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Il Regno Oscuro – Capitolo 9

By 14 Novembre 2019Dicembre 16th, 2019No Comments

Annette tirò per l’ennesima volta il guinzaglio, senza nascondere un certo sadismo. Red urlò ancora di dolore. L’uomo aveva l’impressione che il pene e i testicoli si stessero per staccare da un momento all’altro. Aveva cercato di liberarsi, ma la corda che gli si stringeva in vita e attorno alle braccia era troppo resistente. Si guardò il pube, per guardare le condizioni del suo membro. Il suo cazzo era rosso e gonfio, grande come non lo aveva mai visto. La cappella sembrava voler scoppiare. La sacca dei testicoli era del medesimo colore e pulsava da impazzire. Ogni volta che Annette strattonava provava un dolore inumano. La stanchezza si era impadronita di lui, camminava da molto ormai e i pesi che le ragazze gli avevano legato addosso lo schiacciavano al suolo senza pietà. Intravedere poco lontano sul sentiero l’accampamento dei ribelli fu un’amara consolazione.

– Siamo arrivati – informò Clotilde.

Il gruppetto fu fermato all’ingresso da un paio di guerriere munite di lance e coperte da armature di cuoio. Una delle due in particolare attirava l’attenzione. Aveva il capo completamente rasato, eppure i suoi grandi occhi neri da gatta le donavano ancora una profonda femminilità.

– Clotilde – disse proprio costei – Le nostre esploratrici ti hanno vista arrivare. Chi porti con te?

– Ciao Zoe – rispose la stregona sorridendole – Porto una nuova ribelle, una donna fidata che si è unita alla nostra causa, e un brigante che ci ha attaccato per la via. Deve essere processato

Zoe sembrò scettica sull’ultima affermazione – Processo, già. Cunya la Saggia vi attende.

Annette tirò di nuovo il guinzaglio e si introdusse nell’accampamento con Clotilde. La donna di colore si guardò intorno, analizzando l’accampamento e chi lo abitava. C’era qualcosa di strano, ma non riuscì ad individuarlo subito. Osservando tra le numerose tende, tra coloro che si addestravano e chi faceva la ronda. Insieme a Clotilde si stava avviando verso una tenda rossa molto grande. Proprio alla stregona si rivolse quando finalmente capì cosa c’era di strano.

– Ma dove sono gli uomini?

– Non ci sono uomini tra i ribelli – rispose l’altra – Tutti gli uomini in forze e abili sono stati arruolati nell’esercito dell’impero. I pochi rimasti badano alle famiglie e ai campi o si danno al brigantaggio. Così le donne più forti si sono riunite per combattere l’Imperatore. Tuttavia abbiamo dei prigionieri, sono soldati imperiali che utilizziamo nel momento del bisogno, se capisci cosa intendo. Sono in una tenda il fondo al campo, la chiamiamo la stalla

Finalmente il gruppetto fece il proprio ingresso nella tenda rossa, che si rivelò essere quella in cui il capo dei ribelli concedeva udienza. Al loro ingresso si trovarono in mezzo ad un discreto numero di donne, abbastanza per riempire la tenda. Molte erano armate e si identificavano come guardie del capo.

In fondo alla tenda c’era un piccolo trono su cui sedeva Cunya la Saggia, il capo dei ribelli appunto. Era una donna tra i quaranta e i cinquanta anni, ma ancora piacente. Era completamente nuda, rivestita solo di una profonda arroganza che riversava attraverso i suoi gesti e i suoi sguardi. Il suo fisico era carnoso, non grasso. I seni erano delle grosse sfere di carne con ampi capezzoli marroni. Nonostante la loro incredibile stazza, erano sodi, alti e duri, sfidando qualsiasi legge fisica. La sua vita si stringeva appena per poi riallargarsi in due fianchi generosi. Il sedere era grande e carnoso, con una pelle liscia e curata, senza alcuna imperfezione. Aveva le cosce, anch’esse carnose al punto giusto, accavallate. Il piede sinistro era poggiato al suolo, dove un prigioniero era inginocchiato, leccandone il dorso e le dita. Il destro pendeva a mezz’aria, sorretto dalle mani di un altro prigioniero che le succhiava avidamente l’alluce, ricoprendolo di saliva. Il suo volto fiero era decisamente allungato, con un naso importante e due occhi castani dal taglio sottile. I capelli biondi erano lunghi e tirati indietro, aderenti al capo, come incollati da qualche sostanza particolare. L’acconciatura così particolare lasciava visibili due orecchie piccole e rotonde ai cui lobi pendevano due orecchini circolari molto ampi. Aveva un volto non propriamente bello, ma aveva quel qualcosa che non lascia indifferenti; quello sguardo da porca che piega la volontà di qualsiasi uomo.

Annette notò subito qualcosa di familiare in lei. La sua espressione interdetta fu prontamente notata da Clotilde.

– Hai notato la somiglianza? – domandò la stregona – È la madre di Anya. Escluso il colore dei capelli sono similissime. Stesso volto, stessa indole!

– Clotilde! – Cunya richiamò la stregona – Avvicinati tu insieme a coloro con cui ti accompagni

Subito ubbidì la ragazza, avvicinandosi al trono della Saggia. Si inchinò rapidamente e le consegnò la provetta col capello – Saggia Cunya, ho portato il capello di vergine! L’incantesimo può avere luogo.

Annette notò uno strano parallelismo tra quella tenda e la sala del trono dell’Imperatore. In particolare c’era uno strano rumore che le rendeva molto simili. Ogni volta che la gente taceva, l’unico suono udibile era il sommesso succhiare e leccare dei prigionieri. Il loro instancabile lavoro sottomesso, il loro infinito leccare i piedi alla donna sul trono. Eppure quella visione la riempì di una eccitazione di cui finì per vergognarsi. Distolse lo sguardo quando sentì il proprio sesso bagnarsi.

– Ma non vedo mia figlia con te. Vedo invece quella donna dalla pelle ebano e un lurido brigante

– Infatti Saggia Cunya. Tua figlia è al sud, col Barone Lorenzo Giulii. Stanno organizzando un esercito con cui attaccheranno la Capitale da sud. A noi il compito di attaccarla da nord, così da stringerla da due fuochi mentre l’incantesimo ha effetto. Il piano di tua figlia è quello di raddoppiare le proprie probabilità di distruggere l’Imperatore

– Ma lei è l’eletta – imbeccò Cunya a quelle parole – La sua vittoria è certezza

– Certo Saggia Cunya – proseguì Clotilde – La donna con cui mi accompagno è amica del Barone Lorenzo Giulii, e giunge qui per aiutarci. Il suo nome è Annette. Il brigante invece ci ha aggredite durante il cammino, ha ucciso il cavallo di Annette e ora attende un processo. Dice di chiamarsi Red

– Io mi chiamo Red – protestò il brigante che fu subito messo a tacere da un forte strappo di guinzaglio. La sala si riempì per un attimo delle urla di dolore dell’uomo.

– E quando dovremo attaccare? – domandò Cunya che non distoglieva lo sguardo dal pene rosso e gonfio oltre il naturale di Red.

– Domani – sentenziò Clotilde scatenando lo stupore generale – Saremmo dovuti giungere qui prima, ma purtroppo il brigante ha ucciso il nostro cavallo

– Domani è presto, ma ora è ancora mattina. Avremo tutto il giorno per prepararci. Anya avrà il nostro appoggio – la Saggia era sempre incredibilmente disponibile quando si parlava della figlia – Iniziate i preparativi dunque!

Alcune delle donne nella tenda si congedarono ed uscirono per organizzare l’esercito. Cunya spinse via il prigioniero che le leccava il piede destro, scavallando le gambe. Quindi la Saggia si alzò in piedi facendo cenno a Red di avvicinarsi. Annette lo condusse vicino alla donna e le passò il guinzaglio.

– Mi occuperò io di questo brigante – decretò la Saggia, muovendosi verso l’uscita della tenda, tirando Red per il guinzaglio.

Nessuno si oppose al capo dei ribelli. Cunya condusse il brigante verso la propria tenda personale. Al suo interno vi era un letto da campo molto basso ricoperto da lenzuola rossa e numerosi cuscini. Cunya tirò il guinzaglio fino al limitare del letto e vi si sdraiò. La Saggia allargò le cosce mostrando la sua vagina, grande e liscia. Le grandi labbra erano carnose ed invitanti.

– Leccami – ordinò la donna.

– Non voglio – si lamentò Red. Uno strattonamento del guinzaglio lo fece ululare di dolore. Piegato nella volontà, l’uomo si inginocchiò e chinò il capo tra le cosce di lei, iniziando a leccarla come ordinato. Iniziò a baciarle le grandi labbra, succhiandole e leccandole. Quindi risalì, a concentrarsi sul clitoride, succhiandoglielo con dedizione. Fu un’operazione che durò poco.

– Alzati – ordinò subito dopo la donna.

Red si rialzò in piedi, attendendo. Il suo pene era eretto, gonfio e rosso come non lo era mai stato. Era un cazzo di dimensioni notevoli in quel momento, e Cunya lo afferrò con decisione. Al contatto il brigante urlò di dolore. Sentirselo toccare lo fece avvampare di calore. Lo sentiva pulsare sotto la mano di lei, provando un dolore indescrivibile. Quindi la lingua di lei carezzò la cappella, gonfia e dura. Provò un misto di dolore e piacere intenso e violento. Quando finalmente Cunya lo prese in bocca non sapeva se soffriva o godeva. Iniziò a muovere la testa attorno al pene rapidamente, succhiandoglielo con grande esperienza. Red raggiunse l’orgasmo quasi subito, sentendo il piacere e il dolore mischiarsi. Eppure raggiunse il limite, ma l’orgasmo non esplose. Rimase semplicemente sull’orlo, a un istante dal piacere massimo, senza riuscire a venire davvero. Si rese subito conto che era colpa della corda, che gli stringeva il pene e i testicoli, impedendogli di far passare lo sperma.

Dolore, piacere, l’orgasmo ad un passo. Era una tortura insopportabile. L’unica cosa che desiderava era essere slegato e venirle in bocca, riempirla di seme. Quando pensò di non resistere più, Cunya si fermò e si voltò, mettendosi carponi sul letto, rivolgendo il grosso sedere verso l’uomo. Era così rotondo e grande, eppure liscio e morbido. Red non attese oltre e spinse il proprio cazzo in mezzo a quelle carnose natiche. Lo senti farsi spazio tra le grandi labbra e penetrare la sua vagina, calda e bagnata. Il dolore era insopportabile, e così il piacere irraggiungibile. Si sentiva allo stremo. Più aveva voglia di venire, più spingeva con le anche contro il grosso culo della donna. Più spingeva, più sentiva il dolore e il piacere crescere. Voleva solo esploderle dentro. Voleva solo godere finalmente. Il suo cazzo non era mai stato così gonfio, duro e dolorante. Sentiva lo sperma cercare di spingere fuori, di schizzare a litri, ma la corda lo bloccava.

