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Erotici Racconti

Indole innaturale

By 22 Ottobre 2018Febbraio 11th, 2023No Comments

Mi ricordo ancora che quand’ero una fanciulla, vagheggiavo sovente di potermi appropriare d’un paio di calzature con la punta colorate di rosso, attualmente ci ripenso, giacché repentinamente strizzo gli occhi per difendermi dai lampi di luce che m’aggrediscono attaccandomi da ogni lato dello stanzone. Ammetto e riconosco che non sapevo danzare, eppure bramavo meramente d’averle, per potermele serenamente contemplare, magari qualche volta indossarle, quando nessuno poteva controllarmi.

Fin dai primi mesi, in cui avevo frequentato infatti il collegio di danza, mi fu subito chiaro e comprensibile che non ero predisposta per la danza, in quanto ero tangibilmente impacciata e inelegante, chiaramente insicura e rozza come un ridicolo e bruttino anatroccolo peraltro ben rappresentato nelle fiabe di Andersen: sebbene i continui incoraggiamenti di mia mamma, assieme a i suoi appropriati stimoli e ai ripetuti sproni che mi dispensava, avvolta dentro quel chiaro gonnellino di tulle, io mi muovevo immancabilmente come un pezzo di legno, risultando assai imbranata, maldestra e scoordinata. A dispetto della lampante inattitudine alla danza, però non rinunciai subito: io avevo un obiettivo da raggiungere, dovevo arrivare a indossare quelle meravigliose e sorprendenti scarpette rosse, che avevo notato nella vetrina del negozio d’articoli per la danza del mio quartiere. Seppur insistendo, in modo malaccorto, furono sennonché i primi dolorosi esercizi e le infelici ripetizioni per la spaccata a convincermi e in conclusione a indurmi che dovevo arrendermi, se non volevo finire fracassata e lacerata seriosamente ritrovandomi ben presto ricoverata nel pronto soccorso di qualche ospedale, perché dal quel momento i miei schivi avvertimenti per i regali di compleanno restarono trascurati del tutto:

“Dimmi un po’, che cosa te ne fai delle scarpette con la punta, se non sai danzare e se non hai le capacità adeguate?” – replicava mia mamma di frequente, in maniera concreta, ferrata e deduttiva come sempre qual era. 

“Sì, certo mamma, però sono talmente belle che vorrei averle con me” – ribattevo io ostinandomi e perseverando fragilmente alla sua precisa predica.

In conclusione rinunciai all’istante, sicché la ragazzina curiosa, deludente e inadeguata qual ero, prese celermente la prevalenza e cominciai a pensarla come mia madre, forgiata forse in maniera forzata e innaturale dalla sua imperterrita, tenace e risoluta indole. In fondo, a cosa realmente mi servivano un paio di scarpette con la punta glabra di colore rosso? Crescendo, diventando grande, non ho certo assimilato né recepito delle mosse da ballerina, tuttavia mi sento più affrancata e snodata nei movimenti, perché suppongo di dovere il merito di questa sicurezza alla scoperta tardiva del sesso. Tra le mani dei miei amanti, del tutto rilassata, mi svincolo snodandomi come la cera bollente e inarco il mio corpo fino a quel momento dritto come un fusto, per l’occorrenza non mi servono di certo allenamenti né pratiche specifiche per poter svolgere la spaccata per divaricare bene le gambe, loro si muovono da sole, autonome e libere, quando sanno che possono accogliere lingua, mani e cazzo. Io non ho il senso innato del ritmo, malgrado ciò so disciplinarmi e regolarmi bene quando avverto precisamente i gemiti dei miei amanti e il fragore del loro ventre quando si schiaccia contro il mio, non da meno i piagnucolii appassionati e vivaci dell’acme del piacere quando sopraggiunge per entrambi.

Io sono diventata gradualmente un’esperta intenditrice e una valente allieva, ascolto le richieste e mi lascio guidare fino al visibilio, concludendo la danza dei corpi con il rullo di tamburi che mi batte nel petto, dal momento che non possedendo le scarpette rosse mi sento appagata e felice, molto più che esaudita. Anche in questo momento, con il sudore e le lacrime che scorrono libere sul mio volto, mi sento soddisfatta, i braccialetti di metallo m’impediscono di ripulirmi la cute al meglio, in tal modo le lascio scorrere insieme al mascara sciolto che mi disegna righe nere sulle guance.

Lui manifestava e ribadiva che le mie lacrime abbozzavano arcobaleni nel suo cuore, perché quest’iride è nera, perché stavolta al suo cuore non arriverà mai. Io l’ho accolto amandolo svisceratamente fin dal primo istante, con quell’aria schiva e sfuggente, i suoi grandi occhi scuri e penetranti hanno fatto subito breccia nel mio cuore, giacché sono capitolata del tutto, quando ho scoperto che i suoi silenzi nascondevano un’anima tangibilmente intelligente, casta e inibita, ma tanto apprezzabile, sensibile e sostanziosa. Io adoravo enormemente leggere le sue poesie, sempre accompagnate da musica dolcissima o allegra e mi sembrava di poter danzare per davvero, impalpabile come una nuvola, proprio io il faceto e ridicolo anatroccolo d’altri tempi.

Parecchie volte lo ripetevo verso me stessa, sì, lui ha scelto me, anche solamente per una notte volteggiando per la stanza abbracciata a un guanciale, facendo piroette come una trottola, per la gioia d’udire in definitiva un suo semplice quanto franco e genuino buongiorno. Che astruso e bislacco concetto, se ci ripenso mi gira la testa anche adesso che sono ferma, statica su quest’incomoda cassapanca, in attesa che mi dicano che cosa devo fare. Perché nessuno ti spiega mai che cosa devi svolgere esattamente? Quando hai un problema, quando ti capita qualcosa, che non ti era mai successo, e hai bisogno d’essere guidata, quando t’accade qualcosa che ti è piombato mille volte e non vuoi ripetere di nuovo lo stesso errore.

Quando a rilento le sue telefonate si diradano e cominci a svegliarti senza il suo buongiorno, ad andare a letto senza la sua buonanotte, tu sai e comprendi che si sta allontanando, ma nessuno sa dirti né spiegarti se devi parlargli chiaramente, con il rischio di perderlo, o di lasciar correre la faccenda, mutismo contro segretezza, sperando che sia unicamente un istante, una spiccia interruzione del tuo ballo. Subito dopo l’esibizione è finita, e come doveva essere io sono uscita di scena, in quanto si è repentinamente avvicendata un’altra a danzare sul suo cuore in ultimo accalappiandolo.

Lui m’ha placidamente confidato che è solamente una relazione d’amicizia e crede che resterà tale, ma così dicendo ha già svelato la sua confidenziale aspettativa, la sua inconfessata speranza. Come potevo accettarlo. Come ho potuto, così, semplicemente, recarmi al botteghino ad acquistare un biglietto per il balletto di quella sera e recarmi a teatro in abito lungo, con gli occhi neri come l’abito che indossavo? In seguito, accomodarmi là in prima fila, a scrutare vedendo ondeggiare quella femmina, la sua nuova donna, agghindata di veli bianchi tanto quanto io lo ero di seta nera.

Io l’osservavo con dovizia spostarsi sul palcoscenico, lei era sottile e tenue come un soffio, con i polsi incurvati nel conferire risalto ai suoi passetti raffinati, io mi sentivo callosa, coriacea e lignea, perché perfino allungare le gambe era diventato arduo e complesso. Io esaminavo con esuberanza quel corpo energetico e ben addestrato, lo concepivo con la fantasia ripiegato in posture a me impossibili, a letto assieme a lui mentre si sfregavano a vicenda. A quale altezza avrebbe alzato le gambe per allacciargliele dietro al collo? Come avrebbe mosso il bacino, gli addominali ben istruiti per cavalcare il suo cazzo? E i gemiti? Il respiro? Avrebbe saputo controllarli, come le abili e preparate ballerine sanno compiere? In ogni posa, in ogni movenza sarebbe apparsa delicata, elegante e riguardosa? Come l’avrebbero annientata i suoi occhi? Come doveva desiderare quella creatura celeste il mio amore?

Tutte queste nozioni progettavo e rimuginavo costantemente durante lo spettacolo, durante il tempo in cui con i denti premuti e con il mascara degli occhi che già cominciava a sciogliersi, io cercavo inconsolabilmente di muovermi, desolatamente di sollevarmi per poter muovere pochi passi. Al presente mi sembra tutto così distante e sfuocato, eppure sono passate unicamente poche ore, sono accomodata del tutto incustodita e inselvatichita sulla seggiola, mi sento flaccida, snervata e plasmabile, tutto ciò m’ha afflitto e angosciato intensamente per portarmi sotto il palco e in ultimo spararle.

A ben vedere, non ritenevo in nessun caso d’avere una buona mira, non sapevo che uscisse così tanto sangue, giacché ha implacabilmente macchiato di rosso tutto il suo bel gonnellino di tulle bianco, persino le scarpette, che subito si sono tinte di scuro, perché mentre le guardie celermente mi circondavano per disarmarmi, io le guardavo i piedi e pensavo alle scarpette rosse che desideravo da bambina. Che cosa m’hanno chiesto? Se volessi chiamare il mio avvocato? Io non saprei, quello che ambisco adesso è quel paio di scarpette con la punta in raso rosso, avevo laconicamente e seccamente risposto.

Nel tempo in cui cerco di spiegare il drammatico accaduto, in modo insperato inflessibilmente e assai rumorosamente sgarbato, la sveglia collocata sul comodino mi desta suonando in modo inflessibile rammentandomi che devo alzarmi. Ho fatto un brutto sogno, la mia è una situazione energetica complessa, legata al processo rigenerativo del sonno attraverso il quale l’organismo elimina delle tossine psichiche, che ho prodotto durante il giorno attraverso i miei pensieri. Ho notato, che generalmente l’incubo che vivo, emerge in una fase di sonno molto profondo ed è caratterizzato da immagini vivide ed emotivamente forti, tanto da svegliarmi di soprassalto.

L’assillo che provo è sempre molto verosimile, tanto d’apparire reale anche dopo il risveglio. A volte questi sogni si ripetono più volte in un mese, in svariati contesti con temi ricorrenti. Il sogno angoscioso si presenta in modo isolato, indicando un malessere associato talvolta a un evento recente, oppure può ripetersi più volte nell’arco del tempo stando a indicare un disagio profondo legato ad eventi del passato, come ho descritto nel racconto. Un mio collega d’università m’ha rivelato, che questa tipologia di sogni con risvolti negativi evidenzia molteplici elementi del mio inconscio, che altrimenti non sarebbero presi in considerazione con il giusto peso: un periodo in cui si vive male la quotidianità, la voglia di sbloccare una situazione che crea disagio, un’aggressività repressa, la voglia d’un cambiamento profondo della mia vita.

Ci sono sogni che sono molto più reali della realtà stessa e per i quali vale la pena sperperare anche un attimo di tempo o d’una conclamata accettazione L’età non deve essere una discriminante, ma un grande veicolo di vissuti messi a disposizione delle nuove generazioni, perché si possa sviluppare un confronto, che comunichi energia a chi, un giorno, riceverà il testimone. Il vecchio non deve sottrarre, ma stimolare all’assunzione di responsabilità, deve preparare il terreno e fare in modo che l’ottimismo prenda il posto della frustrazione e del pessimismo.

Frattanto che mi stiro nel letto il nuovo giorno è alle porte, come sempre, una dinamica e laboriosa giornata di lavoro m’attende, persino il mio ragazzo non vede l’ora di riabbracciarmi, per stare insieme e per godercela in ultimo sotto le lenzuola.

{Idraulico anno 1999}  

 

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