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Racconti Erotici

Donami la tua unicità

By 17 Febbraio 2020Giugno 16th, 2020No Comments

E’ da parecchio tempo che m’arrabbio, sono stufo, ne ho abbastanza dei capricci del tempo atmosferico, delle bislacche stranezze del clima, delle mattoidi situazioni del contesto termico, in effetti per mano, per la totale imperizia e per l’esclusivo misfatto dell’uomo, giacché adesso il pianeta si rivolta ribellandosi e facendocela sonoramente pagare. Il mondo si è rotto le scatole, è insofferente, irrequieto, scontento e pure a ragion veduta indisciplinato, rivoltoso e sovvertitore. Ha ragione d’esserlo, ahimè, giacché ci sta portando il conto finale e noi insistiamo, non lo ascoltiamo, ce ne infischiamo. Dico questo, perché è una stupenda giornata di inizio novembre, la temperatura è molto alta, pure fastidiosa, per risiedere qua a queste latitudini in un paese della provincia di Como, perché sono seriamente preoccupato per il fatto che quest’oggi indosso una camicia a maniche corte come quella che mettevo in piena estate. 

Osservando l’atmosfera con il naso all’insù, noto che ben presto quella volta celeste si riempie di varie nuvole, ispessendosi fino alla linea dell’occidente. E’ piuttosto molto strano, perché sono appena le dieci di mattina, in quanto mi trovo in giro per il paese giacché sto pilotando la piccola utilitaria di mia mamma, una Citroën 2 CV di color pesca, che va benissimo, in quanto è ancora una meraviglia di macchina, perché la mia automobile è presentemente dentro la rimessa giustamente ostacolata, con l’accesso sbarrato di netto da uno dei tanti ignoranti e deficienti, che ti posteggiano sistematicamente di fronte all’entrata del box per gli usuali e ripetitivi pochi minuti di sosta, sebbene vi sia ben esposto in vista il cartello di divieto. Appena di deconcentri, il primo ottuso e screanzato arrogante di turno, infila là il proprio veicolo e lo parcheggia, sebbene sia collocato in modo ben visibile l’avviso di lasciare libero il passaggio. Comunque sia, il carro attrezzi è stato già avvertito e i vigili urbani ugualmente informati dell’accaduto, sicché ne vedremo e sentiremo delle belle, affari loro, la prossima volta impareranno la lezione. 

Il creato potrebbe essere effettivamente il più conveniente, ospitale e meraviglioso luogo dove risiedere, pressappoco un empireo, se non fosse per i designati presunti individui ingentiliti, contemporanei, forse, perché di recente, evoluto e moderno possiedono in concretezza solamente il loro fottuto fondoschiena, pigliato peraltro a pedate numerose di quelle volte, che ormai avvertono soltanto godimento e piacere. Mentre medito tramando a lungo dentro i miei bizzarri e sofisticati pensieri, avvisto una graziosa ragazza là più avanti tutta sola. E’ veramente allettante, graziosa e piacente. Leggevo giorni addietro su d’una rivista d’attualità, che oggigiorno sono di nuovo alla ribalta le donne deperite ed esili, filiformi e svigorite, denominate ai più “anoressiche”, quelle che fanno le raggianti e le incantevoli, solamente perché scopiazzano emulando il modello, plagiano l’esempio scimmiottando la meraviglia del momento, perché talune volte, il più delle quali, ma non sempre, restano del tutto isolate e solitarie, orrendamente abbandonate ed estromesse, talune volte anonime, opache e spente. 