– Basta! – urlò Red spingendo con sempre maggiore violenza sul culo di Cunya – Basta voglio venire ti supplico!!

Cunya era sorda alle sue suppliche. Si godeva il grosso e gonfio pene in mezzo alle cosce. Red lo sentiva avvolto in quella caverna di carne umida e bagnata. Si sentiva completamente coperto. Il contatto del suo cazzo contro la pelle di lei gli procurava un incredibile dolore, ma al contempo la sensazione continuava a farlo eccitare all’estremo. La sensazione che i suoi testicoli stessero per esplodere lo torturava. Voleva svuotarsi dentro di lei. Godere in lei. Invece no. Gli era negato. Dopo più di dieci minuti di spinte di anche violente, Cunya esplose in un orgasmo. Stringe la coperta tra le mani, gemendo rumorosamente, stringendo i muscoli delle cosce e della vagina intorno al pene dell’uomo. Questo causò una nuova fitta di dolore a Red.

– Ora fammi godere! Ti supplico – insisteva il brigante.

– Siamo solo all’inizio – gli rispose la Saggia spingendolo di schiena sul letto. Quindi gli si inginocchiò vicino e gli afferrò il pene eretto e gonfio. Il dolore tornò ad impossessarsi di Red, intrecciandosi col piacere. Cunya chinò la testa tra le sue gambe, iniziando a leccargli i testicoli. La sensazione inizialmente era quasi piacevole, il dolore era quasi trascurabile nonostante fossero arrossati e gonfi. Poi la donna iniziò a succhiarli con più forza, senza pietà. Red ebbe la sensazione che si stessero per staccare e urlò soffrendo. Quindi la Saggia salì a cavalcioni sul bacino dell’uomo, prendendo il cazzo dentro di sé. Iniziò a cavalcarlo, provocandogli ancora quella scarica di piacere e dolore che lo conduceva sull’orlo dell’orgasmo, un orgasmo che gli era negato da quella corda così stretta. Sentiva il piacere e lo sperma pronto a schizzare, ma incapace di uscire.

La donna andò avanti per ore, senza dare tregua al brigante che continuava ad implorare di smetterla, di farlo venire. Furono ore di inferno per lui, che continuava a desiderare di venirle dentro in tutta la potenza del suo orgasmo così a lungo rimandato. Sentiva le cosce di lei sbattergli sul bacino, senza sosta, insistentemente. Il piacere di Cunya si riversava su di lui, inumidendogli il linguine, bagnandolo dei suoi umori. La guardava agitarsi su di lui, sbattendo carne su carne. Era insaziabile e lui non ne poteva più. Era immobilizzato con quella donna che continuava a infilarsi il suo pene dentro di lei, dolorante e gonfio.

Alla fine, quando Cunya fu soddisfatta, si sollevò dal cazzo di Red e glielo prese in bocca. Con la sola lingua continuò a mantenere il piacere all’apice nel ragazzo, mentre con le mani iniziò a slacciare la corda. Improvvisamente Red sentì il piacere sbloccarsi e riversò di getto una quantità incredibile di sperma. La eiaculazione gli provocò un piacere doloroso. Sentiva chiaramente il suo sperma riversarsi dal buco del suo glande provocandogli godimento e sofferenza. Il suo cazzo era così infiammato, eppure quella liberazione fu enorme. Schizzò sul palato della donna tutto il suo seme.

Quando ebbe finito, Cunya si alzò e si lasciò scorrere lo sperma dalla bocca sulle mani. Se le massaggiò, spalmandosi bene il seme. Quindi passò le mani sui capelli acconciati all’indietro, spingendoli ancora di più, per meglio incollarli con lo sperma accumulato nei palmi.

Red la guardò e finalmente si spiegò come faceva a portare i capelli in quel modo, così tirati all’indietro. Un attimo dopo, tra il piacere e il dolore, svenne.

 

– Mio signore – Biscia si inchinò al cospetto del trono dell’Imperatore. Quest’ultimo aveva un’espressione svogliata e poco convinta. Probabilmente era colpa della nuova schiava del trono. Lo succhiava abbastanza bene, ma da più di un’ora non si impegnava più con passione. La schiava aveva il tubino di pelle nera avvolto intorno al sedere, ma lo stesso non era abbastanza lungo per coprirle anche il seno che penzolava ad ogni movimento.

Era lì da diverse ore, inginocchiata sul cuscino che un tempo era stato di Mikela. Tuttavia muoveva le sue mani in maniera impacciata sulla possente asta, affondando le labbra sulla cappella. La nuova schiava era ormai esausta, la mascella le doleva e la gola era secca. Lentamente aveva rallentato il ritmo e la sala del trono non era più riempita dai rumori di risucchio che normalmente venivano emessi dalla schiava.

– Dimmi Biscia – l’Imperatore le fece cenno di alzarsi e di avvicinarsi.

– Mio signore – ripeté il Generale alzandosi e rivolgendosi all’uomo sul trono in armatura brunita – Abbiamo notizie dal Sud. Alcuni soldati sono fuggiti da Suddia. Pare la città si sia ribellata e che domani gli uomini del sud e i ribelli del nord attaccheranno la Capitale, con l’obiettivo di ucciderti

L’Imperatore non sembrò turbato da quelle notizie. Lanciò un’occhiata glaciale alla schiava che subito cercò di impegnarsi di più nel suo lavoro.

