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La nuova fiamma

By 13 Febbraio 2014Aprile 2nd, 2021No Comments

Capitolo 1: Si va in scena!
‘E tu muori dietro a quella lì da cinque anni? Quella?!’, mi chiese Valentina in tono sarcastico. Nel farlo, non si curò neppure di mascherare i suoi sguardi di disapprovazione all’indirizzo della ragazza che le indicai appena entrati nell’ampia sala addobbata.
‘Si’ perché, cosa c’è che non va?’, le risposi a bassa voce, temendo che l’oggetto dei miei desideri potesse intercettare qualche scampolo della nostra conversazione.
‘C’è tutto che non va. E’ scialba. Una ragazzetta insulsa. Come può piacerti così tanto?’.
‘Ma se neanche la conosci, come fai a dire che è insulsa!’.
‘Si vede lontano un miglio! Tra lei e il fidanzato’ una coppia che sarebbe noiosa anche per una soap argentina!’.
Non replicai ulteriormente, ma i miei occhi si persero a guardare Vittoria che, stretta al suo ragazzo, pochi metri più in là, conversava, comodamente seduta su uno dei divanetti, con alcuni dei nostri ex compagni di classe invitati a quella festa. La vedevo sorridere, con la sua folta chioma castana a coprirle in parte in volto. E la voglia di avvicinarmi, scostarle i capelli dal viso e baciarla profondamente montava in me come la lava di un vulcano in eruzione.
A distogliermi da quei pensieri fu la festeggiata, che si fiondò incontro a me e Valentina, accogliendoci con un ampio sorriso. ‘Ciao!’, squittì come al suo solito, dandomi i canonici due baci sulle guance. ‘Ciao! Tanti auguri!’, replicai, allungandole il piccolo pacco contenente il regalo che le avevo comprato per l’occasione. Mi ringraziò, dopodiché i suoi occhi si posarono sulla mia accompagnatrice. La osservò per un istante. Una volta assodato di non conoscerla, guardò me con aria interrogativa, in attesa delle presentazioni. ‘Lei è Valentina’, dissi, senza scendere in particolari. Le due si strinsero la mano, poi la festeggiata dovette allontanarsi, chiamata dal deejay per concordare gli ultimi dettagli sul palinsesto musicale della serata. ‘Sedetevi dove volete!’, ci disse ad alta voce mentre si recava verso la console.
Io restai impalato per alcuni secondi, indeciso sul da farsi. I rapporti con Vittoria, al di là della mia venerazione per lei, erano sempre stati ottimi. Fino a due mesi prima non avrei avuto problemi a sedermici vicino, pur sapendo di dover ingoiare bocconi amari alla vista delle effusioni che si sarebbe inevitabilmente scambiata col suo lui. Eravamo stati compagni di banco per quasi tutto il liceo, ormai la nostra confidenza era assoluta. O meglio, lo era stata fino a quel giorno. Quel maledetto ultimo giorno di scuola, quando la possibilità più che concreta di poterla non rivedere per chissà quanto tempo, mi indusse a confessarle il mio amore. Da allora, cominciò ad ignorarmi completamente. Neppure durante gli esami di maturità mi rivolse una sola parola. Non mancando, tuttavia, di farsi accompagnare ogni mattina a scuola dal suo ragazzo, quasi a volermi sbattere in faccia la solidità della loro relazione. L’ultimo giorno di test ero atterrito al pensiero del distacco definitivo da lei. E quella sera, sapendo di rivederla alla festa, un misto di sensazioni contrastanti si alternavano dentro di me: dalla rabbia per come ero stato trattato, alla voglia di rivederla, al timore che quella cotta non mi sarebbe mai passata.
Se avevo trovato il coraggio di partecipare a quell’evento, così importante per la mia amica, che proprio quel giorno compiva diciannove anni, lo dovevo soltanto alla biondina che si era offerta di accompagnarmi e di cui, fino alla mattina precedente, non sapevo neppure dell’esistenza. Valentina, in poco più di ventiquattr’ore era riuscita a conquistarsi un posto speciale nella mia vita. Nonostante il suo carattere difficile, lunatico, esuberante e così tanto diverso dal mio, mi ero molto affezionato a lei nel poco tempo trascorso insieme.
