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Oh cazzo!

By 29 Aprile 2016Ottobre 2nd, 2021No Comments

Cinzia si allungò sul letto, aggiustandosi i cuscini e godendosi la vista del forte e potente fisico dell’uomo che si stava infilando le mutande ai piedi del suo letto.
Era alto, poco più di trent’anni. Bello. E nero.
Era un cuoco inglese, seppur di origini africane, ed era a Parigi per un corso riservato agli chef sul fois-gras nella cucina francese.

Le spuntò un sorriso sulle labbra mentre ricordava come quello stesso uomo avesse strapazzato il suo corpo nelle ultime due notti; come l’avesse usata per il suo piacere ancora e ancora, quasi senza darle tregua; e come avesse completamente soddisfatto la voglia di sesso che avvertiva solo qualche giorno prima.

Le cadde l’occhio sulla vera matrimoniale che aveva al dito, accanto a un anello di fidanzamento con un diamante di discrete proporzioni che suo marito le aveva regalato sedici anni prima quando le aveva chiesto di diventare sua moglie il giorno del suo venticinquesimo compleanno.
Aveva smesso da tempo di provare sensi di colpa per le sue trasgressioni, ma un po’ le dispiaceva per Roberto, suo marito, così fedele, ingenuo, fiducioso, innamorato. Gli voleva bene, certo, e tradirlo così, ancora una volta non era una cosa di cui andasse particolarmente fiera. Ma, pensava, i suoi tradimenti avvenivano sempre e solo a Parigi, quando doveva raggiungere per qualche giorno la Maison-Mere della sua azienda per presentare i risultati del trimestre e le previsioni per quello successivo. Per il resto del tempo era una moglie dedicata e affezionata, che non faceva mancare nulla a suo marito.
Roberto, non sapendo niente, non ne soffriva affatto, lei ci sarebbe sempre stata per lui, ma per lei invece quelle scappatelle di fine trimestre rappresentavano davvero uno sfogo, una liberazione. Paradossalmente il fatto che lei potesse lasciarsi andare con qualche occasionale amante procurava benefici anche a Roberto, che poteva contare su una moglie più rilassata, più contenta e più disponibile.

Cinzia sentiva impellente il bisogno di portarsi a letto qualche sconosciuto durante quei viaggi. Non che a casa non fosse soddisfatta, intendiamoci. Il sesso con Roberto era sempre intenso e bellissimo se non addirittura a volte spettacolare.
E allora perché quei tradimenti tutte le volte che andava a Parigi? Perché non aveva rimorsi? Perché non provava sensi di colpa? Eppure sapeva bene quanto rischiava se fosse stata scoperta.

Tutto era cominciato quattro anni prima. Già da due anni toccava a lei recarsi a Parigi per la riunione trimestrale con gli alti papaveri. Si trattava di un viaggio di quattro giorni e tre notti, i primi tempi in aereo e ultimamente con l’Alta Velocità. Qualche riunione preliminare il pomeriggio del primo giorno, la presentazione di tutte le filiali il secondo, incontri faccia a faccia con i capi per raccomandazioni, cazziatoni, proposte di aumenti di stipendi, bonus e/o target il terzo giorno. La mattina del quarto giorno era dedicata invece a fraternizzare con i colleghi di altri paesi e scambi di notizie e consigli in pieno relax.
L’albergo sempre lo stesso (spesso anche la camera era la stessa), ottimo anche se piccolo, comodo e discreto, in pieno centro.
Si era imposta un codice di comportamento severissimo: massima serietà, nessuna concessione al gioco, allo scherzo, al flirt anche se innocente. La sera a letto presto, cercando di evitare il più possibile di mischiarsi con colleghi o estranei.

