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Maybellene. Il botteghino (Capitolo I)

By 1 Febbraio 2020No Comments

Irina è una giovane donna. In realtà è una ragazza.

Ha due grandi occhi castano chiaro, con una leggera sfumatura grigia, soprattutto ai margini dell’iride: una sfumatura che dona una luminosità splendente o un’assenza di vitalità in base ai diversi momenti. Labbra carnose, morbide, di un rosa acceso, che sembrano il coronamento ideale di un piccolo naso dalla forma morbida. I capelli lunghi, lisci, sempre tenuti con attenzione. I seni sodi, grandi quanto basta per non essere trattenuti all’interno della coppa di una mano.

Minuscola, poco più di un metro e 50. Cosce tornite e un fondoschiena sodo, con le natiche che sembrano incasellate da un abile scultore che non volesse far altro che indicare la via tra di loro.

 

Il cinema sembra chiuso.

Irina è in piedi, dentro al botteghino, dietro alla vetrata, completamente nuda. 

Sta parlando con l’uomo alla biglietteria, china sul suo banconcino. Ai bordi delle labbra ha dello sperma che inizia a raddensarsi. Raddensamento che invece hanno avuto altri numerosi schizzi sul viso. I capelli, in alcune ciocche, sono addensati in modo appiccicoso e sono completamente scarmigliati. Tutto il suo corpo è ricoperto da uno strato biancastro tendente al giallognolo pallido, che va via via rinsecchendosi. Il suo fondoschiena è esposto, completamente, vista la posizione che tiene, con i gomiti posati sul tavolo del bigliettaio e la schiena incurvata che disegna una linea di offerta verso il suo culo, i cui glutei sono rossi, con alcuni segni di lividi violacei. La mano di lei, mentre parla, scivola alla patta del bigliettaio, abbassando la cerniera. L’uomo abbassa i pantaloni e lascia il sesso non del tutto duro in bella vista. Lei lo carezza e poi lo afferra alla base, iniziando a masturbarlo lentamente, come se fosse un’operazione ordinaria. Doverosa.

Dietro di lei un altro uomo ha i pantaloni abbassati e con le mani aperte le dilata le natiche più di quanto già non lo siano, osservando l’orifizio devastato di Irina, enorme e aperto, che pulsa al ritmo del respiro della giovane donna di fronte agli occhi dell’osservatore. 

Lentamente avvicina il proprio sesso e lo infila di colpo all’interno. Irina socchiude gli occhi e stringe, istintivamente, con forza il sesso dell’uomo alla biglietteria, che poco prima stava massaggiando. Stringe i denti. Dalla vagina colano due enormi rivoli di sperma denso e raggrumato, il cui suono al contatto a terra rimbomba nell’ambiente, assieme a una bestemmia dell’uomo dentro lei. L’uomo dietro di lei estrae il sesso insozzato di sperma altrui, schifato.

“Senti, puttana, molla quello e pulisci prima il mio, che sei arrivata al punto da fare veramente schifo”.

Irina è frastornata e fatica a muoversi. L’uomo dietro di lei la prende per i capelli. Il corpo di lei non si irrigidisce. Si muove come un corpo molle. Si ritrova con il volto nella direzione opposta, inginocchiata a cosce larghe, in un’istintiva posizione di necessario e improvviso bilanciamento. L’uomo le sbatte il sesso insozzato da quella miscela di sperma sul viso, fino a infilarglielo tra le labbra di forza. Lei osserva prima di fronte a lei, mentre inizia a stringere le labbra, risucchiando, avidamente, con forza. Il suono del risucchio rimbomba nell’aria. 

Irina alza gli occhi verso quell’uomo, con la boca piena, le labbra aderenti all’asta sporca di sperma di altri sconosciuti che torna all’interno di lei, passando dalla bocca.

 

“Sei veramente uno sborratoio”.

 

Irina era arrivata lì.

Lee

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