Skip to main content
Racconti Erotici Etero

Oltre le apparenze Reprise sesta parte

By 5 Luglio 20252 Comments

Il mattino filtrava appena dalle tende pesanti della stanza, una luce morbida e calda che accarezzava i contorni del letto. Martina si svegliò lentamente, ancora immersa nella quiete rarefatta del sonno profondo. Sentiva un corpo caldo contro il suo, una pelle liscia e nuda che la sfiorava lungo la schiena, due braccia che la cingevano con dolcezza, e un respiro regolare contro la sua nuca.

Michelle era ancora lì.

Appena Martina si mosse, anche di poco, le mani della ragazza cominciarono a muoversi, lente, leggere, salendo a cercare i seni morbidi e stanchi di piacere. Le accarezzò con dita morbide e attente, tracciando piccoli cerchi, mentre le labbra le sfioravano la nuca, giocando con il respiro più che con il bacio.

«Ieri sera sei stata divina,» mormorò Michelle, la voce impastata di sonno ma ancora carica di desiderio. «Io non ero lì, ma ho gestito la regia… delle immagini trasmesse a tuo marito. Mi sono dovuta toccare più volte, sai… non riuscivo a sopportarlo. Il modo in cui ti muovevi… il modo in cui ti lasciavi prendere. Mi hai accesa, mi hai fatto bruciare.»

Martina si voltò lentamente verso di lei, senza dire nulla. I loro occhi si incontrarono, e in quel silenzio c’era tutta la risposta. La baciò.

Un bacio lento, caldo, profondo. Senza fretta. Senza timori. Solo bisogno.
Aveva bisogno di dolcezza. Di tepore. Di passione.

E Michelle glieli diede tutti. Le mani che la accarezzavano senza forzarla, la bocca che cercava e trovava, la pelle che si faceva carezza ovunque. Le due donne si cercarono nel silenzio, si offrirono senza chiedere, si donarono piacere senza dominarlo. Lingue, dita, respiri. A occhi chiusi, unite. Un piacere reciproco, pieno, che saliva senza dolore, senza costrizione, solo come un’onda dolce, travolgente, vera.

Raggiunsero il culmine più volte, in modi diversi, ma ogni volta con lo stesso abbandono, lo stesso respiro lungo e affannato, lo stesso tremore trattenuto a fatica. Poi restarono lì, strette, il sudore che si faceva bruma sulla pelle.

Quando il silenzio fu tornato pieno, Michelle si alzò per prima, porse la mano a Martina con un sorriso aperto.

«Vieni, ci facciamo una doccia. Abbiamo una nuova giornata davanti.»

Si lavarono insieme, con gesti ancora morbidi, ancora lenti, tra spruzzi d’acqua calda e dita che non smettevano mai di esplorare. Ma senza la fame di prima. Solo calore. Solo intimità.

Il rientro in camera avvenne tra sorrisi silenziosi e sguardi che non avevano bisogno di parole. Michelle si muoveva con grazia, raccolse i suoi indumenti piegandoli con cura ai piedi del letto, poi indossò lentamente la sua uniforme — quel miniabito aderente, nero e sobrio solo in apparenza, che sembrava disegnato per suscitare fantasie più che per assolvere a un servizio.

Si avvicinò a Martina con passo leggero, le accarezzò un braccio con la punta delle dita e le lasciò un bacio casto sulle labbra, che sapeva più di promessa che di saluto.

«Chiamami quando avrai capito cosa farete oggi… così ti aiuto a scegliere il vestito giusto.»

Martina annuì senza parlare, accompagnandola con lo sguardo fino alla porta. Quando la stanza fu di nuovo silenziosa, il telefono squillò.
Lei sollevò la cornetta, ancora nuda, la pelle umida di doccia e piacere.

La voce all’altro capo era maschile, calma, formale.
«Il signor Vittorio l’attende in sala da pranzo per la colazione.»

Martina restò un istante immobile, poi posò la cornetta con lentezza. Si avvicinò alla specchiera, scelse con cura un paio di autoreggenti nere velatissime, le infilò lentamente, facendole scivolare lungo le gambe come un rituale. Regolarono la tensione attorno alle cosce come una carezza elastica e precisa. Poi afferrò le sue Louboutin nere, lucide, le indossò come l’ultimo tocco di una divisa personale.