Quel giorno però era stato durissimo: i suoi capi l’avevano messa alle strette, non erano rimasti soddisfatti della sua presentazione e avevano questionato quasi tutte le decisioni che aveva preso nel corso del mese. Poi avevano cercato di imporle una specie di “supervisore”che avrebbe dovuto controllare le sue azioni nei mesi successivi.
Per fortuna era riuscita a far loro cambiare idea, ma la sera tornò in albergo furibonda. Anziché salire in camera si fermò un momento al bar per un Cosmopolitan, il famoso cocktail di Sex and the City, sperando di calmarsi.
Poi ne bevve un secondo e l’alcol cominciò a fare effetto. Aveva solo assaggiato qualcosa a pranzo e stava rimpiazzando la cena con i drink. Una situazione pericolosa, che aveva sempre evitato con cura per paura dello stato di vulnerabilità in cui la lasciava.
E infatti quella volta, quando quel figo spettacolare dal devastante fascino nordico le rivolse la parola, lei non potè far altro che sorridergli e lasciare che lo offrisse un quarto Cosmopolitan.
L’uomo era molto più giovane di lei e l’attraeva irresistibilmente, con quel buffo francese dall’accento slavo che usava per proporle elegantemente di “conoscersi meglio”. In più, tutti i suoi freni inibitori erano saltati per via dell’alcol.
Finì che passò la notte con lui, nella sua camera, facendosi trombare per ore. Rimase stupefatta da quanto il suo corpo rispondesse agli assalti instancabili dell’uomo. Anzi se ne preoccupò persino. Troppo, troppo piacere. Troppi orgasmi. Si era sentita portare in paradiso, travolta dalla lussuria. Si chiese se questa avventura non avesse messo in luce un lato da zoccola che lei non sapeva di avere e se mai sarebbe riuscita a tornare come prima.
Si risvegliò, la mattina successiva, sola, in un letto pieno di chiazze appiccicaticce, in una camera che non era la sua, col mal di testa e il corpo dolorante soprattutto in prossimità dei suoi orifizi. Inoltre si sentiva agghiacciata dal senso di colpa e dalla vergogna per aver tradito spudoratamente il suo adorato marito.

Sorprendentemente però, malgrado la notte quasi insonne e i postumi della sbronza, si sentiva estremamente rilassata, concentrata, totalmente padrona di sé stessa. I meeting del mattino quasi capovolsero la brutta impressione che aveva lasciato il giorno prima e nel pomeriggio se ne tornò a Milano avendo ottenuto da loro ciò che voleva.

Usò il volo di ritorno in prima classe per sorseggiare champagne e dormire un po’ invece di lavorare al laptop come faceva sempre. Quel pomeriggio aveva troppe cose per la testa per riuscire a concentrarsi sul lavoro. Rivisse nella testa il film del suo tradimento alcolico. La vergogna, la colpa. La preoccupazione che Roberto avesse potuto notare qualcosa, la sua vagina troppo larga e arrossata, qualche segno sul corpo sfuggito al suo minuzioso esame davanti allo specchio del bagno della sua camera d’albergo. Si chiese se sarebbe riuscita a guardare in faccia il marito senza tradire colpevolezza. E che dire delle sue due figlie, ancora adolescenti? Aveva tradito anche loro?
Ma, sinceramente, nel fondo della sua mente, sepolto sotto una coltre di pensieri politically correct, si annidava un sentimento di straordinaria eccitazione, di profonda lussuria, di piacere intenso al pensiero della sua depravazione. E poco a poco questa consapevolezza ebbe la meglio su vergogna e sensi di colpa.
Quando l’aereo atterrò a Linate, Cinzia sapeva che quell’avventura non sarebbe stata l’ultima, ma solo la prima di una lunga serie.

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Cinzia aveva conosciuto suo marito alla Bocconi, a Milano, dove si era laureata in Economia. Roberto era un anno più avanti di lei e era rimasto subito catturato dalla sua bellezza un po’ altera, dalla sua serietà, dal suo impegno, che però non impedivano alla sua sensualitò di sprigionarsi al punto che non era possibile non notarla.
Eppure non era né alta, né particolarmente appariscente: seno quasi piccolo, poco trucco, abbigliamento severo, capelli tagliati corti. In compenso aveva una grazia innata nei movimenti, un raro ma spettacolare sorriso e una camminata regale, testa alta e schiena dritta.
La sua professionalità l’aveva portata a diventare direttrice amministrativa e finanziaria della succursale italiana di questo colosso francese del lusso che gestiva quattro o cinque grandi marche che operavano nel campo della moda, della profumeria, della gioielleria e della orologeria.
A quarantadue anni era una donna arrivata, indipendente, sicura di sé e con uno stipendio ragguardevole. Molto maggiore di quello del marito, che realizzava siti web in proprio.
Lei e Roberto diventarono inseparabili dal primo momento e si misero a vivere insieme solo pochi mesi dopo essersi conosciuti. Quando Cinzia scoprì di essere incinta i due pensarono di sposarsi al più presto, sia perché quella di sposarsi era un’idea che avevano entrambi, sia perché Cinzia non voleva rovinare le foto del matrimonio apparendo col pancione.
Prima nacque Caterina e dopo solo un anno e mezzo Serena. Quindi, ancora prima dei trent’anni, Cinzia si ritrovava con la famiglia ormai al completo e tutto il tempo da dedicare alla carriera. E le figlie? Beh, visto che Roberto poteva benissimo lavorare da casa, se ne occupava prevalentemente lui, con l’aiuto dei nonni sia materni che paterni. Era diventato bravissimo dapprima con pappe e pannolini, poi coi compiti delle elementari, le recite a scuola, i corsi di danza e infine con i più impegnativi problemi di dialogo con due figlie adolescenti.
Questo sistema funzionava benissimo per entrambi: per lui, che amava stare in famiglia se si escludono quelle rare volte che assisteva alle partite del Milan a San Siro, e per lei che pensava più alla carriera e che ormai aveva raggiunto una posizione invidiabile.