Il giorno prima della festa, alle nove di mattina di un caldo venerdi di settembre, arrivò a casa mia sollevando una valigia nella quale sarebbe comodamente potuta entrarci per intero. Mia madre si era offerta di ospitare per un paio di giorni una sua cara amica, da qualche anno residente in un’altra città, che avrebbe dovuto sostare nella nostra zona per il fine settimana. A me, nonostante non brillassi per ospitalità, la notizia aveva fatto un gran piacere. Con quella donna ci ero praticamente cresciuto, per lunghi anni della mia infanzia ero andato ogni pomeriggio a casa sua a giocare con i suoi figli, ed ero ben felice di rivederla dopo tanto tempo. Con lei si presentò, però, anche un’altra sua amica a me sconosciuta: Valentina, appunto. Quando la vidi entrare in casa, non potei fare a meno di ammirarla. Un peperino di poco più di un metro e mezzo, con lunghi e mossi capelli biondi e vispi occhi castani, un grazioso nasino all’insù, un seno di un’abbondanza che spiccava decisamente sul suo esile corpicino e un culetto che, fasciato in jeans aderentissimi, sembrava disegnato col compasso. Scoprii, chiacchierando, che aveva una decina d’anni più di me, e mi stupii non poco di ciò: se me lo avessero chiesto, non gliene avrei dati più di ventidue o ventitre.
Volendo lasciare le due amiche di vecchia data a scambiarsi confidenze per quel poco tempo che avrebbero potuto trascorrere insieme, io e Valentina passammo l’intera giornata praticamente in simbiosi. Ci raccontammo tutto delle nostre vite. Quella sera, facemmo le ore piccole a parlare sul divano. E, nel mentre, io non disdegnavo di osservarla, avendo cura di non far notare il mio sguardo insistente sulle sue gambe, lasciate quasi completamente scoperte dalla corta camicia da notte che indossava, né sul suo seno che, libero da costrizioni, traspariva attraverso il sottile velo di cotone bianco che lo ricopriva. Potevo distintamente indovinare, sotto il tessuto, l’abbronzatura che ancora colorava quelle succose montagnole, e i due capezzoli, larghi e prominenti, che le impreziosivano. Passai qualche ora in dolce compagnia insomma, celando con braccia e cuscini la maestosa erezione che il panorama che avevo davanti riusciva a causarmi.
Scoccate le tre, quando gli sbadigli iniziarono a farsi più numerosi delle parole, cedemmo alla spietata corte di Morfeo e decidemmo di andare a dormire, ciascuno nella propria stanza.
La mattina successiva, però, riprendemmo senza esitazioni da dove avevamo interrotto. Le parole fluivano naturalmente tra di noi, senza imbarazzi o reticenze. Avevo la sensazione di conoscere Valentina da chissà quanto tempo, tanta era la confidenza creatasi tra noi.
Tra le altre cose, naturalmente, le parlai anche di Vittoria. E della festa, alla quale insistette perché io partecipassi, offrendosi di accompagnarmi per darmi man forte. Ed ora eccomi qui, con questa vivace ed energica nanerottola bionda che mi trascina verso uno dei divanetti liberi del locale, mentre io mi lascio trasportare dalla sua mano e dai miei pensieri.
Accomodatomi, mi resi subito conto che Valentina non aveva lasciato al caso la scelta della nostra seduta. Ci trovavamo dalla parte opposta della sala rispetto a dov’era collocata Vittoria. Il nostro divanetto puntava verso la pista da ballo, mentre quello della mia amata era rivolto nella nostra direzione. Insomma, grazie all’oculata scelta effettuata dalla mia accompagnatrice, Vittoria ci avrebbe avuti davanti agli occhi tutta la sera, senza che, a mia volta, io potessi guardarla, se non voltandomi apposta nella sua direzione. Cosa che, naturalmente, avrei dovuto evitare di fare, nonostante la tentazione fosse fortissima.
‘Bene’, disse Valentina, sorridendomi mentre prendevamo posto fra i cuscini rosso scarlatto in pelle sintetica, ‘E ora facciamo passare una serata di merda a quella smorfiosa’.
La guardai con espressione interrogativa. Prima che potessi chiederle spiegazioni, lei afferrò il mio braccio e se lo portò attorno alle spalle, stringendosi a me.
‘Vuoi farla ingelosire?’, le chiesi a bassa voce, con un sorriso imbarazzato dipinto in volto.
‘No”, replicò lei, ‘Voglio farla schiattare d’invidia!’, sottolineò, sporgendosi e schioccandomi un tenero bacio a pochi millimetri a lato della punta delle labbra.
Restai imbambolato per un momento, frastornato dal sentire il calore del suo corpo abbandonato sul mio e la morbidezza delle sue labbra sul mio volto. Poi mi riscossi. Le sorrisi, arrossendo appena. ‘E sia!’, le dissi, mentre con la mano che stringeva le sue spalle, quasi senza pensarci, iniziai ad accarezzarle i capelli e lei strofinava dolcemente il pollice sul mio viso, per rimuovere i residui di rossetto lasciati dal suo bacio.

Capitolo 2: Fine dei giochi
Restammo in quella posizione per un bel po’ di tempo, guardando singoli e coppie alternarsi sulla pista. Anche Vittoria si lasciò trascinare dal ritmo più d’una volta. Me la ritrovai in diverse occasioni a ballare a pochi metri da me, avvinghiata al suo ragazzo per i lenti o scatenata in solitaria per i balli di gruppo. Cercavo di non guardarla mai direttamente, ma sbirciavo spesso i suoi movimenti con la coda dell’occhio. La sua folta chioma le danzava intorno al volto al ritmo della musica, mentre il suo corpo tonico e slanciato si dimenava con grazia sul pavimento scuro e lucido. Non potevo vedere la sua espressione, ma nella mia mente avevo ben impresso il suo sorriso ingenuo e solare che tormentava da anni i miei pensieri. E i suoi grandi occhi castani, di cui mi innamorai perdutamente al primo vero sguardo.
In classe, Vittoria, non l’avevo notata subito. Di primo acchito, c’erano ragazze ben più attraenti di lei. Non eravamo neppure compagni di banco agli inizi. Lo diventammo in seguito, quando della nostra classe entrò a far parte una ragazza che divenne la più cara amica di entrambi. E questo finì con l’avvicinare anche me e Vittoria, sino a formare un inseparabile trio. Inseparabile almeno fino alla mia confessione di due mesi prima, certo.
Mi accorsi di lei, e ne rimasi stregato e scottato, quando me la ritrovai davanti all’uscita di scuola l’ultimo giorno prima delle vacanze di Natale. Mi chiese un’informazione circa i compiti assegnatici. Nulla di insolito. Ma, averla davanti a me, a pochi centimetri, con i suoi splendidi occhi fissi nei miei, le sue morbide labbra ricoperte da un velo di lucidalabbra alla ciliegia, i capelli vaporosi che le ricadevano leggeri sulle spalle e un sorriso che definire incantevole vorrebbe dire sminuirlo, mi lasciò di sasso. Sentii la mia bocca seccarsi all’istante, la voglia di baciarla crescere in me fin quasi a consumarmi.
L’inesperienza e la timidezza, però, ebbero la meglio. Con espressione ebete e voce incerta mi limitai a rispondere alla sua domanda. Poi ci salutammo, dandoci appuntamento a dopo le feste natalizie. Passai ore a pensare a quando l’avrei rivista, a come mi sarei comportato, al modo migliore per sedurla. In quei giorni, però, conobbe quello che in breve divenne il suo fidanzato. E a me restò solo un crescente sentimento per lei, oltre che il rimpianto per non averlo espresso appena nato.