Da un lato si possono intravedere e distinguere le disparità della vita giornaliera, là nella parte sinistra branchi d’autentiche e testuali inefficienze, desolate e avvilite adolescenti figliole e ragazze maggiorenni formate, che di donnesco, aggraziato, armonioso e femminile non hanno nulla. Sbandierano vantando tranquillità e padronanza, millantandosi in collocazioni e in posture già guardate, globalmente identiche, amorevoli e dabbene soltanto per scoraggiare i maschietti, eppure subito dopo che t’accosti a loro oppure tenti di confrontarti fuggono. In un baleno ti fissano e ti misurano, scandagliandoti ed esaminandoti, t’indicano marchiandoti, io mi sento per poco un fanatico esaltato, forse un fazioso pazzoide, al punto che sono inappropriate e impreparate per sostenere adeguatamente una normale comunicazione. E queste qua, sarebbero le presunte ragazze moderne, che sovente incollate ai palmari e agli smartphone, camminano chinate e curve senza guardare dove passano, venendoti pure addosso, spintonandoti e calpestandoti senza neanche scusarsi né discolparsi, impegnati come sono a testa bassa nei loro gingilli elettronici davanti agli occhi? Questo è il progresso, la modernità, l’avanzamento, l’evoluzione e lo sviluppo del vivere odierno. 

Nella direzione opposta, invece, c’è lei. Azzarderei ribadire abituale e naturale ai più, umana, probabilmente disponibile, oltracciò leggermente disordinata e disadorna, molto affaccendata, suppergiù avrà poco più di cinquant’anni d’età, è di carnagione bruna con gli occhi chiari. Trascina le fodere piene degli acquisti del supermercato, ha la folta chioma sollevata alla meglio, fra le innumerevoli vicende da badare in famiglia, noto che ha le braccia ben modellate, così come tutto il resto della sua figura. Cazzo, è una vera femmina, e che splendide verdi iridi che ha. E’ a tutt’oggi operosa e dinamica, alacre e vitale, quantunque la famiglia, il consorte, il tempo che passa e corbellerie varie, ha pienamente ancora conservato immutata la sua dolcezza e la sua innata bellezza, in barba a tutti e alla faccia di tutto. Adesso che ci penso, è infrequente scorgerne una così, è merce rara individuarne una simile ai giorni nostri. Pondero e valuto, tentenno, però non resisto, mi scuoto, scendo e mi butto, vado e ci provo. Tento, anche se mi beccassi tutti i due di picche del mondo, o che dovesse chiamare rinforzi o strillare, so che in un baleno svanirà tutto e buon viaggio. 

La donna in questione m’ha già sapientemente adocchiato, ha colto il segnale, i nostri sguardi si sono incrociati, in un rapido istante m’ha decifrato, m’ha sfogliato come un libro, più di quanto non sia riuscito a eseguire io con lei. Sono costretto a compiere il perimetro del caseggiato, molto bene, trovo agevolmente un posteggio, è l’indizio d’un delizioso e gradito segno del cielo. Lei frattanto ha svoltato l’angolo, si dirige verso la sua Lancia Y10 blu scura, per il fatto che si è alleggerita degl’involucri della spesa, richiude la sua autovettura e s’incammina. Al presente la vedo, arriva nella mia direzione, ha compreso e afferrato ogni cosa, vorrebbe sorridere, non sa se contemplare altrove, mentre io mi presento esordendo: 

“Buongiorno signora, le domando scusa. Forse potrei apparirle come una persona impertinente e scortese, se intende chiamare aiuto o protezione la comprendo benissimo. Mi autorizzi perlomeno, di rivolgerle i miei autentici apprezzamenti per la sua radiosa e favolosa bellezza”. 

Lei è meravigliata, è visibilmente sbalordita, non s’aspettava per niente un simile approccio. Bene, ci sono riuscito, è fatta, rimugino dentro me stesso. In quel preciso momento lei sorride, abbassa gli occhi, è chiaramente a disagio, io non posso né voglio perdere tempo, tendo la mia mano e le annuncio: 

“Mi chiamo Rodrigo” – mentre lei mi tende la sua. Io l’agguanto e gliela bacio. Lei non s’attendeva un vezzo simile e ben presto si emoziona, riferendomi nel mentre di chiamarsi Rita. 

“No, mi scusi, sono Margherita per la precisione. Mi tolga una curiosità, lei si comporta in tal modo con tutte le donne che incontra per strada?” – domandandomi in maniera perplessa, ma al tempo stesso intrigata e piena di curiosità. 

“A dire il vero, mai. Confesso e svelo, che è la prima volta che mi succede. Io l’ho notata là di sotto accanto all’ufficio postale e in seguito mentre usciva dall’emporio, ipotizzavo che non l’avrei più rincontrata, e così eccomi qua. Non voglio attardarmi troppo, avrà certamente tante faccende da sbrigare, le fa piacere degustare un caffè insieme nella caffetteria centrale, per la gioia di conoscerla meglio?”. 

“La risposta e sì, però non qua. Dammi pure del “tu”. E’ meglio se c’incontriamo al caffè Old Rino in piazza 4 novembre a Mandello suppergiù fra mezz’ora, giusto il tempo di passare da mia zia”. 

“Affare fatto Margherita, t’aspetterò là in piazza. A più tardi” – le abbozzo io piuttosto gioioso e soddisfatto. 

“Nel caso arrivassi prima Rodrigo, aspettami nella saletta piccola del retro, la prediligo. Lasciami intanto il numero di telefono che io ti dò il mio” – m’illustra lei alquanto determinata e trionfante, avviandosi rapidamente verso la sua automobile. 

Dopo mi sgattaiola rapidamente di lato, mi scarta con una rapida manovra e s’allontana. Frattanto io sbrigo alcune mansioni, faccio benzina alla Citroën 2 CV di mia mamma e mi dirigo verso Mandello del Lario, poco distante dal borgo di Abbadia Lariana, dove abito. Arrivo e m’avvio con tranquillità verso lo spiazzo, incanalandomi in direzione del bar. Là dentro c’ero stato un mese prima con dei miei compagni, in quanto è un locale molto accogliente e gradevole per concedersi una piacevole pausa, condita in aggiunta a ciò con la professionalità della gestione. Si trovano buoni apertivi, si fanno ottime colazioni, gustosa è altresì la gelateria artigianale. Insomma è un posto ideale per compagnie d’ogni età. 

Lei è estremamente puntuale, io varco l’uscio del bar e la intravedo: Margherita è seduta in fondo, mi nota e sorride, m’avvicino e le dispenso un altro baciamano, in seguito mi dispongo di fronte e iniziamo il dialogo. Intavoliamo le consuete dicerie massificate, perlopiù standardizzate e generaliste sul bar e sui locali in genere, sul momento meteorologico incerto, su questa malvagia e perversa disturbante calura che nessuno sa cosa vuol dire esattamente, infine mi presento. Margherita è più che lusingata, visibilmente deliziata, mi ascolta con interesse, io le espongo che i termini dell’argomento non stanno fedelmente così. Ambedue siamo un uomo e una donna, che hanno stabilito per mezzo della comunicazione verbale di confrontarsi, di paragonarsi, cercando di demolire, sbarazzandoci sennonché a rilento in ultimo, di tutti quegli ostacoli e di tutte quelle insulse e frivoli barriere, che eleviamo inutilmente giorno per giorno per difenderci e per salvaguardarci dalla vita, quasi come se fosse un’infermità, una sorta di morbo e di perenne malessere. 