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Cinzia si rendeva anche conto che un eventuale divorzio per lei sarebbe stata una brutta botta: ovviamente le figlie sarebbero state affidate al padre, che poteva facilmente dimostrare di essersene sempre occupato molto di più di lei, e avrebbe quindi dovuto pagare alimenti sia a lui che alle figlie. Persino il lussuoso appartamento di duecento metri quadrati in viale Vittorio Veneto (Porta Venezia) sarebbe probabilmente stato assegnato a Roberto pensando al benessere delle ragazze.
Preferiva non pensarci, contando sul fatto che Roberto non avrebbe mai potuto scoprire le sue scappatelle, in un’altra città, in un altro paese dove nessuno la conosceva.

In ogni caso, per non correre rischi, si era imposta alcune rigidissime regole di comportamento: si sarebbe fatta scopare solo nei suoi viaggi a Parigi. Mai in Italia o peggio ancora a Milano. Mai con un collega, mai. Avrebbe scelto i suoi partner tra gli uomini d’affari che frequentavano quell’albergo, preferibilmente non italiani e sposati per minimizzare il rischio che qualcuno di loro insistesse per prolungare o rendere più profonda la loro relazione. Non ci sarebbe stata nessuna forma di intimità: niente baci, niente sesso orale. Totale accessibilità invece sia alla passera che al culo (mamma, come adorava il sesso anale!), ma sempre col preservativo. Poi sarebbero dovute passare almeno ventiquattr’ore dalla trasgressione prima di farsi vedere da Roberto per lasciare il tempo a eventuali segni di attività sessuale di scomparire, e per ultimo lei non avrebbe mai, mai dato il suo vero nome, telefono, o indirizzo email ai suoi occasionali amanti.
Applicando scrupolosamente queste precauzioni, era sicura che non si sarebbe mai fatta scoprire.

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Due settimane dopo il suo ultimo viaggio a Parigi, durante il quale aveva “stretto amicizia” col cuoco inglese di colore, Cinzia tornò a casa una venerdì sera molto tardi, dopo le nove. La casa era sorprendentemente tranquilla e le figlie non manifestarono la loro presenza al suo arrivo come invece facevano di solito.
Sorpresa, si tolse il soprabito, posò la ventiquattrore sul pavimento della anticamera, le chiavi della macchina sul tavolino.

Trovò suo marito seduto in cucina, rabbuiato. Non c’era niente di pronto e non c’era nulla sul fuoco. Sul tavolo, invece della cena, c’era una busta marrone formato A4 che pareva contenere delle carte e forse anche qualcos’altro.
Non la salutò, non sorrise, non disse una parola. Non rispose quando gli chiese dove fossero le ragazze.
Con un gesto le fece cenno di sedersi al tavolo della cucina, di fronte a lui.
Cinzia cominciò seriamente a preoccuparsi. Non sarà loro successo qualcosa di brutto, no? Cosa ci poteva essere di tanto terribile da ammutolire suo marito? Magari i suoi genitori? Oddio, non sarà successa una disgrazia a sua madre o a suo padre!?

Ora provava davvero paura, di fronte all’espressione impenetrabile del marito. Solo i suoi occhi manifestavano ancora una certa espressività e la fissavano con una intensità tale che pareva volessero trapassarla e scrutare a fondo nella sua anima.

Quando fu seduta lui prese la busta, ne estrasse un foglio ripiegato in due e glielo consegnò, invitandola con lo sguardo a leggere quanto c’era scritto.
Cinzia afferrò il foglio e lesse:

“Egregio dottor De Paoli,
Sono una signora italiana, sposata con un inglese, che vive a Londra ed è con grande dispiacere che mi sento obbligata a trasmetterLe le prove inconfutabili dell’adulterio di Sua moglie Cinzia.
L’uomo con lei che vede nella foto e nel dvd allegato è mio marito. Il suo nome non importa.
Avevo sospettato da tempo che mi tradisse nei suoi numerosi viaggi di lavoro e ultimamente le cose parevano essere peggiorate, al punto che mi sono rivolta a una società specializzata in investigazioni matrimoniali.
Come può capire dalle immagini, i miei sospetti erano fondati.
Non sono riuscita a guardare il video, mi faceva troppo piangere, ma ho dato un’occhiata da vicino alle foto e devo dire che si vede benissimo la fede matrimoniale al dito di entrambi: è evidente che sapessero che il rispettivo partner fosse sposato.
Questo significa che anche Sua moglie ha commesso volontariamente un adulterio con un uomo sposato e, pur senza l’intenzione di rovinare un altro matrimonio oltre al mio e non essendo a conoscenza di eventuali accordi tra di Voi a proposito di quanto aperta sia la Vostra coppia, sono talmente inferocita che non ho alternativa se non quella di coinvolgere anche Lei in questo disastro matrimoniale.
Probabilmente mi odierà per questo, ma io sono sicura che, se fossi nei suoi panni, vorrei essere messa al corrente di quanto stia succedendo nel mio matrimonio per quanto dolore ciò possa causare.
In calce troverà i numeri dell’agenzia investigativa e del mio avvocato (che mi sta rappresentando nel divorzio) se avrà bisogno di confermare quanto Le sto raccontando.

