gli effetti di diverse carezze sul ragazzo che amava.

Viktorie si spogliò e si lasciò spogliare, si trovarono nudi e abbracciati a baciarsi in maniera sempre più passionale, le mani esploravano finalmente ciò che per vari motivi era stato finora precluso… Il sesso di Marco premeva ustionante sull’inguine di Viktorie e la sensazione non era per niente spiacevole, anzi, molto intrigante.
C’era un fuoco dentro di lei, una voglia immane di fare l’amore per la prima volta, voleva essere sua.
“Hai delle labbra così morbide…” sussurrò lui, giocando con un dito a tracciare il contorno di quella bocca. “vuoi sentirle?” sussurrò lei, cercando di esprimere un concetto senza conoscere ancora abbastanza la lingua di lui.
Lui arrossì, il suo sesso pulsò, lei capì e si gettò famelica a baciarlo. Una sensazione decisamente strana, quella pelle calda e sottilmente morbida sulle labbra, sulla lingua, non sapeva cosa fare, e come spesso nella vita Viktorie fece un gran respiro e si lasciò andare. Lo coccolò come le veniva voglia di fare, lo mise tra i suoi seni acerbi per saggiarne il calore, provò a prenderlo in bocca, ma inesperienza e dimensioni non la fecero osare.

Tossì un paio di volte scoprendo che deglutire senza mordere quel sesso era più difficile di quanto pensasse, e l’odore acre di chissà cosa su quella pelle non era il massimo in bocca.
“Non… So come fare…” sorrise lei, imbarazzata. Voleva fare, voleva essere all’altezza di quelle esperienze che lui aveva sicuramente avuto, ma non sapeva farlo. Lo guardò negli occhi con tenerezza, sussurrando “… Aiutami tu…” Marco decise di fare il cavaliere, la portò a s&egrave per baciarla, e non smise di farlo per tutto il suo corpo, per minuti interi.
Viktorie non capiva, non voleva capire, entrò del tutto in quello stato di estasi dimentica di quel che li circondava. Riuscì a distinguere solo un “prima” e un “dopo” rispetto a quando Marco cominciò a giocare con il suo sesso.
Dove. Era. Stata. Tutto. Quel. Tempo.

Le notti da sola nel letto, l’età e le chiacchere tra amiche le avevano ispirato qualche divertente passatempo, aveva già scoperto il suo corpo in maniera frettolosa e impacciata, e comunque non così, non come lui, non come quella lingua che…

Che le faceva stringere nelle mani la coperta, ansimare a denti stretti con il barlume di coscienza tra il voler venire, e voler ritardare quel momento temendo che dopo la voglia passasse. Ma inaspettatamente, fu come colpita da un dolore alla nuca, un tremore, qualcosa di inedito che la fece annaspare convulsamente e poi esplodere in una vampata di piacere. Strinse ogni muscolo possibile, in diversi spasmi, per poi afflosciarsi con una lacrima che le solcava la guancia.
Altrettanto inaspettatamente, quando riaprì gli occhi per guardare Marco, sentendo il suo corpo distendersi su di lei, così forte, eccitante, si accorse che la sua voglia di essere presa era mille volte più forte di prima.
“Ohhhh… Fakt mě vzru’uje’!” sorrise lei.
“Come?”
“Mi fai eccitare tantissimo…”
“Anche tu…”