– E qual è la buona notizia Biscia? Rallegrami

– La buona notizia è che il capello di vergine è inutilizzabile – annunciò il Generale con una luce maligna negli occhi da rettile – Un mio agente ha deflorato la vergine. Quindi i ribelli non potranno fare l’incantesimo e tu non perderai il tuo potere nemmeno per un secondo.

– Sapevo non mi avresti deluso – rispose l’Imperatore sorridendo – Tu sì che sei affidabile. Non come certi elementi alla mia corte.

Detto ciò l’uomo colpì la schiava con un ginocchio scostandola via – Portate via questa incompetente.

Due guardie si avvicinarono al trono e presero la schiava per le braccia.

– No mio Sire! No mio Imperatore! – urlò la schiava in preda al panico – Vi supplico! Posso fare meglio! Non riportatemi in cella! Posso succhiarlo meglio! Posso essere migliore!

Le sue urla caddero nel vuoto, l’uomo non si curò di lei, continuando a guardare il Generale Biscia.

– Io andrò a Sud, e affronterò quel traditore di Lorenzo con le tue truppe. Tu prenderai le tue truppe e muoverai a Nord, e affronterai i ribelli – l’Imperatore aveva un tono perentorio e deciso – Va a preparare le truppe Biscia, non deludermi.

Questa con un inchino si allontanò dal trono. Un attimo dopo fu Mikela ad avvicinarsi al sovrano. La responsabile delle prigioni tremava quasi. Il terrore le si leggeva nello sguardo e la paura le faceva mancare il respiro.

– Mio! mio Imperatore – disse inchinata davanti a quel trono. L’uomo non aveva più una schiava che gli succhiasse il membro, quindi quest’ultimo svettava alto e possente davanti a Mikela inchinata, oscillando leggermente. Il sovrano non la degnò nemmeno di una parola, ma con un gesto la intimò di farsi avanti.

– È sorto un problema mio Imperatore – disse Mikela alzandosi in piedi, al cospetto del trono – Mikael è scappato

– Tu stai cercando di dirmi che Mikael, che fu stregone di corte, ti è sfuggito sotto il naso? – chiese l’Imperatore con un’aria stranamente tranquilla.

– Si mio Signore – ammise Mikela, mentre sentiva le gambe cederle dal terrore.

Calò il silenzio nella sala. Durò fin troppo. La nuova responsabile delle prigioni avrebbe voluto morire piuttosto che rimanere al suo cospetto, attendendo il suo verdetto.

– È una grossa mancanza Mikela. Mi hai molto deluso

– È vero mio Signore. Ma ho anche fatto ottime cose da quando mi hai liberato

– Si, l’ho sentito dire! Ho sentito della grande cella, con le donne bloccate mani e caviglie al muro! E dell’anello di ferro in bocca! Ma è il caso di capire come questi provvedimenti siano stati accolti tra le schiave – disse l’Imperatore mentre i suoi occhi si illuminavano di quella luce che annichiliva e gelava chiunque la vedesse.

– In… in che senso mio Signore? – domandò Mikela, temendo già la risposta.

– Nel senso che è il caso che tu sappia cosa pensano coloro che furono tue compagne di cella del tuo nuovo sistema di schiavitù – a queste parole due guardie si affiancarono alla donna e la bloccarono per le braccia, tenendola stretta. Mikela cercò di divincolarsi, ma solo per alcuni attimi, giusto il tempo di rendersi conto che era inutile ribellarsi.

– Portate Mikela nella grande cella, legatela al muro come tutte le altre schiave, con tanto di anello di ferro in bocca – sentenziò l’Imperatore sorridendo – Poi slegate le sue compagne e lasciatele tutte nella stessa cella. Così sapremo cosa pensano quelle schiave del nuovo sistema

Tutti gli occupanti della sala risero alla punizione decisa dal sovrano. Tutti ne colsero l’ironia, facendo commenti divertiti su ciò che sarebbe accaduto a Mikela. L’unica a non cogliere l’ironia, fu proprio Mikela, che iniziò a urlare disperata – No mio Sire no! Non questo! Non questo!

Tutte le urla furono inutili. Mentre un altro individuo si avvicinava al trono per chiedere udienza, Mikela fu trascinata via dalla sala, verso le grandi scale di pietra che scendevano verso le prigioni. I soldati non furono delicati con lei, la strattonavano ogni volta che la ragazza rallentava e, una volta giunti alle prigioni, la denudarono. Quando la introdussero nella grande cella, le altre schiave iniziarono a mugugnare qualcosa di non comprensibile, bloccate da quegli anelli di ferro. Le ammanettarono i polsi al muro e ognuno di loro le afferrò una caviglia. La sollevarono fino a piegarla su sé stessa, con le cosce ben aperte, incatenandola in quella terribile posizione. Mikela continuava ad urlare disperata, implorando pietà, facendo proposte oscene e indecenti alle guardie pur di scampare al supplizio. I soldati sembrarono ridere della cosa e, senza pietà, le bloccarono la bocca con l’anello di ferro.

– Vuoi vedere una cosa divertente? – domandò uno dei due afferrandosi il pene, lasciato nudo dall’armatura imperiale. Era teso ed eretto. L’asta era percorsa da alcune vene in rilievo che terminavano in una cappella molto larga e arrotondata. Il soldato puntò il membro verso la bocca di Mikela. L’anello era abbastanza largo da contenerlo, e l’uomo lo spinse al suo interno. La donna sentì il glande spingerli sulla lingua, poi fino al palato. Chiuse gli occhi impotente e immobilizzata, mentre subiva il primo di quelli che sapeva sarebbero stati tanti abusi.

– Cretino finiscila – disse ridendo la seconda guardia avvicinandosi ad una schiava – Sleghiamo queste, che ci divertiamo di più.

I due tolsero le catene a tutte le altre schiave, liberandole dall’anello in bocca, per poi uscire dalla cella e chiuderla alle loro spalle. Rimasero poi lì, a godersi lo spettacolo che non tardò ad arrivare. Le schiave infatti impiegarono davvero poco tempo per riprendersi dall’infinito supplizio subito. Sembrarono rinvigorite vedendo la donna che le aveva ridotte in quello stato, costretta a sua volta. Era insieme a loro, in quella cella, pronta a subire qualsiasi cosa loro avessero voluto. A Mikela era bastato essere liberata per dimenticare quello che aveva subito dai suoi aguzzini e schierarsi con loro. Adesso era il loro turno di vendicarsi e fargliele scontare tutte. La prima schiava si alzò lentamente in piedi e le si avvicinò. La guardò. Mikela si sentiva così indifesa, esposta a qualsiasi cosa, nuda e legata in quel modo. La schiava senza nemmeno parlare le sputò in faccia. La saliva si depositò poco sotto l’occhio e lentamente scese lungo la guancia, fino al mento. Era una sensazione orrenda e umiliante. Ma era solo l’inizio. Alcuni attimi dopo un’altra schiava si mosse in sua direzione.

– Ti piace la fontanella? – disse la schiava con rabbia disperata – Ora te la faccio vedere da vicino

Detto ciò protese il bacino verso il volto di Mikela, allargando le labbra del sesso con le dita. Un attimo dopo uno zampillo di urina iniziò a scorrere sulla faccia della donna incatenata. Sentì il liquido caldo sfiorarle la pelle, mischiarsi con la saliva, scorrerle nella bocca tenuta spalancata dall’anello. Sentì il sapore sulla lingua mentre il liquido si riversava sul suo mento, colandole sul petto fino in mezzo alle sue cosce, nei suoi punti più intimi. Le guardie ridevano sguaiate a quella visione, insieme alle altre schiave.

Un’altra schiava le si avvicinò, chinandosi verso di lei. Senza dirle una parola le infilò tre dita nella figa, con forza e senza alcuna delicatezza. Mikela trasalì a quella intrusione così violenta. Poi la schiava cercò di inserire anche le altre due dita della mano. La sensazione di qualcuno che le si agitava dentro, cercando di violarla ancora di più, di allargarla ancora di più, totalmente asciutta, invase Mikela così legata ed esposta, incapace di opporsi e di coprirsi. Incapace di nascondere la propria vergogna o almeno il proprio volto. Sentiva gli occhi di tutti addosso, costretta a subire e a farsi vedere. La donna spingeva sempre di più, ma la mano sembrava non volerne sapere di entrare tutta. Mikela sentiva il continuo tentativo di violarla, sentiva la mano che spingeva con forza, senza sosta. Malgrado il dolore, sentiva la sua vagina bagnarsi, secernere umori e inumidire la mano della schiava. Non voleva, non avrebbe voluto, non riusciva a controllarsi. Più si bagnava e più la schiava riusciva ad entrarle dentro. Più le entrava dentro e più si bagnava. Alla fine la mano le entrò totalmente dentro con un ultimo forte colpo di braccio. Un mugugnò le morì in gola mentre il bruciore le invadeva il sesso violato. La schiava subito dopo chiuse la mano a pugno, così da renderla ancora più larga e spessa, e iniziò a tirare, come a volerla fare uscire. Se la mano chiusa stretta aveva avuto non pochi problemi ad entrare, quel pugno non ne voleva proprio sapere di uscire. La schiava tirava con forza, ben conscia che non sarebbe riuscita ad estrarre la mano, e subito dopo respingeva dentro, agitando Mikela incatenata al muro. Tale era la foga, che questa iniziò a sbattere con la schiena sul muro ogni volta che la schiava le respingeva la mano dentro. Eppure la sua vagina continuava a bagnarsi, a secernere umori che grondavano dal suo buco, scorrendo nel solco tra le natiche e gocciolando al suolo. Le guardie ancora ridevano e incitavano le schiave nei loro abusi. Un’altra schiava iniziò a farle il solletico sotto i piedi. Mikela iniziò a ridere, mentre veniva sbattuta con violenza contro il muro dal pugno infilato nel suo sesso. Cercava di liberarsi, dimenando le gambe incatenate, ma era tutto inutile. Sentì il respiro mancarle per diversi secondi, prima che la schiava finalmente decidesse di fermarsi. Ebbe un attimo di sollievo. Poi la donna che prima le aveva fatto il solletico si era ora abbassata, affiancandosi a quella che teneva un pugno dentro di lei. La schiava le infilò un dito nell’ano, mentre l’altra rallentava il ritmo con cui si dimenava nella figa di Mikela. Quest’ultima ebbe il terribile presentimento che stesse per accaderle qualcosa di ancora peggiore.