Con i migliori saluti e con la morte nel cuore,

‘Moglie Distrutta’.

Al leggere quelle parole Cinzia si sentì sopraffare interiormente dal panico. Ma che razza di sfortuna che il suo amante fosse un traditore seriale (come lei), ma al contrario di lei avesse un coniuge sospettoso!

Con la mente sconvolta cercò di capire che atteggiamento fosse il più conveniente in quel momento. Intanto non doveva tradire nessuna emozione. Anni di negoziazioni con clienti e superiori le avevano insegnato a apparire fredda e distaccata, anche se invece era in preda alle più violente emozioni. Quindi passò rapidamente in rassegna tutte le possibili scuse alla ricerca di qualcosa che potesse se non cancellare almeno minimizzare il danno che quella inconfutabile evidenza aveva provocato.

Qual era la maniera migliore per riaggiustare quella che pareva una situazione irrimediabilmente compromessa? Ci sarebbe stato un modo di salvare il matrimonio?
Negare sarebbe stato impossibile, confessare tutto sarebbe stato altrettanto disastroso. Decise in un attimo di ammettere qualche verità parziale e confidare nella pietà del marito, mettersi alla mercè del suo amore e della sua capacità di perdonare.

Tra le lacrime raccontò quella che le pareva una storia credibile, o che almeno Roberto avrebbe potuto bersi.

Spiegò che quell’ultima volta con i colleghi era stata a festeggiare un grosso contratto e avesse bevuto troppo champagne (Roberto sapeva quanto lo champagne la rendesse disponibile…). Di come avesse provato una forte attrazione per quell’uomo di colore e fosse rosa dalla curiosità di controllare di persona se fosse vero quanto si diceva circa le dimensioni dei membri dei neri. Di come invece ne fosse rimasta delusa, di quanto si fosse sentita in colpa in seguito e quanto avrebbe voluto non averlo fatto. Giurò che non sarebbe mai più capitato, che aveva imparato la lezione e implorò il perdono del marito, l’unico uomo che amasse veramente.

Roberto scosse la testa lentamente, una smorfia di disprezzo a stravolgergli i lineamenti.
Dalla busta estrasse un piccolo registratore audio mp3 e premette il tasto “play”.Cinzia ascoltò chiarissima la propria voce mentre elencava con grande sicurezza all’uomo le regole che si era imposta per non farsi scoprire. Le sue parole la condannavano totalmente, mettevano in evidenza tutte le balle che aveva raccontato.
Roberto allora estrasse una foto dalla busta. Era molto chiara e doveva essere stata scattata con un potente teleobiettivo dall’edificio di fronte all’albergo. Avevano mantenuto aperte le finestre del balconcino per godersi la vista sulla lontana Tour Eiffel e l’interno della stanza era chiarissimo. Si distinguevano facilmente le fedi agli anulari, a voler vedere, ma ciò che colpiva l’attenzione era l’espressione di totale lussuria della sua faccia mentre l’uomo la stava sodomizzando entusiasticamente alla pecorina proprio davanti alla porta-finestra. Il fatto che l’uomo non fosse lo stallone nero del racconto di Cinzia, ma un signore di mezza età con gli occhiali e un ventre pronunciato e in più BIANCO come la neve fresca faceva crollare tutto il castello di frottole che aveva raccontato.

Cinzia scoppiò a piangere con rumorosi singhiozzi, coprendosi il volto con le mani. Il suo matrimonio ormai era perduto. Abbassò il capo sul tavolo, crollata, sconfitta e incapace di sostenere lo sguardo del marito. Che aprì bocca per la prima volta:
– Ti voglio fuori dalle palle prima che riporti le bambine a casa. Ho già portato due valige di roba tua da tua madre. Ti farò sapere quando potrai passare a riprenderti il resto.

La moglie adultera, traditrice, puttana rimase senza parole mentre il marito si alzava lasciandola sola in cucina.

Si guardò intorno come se vedesse la tanto familiare cucina per la prima volta. Quasi in un sospiro le scappò un’esclamazione:
– Oh cazzo!

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