“Strč mi ho tam hned ted’!!” piagnucolò lei, quando il sesso di Marco le cominciò a sfiorare, lentamente, la vulva umida e assolutamente padrona del suo animo. “… Scusa?” chiese dolcemente lui. L’amava, ma quella lingua proprio non la capiva, anche se aveva la convinzione che lei avesse appena chiesto…
“… Fo… No… Insomma… Fammi tua… Scopami tanto?” chiese lei, tra un bacio e l’altro. Com’era stupidamente difficile spiegare a parole quello che i loro corpi avevano già deciso, e com’era anche peggio doverlo tradurre. Viktorie cominciò istintivamente a muovere il suo bacino sotto di lui, sentendo quella cosa enorme e pulsante strofinare sulla sua ‘piča’, e volendolo, in quel momento, in quell’istante, e questo si spiegava da solo meglio di mille parole e mille dizionari.
“Jemně, jsem jěstě…Panna.”
“Panna?”
“… Sono vergine, lo sai… Fai…” sospiro “Piano…” tradusse lei, in uno sforzo immane di razionalità tra le nebbie del desiderio che la attanagliavano, l’ultima sofferta precauzione prima di abbandonarsi a lui. Lo strinse a s&egrave, e lasciò che quel sesso, il primo della sua vita, entrasse dentro di lei, dilatandola, spingendola, sforzandola, un dolore nuovo e tollerabile e molto interessante.

Chi non &egrave una donna difficilmente potrà intuire le sensazioni che si provano ad accogliere in s&egrave qualcuno, men che meno per la prima volta. Viktorie si sentiva invasa da qualcosa di estraneo, che lentamente e delicatamente, a piccoli avanzamenti e piccole marce indietro, l’abituava alla sua massiccia presenza, qualcosa che pian piano fondeva in lei, in una comunione di sentimenti, respiri, odori, sapori. Lui e lei, così diversi, stavano mescolandosi per la prima volta, come le acque salmastre della laguna su cui galleggiavano non sono n&egrave acqua dolce n&egrave mare, e tutto filava mollemente liscio fino al dolore.
Dolore puro. Dolore del suo spingere un paio di volte senza poter procedere, senza poter irrompere, o meglio poterlo fare ma lei lo impediva.

“Esci! Escii!!” piagnucolò lei in uno spasmo cercando di sfilarsi da sola, dando manate sulle sue spalle e finendo a lacrimare a denti stretti aspettando che il bruciore passasse. Era un dolore che sapeva di rischiare di provare e che voleva provare per quel che significava. Ma non era pronta, e Marco si scusava a ripetizione.
“Smettila, smettila, smettila…” sospirò lei, colpevole di aver distrutto un’atmosfera, finché non le venne l’illuminazione. Distese Marco sotto di sé, e gentilmente cominciò a sfregare il suo sesso sulla punta grossa e pulsante del cazzo di lui. Lo teneva con una mano, passandolo gentilmente sulle labbra umide, sulla clitoride, procurandosi piacere.
“… Tu…” sussurrò lui, rapito.
“… Shh… Faccio io…” gli sorrise Viktorie, guardandolo. Si accomodò il glande tra le labbra, continuando dolcemente a muoversi sopra, appoggiandosi sempre più a lui. Con calma, si lasciò invadere di nuovo, millimetro su millimetro, accogliendolo, inglobandolo, dentro di s&egrave, come lo voleva, come desiderava sentirsi sua fino in fondo, ma continuò a danzare dolcemente per un tempo che pareva infinito.
“… Uuuf… Fatica…” sorrise lei, mentre qualche goccia di sudore le imperlava la fronte, accasciandosi lievemente su di lui.
“faccio io…” la derise il ragazzo, e senza alcuno sforzo si pose di nuovo su di lei, continuando quel gioco al ‘non affondo’ che in realtà era una tortura per tutti e due, ma questa volta Viktorie si sentì pervasa davvero dalla voglia, vedendolo sopra di s&egrave, stretta forte, desiderata, lo baciava con una foga sempre maggiore e i suoi capezzoli quasi dolevano per il continuo accarezzarsi con il corpo tonico di lui.
“ooh… prendimi… prendimi… Ti prego prendimi…” voleva piagnucolargli, e chissà in che lingua lo disse, ma lui capì, spinse con ardore, rientrò, e spinse di nuovo.

Penetrando, invadendo, lacerando, si infilò dritto in lei sbarazzandosi della sua verginità e arrivando a fine corsa in un rantolo, e un urlo animale di lei.
Le aveva fatto male, le aveva fatto bene, lo voleva, lo voleva picchiare e nello stesso momento ne era felice, Marco percepì tutto questo nelle piccole lacrime di lei e nel suo istintivo stringerlo dentro di s&egrave, non si mosse per un poco, gustandosi la sensazione di averla fatta sua. E d’altro canto anche Viktorie, passata la coltellata di dolore, saggiava con il suo corpo quell’enormità dentro di s&egrave.