Le dita nell’ano divennero ben presto due. Pochi secondi e già il terzo dito spingeva per entrare. La schiava sputò diverse volte tra le proprie dita e il buchetto, per lubrificare al meglio l’ingresso. Dovette fare molta forza per riuscire a violarla. Una volta infilate tre dita, iniziò a spingere fino ad infilarle totalmente all’interno di Mikela, fino alle nocche. Poi iniziò a spingere con anche le altre due dita rimanenti, per infilarle dentro l’intera mano. Mikela pensava che non sarebbe mai riuscita a contenere una mano anche nel suo culo, ma anche in questo caso dovette ricredersi.

Sentirsi così vulnerabile, indifesa, soggetta a qualsiasi abuso era già di per sé una sensazione agghiacciante. Subire anche questi abusi fu tremendo. Cercava di liberarsi, ma la mano che frugava nella sua vagina la teneva immobile. I piccoli movimenti che riusciva a compiere facendo forza sulle caviglie incatenate, in realtà non facevano altro che aiutare la penetrazione anale. Questa volta ci volle molto più tempo. Mentre la seconda schiava spingeva per far entrare la sua mano nell’ano, la prima tirava il proprio pugno per aiutarla, tenendola ferma.

Alla fine anche il suo sedere fu violato con un’intera mano. Si sentiva riempita oltre il possibile. Si sentiva allargata, oltre il possibile. Per un istante una scossa di dolore le percorse la schiena per tutta la colonna vertebrale. Poi la donna chiuse anche la sua mano come un pugno, e le due schiave iniziarono a spingere e tirare con forza. Mentre la mano di una tirava la sua vagina, l’altra spingeva nel suo ano. La sensazione di essere dilaniata e le risate delle guardie non la abbandonarono nemmeno per un istante. Le sembrava che le sue interiora stessero per ribaltarsi ed uscirle fuori insieme a quei pugni. Le faceva male e non poteva urlare o muoversi. Non poteva fare nulla. Poi sentì qualcosa di umido entrarle in bocca. Aprì gli occhi e vide un’altra schiava che le sputava in bocca. Sentì il sapore di quella saliva sulla propria lingua, che si mischiava con l’urina ancora rimasta, incapace di far uscire quelle sostanze. Non potendo nascondere il suo volto da quell’umiliazione o sottrarre il suo corpo dai quegli abusi, chiuse gli occhi con forza, illudendosi che questo la allontanasse da quel posto e la nascondesse dagli sguardi divertiti delle sue aguzzine.

– Ti è piaciuto farci soffrire puttana? – le domandò in un orecchio un’altra schiava – Vedrai ti piacerà anche questo, siamo solo all’inizio

 

Suddia era in fermento quella sera. Il giorno dopo il popolo sarebbe sceso in battaglia. Dopo i doverosi preparativi durati tutta la giornata, la gente si concedeva di festeggiare quella che, per molti, sarebbe stata l’ultima notte. Per le strade l’euforia e l’eccitazione erano palpabili. Anche Anya e Lorenzo si erano uniti ai festeggiamenti. Giravano per le strade con una donna, Giulia, a far loro da guida. Era una giovane donna, bionda e solare. Indossava uno stretto corpetto che le strizzava il seno e snelliva ancora di più la stretta vita. Una striminzita gonnellina non era sufficiente nemmeno a coprirle totalmente il sedere, lasciando scoperte le rotonde natiche. Il suo sedere liscio campeggiava su un paio di lunghe cosce. Era molto passionale e spigliata, come tutte le donne di Suddia, ma appariva particolarmente languida nei confronti del Barone.

– Tu e il Re siete una coppia? – aveva chiesto ad Anya. Quest’ultima odiava il modo in cui lo guardava, il modo in cui si strusciava addosso e gli sfiorava il cavallo dei pantaloni. Eppure quando le aveva fatto questa domanda non aveva saputo cosa risponderle. Le aveva dovuto dire no. Giulia continuava a chiamarlo Re, e si vedeva chiaramente che lo voleva per sé. La odiava.

La donna del sud condusse il Re e l’Eletta alla – Fontana Bianca, una grande locanda che si affacciava sulla piazza del mercato. Giulia camminava lungo la strada diretto alla locanda, anticipando i due. Non perdeva occasione per calarsi, mostrando le sue nudità, il suo sedere sodo e il suo sesso ben scoperto. Sorrideva al Re e gli lanciava occhiolini leccandosi le labbra, succhiandosi l’indice per poi sfiorarsi le grandi labbra. Anya non ne poteva più di quelle che ormai erano ben più che allusioni.

Quando il terzetto entrò nella locanda, si ritrovarono in uno stanzone vasto e affollato. In fondo vi era un lungo bancone e tutto intorno vi erano tavolate e panche su cui sedevano numerosi avventori. Uomini e donne facevano sesso tra loro in maniera disinibita, senza troppi problemi. Una ragazza era stesa su di una panca mentre un uomo la scopava e altri due si alternavano nella sua bocca. Dietro il bancone vi era una prosperosa donnona con i poderosi seni scoperti che serviva boccali di birra. Ma ciò che caratterizzava davvero la locanda era una grossa vasca circolare al centro della sala. Era alta fino a metà coscia e larga abbastanza per contenere un uomo steso. Al suo interno era piena di una sostanza biancastra. Anya non riuscì a capire subito di cosa si trattava. Poi vide un uomo vicino alla vasca. Una ragazza gli era inginocchiata davanti e glielo stava succhiando con passione. Un attimo dopo l’uomo si voltò verso la vasca, svuotando il proprio piacere nella vasca stessa. Lo sperma si riversò nell’enorme contenitore, colmo oltre la metà, mescolandosi col seme di numerosi altri uomini. Un’altra ragazza si affacciò sulla vasca, sputandovi dentro tutto lo sperma che le era stato riversato in bocca. Infine un uomo si avvicinò, massaggiandosi l’asta, e schizzò il proprio liquido bianco.