Mentre ero seduto sul basso divanetto in ecopelle rossa, quelle immagini scorrevano nella mia mente come un film. Valentina non tardò a rendersi conto del mio stato d’animo. Senza sciogliersi dal mio abbraccio, portò il suo viso al di sopra delle mie spalle, a pochi centimetri dal mio. Sentivo i suoi occhi su di me, carichi di affetto. Potevo ammirare la pelle del suo viso, liscia e setosa, mostrarsi ai miei occhi nella sua straordinaria perfezione. Mi sorrise lievemente, accarezzandomi una guancia col palmo della sua mano piccola e calda. Le rivolsi a mia volta un sorriso amaro, legato ai ricordi che mi attanagliavano. ‘La dimenticherai’, mi disse. ‘Tu dici?’, risposi, in tono quasi rassegnato. ‘Ne sono certa. Sei troppo per lei, e prima o poi se ne renderà conto anche il tuo cuore’. Dopo quelle parole, mi stampò un dolce e casto bacio sulle labbra. Un istante in cui non feci neppure in tempo a reagire. Le sue labbra, al contatto, erano più carnose di quanto apparissero. Un brivido mi corse lungo la schiena. Quando si staccò da me, sgranai gli occhi per la sorpresa. Non mi aspettavo si sarebbe spinta così in là in quella sorta di gioco di ruolo. ‘La smorfiosa ci stava guardando’, mi sussurrò, abbozzando un occhiolino e con un largo sorriso dipinto in volto. Restai a bocca aperta, sentendo il mio viso avvampare. Non ebbi il tempo di replicare, che le prime note di ‘Candela’, uno dei tormentoni di quell’estate, iniziarono a diffondersi dagli altoparlanti. Valentina scattò in piedi. Mi guardò sorridendomi. ‘Vado a prendermi i miei cinque minuti di celebrità’, mi disse, fiondandosi sulla pista da ballo. Iniziò a muoversi a quel ritmo latino come se non avesse mai fatto altro nella vita. Era un piacere vedere il suo corpicino esplosivo muoversi sinuoso durante il pezzo. Praticamente tutti i ragazzi erano rapiti dai suoi movimenti. Ballando, tentavano di avvicinarsi a Valentina che, però, sembrava non accorgersi neppure che tutti gli occhi dei presenti si stavano, pian piano, posando su di lei. Anche le ragazze la guardavano, alcune con ammirazione per le sue movenze feline, altre con invidia, per riuscire così facilmente a calamitare l’attenzione su di sé. Lei, però, non distoglieva mai i suoi occhi dai miei. E io facevo altrettanto.
Neanche a metà del pezzo, Vittoria abbandonò la pista e venne a sedersi accanto a me sul divanetto. ‘Carina la tua amica’, disse, con voce pacata e senza lasciar trapelare emozioni di sorta. ‘Già’, risposi, mentre il battito del mio cuore continuava ad accelerare, sforzandomi di non distogliere il mio sguardo da Valentina per non tradire le mie emozioni. ‘Vi conoscete da molto?’, incalzò lei. ‘Un paio di giorni’, tagliai corto. A stento riuscii a finire la frase, che la mia accompagnatrice, senza degnare di uno sguardo Vittoria, mi si avvicinò, prendendomi per mano e trascinandomi in pista.
‘Dai, no, non so ballare!’, le dissi, seguendola, comunque lieto di uscire da una situazione imbarazzante. ‘Lascia fare a me’, mi rispose sicura. Presto, iniziò a vorticarmi intorno, strofinando il suo corpo voluttuoso contro il mio.
Mi sentivo terribilmente inadeguato in quella situazione. Non avevo assolutamente la musica nel sangue, né ero stato dotato di alcuna capacità nel ballo. Avevo la sensazione di essere un palo metallico a disposizione di quella piccola ninfa, che si prodigava in una lap dance danzandomi tutt’intorno. Dopo qualche giro, mi diede la schiena, incollando il suo corpo al mio. Come un burattino, mi limitavo a seguire le sue indicazioni. Afferrò le mie mani, portandosele sul bacino, che muoveva a ritmo quasi frenetico. La strinsi dai fianchi, mentre le sue mani, sollevate in aria, andarono a cercare il mio collo, cingendolo delicatamente. Per quanto mi sforzassi di nasconderlo, il suo corpo incollato al mio mi turbava non poco. Le sue natiche erano premute contro il mio pube, impegnate in un movimento circolare che stimolava oltremodo il mio membro in parziale erezione. Sentivo crescere il mio pene fino a premere contro il tessuto dei pantaloni, quasi faceva male. I glutei sodi di Valentina lo accarezzavano ora dolcemente, ora in maniera più decisa, a seconda del ritmo impresso da Noelia alla sua canzone. Mentre quel piccolo mandolino di carne sfregava contro le mie parti intime e la mia erezione svettava prepotente al di sotto degli abiti, le mie mani allentarono la presa sui fianchi di Valentina, spostandosi appena verso il suo addome e risalendo, lentamente, lungo il suo corpo. Sotto il tessuto dell’abitino che indossava percepivo distintamente il suo pancino piatto e, qualche centimetro più su, le sue costole, messe ben in evidenza dalla posizione leggermente inarcata all’indietro assunta dalla mia accompagnatrice. Il cuore mi batteva all’impazzata mentre le mie mani vagavano su quell’esserino minuto e conturbante.
Quando, con la punta dei pollici, raggiunsi quello che ritenni essere il bordo inferiore del reggiseno, la musica cessò, sfumando rapidamente. Al ritmo latino si sostituì una lenta ballata a me sconosciuta.
Valentina si voltò. Ci ritrovammo, allora, faccia a faccia, sempre con i nostri due corpi quasi incollati. Ancora una volta, portò le sue mani attorno al mio collo, fissandomi negli occhi, mentre le mie tornarono ad adagiarsi sui suoi fianchi. ‘Scusami’, le sussurrai, abbassando lo sguardo. Mettendosi in punta di piedi, si sporse ancora verso il mio viso, regalandomi un altro breve ma elettrizzante bacio sulle labbra. ‘Sei così dolce’, mi disse, ‘Non devi scusarti. Anzi, mi lusingano le tue’ attenzioni’ soprattutto perché anche tu non mi sei affatto indifferente’. Ci guardammo per alcuni istanti, poi Valentina posò la testa sul mio torace, stringendosi ancor più a me, e anche le mie mani si serrarono più decisamente attorno alla sua vita. Durante quel lento, restai ad occhi chiusi a godermi le sensazioni donatami dal suo corpo stretto al mio. Sentivo il suo seno prorompente gonfiarsi al ritmo del suo respiro, la pelle morbida dei suoi fianchi scivolare sotto le mie mani e le mie dita. Per la prima volta quella sera, non mi importava nulla di quanto avessi intorno. Mi sentivo appagato per quei momenti e li vivevo senza secondi fini, senza chiedermi se qualcuno ci stesse guardando, se Vittoria fosse infastidita o meno dallo spettacolo. Per la prima volta quella sera e negli ultimi cinque anni, c’eravamo solo io e Valentina nei miei pensieri, Vittoria ne era chiusa fuori a doppia mandata. Ad un tratto aprii gli occhi. La vidi poco distante che ci guardava. Il mio sguardo non restò fisso su di lei come al solito. Chiusi nuovamente gli occhi, senza rimorsi, perdendomi ancora una volta nelle dolci sensazioni che la mia accompagnatrice stava riuscendo a regalarmi.
Alla conclusione del brano, Valentina si sciolse dall’abbraccio, prendendomi per mano e muovendo verso il divanetto. ‘Prendi la borsa e andiamocene di qui’, le dissi, impuntandomi per evitare di farla proseguire nel percorso intrapreso. Lei si voltò, sorpresa. ‘Ma’ Vittoria”. ‘Lascia perdere Vittoria. E’ il tuo ultimo giorno qui. Non è giusto che lo passi a far da balia, per me hai già fatto troppo. Il resto della serata è tutto per te’, conclusi sorridendole.
Qualche minuto più tardi, dopo aver salutato parte dei presenti e la festeggiata, io e Valentina uscimmo dal locale abbracciati, per perderci nel buio di quella notte di fine estate.