Null’altro.
Nessun vestito.
Nessuna lingerie.
Solo pelle e intenzione.

Attraversò i corridoi con passo deciso, il suono dei tacchi che precedeva la sua figura come una dichiarazione.

Martina rientrò in camera ancora sorridente, con l’eco del saluto a Vittorio sulle labbra. Non fece nemmeno in tempo ad posare le mani sui fianchi che Michelle comparve sulla soglia con lo sguardo curioso di chi sapeva già che stava per iniziare qualcosa di interessante.

«Allora?» chiese la ragazza, posandosi sulla porta con le braccia incrociate.

Martina si voltò verso di lei con quel lampo negli occhi che Michelle ormai riconosceva al volo.
«Vittorio mi vuole pronta per uscire. Codice: corto, stretto e audace. Ma di giorno.»

Michelle non perse tempo. Si voltò verso la cabina armadio con un sorriso leggero.
«Ho già in mente qualcosa che amerai toglierti… lentamente.»

Quando tornò, portava con sé tre capi perfettamente abbinati.

La gonna era nera, a metà coscia, realizzata in un tessuto leggero ma definito. Abbracciava i glutei con precisione, e appena sotto si apriva in un taglio morbido, svolazzando a ogni passo con grazia provocante, accarezzando le cosce senza mai scoprire del tutto. Era fatta per camminare… e per far immaginare.

Sopra, una camicia in voile bianco trasparente, leggerissima, con bottoncini fino all’ombelico, il seno visibile sotto il tessuto impalpabile, quasi un invito a scostare appena per vedere meglio. Nessun reggiseno. Nessun bisogno.

A completare il tutto, una giacca corta e sagomata, taglio sartoriale, da portare aperta. Una cornice perfetta per quel corpo nudo mascherato solo da trasparenze.

Martina si vestì aiutata dalle mani leggere di Michelle, che si occupò con calma di ogni dettaglio, dalle autoreggenti nere al colletto ben piegato della camicia.

Quando si guardò allo specchio, fece qualche passo avanti. La gonna ondeggiava, le calze affioravano, la camicia svelava tutto il necessario.

«Ora sì. Ora posso essere scartata come un regalo ben impacchettato.»

Michelle, da dietro, si chinò appena per sistemarle l’orlo.
«E chi lo apre… dovrà stare attento a non bruciarsi.»

Martina si osservava un’ultima volta allo specchio, sistemando con lentezza il colletto della camicia. La giacca aperta le incorniciava il busto, la gonna ondeggiava lieve sulle autoreggenti a ogni respiro. Dietro di lei, Michelle la fissava con un sorriso soddisfatto.

Martina non si voltò. Lo disse guardando il proprio riflesso, con quel tono tra il serio e il giocoso che Michelle aveva imparato a riconoscere come un inizio, mai una fine.

«Non credi che abbiamo dimenticato qualcosa?»

Michelle inarcò un sopracciglio, senza rispondere subito. Poi, con tono pacato ma ironico, replicò:
«Intendi l’intimo? Credo che non serva. Distrarrebbe soltanto.»

Martina si voltò finalmente, camminando verso di lei con un’aria fin troppo innocente.
«Allora sottovaluti la forza… di una donna che si sfila le mutandine.»
Le sorrise. Lenta. Sicura. Irresistibile.

Michelle non disse nulla. Si voltò verso il cassetto basso del comò e estrasse un perizoma nero, lucido, sottilissimo, quasi impalpabile. Pochi centimetri di tessuto, un filo di eleganza spudorata.

Martina lo prese tra le dita come fosse un gioiello prezioso, lo infilò con naturalezza, senza fretta, senza distogliere lo sguardo da Michelle, che la guardava in silenzio, complice e attenta.

Poi si voltò, prese la borsetta che già aspettava sulla poltrona, e uscì senza dire altro.

Raggiunse il soggiorno con passo sicuro. Il rumore ritmato dei suoi tacchi era sufficiente ad annunciare il suo arrivo. Vittorio era già lì, in piedi accanto a una grande finestra che dava sul giardino, lo sguardo perso nei pensieri. Ma si voltò appena la sentì.

E la vide.

Ogni dettaglio di lei parlava il linguaggio che avevano stabilito insieme.
Corto.
Stretto.
Audace.