Oh, si sentiva, si sentiva eccome che la sua presenza fosse assai ingombrante. Le dimensioni non contano per qualcuno, contano per qualcun altro, dipende da come si usa quel che si ha per qualcuno ancora, ma sicuramente si sentono, si sentono diversamente. Si sentiva così tanto che la voglia di fare l’amore ne uscì rinnovata, ora che era sua, che il suo sesso si era finalmente dischiuso del tutto per lui, poteva sussurrargli
“… Fammi tua. Fammi impazzire.”
“… Dovrei mettere qualcosa.”
“Ho portato qualcosa.”
“Non sarà abbastanza.”

Non era abbastanza. Non era neanche qualcosa di minimamente adatto.

Viktorie non se ne curò, incoscientemente spinse il suo amato sul fondo della barca per saltargli addosso e si rese conto di cosa stesse facendo solo qualche minuto più tardi, mentre ruotava il bacino, sentendo il sedere strofinare sul corpo di lui. Era dentro, lo sentiva dentro, fino in fondo, “saltava come un coniglio”, come si diceva nel suo Paese, sussultava estasiata dalle sensazioni che quell’affare dentro di s&egrave le procurava.

Ed egoisticamente continuò a ignorare i tentativi di Marco di prendere il comando, saltellava, si sfilava, faceva riaffondare dentro di s&egrave tutto quel corposo, lungo, largo, pulsante sesso, in una danza che si sorprendeva di conoscere e che cominciò a condurre sempre più freneticamente.
Lo voleva, lo voleva far impazzire, stava impazzendo, voleva avere un orgasmo appagante e definitivo, voleva solo sentire l’osceno rumore del cazzo di lui che veniva risucchiato e risputato dal suo corpo.
“oddio…” ansimò lui, sentendo risalire la scarica elettrica lungo la colonna vertebrale che lo avvisava di godersi quegli ultimi istanti prima della sua esplosione. Prese Viktorie per i fianchi e diede due colpi decisi verso l’alto, sorprendendola, e con un movimento rude e inaspettato la fece sdraiare sul fondo della patanea, la baciò mentre non le mollava i magri fianchi da danzatrice e prese a sbatterlo dentro senza alcun romanticismo, o forse semplicemente in quel momento il loro romanticismo prevedeva questo, un’imperiosa, totalizzante, spiazzante e gustosissima presa di possesso del corpo e della mente di lei, che cominciò a urlare oscenità di ogni genere, guardandolo negli occhi e volendo solo il Piacere, sentiva che doveva esserci qualcosa di più grande, lo sentiva crescere dentro di s&egrave, in un misto di eccitazione e paura, si stavano perdendo nella passionale e irrazionale copula in cui lui era l’indiscusso possessore, ma lei era il ricettacolo del piacere, del suo crescente e di quello di lui, e si sentiva al centro di tutto…
Tremò, si sentì mancare, e il suo corpo la lasciò solo gridare e stringere, stringere nel piacere quel sesso così nuovo per lei che non sembrava volerne perdere nemmeno un centimetro. Fu troppo per lui che riuscì a sfilarsi all’ultimo e ad eiaculare senza controllo.
Viktorie si lasciò rimbalzare quel piacere nel cervello ancora un poco senza riuscire ad opporsi, rendendosi vagamente conto del calore sulla pancia e sui seni che gli schizzi di lui le portavano.

“Dovrei pulirmi…” pensò una parte di lei, ma la sua mano già si tendeva ad afferrare il sesso di lui, e senza sapere cosa la spingesse Viktorie si portò alle labbra quell’asta spossata (ma non del tutto decisa a lasciarsi andare alla stanchezza), a coprirla di baci, a sentire il piacere di tutti e due mescolati assieme.

Come l’acqua salmastra.

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