Skip to main content
Erotici Racconti

Incombenza e spossatezza

By 30 Settembre 2017Febbraio 5th, 2023No Comments

L’esaurimento e la stanchezza invadono rapidamente la mia pelle usurpandone ogni centimetro, tagliandone il respiro, spegnendone il controllo e disorientando in modo marcato la veglia scombussolandomi per bene. Io scivolo nella memoria anche se mio malgrado non voglia, perché biasimo e disapprovo quando questo accade, per il fatto che ho impiegato lunghi e dolorosi anni per assimilare e imparare come bloccare quest’evento, impedendogli che scoppiasse in modo occasionale. Per questo motivo io talvolta mi detesto, intuisco e capto l’odio che provo per me stessa nel frugarmi e nello scavarmi nello stomaco, quella me stessa d’allora per l’appunto, per libera scelta, eppure attaccabile, incustodita e indifesa, così come me stessa, che oggigiorno non riesco ad andare oltre la clemenza incorporea, il perdono astratto, perché voglio amarmi: sì, cazzo, perché ho scelto di farlo dal momento che mi sono costruita il rispetto di me stessa, la fiducia, gradualmente altrettanto l’amore pezzo per pezzo per di più da sola. 

Amarmi e perdonarmi sono effettivamente parti del discorso, verbi sensati, le immagini moltiplicate allo specchio con l’unica variabile possibile dell’amore forse per sempre, in fondo me le ero anche augurate e persino sperate, poi mi sono intestardita diventando ostinata con la mia quotidiana tenace volontà d’avere tutto, sì, anche quello, la cosa più pericolosa in ogni senso per me, quella di madre: cazzo, che cosa c’entra con me un figlio? Io che non conosco nulla dell’amore, se non quello fatto come vizio solitario da sé, io che poi ho scoperto che ero pure brava, che quell’essere era innocente e dunque io potevo lavarmi dalla colpa di non essermi educata per smettere d’amare quell’altro maschio? Quello lì, innocente invero non era per nulla, dato che aveva accoppato liquidando per sempre la ragazzina che era in me, con la mia partecipazione benevola verso altri ingenui e smaliziati individui, perché nulla accade e niente si verifica per caso, nemmeno il dolore, ancora una volta in questo fastidioso, sgradevole e inutile periodo dell’anno che sto attraversando.

Lo so, che è il prezzo, la parte piccolissima del compenso, eppure per me è la più ardua, faticosa e ostica. Io vorrei guardare tutti con gli occhi da bimbo del cucciolo d’un uomo che m’abbraccia stretta ogni sera, malgrado ciò con tutta la buona volontà non ci riesco. Non me lo ricordo per niente d’aver mai guardato il mondo con qualcosa di diverso, dal sospetto del dolore o dall’indifferenza difensiva, giacché non riesco a ricordarlo, però non adesso. Che dire della stanchezza? Sì, sto scrivendo per non ferirmi e per colpire a sangue l’altro maschio, l’unico che io abbia amato dopo il cucciolo d’uomo. Non so se a dispetto delle parole riversate sulla tastiera riuscirò a non farlo, ugualmente ci proverò, anche se onestamente è tutto quello che farò adesso, poiché il dolore m’ha notevolmente irrigidito intorpidendomi la schiena. 

Sento le tempie martellare, per il fatto che sembra come se fossi ancora lì con il corpo e al tempo stesso in un altro mentalmente per lasciarlo inasprire senza sentirlo, mi sono persino elevata la soglia del dolore da sola meravigliandomi con me stessa. Lo fermo, esco dal buco nero del ricordo, però difficilmente riesco a fare pure questo in modo casuale, in quanto entro ed esco. Ogni volta sono più sfiancata e snervata, metto insieme un minimo di sorriso per il piccolo uomo e la sua lettera per le grandi occasioni delle feste, perché c’è sempre una ragione. Io non volevo amare ancora, non un uomo adulto, ciononostante sapevo d’averne carnalmente bisogno, eppure dovevo chiudere il cerchio ammesso che uno dei due sopravviva per questa chiusura che ha la forza d’una trappola piena di sangue non innocente, certo, ma sempre sangue, precisamente plasma e non lacrime.

Io le disprezzo queste lacrime che m’appannano anche la vista, le irrido e le snobbo, eppure nello stesso momento le benedico, perché vorrei che fossero lacrime di perdono, perché so che hanno il sapore della rabbia e dello sdegno, poiché non riesco a essere irremovibile né ostinata con me stessa, non in questo giro.

L’amore per quest’uomo, che è il lato genuino e innocente della mia anima, peraltro smarrita e spaventata, mi rende sennonché debole verso me stessa, perché io odio la compiacenza e il piacere, ho l’astio per l’ironia e per la derisione, visto che non sono mai magnanimi e tolleranti. Io ho bisogno di fare male, ho bisogno di fare l’amore, a lui e con lui. 

Forse quest’aspetto basterà ad addolcire e a lenire in ultimo accontentando il dolore. Verosimilmente stavolta basterà di certo. 

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply