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Le due taccheggiatrici – Capitolo 2 – “Targhetta”

Il sole era alto in cielo quando il pullman si fermò davanti alla fermata nei pressi del parcheggio del supermercato, dopo un viaggio di mezz’ora dalla stazione dei treni di Verona. Marianna non ce la faceva più a stare seduta, anche considerando il tempo passato sul treno: smaniava dalla voglia di scendere, ma non poteva certo mettersi a litigare e spintonare le vecchie che già duecento metri prima si erano alzate in piedi e avevano cominciato a mettersi in fila nel corridoio del mezzo pubblico.

– Ci pensi a quando saremo così vecchie? – domandò Francesca sottovoce, afferrando il poggiatesta del sedile davanti al suo: anche lei sembrava incapace di aspettare che tutta la gente finisse di fluire attraverso le porte del mezzo.

– Difatti ho intenzione di godermi la mia età il più possibile. – rispose Marianna, chiedendosi se tutta quella gente non si pentisse di non aver fatto qualcosa in gioventù, magari accettare un lavoro che gli era stato proposto da qualcuno e sconsigliato da qualcun altro, la possibilità di andare a letto con una persona di cui erano innamorati ma non gli è stato possibile, di viaggiare o andare a vivere in un altro luogo.

I passeggeri impiegarono diversi minuti prima di defluire dall’autobus, con Marianna e Francesca che chiudevano la fila. Un attimo prima di varcare le porte, le due s’informarono dall’autista a che ore sarebbe nuovamente passato; una volta assicuratesi di avere il tempo di fare quello che avevano programmato, scesero sul marciapiede.

Le varie anziane avevano già cominciato ad attraversare il gigantesco parcheggio colmo di automobili, molte trascinandosi tergo quel trolley che si usa per fare la spesa, in tessuto con motivi scozzesi ed un paio di rotelle. Le due amiche le seguirono, non che ci fosse comunque il rischio di perdersi e non trovare il centro commerciale, in quanto era un gigantesco monolite al centro del parcheggio, completamente coperto da vetri.

– Cazzo, – esclamò Federica, – questo sì che è grande!

– Sì, per grande è grande, – convenne Marianna, studiando come il panorama alle loro spalle si specchiava sui vetri che coprivano la struttura, poi abbassò lo sguardo sull’amica, – ma ho il presentimento che non ci andrà tanto bene. L’ultima volta ce la siamo cavata con il rotto della cuffia, ma lì abbiamo avuto a che fare con una sola guardia, e ci ha lasciate andare con poco.

– Già. – commentò Francesca con un sospiro di delusione. – A momenti chiamava i carabinieri. Una guardia vecchia e rompiscatole. Speriamo in bene, questa volta.

Ma non fecero fatica a rendersi conto che il problema del fine settimana era che il megastore sarebbe stato pieno già quando si avvicinarono all’edificio: decine di famiglie si muovevano verso o fuori dalle porte automatiche, spesso costrette a fare lo slalom per non investire od essere investite a loro volta dai carrelli della spesa. Poi, come sempre, c’era qualche coglione che incontrava qualche amico che non vedeva da tempo e si fermavano a parlare proprio nei luoghi in cui doveva passare la gente, rallentando ulteriormente il traffico di clienti. Dentro, scoprirono una volta che erano riuscite a passare quell’affollamento, la situazione non era migliore: sembrava di essere all’interno di una metropolitana all’ora di punta.

Scivolando negli stretti varchi tra le persone che si erano riunite nella galleria del megastore, riuscirono a raggiungere un bar e a trovare un angolo tranquillo, dove ordinarono un caffè per Federica ed una spremuta per Marianna.

Quando la cameriera si fu allontanata, la mora si spose verso l’amica: – In cinquanta metri qui dentro mi avranno palpata il culo in sei o sette.

– Ehi, troia: non pensare di avere l’esclusiva. – ribattè l’altra, con un sogghigno. – Uno che mi ha messo le mani tra le chiappe avrei preferito le avesse infilate nelle mutandine, davanti, e si fosse dato da fare senza troppo ritegno.

Finirono e pagarono, domandando ad una delle cameriere dove avrebbero potuto trovare un negozio di profumi. Erano, come avevano imparato ormai dalla loro esperienza, i luoghi dove il taccheggio dava i risultati migliori.

La donna, una rossa alta e con un paio di tette che si meritarono una lunga, rancorosa ed eccitata occhiata dalle due ragazze, indicò una direzione della galleria, dove una gran folla si accalcava attorno ad una piccola gelateria.

La profumeria era grande, e c’era poca gente, come volevano loro. La scelta, però, era notevole tra profumi, rossetti, smalti e via discorrendo, e sembrava non ci fossero telecamera di videosorveglianza in giro.

– Per lo meno, io non ne vedo. – commentò Francesca, dopo aver dato una lunga occhiata agli angoli del locale.

– E le colonnine? – domandò Marianna, indicando le barriere antitaccheggio con un cenno del capo e parlando sottovoce. – Secondo te funzionano?

La mora si limitò ad un verso di insicurezza, lasciando intendere che ci avrebbero pensato al suo tempo. Non era certo la prima volta che si imbattevano in barriere non funzionanti o montate da incompetenti, e avevano dovuto imparare a riconoscerle da quelle che avrebbero fatto scattare un allarme.

Si inoltrarono tra due file di espositori colmi di prodotti di basso prezzo, nulla che le due ragazze non avrebbero fatto fatica a trovare anche nel loro paese, dirette dove sembrava esserci qualcosa di meglio. Si fermarono davanti ad una schiera di rossetti di mille sfumature e dai nomi bizzarri, fingendo di cercarne qualcuno di loro interesse.

Marianna passò con una mano sopra quella sfilza di oggetti dai colori sgargianti, muovendo le dita come se stesse pizzicando le corde di uno strumento musicale. Sebbene potesse sembrare intenta a scegliere un nuovo rossetto, incapace di trattenersi dal provarli tutti, il suo sguardo era interessato a tutto tranne che ai trucchi. Accanto a lei, allo stesso modo Francesca fingeva di osservare degli ombretti, un susseguirsi di neri, viola, rossi e blu, di tanto in tanto prendendone uno e studiandolo, ma controllava che nessuno si avvicinasse. Quando diede una gomitata nella schiena dell’amica, segnale concordato e usato più volte in passato, Marianna occultò tra le dita un rossetto che poi fece scivolare in una tasca. Lanciò un’occhiata in tralice verso una commessa che stava servendo una cliente, e quando si voltò, un altro cosmetico scomparve tra le pieghe degli abiti della ragazza bionda.

– Proviamo anche lì. – propose Francesca, indicando uno scaffale con degli ombretti.

Marianna annuì, mentre un altro cosmetico scompariva nella tasca.

Si mossero, e dopo aver controllato nuovamente la situazione relativa alle varie commesse e dei clienti, ripresero il loro operato, le tasche di Marianna che si ingrossavano con merci che, in realtà, non avevano un gran valore. Dopotutto, non era il prezzo della merce che rubavano, e che poi spesso regalavano alle loro amiche, quanto l’emozione del rischio del furto e di ciò che conseguiva.

E l’emozione arrivò all’improvviso, quando una mano si posò con fermezza sulla spalla di Francesca, facendola sussultare. Quando si voltò, le apparve di fronte un uomo che indossava una camicia azzurra, una cravatta nera la tagliava a metà e una targhetta dorata all’altezza del taschino destro che riportava la dicitura “Del Marco”. Alla cintura portava un walkie talkie accanto ad un paio di manette.

– Avreste la cortesia di seguirmi all’ufficio di sicurezza, signorine? – domandò con una fermezza che non permetteva rifiuti ma che non si sarebbe potuto comunque definire maleducazione.

A quelle parole anche Marianna si girò, sorpresa nel vedere l’uomo e, poco dietro, una delle commesse sorridere soddisfatta. Di certo, era stata lei a vederle e denunciarle. Anche alcune delle clienti si erano fermate a guardare, incuriosite. Per lo meno, pensò la ragazza con sollievo, non c’era nessuno a vederle che le conoscesse. Francesca rimase sbigottita per qualche istante. – S-sì. – balbettò Francesca. Guardò Marianna, che rispose con un cenno del capo.

Un attimo dopo uscirono dal negozio, sotto lo sguardo indignato e sprezzante della piccola folla che si era formata in quei pochi secondi attorno a loro, scortate dalla guardia giurata, scoprendo che le barriere antitaccheggio erano inattive.

L’ufficio del capo della sicurezza era un locale di due metri per tre senza finestre, illuminato solo da un paio di freddi neon sul soffitto; l’aria sapeva di chiuso e aleggiava odore di sudore e fumo di sigaretta. Marianna era assisa su una scomoda sedia di plastica appoggiata ad una scaffalatura in metallo che conteneva decine di raccoglitori e libri, mentre Francesca, il capo chino come lei, era seduta davanti ad una scrivania dozzinale con la superficie in formica azzurra rigata e costellata da diversi cerchi marroni lasciati da tazze di caffè, con un computer ed un telefono bianco, dietro alla quale un uomo stava osservando infastidito la refurtiva delle due ragazze.

Con due spalle larghe e gli occhi tendenti al verde, in una divisa che portava una targhetta che portava il cognome “Borio”, il capo della sicurezza del centro commerciale lasciò cadere il rossetto che stava guardando nel sacchetto che raccoglieva i trucchi trafugati. Portò le mani dietro alla schiena, posando il suo sguardo prima su Francesca e poi su Marianna. Quest’ultima, alzando gli occhi per un istante dal pavimento, lanciò un’occhiata all’uomo, pensando per l’ennesima volta che, in un’occasione diversa, non avrebbe avuto remore a sedurlo e portarlo a letto.

– Mi deludete davvero, ragazze. – disse l’uomo, parlando per la prima volta, con voce profonda ed autoritaria. – Finire nei guai per un centinaio di euro di ombretti e rossetti dozzinali. Ora sarò costretto a chiamare la Polizia e consegnarvi a loro.

Afferrò la cornetta del telefono tenendolo accanto alla propria testa, ma non compose il numero di telefono. Dopo qualche secondo, ed un’attenta contemplazione del decolleté di Francesca che non sfuggì a Marianna, sembrò incalzarle: – Non avete nulla da dire?

Francesca lo guardò per un attimo in viso, il suo contrito nella vergogna, e poi tornò a fissare le piastrelle. Lentamente le mani si alzarono e sbottonarono un altro bottone della camicetta, mostrando finalmente il centro del reggiseno nero. L’attenzione di Borio sembrò concentrarsi ulteriormente sulla parte scoperta del petto della ragazza. – Vorrei… vorrei chiederle se è possibile risolvere la cosa in… sede privata. – disse, con un filo di voce.

– “Sede privata”? – domandò Borio, rimettendo la cornetta nella sua sede del telefono, capendo però perfettamente cosa intendesse la ragazza. Girò attorno alla scrivania, ponendosi davanti a Francesca, le gambe leggermente aperte, lo sguardo rapace.

Sempre senza alzare lo sguardo, Francesca si sbottonò completamente la camicetta, lasciandola cadere per terra, a cui fece compagnia pochi istanti dopo anche il reggiseno. Sotto la contemplazione del seno da parte di Borio, Francesca scivolò dalla sedia, inginocchiandosi davanti all’uomo. Per un attimo i suoi occhi si alzarono incrociando quelli, famelici, dell’uomo, poi si concentrò con gesti malfermi sulla patta dei pantaloni del capo della sicurezza, aprendo il bottone e abbassando la zip.

Borio sogghignò mentre la ragazza abbassava i pantaloni e si trovava davanti le sue mutande deformate dal suo desiderio, fermandosi, come colta da un ripensamento.

– Non farmi prendere il telefono. – ringhiò l’uomo, non apprezzando il tempo che Francesca stava prendendo nel suo tentennamento.

Ed il tentennamento terminò subito, quando Francesca afferrò per l’elastico le mutande e le calò. Il cazzo dell’uomo si alzò come una molla davanti al viso della ragazza. Marianna lo fissò di sottecchi, contemplandolo mentre si gonfiava e la cappella spuntava in parte dalla pelle.

– Succhia bene, puttana. – consigliò Borio, a metà tra un ringhio ed una minaccia non detta ma facilmente immaginabile.

Francesca lo prese con una mano, massaggiandolo con il pollice mentre osservava disgustata la punta del cazzo sulla quale una goccia di liquido precoitale trasparente stava fuoriuscendo e iniziando a scorrere sulla cappella. Strizzando gli occhi e aprendo la bocca, la testa di Francesca si avvicinò. Lentamente le sua labbra scivolarono lungo la punta e scesero sull’asta, chiudendole.

Dopo un secondo o due, la ragazza spinse all’indietro e poi di nuovo avanti. Marianna la osservò appoggiare una mano sui coglioni pieni dell’uomo e iniziare a massaggiarli, la velocità del movimento della testa aumentare, strappando un gemito di piacere a Borio.

Marianna li guardò in quell’amplesso, ammirando la bravura della sua amica che, dopo qualche minuto alla pompa aggiunse anche una sega, muovendo la mano in avanti ed indietro ruotando contemporaneamente.

L’uomo all’iniziò apprezzò, ma nonostante una figa come Francesca fosse ai suoi piedi, con il suo cazzo in bocca, dopo poco sembrò stancarsi di quel pompino: afferrò la testa della mora e con violenti colpi di bacino iniziò a fotterle la bocca, con lei che lasciava i coglioni ed il cazzo e appoggiandosi alle gambe nude di Borio, come per spingerlo via, per fermare quella violento irrumatio. Il rumore viscido del cazzo che sbatteva nella bocca di Francesca si accompagnava al fiume di saliva che sgorgava dalle labbra della ragazza colando sulle sue tette.

Borio lanciò un grido quando fermò il suo colpire il viso di Francesca e le abbracciò la testa, trattenendola contro la sua coscia sinistra. Fu scosso da alcuni tremiti mentre la sua sborra si riversava a fiotti nella bocca della ragazza. La lasciò infine andare che stava soffocando, il petto che si muoveva nei colpi di tosse che le fecero vomitare sperma ed un mare di bava che finì con l’imbrattarle il mento e colarle sul seno, impiastricciandolo.

Borio la guardò soddisfatto, dandole anche una pacca sulla testa, mentre il cazzo rimaneva attaccato alle labbra della ragazza attraverso un cordone di saliva e seme che si incurvò sotto il proprio peso, spezzandosi. Si voltò verso Marianna, contemplandone per la prima volta il viso dalle labbra carnose e gli occhi azzurri, gli splendidi capelli biondi.

– Anche tu troietta vuoi sistemare tutto in sede privata? – le chiese, senza cercare di celare un tono ironico nella voce autoritaria.

Marianna sollevò lo sguardo da terra, osservando per un attimo la sua amica, ancora in ginocchio, che si stava passando una mano sulla bocca, ne guardava i fluidi corporei biancastri che aveva raccolto e poi li schizzava sulle piastrelle con un colpo del polso. Si chiese se sarebbe riuscita a succhiarlo bene come Francesca… Non aveva comunque altra scelta per uscire dalla situazione in cui si erano cacciate. – Sì. – disse, con un filo di voce, e si inginocchiò anche lei senza nemmeno alzare il sedere dalla sedia. Le sue dita afferrarono il fondo della maglietta e se la tolse, mostrando un intimo color carne.

– Oh, no, troietta. – sbottò l’uomo, muovendo il pollice della mano destra in segno di diniego. – La tua amica se l’è cavata con una pompa, ma tu mi sa che sei una gran cagna, e devi pagare con la fica.

Marianna lo guardò stupita, cercando di tenere puntato il suo sguardo sul volto dell’uomo e non sulla sua nerchia che scintillava per la saliva di Francesca e da cui colava una goccia di sborra che non era finita nella trachea dell’amica.

– Togliti quei vestiti da sfigata e sdraiati sul tavolo, che adesso voglio scoprire quanto sei calda, in mezzo alle gambe.

Lei non poté fare nulla se non obbedire sotto lo sguardo libidinoso di Borio e quello pieno di lacrime di Francesca. Senza troppo stile, si tolse il reggiseno, strappando un grugnito di consenso dall’uomo, e poi i pantaloni, le scarpe, le calze, ed infine la sua passera fu libera di respirare. Quasi raggomitolata su sé stessa, Marianna si sedette sul bordo della scrivania e poi si sdraiò. Guardò Borio ed ebbe un lungo brivido.

Lui le si pose tra le gambe, aprendogliele. – Che c’è, troietta? Hai i brividi di paura? – Sul suo volto si accese un sorriso maligno. – Non preoccuparti: la mia bega ti scalderà il cuore.

Marianna si portò le braccia al seno, coprendolo, mentre l’uomo le alzava una gamba, appoggiandosela al petto, poi afferrò il suo cazzo, con due dita aprì le labbra della fica della bionda ed in un attimo violò la sua femminilità.

La ragazza aveva ammirato il cazzo la prima volta che lo aveva visto, ma non si era aspettata fosse ancora così grosso dopo la spompinata di Francesca. Nonostante questo, lei era bagnata e scivolò dentro facilmente. Mentre i colpi cominciavano a farla ondeggiare sul piano della scrivania, con gli oggetti attorno a sé che tintinnavano o si muovevano, osservò lo sguardo di rabbia che distorceva il volto di Borio. Doveva essere un uomo poco piacevole da frequentare, dopotutto, nonostante l’aspetto ed il cazzo in mezzo alle gambe, e probabilmente nessuna donna voleva stare con lui più del necessario. Forse solo pagando, o scopando le taccheggiatrici, poteva scaricare il suo libido nelle donne.

Osservò Francesca guardarli nel loro amplesso, contemplare il culo sodo di Borio muoversi a scatti tra le gambe dell’amica, pensare chissà cosa dopo quella pompa. Magari era invidiosa che lei lo stava prendendo nella fica invece che in bocca? La saliva e la sborra stavano colando lungo il suo addome scolpito, scintillando tra gli addominali.

Senza mostrare il minimo stile nell’atto sessuale o rispetto per la ragazza, Borio si limitava a spingere a fondo il suo sesso in quello di lei, grugnendo e tenendole alzata una gamba contro il suo busto, ripetendo e ripetendo il suo gesto. Le altre uniche interazioni con lei erano insulti come “stupida puttana” e “lurida troia”. Ormai ignorava completamente Francesca, che restava sul pavimento, in ginocchio, insicura su cosa fare.

Fu a quel punto che la porta si aprì, le due ragazze, sorprese, guardarono verso l’uscio, non sapendo cosa aspettarsi. C’era impalato Del Marco, che li fissò stupito per un momento, improvvisamente incapace di parlare. Borio si voltò verso di lui, fulminandolo con lo sguardo, senza smettere però per un istante di fottere Marianna.

– Vattene da quella porta, coglione! – ruggì.

L’agente di sicurezza sbatté gli occhi come per riprendersi da uno shock, poi con urgenza prese la radio attaccata alla spalla, se la mise alla bocca e, concitato, dopo aver aperto il canale di comunicazione, disse: – 10-71, ripeto, 10-71. A tutti gli agenti, immediatamente all’ufficio del capo.

Marianna pensò che aveva appena chiamato gli altri colleghi sparsi per il centro commerciale perché giungessero a fermare il loro capo che le stava violentando, per salvarle, ed ecco che Del Marco si riagganciava la radio alla spalla, entrava a lunghi passi nella stanza, dirigendosi verso Borio slacciandosi la cintura e sfilandosela dai passanti dei jeans per colpirlo… e invece la gettò a terra, pose una mano sulla guancia sinistra di Francesca, ne spinse la testa contro l’inguine, si slacciò i pantaloni con l’altra mano, prese fuori il cazzo dalle mutande e lo piantò in bocca alla ragazza, senza nemmeno degnarsi di guardarla.

Francesca era rimasta sconvolta quasi più di Marianna, con la mano sulla testa che gliela faceva muovere su e giù lungo l’asta nella nuova nerchia, mentre Borio non aveva nemmeno accennato un movimento all’ingresso del collega, mantenendo il suo ritmo concitato nello sbattersi la fica di Marianna.

– Che c’è, capo? – domandò Del Marco, sorridendo compiaciuto per l’evoluzione che aveva avuto il suo arresto. – Volevi fottertele da solo, queste, senza condividere con i tuoi uomini?

Marianna vide Borio dietro la sua gamba scoppiare in una risata. – L’hai detta giusta, Del Marco: sono il tuo capo. Il primo giro di scopata spetta a me di diritto.

CONTINUA…

Per contattarmi, potete scrivere all’indirizzo email william.kasanova@email.it

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