«Semplicemente stupenda, Marty…» disse Vittorio, con la voce più bassa del solito, quasi un ringhio trattenuto. «A vederti così, il primo pensiero è di sdraiarti su questo divano e prenderti fino allo sfinimento.»

Martina sorrise appena, senza alcun imbarazzo, come se quelle parole le fossero già familiari. Si avvicinò al divano con lentezza, i fianchi che accompagnavano il ritmo del passo, la gonna che svolazzava appena sulle calze.

Si sedette con grazia, incrociò le gambe con precisione studiata, poi cominciò a slacciare piano la giacca, spingendo in avanti le spalle e con esse il seno che tendeva la camicia trasparente, i capezzoli tesi che si stampavano visibilmente contro il voile sottile.

«Hai fretta di andare da qualche parte?» chiese con un tono quasi innocente, mentre le dita scorrevano ancora sulla stoffa.

Vittorio si avvicinò. Non parlò subito. Le si fermò accanto e, con un gesto deciso ma non brusco, le prese i polsi, bloccandole dolcemente le mani prima che la giacca finisse del tutto sulle spalle.

Restarono così, a pochi centimetri l’uno dall’altra, in silenzio, con l’aria sospesa tra il profumo della pelle e il non detto di troppe cose.

Poi lui parlò.
«Martina… se vai avanti così, finirò per innamorarmi di te.»

Lei lo guardò, sorpresa non tanto dalle parole, quanto dal tono. Non era una battuta. Non era un gioco.

«Noi abbiamo un patto. Un equilibrio. Ma se cominciassi a provare veri sentimenti… non ti lascerei più andare. Mai.»

La fissò.
Poi aggiunse, quasi in un sussurro.

«Rimetti la giacca… e usciamo.
Oppure resta così…
e non usciremo più.»

Martina si alzò con eleganza, rifece scivolare la giacca sulle spalle e se la sistemò senza allacciarla. Si voltò appena, giusto quanto bastava per lanciargli uno sguardo da sopra la spalla, lo stesso sguardo che sapeva sciogliere ginocchia e certezze. E lo vide.

Vittorio, ancora in piedi accanto al divano, aveva appena tirato un sospiro di sollievo. Uno di quelli che non si dicono, ma che il corpo confessa da solo. Non per debolezza. Per paura di perdere il controllo. Di perdere lei.

Uscirono insieme, e fuori ad attenderli c’era un’auto sportiva nera, bassa e lucida, con il motore ancora tiepido e il profilo affilato come un desiderio represso. Vittorio fece il giro per raggiungere il lato passeggero, pronto ad aprirle la portiera con il consueto gesto impeccabile.

Ma quando si voltò, Martina non c’era più accanto a lui.

La intravide solo un istante dopo, dall’altra parte della macchina, dove si era diretta senza dire nulla. La giacca era già a terra, abbandonata come una promessa spezzata. Aveva camminato con passo deciso fino alla parte anteriore della vettura e ora era lì, in piedi davanti al cofano, con la gonna sollevata sopra i fianchi.

Si piegò con lentezza, appoggiando gli avambracci sul metallo lucido, la testa voltata di lato, i capelli che le scivolavano lungo la guancia, le autoreggenti tese, il perizoma ridotto a un’idea.

«Avevi detto che volevi uscire, no?»
La voce era ferma, calda, perfettamente udibile nella quiete dorata del mattino.

«Adesso siamo fuori.
Quindi?»

Fece una pausa, breve, e poi voltò lo sguardo verso di lui, con un sopracciglio appena sollevato e le labbra accennate in un sorriso indecente.

«Cosa vuoi fare, Vittorio?»

Vittorio rimase immobile solo un istante. Richiuse lentamente la portiera dell’auto con un gesto controllato, quasi elegante nella sua gravità, poi alzò lo sguardo verso la facciata della villa alle loro spalle.

Le finestre. Tutte apparentemente spente.
Eppure lui sapeva che la servitù — quella stessa presenza invisibile che non invadeva mai, ma vedeva tutto — ora era lì, dietro i vetri, a osservare in silenzio, trattenendo il respiro.

La sua voce si fece appena più bassa, ma graffiava l’aria.
«Vuoi dare spettacolo, Marty?»
Fece una pausa, quel tanto che bastava a congelare l’attimo.
«E sia.»