Capitolo 3: Un dolce addio
‘Dove andiamo?’, mi chiese Valentina, mentre l’auto percorreva lentamente le strade semibuie e desolate della periferia. Le risposi osservandola con la coda dell’occhio, senza distogliere lo sguardo dalla carreggiata: ‘Be’, domani te ne vai tra i monti canadesi. Un ultimo saluto al nostro mare?’. Sorrise, stringendo per un momento la mia mano, posata sul pomello della leva del cambio. Poi, alzò il volume della radio e si abbandonò sul sedile, con le braccia dietro la testa e gli occhi chiusi, a farsi cullare dalla musica.
In meno di quindici minuti arrivammo a destinazione. L’ampio parcheggio, a quell’ora, era completamente deserto, eccetto per un paio di vetture posteggiate in lontananza, ben nascoste da cespugli ed alberi per celare le attività in corso di svolgimento al loro interno. ‘Cos’è questo posto?’, mi chiese Valentina, scorgendo un piccolo ingresso in un muro di piante e recinzioni in legno. ‘Uno dei miei preferiti. Fino a qualche anno fa era solo una campagna abbandonata in cui, con un’associazione animalista, ci occupavamo dei cani randagi che ci vivevano’. La biondina mi guardava in silenzio aspettando il prosieguo della spiegazione, che tentai di rendere il più breve possibile. ‘Ora è stata rimessa a nuovo e trasformata in una sorta di riserva naturale’. ‘E il mare?’, mi chiese. ‘Vedrai’, replicai, intrecciando la mia mano alla sua ed imboccando l’ingresso della struttura.
Per alcuni minuti procedemmo tra sentieri, fontanelle e cartelli esplicativi. Poi, superato un ponticello ed una scricchiolante scalinata entrambi in legno, arrivammo nel punto che avevo stabilito quale nostra meta: un piccolo spiazzo fra gli alberi con affaccio su una porzione di mare, circondata dalle luci della città visibili in lontananza. ‘Wow’ è’ stupendo’, mi disse Valentina, mentre mi apprestavo a sedermi con la schiena poggiata contro la base di una quercia e lei si intrufolava, seduta tra le mie gambe, dandomi le spalle e adagiandosi contro il mio torace. L’accolsi piacevolmente tra le braccia, portando le mie mani sul suo pancino. Dopodiché, persi completamente la cognizione del tempo. Restammo, non saprei dire neanche per quanto, stretti a parlare di ogni cosa. Stavolta, però, lasciai fosse lei ad aprirsi completamente. Gliel’avevo promesso, del resto: il seguito della serata sarebbe stato tutto per lei. Mi raccontò, in particolare, di come fosse maturata l’idea del trasferimento all’estero. Era entusiasta e spaventata al tempo stesso. A volte, la sua espressione era raggiante al pensiero di quell’esperienza, in altri momenti quasi le tremava la voce dall’emozione.
Mentre narrava le meraviglie che l’attendevano nello Yukon, e sulle quali dimostrava di essersi documentata davvero a fondo, si bloccò, mi guardò negli occhi, sollevandosi e voltandosi appena verso di me, e mi chiese: ‘Ok, basta coi monti canadesi. Il tuo Monte Vittoria, piuttosto?’. Nel rispondere, decisi di giocare con la sua metafora: ‘Fino a questa sera pensavo fosse la vetta più alta del mondo. Ma mi sto rendendo conto che, forse, è solo una collina che avevo sopravvalutato’. Rise. ‘Può capitare, se non viaggi troppo’, mi disse. ‘Nel mio caso, direi che, al massimo, ho dato un’occhiata al pianerottolo fuori dalla porta di casa’, ribattei. Ridemmo entrambi. Poi, all’unisono, tornammo seri. ‘Dubito di averla già dimenticata’, dissi, ‘Però adesso sono certo che accadrà’. ‘Come?’, mi chiese lei. ‘Non mi era mai capitato di preferire la compagnia di un’altra persona mentre ero con lei’. ‘E stasera, invece, si?’. ‘Siamo qui, no?’, le dissi, accarezzandole una guancia.
A quelle parole, Valentina si sporse verso di me, e le nostre labbra si unirono di nuovo. Stavolta, senza sguardi indiscreti a scrutarci, e senza voler dimostrare nulla a nessuno. Il mio corpo scivolò verso il basso, sdraiandosi sul terreno. Lei si lasciò cadere sopra di me, continuando a baciarmi. In breve, le nostre bocche si schiusero e le nostre lingue presero ad accarezzarsi reciprocamente, percorrendosi l’una con l’altra. Con una mano accarezzavo i suoi fianchi e la sua schiena, inoltrandomi, ad ogni passaggio, verso le zone più intime del suo corpo.
Fu un bacio dolcissimo, lungo, di una lentezza quasi esasperante. Le nostre labbra incollate si stuzzicavano, schiacciandosi e stringendosi a vicenda. Le lingue, di tanto in tanto impegnate a disegnare i contorni delle labbra stesse, non perdevano, comunque, l’occasione di cercarsi, avvinghiarsi, scambiarsi saliva e calore, abbandonandosi ad una danza sensuale ed estenuante.
Nel mentre, il corpo di Valentina era completamente adagiato sul mio, procurandomi una crescente eccitazione. I suoi seni voluminosi premuti contro il mio petto, le sue gambe agili e snelle incrociate alle mie, il suo sapore nella mia bocca, il suo odore che riempiva le mie narici, tutto contribuiva ad accelerare i battiti del mio cuore e causarmi un’erezione che, pian piano, assumeva dimensioni sempre più consistenti.
In un momento, mi ritrovai a rovesciare la situazione. Afferrai delicatamente Valentina per le sue gracili spalle inducendola a sdraiarsi supina sul terreno, e quasi contemporaneamente scivolai sopra di lei, coprendo completamente il suo esile corpo col mio.
Mentre mi rivolgeva un sorriso complice e carico d’eccitazione, ricominciai a baciarla con maggior foga rispetto a prima. Con le mani mi teneva il viso premuto contro il suo, mentre le nostre lingue presero a vorticare l’una attorno all’altra. Non durò molto, però. Dopo pochi secondi mi spostai a baciarle il mento, risalendo con le labbra lungo le guance e seguendo i contorni del suo volto lungo la mascella. Continuai a baciarla dietro l’orecchio, stringendo anche il piccolo lobo tra le labbra, mentre i suoi sospiri crescenti aumentavano la mia voglia di lei. Prima con le labbra e poi con la punta della lingua, seguii le linee del suo orecchio e del padiglione auricolare, prima di tornare a ridiscendere lungo il collo e risalire dall’altro lato del suo viso per ripetere l’operazione.
I continui sospiri di Valentina e le mosse della sua piccola mano, con la quale andò a cercare il mio membro eretto per palparlo vigorosamente attraverso i pantaloni, tradivano decisamente il suo stato d’animo.
Terminato di esplorare anche l’altro lato del suo viso, cominciai nuovamente a percorrere il suo volto e il suo mento, a tratti baciandolo, a tratti stringendolo appena tra i denti. Stavolta, però, continuai a scendere lungo il collo. La sua pelle liscia, morbida e profumata, era deliziosa da assaggiare con le labbra, con la lingua, con i denti. Mentre le baciavo e mordevo il collo, Valentina tentava di allungarlo in ogni direzione, per favorire i miei movimenti e, al contempo, prolungare il piacere che provava. Non aveva ancora pronunciato una sola parola, ma il suo respiro accelerato e i suoi gemiti quasi soffocati rappresentavano una sintesi più che eloquente dei suoi pensieri.
Mentre mi dedicavo alla base del suo collo, seguendo con le labbra i contorni della clavicola, portai una mano sulla sua coscia. Era anch’essa morbida e calda come il resto del suo corpo. Piccola che quasi riuscivo ad avvolgerla tutta. La strinsi appena, prima di risalire lungo la sua pelle di seta. Dapprima dall’esterno, poi spostandomi nella parte più interna. D’istinto, Valentina allargò appena le gambe, permettendomi di insinuarmi tra di esse. Avvertivo il calore delle sue cosce investire la mia mano impertinente, mentre risalivo dirigendomi lentamente al centro del suo piacere.
Le mie labbra, intanto, avevano ripreso a scendere, portandosi sino all’incavo tra i seni. Intorno al volto avvertivo quelle montagne sollevarsi al ritmo, ormai quasi frenetico, del respiro di Valentina, mentre le mie labbra iniziavano a sfiorarne i contorni nel punto in cui esse si incontrano lungo lo sterno. Con la mano libera ne afferrai una. La sentii, piena e soda, riempirmi completamente la mano. La spostai verso il centro del petto della ragazza, mordendo delicatamente la buona porzione di carne che, così facendo, si presentò al cospetto delle mie labbra. Valentina gemeva ora più rumorosamente, mentre con una mano accarezzava e tirava i miei capelli.
L’altra mia mano, intanto, era risalita quasi fino all’altezza della sua vagina. Il calore tra le cosce dell’incantevole ragazza bionda sotto di me si era fatto estremamente intenso e, con la punta delle dita, riuscivo distintamente a percepire l’umido che andava spandendosi sul tessuto delle sue mutandine.
Fu proprio mentre pensai di affondare il colpo, che mi sentii quasi spingere via da Valentina. ‘No’ aspetta”, mi disse, col viso in fiamme e quasi senza fiato. Dopo un momento di esitazione, mi fermai, guardandola interdetto.
‘Non è giusto”, aggiunse con un filo di voce, e serrando gli occhi per evitare ogni contatto visivo.
‘Cosa?’, le chiesi, con voce spezzata dall’emozione e dall’eccitazione.
Stette in silenzio per un lungo istante, respirando a fondo. Mi staccai a malincuore dal suo corpo incandescente, risalendo fino ad essere faccia a faccia.
‘Ehi’ cos’hai?’, le chiesi, accarezzandole il viso.
‘Ho voglia di te. Da morire’, ribatté, aprendo gli occhi e guardando fisso nei miei.
‘Anch’io’, risposi, ‘E allora, cosa c’è che non va?’.
‘C’è che non sarebbe giusto’, disse, rammaricata.
‘Perché?’, chiesi, con aria confusa e delusa.
‘Perché io sono la tua transizione, non il tuo traguardo’, disse, quasi gelida.
‘Non capisco’, replicai.
‘Tu sei stato per tutto questo tempo legato a Vittoria per un’idea che t’eri fatto di lei. Per come desideravi che fosse, non per com’era realmente. Stasera ti sei svegliato da quel sogno. Hai capito che c’è altro sulla tua strada. Una donna vera che ti aspetta, non un ideale’, aggiunse Valentina, in tono più dolce.
‘E tutto questo grazie a te’, le risposi, allo stesso modo.
‘Ti ho dato una mano, mettiamola così’, mi disse, sorridendomi, prima di continuare in tono più serio. ‘Questa è una serata stupenda. Siamo stati bene. E avrei una voglia matta di andare fino in fondo. Però, per il tuo bene, non posso farlo’.
‘Questo non lo capisco’, le dissi, non riuscendo a smettere di accarezzarle il viso e i capelli, mentre lei faceva lo stesso con me.
‘Domani andrò via per sempre, lontano. Se lo facessimo, questa serata da stupenda diventerebbe perfetta, e tu vivresti nel ricordo di essa. Sostituiresti un ideale con un altro, ben più doloroso e difficile da superare. Non posso essere così egoista e lasciarti con questo peso’.
Non trovai parole per replicare. E non riuscivo a spiegarmi come potesse essermi sfuggita una simile ovvietà. Aveva ragione, e questa consapevolezza aveva spento in me ogni possibilità di replica. Con un lungo sospiro, mi lasciai cadere sul terreno accanto a lei. Mi si avvicinò e mi abbracciò, posandomi ancora la sua testa sul torace. Passammo il resto della serata distesi ed abbracciati, a parlare e guardare le stelle.
Il giorno successivo, Valentina partì per il suo viaggio di sola andata per il Canada. Di lei mi restò il ricordo di una serata meravigliosa, non perfetta. Un aliante, non un fardello. Ciò che lei sperava, e ciò di cui io avevo bisogno.

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