Giulia guidò i due verso un tavolo su cui due ragazzi si stavano alternando inculando una donna più matura. La donna li incitava con frasi oscene, godendosi i loro membri duri e giovani, ma appena vide il Re gli offrì il proprio ano e la propria vagina con devozione. Lorenzo rifiutò cortesemente e la donna andò a farsi sodomizzare altrove. Giulia ordinò tre pinte di birra con un gesto in direzione del bancone e poi si rivolse al suo Re, seduto tra lei e Anya.

– Mio Re – disse carezzandogli una coscia – Devi divertirti anche tu questa notte. Sbottona i tuoi calzoni e lascia che io ti soddisfi con le mie labbra

– Semmai – intervenne subito Anya mettendo una mano sul gonfio cavallo dell’uomo – Sarò io a soddisfarlo

– Quanto sei ingorda ed egoista! Il Re ha due cazzi, può farselo succhiare da entrambe. Tu non sei la sua donna

L’eletta la guardò con aria di sfida a quelle parole, mentre Lorenzo sembrava molto divertito dalla scena. Non commentava, a braccia conserte ascoltava lo scambio tra le due. Quando l’ostessa portò le birre al tavolo si prodigò in un profondo inchino che accentuò ancora di più la grandezza del suo poderoso seno.

– Mio Signore, le tue donne sono uno splendore – disse lei ingenuamente – Lascia che queste birre te le offra la casa

– Ti ringrazio, ma non sono le mie donne – rispose Lorenzo afferrando un boccale e già traendone un ampio sorso – Io ne desidero solo una

– E quale di noi desideri? – chiese speranzosa Giulia.

– Che domande – rimbeccò Anya – Sono io la sua donna

– In realtà – disse finalmente il Re alternando lo sguardo su entrambe – vorrei fossero loro a decidere

Anya colse l’espressione sul volto di Lorenzo, era l’espressione che aveva quando provava a sottometterla. Voleva vederla contenderselo con un’altra, umiliarsi così pur di averlo tutto per se. Non aveva intenzione di dargli questa soddisfazione, ma poi l’ostessa subito intervenne.

– Allora si farà come i vecchi tempi! urlò attirando l’attenzione di tutti i presenti – Una gara di bevute!

L’eletta voleva tirarsi indietro, non aveva intenzione di abbassarsi a ciò, ma lo sguardo determinato sul volto di Giulia le fece cambiare idea. Doveva darle una lezione.

– E sia – acconsentì mentre uno sguattero portava due boccali vuoti sul tavolo – Io reggo molto bene

– Ma forse hai frainteso – disse Giulia ridendo – Non berremo mica alcol

La folla nella locanda iniziò ad accalcarsi al loro tavolo. Qualcuno urlava, qualcuno scommetteva. Tutti le guardavano impazienti. L’ostessa prese i due boccali e si avviò al centro della sala. Li immerse senza problemi nella vasca e li riportò al tavolo traboccanti di sperma, poggiandoli davanti alle ragazze.

Giulia senza aggiungere una parola afferrò il boccale e iniziò a berlo golosamente. Anya sapeva che avrebbe potuto batterla. Di recente aveva dovuto bere tantissimo sperma e aveva imparato anche a gradirlo. A sua volta afferrò il boccale e lo portò alle labbra. La prima sorsata fu abbastanza traumatica. Era abituata al seme di Lorenzo, quello era il seme di migliaia di uomini, tutto mischiato. Era un liquido con diverse consistenze e diversi sapori, se li sentì tutti esplodere sulla lingua. Lanciò uno sguardo intorno a se, chissà quanti di quegli uomini avevano contribuito al suo boccale. Chissà quanti e quali di loro stava bevendo. Molti la incitavano a bere, molti altri incitavano la sua avversaria che ormai aveva già bevuto metà boccale. Diventava sempre più difficile buttare giù quel liquido così denso, ma almeno avrebbe tenuto a bada il veleno nel suo corpo. Sentiva la consistenza cambiare di tanto in tanto sul suo palato, e così il sapore. Talvolta lo tollerava, talvolta le piaceva, talvolta era disgustoso, talvolta si scoprì a considerarlo squisito.

Mentre ancora beveva, vide Giulia terminare il suo boccale e poggiarlo sul tavolo. Aveva un’aria tranquilla e soddisfatta. Da un angolo delle labbra le colava una goccia di sperma che prontamente raccolse con un indice.

– Ho ancora tanta sete io – disse verso l’eletta portandosi alle labbra l’indice e succhiandolo.

