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Erotici Racconti

Groviglio e intrigo

By 16 Giugno 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Io sono semplicemente il cavillo, il pretesto, la sottigliezza, anche se loro forse non lo sanno, perché quasi certamente non se ne accorgono. Credono infatti di farlo, perché ci sono io, suppongono, si sforzano d’immaginare, si convincono che cedono a me, al maschio, all’abitudine, alla normalità e all’ordinario. In seguito però, quando se lo racconteranno, faranno finta che erano soltanto con me, che in quella penombra, in quel letto, su quei cuscini ero io che le prendevo, dato che ricorderanno lucidamente le mie braccia, distintamente i miei baci e garbatamente le mie mani. Poco a poco, infatti, rivedranno ancora il mio sorriso così come in un vagante motivo al rallentatore, infine avvertiranno logicamente il capogiro aprire le loro strade alla penetrazione, sentiranno gli occhi chiudersi, abbandonarsi al calore del cadere e respireranno ancora quel pregiatissimo frusciare, che scende per coprire i loro sguardi.

Le loro parole saranno per me le frasi per immaginare memorie, ma i loro corpi no, perché i loro corpi senza ricordi sono eruditi e rammentano, poiché l’hanno sempre saputo, i loro corpi sapevano che c’eri tu, dato che annusavano il tuo respiro, avvertivano il tuo odore che riempiva la stanza, anche quando ti nascondevi e uscivi soltanto nel vederle bendate, ornate di quella seta nera che avevi conosciuto così bene. I loro corpi captano e colgono ancora vive le tue mani che li esplorano, addirittura assaporano il brivido delle tue labbra che soffiano senza rumore sulla pelle, che lasciano delicate scie disegnando la promessa d’un inflessibile e d’un irriducibile attesa, che solamente una donna riesce a difendere, a mantenere e a salvaguardare.

I loro ragionamenti, infatti, come potrebbero ammettere il fremere disordinato del sapersi in balia del proprio desiderio, stando sedute davanti a quel loro rassicurante amante, impersonalmente impaurito dalle sue stesse voglie? Con lui chiuso a difendere flebili erezioni senza poesia, come potrebbero rivivere l’ondoso disagio del respiro nel sentirsi scoperte, viste e indifese, davanti a chi le ha accompagnate nella parte in ombra della loro casa? Quali sono le parole per raccontare a quegli occhi sbiaditi, quella sensazione d’uscire dalla pelle per andare incontro al contatto, ai baci e ai colpi? E come raccontare, quel tremare alle frasi sussurrate e sconosciute che le risucchiano, vortici che le afferrano, mani con i guanti che artigliano la nuca sotto i capelli? Come dire del freddo dell’attesa e il tremare elettrico che si spalma addosso, mentre sono sbucciate dai vestiti come un frutto maturo? Come confessare il sentire quel tessuto bagnato d’eccitazione che scivola ancora per qualche attimo prima di cadere, rimbombando nelle tempie d’un rumore soltanto immaginato? Come condividere quell’urlo di libertà che nasce nell’essere strette, schiacciate sul letto sino all’anima nell’essere divorate da mani e da bocche voraci, felici d’essere mangiate, toccate e consumate? Quanti perché, immagino vi chiederete voi adesso.

I loro corpi riconoscevano sennonché la regia, distinguevano fotogramma dopo fotogramma, componevano nello spazio del buio quelle immagini, indovinavano la trama, vedevano il film, spettatrici e oggetti di scena aspettando. Accudivano il certo, l’inevitabile, attendevano la resa, pazientavano di sentire il calore e la rabbia che avrebbe agitato i loro pugni, il piacere che le avrebbe avvolte per rapirle e per poi proteggerle. I loro corpi sapevano che eri tu a dirigere e a sovrintendere, regista sconosciuta e nascosta, in quanto eri tu a guidare le mie carezze per costruire brividi nella loro carne, perché eri tu a dosare le mie assenze, il vuoto, l’attesa che le faceva fremere, tendere e svenire.

L’attesa dei miei baci, del contatto del mio corpo sul loro, delle mani che le coprono, le riscaldano, muovendo braci nascoste, il contatto che accoglie l’ansia di quella benda, di quel respiro affannoso, di quel nero che lasciava trasparire nella trama sgranata le sagome indistinte dei loro desideri, delle loro mute inconfessate voglie. Eri tu nel riempire di sorpresa l’attesa del tuo inatteso tocco, mani diverse, mani delicate e unghie. E loro, in un attimo di stupore perdevano equilibrio, abbreviavano respiri, roteavano gli occhi nascosti per cercare, perché quello era l’istinto di dimenarsi, quasi un fuggire. Bastava però poco, solamente riavvicinare la loro schiena al mio petto, soltanto afferrare con delicata decisione i loro polsi, niente forza, unicamente la presenza, soltanto il calore, un breve sussurro vicino al collo, l’invito a sentirsi al sicuro, a godere di quel tocco, la promessa di prendersi cura di loro, solamente una carezza in più per far svanire quel breve momento di lontananza.

Le parole dette poi nasconderanno senza mentire, scivoleranno oltre, visto che non si soffermeranno né s’esporranno, dato che lasceranno cadere il silenzio su quel buio, su quel bruciare, su quell’offerta e su quell’altare quali sono diventate. Nasconderanno in ultimo il sacro com’&egrave giusto che sia, per non rivelarlo alla vista di chi non partecipa a quel brivido, di quell’impacciato timore dello sguardo luminoso. I loro corpi hanno origliato le mie e pure le tue parole, i miei e i tuoi sospiri, respirati vicino alle loro orecchie assieme in un concerto, in un’armonia di promesse, di baci lasciati appesi ai lobi della morbidezza. Una nuvola di parole ascoltate con la carne, voci che hanno morso i seni, vocaboli che hanno esplorato le profondità, definizioni che hanno spogliato, lemmi che hanno lasciato segni, scie, su di loro, su ciascuna di loro, segni sui corpi e segni sulle anime.

Alla fine sapranno e custodiranno quei momenti, salvaguarderanno i nomi che non conoscevano, i visi esclusivamente intravisti, gli odori, i sapori, le magie, i desideri e le voglie. Saranno soltanto loro, apparterranno soltanto a loro, luce nell’anonimo trascorrere dei giorni, spiraglio di loro stesse riflesse nello specchio delle nostre carezze. Sapevano che tu le conoscevi, lo capivano subito, comprendevano che tu le avevi viste come loro nemmeno s’immaginavano, come neppure osavano credere di poter essere, io lo vedevo nei loro visi come sospiravano, come si mordevano le labbra, come muovevano il collo e in quale modo lo offrivano. In quale maniera esponevano la loro intimità, per il fatto che qualcuno finalmente potesse approfittarsene senza timore, senza ritegno, senz’incertezza alcuna di tirarne fuori la selvaggia forza che le brucia dentro. Sapevano molto bene di potersi liberare, di poter naufragare senza paura, ben ancorate al loro piacere nel loro essere legate, immobili, ferme, mentre io le premevo, mentre pesavo su di loro, mentre io ero dentro di loro. Captavo nascere il loro nascosto potere pulsare nelle vene avvolte attorno a me, avvertivo la tensione scorrere, l’irrequietezza per far sbocciare le labbra, per inghiottire i miei respiri, l’ansia per aprire, per rilassare il ventre per accogliere il tutto nelle profondità più trascurate.

Io ho dentro di me le immagini d’ogni istante del loro abbandono, avverto e colgo il sapore sulle labbra, sulle dita, annuso l’odore del loro piacere, del loro sudore luccicante, come la rugiada guaritrice che sale dal mio corpo. Ricordo come tutto si mischiava al conosciuto e al confortevole gusto di te, riconoscevo ogni essenza sulle labbra ormai umide di come eravamo diventati. Rivedo lo stupore, la sorpresa di sentirci persi in un corpo più grande, rivedo i sorrisi accennati nel lento oscillare del viso sotto i colpi, rincontro il disordine dei corpi e rammento come tu coglievi quel piacere, come te lo mangiavi, dato che pareva un frutto, come un succo e come ti nutrivi del dono che offrivi. Ho il presente nelle mani, quelle che hanno per l’appunto camminato su di loro, la consistenza d’ogni singola pelle, il ritmo del respiro mentre le baciavi prima di sparire lasciandole che si distendessero su di me, frugandomi i peli per cercare il petto come uno scoglio su cui aggrapparsi per non scivolare via e al momento capisco.

Ebbene sì, in questo momento, assimilo, capisco e intuisco che io sono la tela, però tu sei incontestabilmente e indiscutibilmente il ragno.

{Idraulico anno 1999}

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