Buttò la giacca a terra con decisione. Fece due passi verso di lei, la figura scura contro la luce che cominciava a scendere tra le fronde degli alberi.

Martina era ancora lì, piegata sul cofano, la schiena leggermente arcuata, le natiche perfette in evidenza, la gonna arrotolata sopra i fianchi, il perizoma appena un filo tra la pelle e l’aria.

Vittorio si posizionò dietro di lei. Il suo corpo rispose prima ancora che la mente potesse intervenire.
Era impossibile non esserlo — non essere duro, pieno, pronto — davanti a una visione del genere. Era desiderio puro, selvaggio, incarnato. Senza filtri. Senza veli.

Slacciò i pantaloni con un solo gesto. Nessuna esitazione. Nessuna parola.
Poi, senza alcun avvertimento, la prese. A fondo.

Il loro contatto fu immediato, carnale, assoluto.
Un gemito soffocato. Il colpo secco del ventre contro i suoi glutei.
La macchina vibrò. Anche l’aria sembrò trattenere il fiato.

Era un gesto istintivo, primordiale, un possesso che non cercava romanticismo, solo verità. Era lui e lei, nudi in tutto tranne che nei vestiti.

Il cofano sotto le braccia, la pelle di Martina bruciava. Bruciava ancora della notte prima, di tutto ciò che aveva dato, di tutto ciò che le era stato tolto. Il corpo le chiedeva riposo, ma l’orgoglio glielo negava con crudeltà.

Sentì l’invasione con un fremito involontario — un misto di dolore e sfida.
Una fitta profonda che non era solo fisica, era eco di un corpo stremato e di una mente che non voleva arrendersi. Ma non si mosse. Non ritrasse il bacino. Non cercò tregua.

Inarcò appena la schiena, spingendo contro di lui, e lo trafisse con le parole.

«Forza. Usami. Fammi sentire quanto mi vuoi.»
La voce non tremava. Era piena. Sicura. Tagliente come una lama affilata.

«Perdi il controllo della tua vita… per la femmina che credevi di dominare…
e che invece ti sta facendo impazzire.»

Ogni parola affondava più delle spinte.
Ogni sillaba era un morso, uno specchio.

Vittorio le sentì tutte. Una ad una.
Come sassi nel petto, come mani invisibili che lo stringevano da dentro.

Non si fermò. Non cambiò ritmo. Non rispose.
Il suo silenzio era l’unico scudo. Ma non era vuoto.
Era il silenzio di chi ha capito — e non sa più come tornare indietro.

Continuò a muoversi dentro di lei, con controllo ostinato, con una foga lucida.

Aumentò progressivamente il ritmo della penetrazione, ora la ragazza era lubrificata a sufficienza per godere dell’assalto dentro al suo corpo, spingeva verso di lui, lo incitava a farlo più forte, serrava i suoi muscoli vaginali per aumentargli il piacere.

Uno sguardo verso la villa Michelle era al primo piano dietro una finestra, solo in intimo e una mano che dentro al suo perizoma seguiva il ritmo del loro amplesso, lei gli sorrise e gli strizzò l’occhio, vide le gambe della ragazza piegarsi in un piacere immediato.

Il ritmo ora era arrivato al limite. Vittorio la teneva forte per i fianchi per amplificare la profondità e seppur distrutta intimamente, seppur stravolta dalla penetrazione Martina ebbe un orgasmo intenso, quasi doloroso, una lacrima le si formò sul viso per l’intensità del dolore e del piacere mischiati.

Vittorio, lasciò i suo fianchi le prese i capelli in un pungo e sfliatosi la girò e la fece inginocchiare davanti a lui. L’orgasmo arrivò quasi furente, le gocce del piacere ricoprirono il viso, la camicia, i capelli della ragazza che ad occhi socchiusi lo guardava sorridente. Appena si fu calmato, lo accolse dolcemente in bocca, assaporò le ultime gocce del suo piacere e poi si alzò sempre tenendolo in mano.

Adesso mi tocca farmi una doccia, gli disse mentre lo baciava. Lasciò la presa e si incamminò verso la casa. Vieni a farmi compagnia?

Spero che vi stia piacendo, come per la scorsa serie prediligo l’approccio mentale e non quello fisico per la descrizione dei miei racconti. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com

2 Comments

Leave a Reply