La ragazza del sud aveva molti sostenitori, ma anche Anya si era ritrovata con una schiera di tifosi che la incitavano a bere quanto più possibile. Alla fine riuscì anch’ella a finire la sua bevuta. L’ostessa afferrò subito i due boccali e tornò alla vasca, dove li riempì una seconda volta. Giulia senza scomporsi afferrò nuovamente il proprio e tornò a berlo ad ampie sorsate, con golosità e desiderio. Anya deglutì. Aveva la bocca impastata ed ogni volta che la apriva sentiva filamenti di sperma penderle nel palato e tra le labbra. Guardò Lorenzo per lunghi secondi, notando un rigonfiamento mostruoso al suo cavallo. Si fece coraggio ed afferrò anche il secondo boccale. Iniziò a berlo mentre nuovamente quella bolgia di sapori e consistenze si riversava sulla sua lingua. Improvvisamente pensò a tutti gli uomini che stava bevendo. Immaginò di essere stata lei stessa, boccale alla mano, ad elemosinare lo sperma da ognuno di loro, fino a riempirlo del tutto. Si immaginò leccarli e succhiarli fino a farli venire e riversare il loro seme dentro il boccale. Se li immaginò tutti in fila, in attesa della sua bocca. Quindi pensò a sé stessa che beveva il loro sperma, in mezzo a loro, incitata dalle loro urla. L’idea la eccitò notevolmente. Era come se tanti uomini, centinaia, le stessero schizzando in bocca, tutti insieme. Sentì il suo sesso bagnarsi e inumidire la panca su cui era seduta. Quell’eccitazione le diede un nuovo stimolo per bere. Ora aveva sete di quel nettare, lo desiderava e lo trangugiava senza indugio. Questa volta le due ragazze finirono insieme il loro boccale. I sostenitori di Anya esplosero di gioia a vederla più convinta e decisa nella sfida. Molti degli uomini che le guardavano si masturbavano eccitati dalla scena. Qualcuno di loro non resisteva e lo infilava in mezzo alle cosce di qualche ragazza chinatasi troppo in avanti.

L’ostessa riempì nuovamente i boccali, immergendoli nella vasca. Erano ormai a tre. Giulia non sembrava più così spavalda mentre osservava il terzo carico di sperma. Anya invece lo afferrò e iniziò subito a berlo. Questa volta era lei a gustarselo piacevolmente. Con una mano si portava alle labbra la bevanda, con l’altra si massaggiava il clitoride, con gli occhi chiusi, immaginando tutti gli uomini che le venivano in bocca uno dopo l’altro, a ripetizione e senza sosta, senza darle tregua. Era bagnatissima e l’eccitazione continuava a salire. Improvvisamente qualcosa di umido le colpì una guancia. Qualcuno si stava masturbando vicino loro e non era riuscito a sostenere l’eccitazione, schizzando un lungo fiotto di sperma che era arrivato a colpirla in volto. La folla aveva riso continuando ad incitarla. Lei si era eccitata di più, sentire lo sperma colarle sul volto fino al mento dava ancora più profondità alla sua fantasia. In breve aveva trangugiato di nuovo tutto il seme. Guardò il boccale, era davvero grande e lei lo aveva svuotato già tre volte. Si passò il palmo della mano sulla guancia, raccogliendo lo sperma schizzatole in faccia e lo leccò scatenando le urla di approvazione della folla. Giulia dal canto suo impiegò più tempo per finire il boccale, poggiandolo vuoto sul tavolo, ma davvero sfinita.

L’ostessa afferrò nuovamente i boccali e li andò a riempire per la quarta volta. Anya glielo strappò di mano, senza nemmeno aspettare che lo posasse sul tavolo. Vedeva Giulia sfinita e voleva darle il colpo di grazia. Sempre toccandosi proseguì a bere, ad ingurgitare lo sperma di altri cento uomini, immaginando le loro facce mentre le venivano in bocca. Giulia afferrò il suo di malavoglia e iniziò a bere a piccoli sorsi incerti. Quando Anya finì il suo, la sua avversaria non era nemmeno arrivata a metà. Molti la incitavano, ma la ragazza del sud era allo stremo. Il boato esplose quando finalmente poggiò il boccale sul tavolo e si arrese.

Anya non attese oltre e salì in piedi sul tavolo, ricevendo l’ovazione degli spettatori che la acclamavano a gran voce. Giulia si era rabbuiata e guardava la sua rivale godersi la vittoria.

L’eletta sancì il proprio trionfo ponendosi a quattro zampe sul tavolo, rivolgendo il sesso nudo verso Lorenzo. Questo slacciò i calzoni mostrando i due peni eretti e durissimi. Quello inferiore era bagnato in punta e una gocciolina si distaccò, impattando sul tavolo. Salì sul desco con le ginocchia e, incitato dalla folla, infilò i suoi cazzi nella vagina e nell’ano di Anya.

La afferrò per i fianchi, poco sopra la curva del sedere, per aumentare la rapidità dei movimenti. L’eletta per tutto il tempo guardò Giulia, godendosi la doppia penetrazione. La ragazza del sud ricambiava lo sguardo in maniera arcigna. La folla incitava il proprio Re ad andare più forte, e questi la accontentava.

Quando Anya sentì i peni pulsarle dentro, si tolse e indirizzò le cappelle verso Giulia, muovendo le mani lungo le aste umide. Quest’ultima non si sottrasse mentre il Re le schizzava in volto tutto il suo piacere. Si infilò una mano tra le gambe, toccandosi il sesso che iniziava a bagnarsi. Essere così usata dal suo Re le provocò una vampata di piacere. Si leccò le labbra su cui lo sperma continuava a riversarsi. Sentiva il volto completamente ricoperto e diverse gocce colarle lungo il collo. Guardò Anya con gratitudine. L’eletta le sputò in volto, mischiando sperma e saliva sulla faccia di Giulia.

– Non prenderci gusto puttana – disse infine.

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