La mia dottrina le piace, ammira la mia concezione, adora la mia teoria, l’avvince e la conquista, perché Margherita mi proferisce d’una famiglia e d’un andazzo familiare rozzo, mediocre e consueto, a tratti usuale e grossolano, pacchiano e rustico, incivile e indelicato, spaventosamente ahimè diffuso e orribilmente frequente, molto più marcato, ruvido e schematico di quello che si pensa, divulgandomi seriosamente in conclusione che quello che io vedo e distinguo dall’esterno in realtà “è nulla per ciò che sembra”. Io l’ascolto accuratamente, cerco d’afferrarne le sottili sfumature, tento d’abbrancarne gl’impalpabili accenni, rimuginando e rimarcando nella mia testa che non sussistessero più vicende e peripezie del genere, contrariamente a questo punto devo però saldamente persuadermi e tenacemente ricredermi, che questo è per davvero l’ovvio dettame, l’indiscusso e incontestato canone di vivere, il criterio del “non detto e del non scritto”, del parametro sconosciuto d’ogni nucleo familiare. Rientro celermente su questo mondo, lo faccio di gran carriera, scrupolosamente in quella sala del bar, le offro da bere, mentre la seguo per un altro poco e pondero ripensando a tutte le mie amiche dottoresse che hanno ottenuto la laurea che conosco, giacché non sanno esprimersi né discorrere così come fa Margherita, non sanno affermarsi né presentarsi in modo servile, umile, civico e conformista così come lei. Io glielo dico, la sostengo, l’incoraggio facendoglielo notare, eppure lei finge di non crederci. 

Margherita è veramente modesta, molto intelligente, assai brillante e perspicace, ha una mente sopraffina, è garbata con un’elevata qualità morale di tutto rispetto, è una donna retta e di gran pregio. Io le tendo affascinato il mio cartoncino da visita, riferendole di chiamarmi qualora ne avesse esigenza e gradimento. Lei lo ripone con naturalezza in una tasca interna della borsa, ci salutiamo e si dilegua, testualmente, nella maniera com’è apparsa, svanisce. Io resto ancora là dentro, sorseggio una birra e rimango lì per riordinarmi i pensieri e nel mentre rifletto su come posso attuare la migliore strategia. Non ho neppure il tempo d’ordire a sufficienza il mio piano, che m’arriva un messaggio sul telefonino: 

“Rodrigo, senti, domani t’aspetto alle quindici in via Petrarca. Fammi qualche squillo, palazzo nuovo di color tegola, sono al quarto piano, nella seconda porta c’è un portaombrelli di colore verde, entra subito”. 

Sono sbigottito, ho fatto centro, che Dio assista, difenda e sostenga le donne. Mi alzo dal tavolo incamminandomi alla cassa, pago ed esco, prendo l’autovettura e rientro verso casa. M’attende un dopo pranzo inedito, ma pieno di meraviglie e certamente di stupori. Sono meticoloso, per l’orario prefissato sono di fronte al palazzo che mi ha indicato, posteggio l’autovettura nelle vicinanze e faccio suonare il telefono. Lei s’affaccia dalla finestra e con la scusa che sbatte la tovaglia da cucina sul balcone mi vede facendomi cenno di salire, indicandomi il cancelletto di sotto. Salgo le rampe delle scale e lei m’accoglie entusiasta e ottimista: 

“Ciao Rodrigo, vedo che m’hai trovato senza problemi. Il posto è facile da raggiungere, la palazzina essendo nuova è perfettamente identificabile” – mi ribadisce lei sorridendomi. 

Io mi osservo in giro, tento leggermente d’estraniarmi, Margherita è leggiadra, davvero avvenente. Ha indosso dei pantaloni beige, una blusa bianca, la chioma e ben sistemata, il reggipetto le evidenzia un florido seno, il tutto accompagnato per compiere l’opera, dalla gradevole e desiderabile scia del suo inebriante e rapente profumo, che mi fa perdere il senno sconvolgendomi le membra. Margherita mi mostra l’appartamento, dapprima il soggiorno, il bagno e la cucina, in seguito il tinello. Nel mentre mi esibisce le foto che ritraggono il resto della famiglia, con il consorte a Benevento, la figlia e il maschietto ancora fanciulli e una miriade di simpatiche e divertenti dediche appioppate là di sopra. Premurosa e attenta com’è mi esorta ad accomodarmi offrendomi il caffé. Al presente le squadro le mani, sono davvero incantevoli e invitanti, io già sragiono e vaneggio con la mente, per quello che potranno compiere e sicché la marco per bene. Lei se n’è accorta, non fiata, scosta lo sguardo eppure non lo smorza. 

“Come hai trascorso questo tempo? Auspico perlomeno di non avertelo scompaginato né messo sotto sopra così troppo” – incalzo io, sondando la situazione. 

“Onestamente, se devo proprio confessartelo in un certo senso molto, direi di sì. In senso e in direzione positiva intendo. Sai Rodrigo, vicende di questo stampo francamente non mi erano in nessun’occasione capitate prima. Tu immagina, che il mio consorte, per avvicinarmi, ha utilizzato mio zio che usciva a sua volta con una sua compagna di scuola. Neppure uno mi ha mai e poi mai bloccata né avvicinata come hai fatto tu, probabilmente suscito in modo inconsapevole apprensione e timore. Sarà la mia infondata ed erronea idea, forse involontariamente comunico indecisione, tentennamento e timore ai più, non saprei dirti di preciso”. 

“Può essere Margherita, a parecchi sì, però non a chiunque. E’ in effetti attendibile, perché una visione analoga è spuntata perfino a me, eppure una creatura celeste come te si rintraccia talmente sporadicamente in giro, che quando se ne adocchia una, a costo di compiere una cattiva impressione ci si protende avanti, perché in caso contrario la ghiotta e favorevole occasione la sciupi per sempre” – la informo io, ragguagliandola in modo sarcastico e mordace, però complimentoso e cortese. 

Margherita è furba e scaltra, è lungimirante, è avveduta, simula d’essere compiaciuta e si colloca di fronte a me. Io le agguanto le mani, la squadro nelle sue verdi iridi, lei china leggermente il viso, intanto che la folta chioma la protegge. Lei ironizza osservandomi, io le fascio i fianchi e mi sollevo, esaminando i suoi favolosi e profondi occhi che predicano da soli. Tutto succede in quell’istante: lei cede, m’accosta le braccia con le sue mani, io le carezzo il contorno del viso e m’avvicino per baciarla, ma lei si stringe contro il mio torace avvinghiandomi. Io allento la presa un istante per guardarla nuovamente in viso, la bacio sugli occhi, tuttavia lei li lascia chiusi, sta sognando il primo bacio che le arriva puntuale è delicato sulle labbra, dapprima a rilento, dopo appassionatamente. 

Lei come me, solamente con maggiore impulso m’addenta in ogni posto, perché dove procede lascia tangibilmente il segno. La sua blusa è già sbottonata, cosicché m’appresto nel baciarle il seno, formoso sì, ma equilibrato e bilanciato nell’insieme. La sospingo adagio contro il tavolo, lei mi fa cenno che ci sposteremo nella camera degli ospiti. Appena siamo là dentro, s’affretta e mi spinge sul letto, mi viene di sopra e inizia a sbaciucchiarmi. La mia faccia è nelle sue mani, il tronco tra le sue cosce, non riesco a muovermi. Margherita prosegue con quella sua modalità primitiva e bizzarra nel baciarmi, io le afferro i fianchi fino alla schiena, cerco di brandirle le chiappe, perché se non ribalto alla svelta degnamente la circostanza, così facendo mi stende. 

Dopo la ghermisco per la folta chioma, lei capisce, allenta la presa e si lascia affettuosamente capovolgere, adesso è seduta su di me, ma quantomeno adesso alito normalmente mentre continuo a baciarle il seno. I suoi deliziosi seni sono fra le mie grinfie, percorsi dalle mie labbra, adesso me li sbatacchia in faccia pigiandomeli contro, esprimendomi nel contempo frasi licenziose, scurrili e triviali che la eccitano. Dopo un po’ si solleva e mi esibisce il suo incantevole gioiello nascosto, il suo inaccessibile e seducente tesoro, la sua privata e ammaliante gemma da blandire con cura e d’adulare con esemplare riguardo. Quell’odorosa e invitante fenditura mi sta facendo perdere tutta l’omogeneità, la coerenza e la logicità. Margherita ha dei fittissimi peli, la sua fica è pelosissima come piace a me, non avrei giammai ideato né supposto che ce l’avesse così conciata, è un vero splendore, un raro e pregiato vanto d’altri tempi. Gli spessissimi peli sono intrisi dei suoi naturali fluidi, ha una fica con delle labbra polpose e ben fatte, sembrano disegnate, io mi sento in paradiso, sto sragionando, è meravigliosamente invitante, divinamente appetitosa e succulenta. 

Io tento di sollevarmi, ma lei prontamente mi rimanda giù, vuole eseguire tutto lei, sennonché abbranca il mio cazzo compatto. Quello che sperimento subito, è che vengo infagottato da tutta la sua benevolenza e dalla smaniosa eccitazione custodita nella sua bocca e nelle sue mani. La lingua di Margherita seduce lusingando il mio perineo, distende la mano, acciuffa rapidamente un capezzale e me lo colloca sotto le chiappe, mi girovaga dal buco dello sfintere sino al punta del cazzo e all’inverso. Mi riappare di sopra, la sua bocca riguadagna il percorso introduttivo, soltanto che al momento avverto il bollore della sua fica vicino al mio cazzo, perché percepisco la sua leziosità che mi gocciola in maniera abbondante. Io colloco il cazzo fra le sue natiche permettendo che me lo carezzi, perché in ultimo decreterà lei da sola quando brandirlo, appena si sentirà pronta. 

Al presente la sua seducente ed estasiante figura ondeggia sul mio corpo, i suoi seni proporzionati sono adesso pigiati fra le mie mani, l’attiro verso di me inarcandole il collo e tirandola per la folta chioma, l’addento adagio sul collo facendola sdrucciolare di lato, perché attualmente è lei che sta di sotto. La circoscrivo con passione a me, lei capta di netto il mio cazzo che la penetra focosamente, possedendola sempre più in fondo ad ogni spinta, ogni movimento è come uno strillo dove le strepito che la desidero, di continuo mia, senza sosta più mia. Mentre le manifesto questo mio energico piacere e nerboruto volere, Margherita rintrona strillando il suo lunghissimo e fragoroso orgasmo, sento che m’imbottisce per bene, perché m’allaga invadendomi come non mai, mi sta donando tutta se stessa. 

Io sono al settimo cielo, vagheggio, farnetico, le manifesto che la voglio scopare nella posizione della pecorina, che la voglio penetrare a fondo, bramo sentirla mia fino all’ultimo centimetro. Margherita non se lo fa ripetere, così come un fiore che si schiude deliziosamente si gira, intanto che le sue mani caldeggiano la mia lussuriosa richiesta, perché lei stessa m’allarga di proposto le chiappe, favorendo il tal modo la mia gagliarda e lasciva rivendicazione. La sua fica è qualcosa di magico e d’incantevole che ci sia, poi guardata così da dietro mi fa perdere il lume della ragione, è peraltro molto intrisa, facendo ulteriormente una bella mostra di se. 

Io ben presto la espugno, m’impadronisco e conquisto quella terra di carne, le sue anche sono stabilmente appoggiate fra le mie mani e la sbatto in modo possente. Le spalanco ammodo le natiche, la fica è spalancata, in quanto le assesto dei colpi ritmati e precisi più in fondo, facendole percepire tutta la lunghezza del mio cazzo, non facendola smettere mai di godere. Una mano sul fianco sinistro, con la destra le afferro la folta chioma inarcandola più che posso e la scopo con vigore, mentre ascolto lei che mi riferisce: 

“Rodrigo, per favore, mi stai spaccando, rallenta, aspetta, così mi distruggi, che meraviglia, sì, ecco, continua così” – mentre io proseguo a scoparla con costante veemenza, finché non capto che viene ancora una volta strillando il suo aitante e lussurioso orgasmo. 

Io estraggo il cazzo dalla sua splendida fica, glielo accosto là sul pelosissimo pube, però lei si smarca riferendomi di non eiaculare ancora, rivelandomi che vuole ricevere la mia sborrata sul suo viso, perché le aggrada quell’intimo gesto, perché la fa sentire piena e appagata, come il totale riconoscimento e come l’indiscutibile regalo da offrire al maschio che ha di fronte, un tangibile e corporeo segno di grandissima ricompensa, una suprema e palpabile riprova di fiducia. Lei vuole che io la marchi con la mia sborrata, adora questo gesto. Io sto sognando, non mi capacito per quello che succede, non me lo spiego, Margherita degusta e trangugia tutto, mi lecca il cazzo in lungo e in largo, dopo m’abbraccia con intensità, mi capovolge sul letto, sistema la testa sul mio torace e sorride felice. Io le liscio la folta chioma, proclamandole che lei è una donna unica, magnifica e per di più rara, lei è la mia stella luminosa. Successivamente si stringe forte a me, poi alza la testa, mi esamina negli occhi e mi bacia svenevolmente pronunciando nel contempo: 

“Com’è bizzarra e bislacca talvolta la vita in coppia: il mio consorte m’agguanta, tenta di scoparmi, compie quello che gli pare, ma non lo fa con me. Lui tra le mani ha un attrezzo qualsiasi, un utensile, non è in grado di diffondermi niente, non è capace d’offrirmi né di diramarmi nulla, dopo io mi sento adoperata, solamente malmessa, usata, trascurata e basta, mi lascia a bocca asciutta, sovente. Sfruttata e svuotata nel letto, spolpata e abusata in casa, angariata, soggiogata e spremuta in famiglia. Ecco, con te ho deciso finalmente di sfogarmi, di scaricarmi e di confidarmi, di far fluire le mie amare vessazioni e i miei radicati spiacevoli dispiacerei di donna. Tu però, hai compreso tutto Rodrigo”. 

Io la metto a tacere deliziosamente con un bacio, mentre le comunico in tutta franchezza e con la spensierata lealtà, che lei mi sta dispensando il più bello e magnifico dono della mia vita. Le paleso che ha scelto e disposto di darmi gratuitamente la sua indiscussa singolarità, la sua notevole e pregevole unicità, il frammento più sensibile, la parte più autentica, genuina e ragguardevole di sé, della sua innata inimitabilità senza pari. Io le dichiaro affermando e assentendo, che l’autentica, l’effettiva, la pura e la veritiera Margherita è stata quest’oggi mia. 

Margherita immediatamente mi emenda, mi manifesta riprendendomi e ammonendomi che sarà mia, fin quando io lo desidererò e fin tanto che vorrò replicare la beatitudine di questo naturale e amabile dono. Mi manifesta rettificandomi che sono altresì un eccellente e illustre uomo come pochi se ne incontrano, stringendosi nuovamente a me, rivelandomi e facendomi trasparire di non lasciarla mai più da sola. 

Io la rincuoro benevolmente, dicendole amorevolmente che ci sarò fino a quando lei mi bramerà, preferirà e stabilirà. Margherita alquanto caldeggiata, incoraggiata e rinfrancata mi sommerge con infiniti ringraziamenti, sbaciucchiandomi in ogni parte. 

“Sono rinata, sono la donna più felice, raggiante e trionfante della terra. Fra poco ci alzeremo e tu andrai via, sì, però leggerai con sollecitudine altri messaggi sul telefonino da parte mia” – mi enuncia amorevole, briosa e soddisfatta Margherita. 

“Molto bene stella mia, adesso prenditela con comodo, lascia fuori gli affanni e i crucci. Sbarra gli occhi e vivi con me tutta l’armonia, l’avvenenza, la gioia, la magnificenza e le squisitezze di questa impareggiabile giornata”. 

Una nuova epoca si profilava evidenziandosi all’orizzonte per Margherita, delineandosi e campeggiando in ugual modo nelle migliori delle norme pure per me. 

{Idraulico anno 1999}  

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