Skip to main content
Erotici Racconti

Il gioco del rimpianto

By 14 Giugno 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Io sono seduta qui, dopo ore di nulla, dopo tante parole vuote, appresso numerosi sogni senza forma né struttura chiedo in conclusione alla mente di raccogliere e di radunare una volta per tutte, le percezione che il mio organismo mi ha sferrato affidandomi tutti questi crucci. Dove conduce questo viottolo? L’intenzionalità e la volontarietà dell’essere è più ardua e più intricata di quella dell’agire e del procedere, eppure a volte si mescolano combinandosi a meraviglia, in questo momento ispirata e spronata mi lascio dondolare dal grattacapo, dalla noia e persino dalla fantasia. L’angoscia, il dolore, l’ossessione contraddittoria, la paura irrazionale sono fuochi bizzarri e scellerati che confondono ingarbugliando la vista, però rendono più acuto e ingegnoso il sentire.

Una voce allettante sussurra nel silenzio dell’ospedale, sciogli la tua testa dalle briglie dei perché, lancia al galoppo il mucchio dei desideri accumulati che ti scorrono dentro, quando il dormiveglia apre le porte al sonno. Io sono sopita, non voglio badare né pensare, non con questo grigiore né con questo rumore intorno: come posso riacquistare e riottenere le utopie che fermentano agitandosi nella porzione più oscura del mio intelletto? Esporre di palpamenti che slittano sulla cute per un baleno più dell’indispensabile? Con curiosità e con delicatezza, le sento esitare vacillando sul calore che emana il mio coraggio, cerco d’ignorare tralasciando questo contatto costantemente diventato meno accidentale, ecco, è finito. Il telo torna a ricoprire gli abbagli, i giochi e le illusioni, perché non è questo il luogo né questo il tempo. Io ascolto le insinuazioni che accompagnano affiancando questo pomeriggio, poiché, sì, è vero che tengono compagnia spalleggiandola, come la cenere che dà un aspetto più familiare alle braci che ardono di sotto.

In verità sono fatti e racconti multiformi, episodi finiti, vicende spirate, affetti sperperati in ogni dove, rivelazioni di taciturni toccamenti, di attenzioni dette segretamente nei parchi cittadini dei centri urbani, dal momento che hanno una loro struggente e vivissima amorevolezza, come le donne che in modo appassionato e vibrante le raccontano. Io guardo il loro volto che diventa più luminoso, mentre menzionano rinfacciando ciò che poteva essere e che invece non è stato, giacché so molto bene perché pure noi, in tal modo campiamo nutrendoci dell’emancipazione, dell’indipendenza e dei legami, mentre ci dibattiamo esistendo, argomentando e lottando di continuo nel vischio attaccaticcio e gommoso dei sogni. Al presente c’è una cosa che esigo freneticamente come non mai: la pioggia, perché vorrei sentirla defluire sul mio organismo, trasportando fuori il pretesto che nella tarda serata m’ha fatto avvolgere i teli fra le gambe, sì, perché sento ancora le sue dita soffermarsi impercettibilmente sull’addome e schiacciare, in questo modo io m’asciugo con efficienza facendo avvampare l’epidermide. Torno così dalle mie riserve del sentimento, che pertanto riposano beati come gli animali esposti pigramente al sole, al presente mi sento meglio, siccome quest’energia deve liberarsi.

Un saluto accennato accompagnato da uno sguardo si proietta nella mia direzione, appare quasi timido, distratto, forse non mi ha neppure notato, ma i suoi occhi entrano nei miei e devo allontanarmi. Al mio ritorno trovo l’idolo turbato, in quanto mi hanno spostato di stanza, dal momento che vorrebbero tenermi con loro, vegliare sul mio sonno come già è accaduto, ma quel letto è destinato ad altri, pare proprio così. La nuova dimensione è di tutto riguardo, una camera singola con il bagno, mio eremo e mia estasi in modo categorico. Io ripongo gli oggetti e i tessuti con calma, i miei feticci sorvegliano il tutto con dei piccoli movimenti del capo quasi a voler dirigere una sinfonia. Io sono la loro creatura, i miei anni da vivere mi rendono bellissima ai loro occhi, che peraltro percepiscono ogni mio gesto come un rituale, perché forse lo è davvero, ritmato com’è da nuove ore e da vecchi pensieri.

Io guardo scendere la sera e vado incontro alla notte, perché tra quelle lenzuola candide sono una macchia di colore e d’attesa. Non so perché, però il corridoio silenzioso sembra annunciarmi segnalandomi una presenza, percepisco infatti spiccatamente l’essenza odorosa tipica di chi si è tolto di dosso l’affaticamento quotidiano sotto il potente zampillo dello spruzzatore: no, non voglio dire bugie, poiché so che il momento previsto dei colloqui si è ultimato, so perché è qui, giacché sfiora il mio braccio abbandonato sulla trapunta, scosta i capelli dal viso attendendo una mia naturale reazione. Io indugio gustandomi il suo sapiente tocco, la respirazione è costante ed equilibrata, eppure il battito del cuore spiffera divulgando la mia tangibile emozione, pulsando perseverante nel petto con la sua ritmica cadenza. Io mi volto borbottando non so che, tenuto conto che attualmente lui m’avvolge abbrancandomi per un fianco: è un massaggio quasi impalpabile, perché lo conduce celermente sotto la trapunta, in ultimo sotto la camicia da notte per scoprirne la mia inquieta tensione, la mia voglia di finta addormentata.

Io colgo distintamente il suo respiro mentre lui s’allunga accanto a me, so bene che dovrei ribellarmi e reagire, visto che lui infrange risoluto l’etica alterando e violando la mia volontà, eppure qualcosa brucia tra di noi surclassandoci e tutto questo mi consuma. Io posso scegliere, posso selezionare, posso abbandonarmi al suo corpo duro che comprime per scoperchiare il mio, oppure risvegliarmi di getto reclamando per quella bontà insultata e offesa. Voltarmi per bere il suo bacio, altrimenti aprire le labbra per opporre un deciso rifiuto per allontanarlo, denudare la sua pelle a poco a poco per cercare di coprire opportunamente le cosce che lui ha già accortamente risalito. Dovrei divertirmi o estraniarmi separandomi da quella lusinga suadente che mi disserra, inarcarmi all’adorazione della sua lingua sul mio petto o contorcermi per liberarmi, essere sulle spine e smaniare sotto la tormentosa discesa della sua bocca sul mio addome, o lottare infine perché non saccheggi ancora la mia intimità.

Lui si ferma per un istante, inabissa le pupille nel mio viso donandomi sennonché la decisione, la conclusione, nondimeno io non sono così esperta né valente nel gingillo del pentimento, perché è un passatempo con direttive e norme specifiche, talmente ardue per questo mio organismo brigante, che ha deciso prima della mia testa e che attualmente si rifugia imboscandosi nel groviglio del desiderio senza ritorno. Io sento il suo sorriso sopra di me un istante prima che la sua bocca copra la mia e che le sue mani spalanchino le mie gambe. Io lo avverto marcatamente pulsare, nel momento in cui scivola in me e intreccia le mani alle mie, prima d’iniziare un nuovo e penoso lento affondo, dopo un altro ancora, colmo della consapevolezza e della nozione d’aver sentito la mia voglia incondizionata sotto le dita.

Lui sennonché non mi lascia muovere, giacché quasi non sa che è precisamente quello che anelavo. Questo suo essere qui, sopra e dentro di me, dominando a ogni spinta la mia febbre, lasciandosi stringere dal mio calore, finché io mi sciolgo intorno a lui senza fine, oppure forse lo immaginava, per questo adesso si lascia cadere su di me come un audace e insolente gladiatore stanco, però vincente.

Io non riesco a muovermi e rimango lì tra il letto e il sogno, fino a quando le tende s’aprono e la luce del giorno mi riporta immediatamente in loco in modo spiccato il profumo inconfondibile e tipico del tè. 

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply