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Erotici Racconti

Presenza sciagurata

By 21 Gennaio 2019Febbraio 12th, 2023No Comments

Lo ammetto sinceramente, lo confido lealmente e lo rivelo apertamente. Non posso farne a meno, perché ogni qualvolta che ascolto quel delizioso e ritmato brano dei Toto dal titolo “Without Your Love”, mi ricordo svisceratamente di lui, di tutto quello che è tenacemente stato, di tutto ciò che m’ha appassionatamente dato, che m’ha entusiasticamente trasmesso e in ultimo, quello che m’ha sfortunatamente e freddamente lasciato. Io quell’uomo lo riverisco come una forsennata, sono alienata di lui, lo stimo e lo venero ancora adesso, perché i suoni di quella canzone amplificano notevolmente i miei radicati e veementi ricordi, né giammai interromperò di compiere queste mie passionali stravaganze, perché lui si è accorpato impastandosi nel mio cuore, si è mescolato sporcandosi con la mia anima, lui è nel fondamento di qualsiasi mia emotiva e irrazionale fantasticheria. Ho costantemente di fronte alla mia vista il suo sguardo eloquente e intenso, le sue labbra polpute, la sua chioma e quel silenzioso quanto dinamico, vitale e instancabile splendore nascosto soltanto da un semplice paio di braghe.

Io l’ho prima intravisto, in seguito incontrato e in ultimo brevemente frequentato. L’ho conosciuto un giorno che ero affaccendata assieme ad altre mie colleghe dietro un bancone per la vendita d’insaccati e di formaggi d’un modesto supermercato della mia città, durante il tempo in cui lui attendeva il suo turno con il talloncino numerato prima d’essere servito. Io lo adoro, ho necessità d’essere brandita da lui, ho urgenza delle sue carezze, delle sue amabili e piacevoli occhiate, delle sue garbate parole, del suo respiro e nondimeno del suo, per me fantastico cazzo. A dire il vero, lui non ha un cazzo enorme, è normale, ben proporzionato, ma in special modo lo sa usare a dovere e con abilità, perché quello che conta è che mi fa provare il puro e limpido godimento, mi fa vivere eccezionali e trascinanti orgasmi vaginali. 

Una mattina, la radiosveglia mi scandisce che è ora d’alzarmi, io d’istinto la blocco e trascurandola del tutto mi trattengo là sotto la trapunta restando distesa, giacché essa m’avvolge in un accogliente e tiepido abbraccio. Io avverto subito nonostante i guanciali siano due là non c’è nessuno, in quanto m’inganno lusingandomi che lui sia vicino a me. Talvolta, invero, capto nettamente addirittura la sua fragranza, aroma che sovente scarseggia, in tal modo resto là statica, pensierosa e taciturna squadrando la volta della stanza e rimugino. Speculo e medito quale possa essere oggi il criterio più vantaggioso per impiegare le ore di quella laboriosa mattina, trascurando in definitiva il compito che m’attende. Certo, se non mi presento al supermercato non succede nulla di grave, basterà una telefonata riferendo che non oggi non sto bene, che non sono in grado di venire a lavorare e il gioco è fatto. 

Rimango così un’ora dentro il letto, dopo stabilisco d’alzarmi. Ho tutta la mattinata davanti, però prima d’uscire è meglio che vada a farmi una doccia. L’acqua è gradevole, la considerazione di lui m’intriga ulteriormente, io bramerei che fosse là fuori dalla tendina nell’adocchiarmi facendo finta di volersi nascondere. Dopo un quarto d’ora esco dalla doccia e m’infagotto nel mio morbido accappatoio, quanto auspicherei che fosse la sua cute, che fosse la sua lingua ad detergere il mio corpo. Quanto gradirei palparlo, sentirlo, stringerlo, così facendo noto chiaramente che con quel lascivo, peccaminoso e inverecondo pensiero mi sto diffusamente eccitando. No, basta Erminia, smettila di cagionarti sconvenientemente dispiacere, piantala d’arrecarti infelicemente del male, ripeto verso me stessa badando ad altro.

In quell’occasione m’agghindo intonando come posso una melodia, invero il suo motivo preferito, la sua aria, nello specifico “Without Your Love” dei Toto, super gruppo che peraltro lui m’ha fatto lietamente e opportunamente conoscere. Io mi vesto rapidamente non prendendomi cura di quello che eseguo, m’abbottono alla svelta la camicetta senz’adempiere l’ordine esatto dei bottoni. Non so decifrarne la ragione, però ho l’impressione che qualcheduno mi faccia fretta, come se mi braccassero, sicché compio tutto assai speditamente avviandomi verso l’uscio di casa, che con durezza e impeto colpisco mentre la sprango una volta che mi sono allontanata. M’addentro alla svelta dentro un bar e ordino una Sambuca doppia e m’accomodo al tavolo. Subito dopo il cameriere mi porge il bicchiere e mi squadra come se fossi un’alcolista allontanandosi quasi risentito. Forse in vita sua non aveva mai visto una ragazza da sola richiedere liquori o, più meramente devo avere il viso totalmente deturpato dalla sonnolenza e dalla stanchezza accumulata. Infischiandomene della faccenda inizio a degustarmi la mia Sambuca preferita e nel contempo a calarmi nelle mie riflessioni scrutando fuori dalla vetrata del bar. In realtà a quest’ora non c’è ancora molta ressa, principalmente di giovedì mattina, perché solamente adesso mi rendo conto che il Caffè è penosamente vuoto. Voltandomi da un lato intravedo un ragazzo appoggiato che sembra che stia dormendo. Accanto a lui giace una bottiglia di Prosecco interamente vuota. Sono curiosa, in tal modo m’avvio pigramente verso il tavolo, mi fermo là a pochi centimetri, in seguito m’accomodo dinanzi a lui. Lui non si scompone, ma senza osservarmi con un ammonimento da nenia da uomo alticcio mi enuncia:

“Signorina, che cosa cavolo desidera? Ci conosciamo?”.

“Ti confesso che avrei gradito sorseggiare un bel bicchiere di quell’ottimo Prosecco, però sfortunatamente sono arrivata tardi” – ribatto io, tentando di serbare una modulazione pacata né irritante per non importunarlo.

Lui solleva dapprima gli occhi, in seguito dopo avermi scrutato per qualche istante solleva la testa e tira su a fatica il braccio. Io sto per svenire, sono sbigottita, letteralmente costernata, è lui. No, non ci credo, l’individuo del supermercato che ho visto due giorni fa in attesa d’essere servito, non può essere, è talmente inconcepibile. Mi dò un pizzicotto per vedere come reagisco, eppure mi persuado all’istante che sia unicamente la mia corrotta, famelica e scellerata immaginazione che mi fa vedere il maschio dei miei inconfessati vagheggi.

“Dimmi una cosa? Come mai mi esamini in questo modo? Forse non hai mai analizzato né studiato uno sbronzo, sgualdrina?”.

“Io ammiro di gran lunga voi maschi esclusivamente per la delicatezza che manifestate in direzione di noi femmine” – gli rispondo io, stavolta intenzionalmente in maniera sagace e provocante.

“Io, al contrario, venero le femmine, perché alcune hanno una gran bella fica” – obietta lui in tutta schiettezza.

In quel contesto appariva che lo facessimo deliberatamente ed espressamente nel ripetere locuzioni senza senso, poiché era tutto assai bizzarro e goffo per essere qualcosa di spontaneo. Così rimaniamo silenziosi per diversi minuti, lui sembra ravvedersi un poco, frattanto s’accende una sigaretta, mi porge il pacchetto, io ne acciuffo una e lo ringrazio. Poco dopo lui in modo garbato domanda il nome:

“Io sono Erminia” – gli rispondo in modo cordiale.

“Realmente un bell’appellativo, davvero, io mi chiamo Stefano”.

Subito dopo che scopro il suo nome, percepisco distintamente che il mio plasma s’agita nelle vene, poiché concepisco con la fantasia desideri astratti e ingarbugliati attraversarmi il cervello. Resto muta e m’incaponisco, lo squadro per molti minuti:

“Senz’altro m’avrai notato in qualche altro luogo? Mi sbaglio?” – mi dichiara apertamente lui, con un irrilevante sogghigno astuto e franco.

“Ho voglia di chiavare con te, appena possibile” – gli controbatto io, volendo ritrattare il timbro delle mie definizioni nel mentre le pronunciavo.

Eccezionalmente e stranamente io arrossisco, in effetti non è da me discorrere in quel modo a un forestiero dopo appena una mezz’ora di dialogo, eppure mi è venuto talmente congenito e insito comunicargli quelle parole. Stefano, il maschio che ho sempre aspettato, la persona dei miei vagheggi libidinosi e non, l’uomo insuperabile e che ho sovente bramato, attualmente si trova là di fronte a me, che cos’altro dovrei manifestargli? Ci sono innumerevoli pareri e responsi, tuttavia il più diretto, istintivo, intrinseco e maschio è quello, però a lui quella frase non sembra mortificarlo né urtarlo molto. La mia espressione non appare averlo sbigottito né stravolto tanto, perlomeno all’apparenza.

Stefano non si scompagina non si disfà, perché dopo avermi scagliato il fumo della sua sigaretta in viso sospira sorridendo e mi proclama:

“Erminia, tu non sei l’unica ragazza che me lo propone” – mi rivela lui in modo schietto, scardinando le mie ulteriori scontentezze mentali.

“Io voglio che tu mi chiavi in questo momento” – recrimino lagnandomi io, presentemente più consapevole di prima.

“Va bene, non disperarti, sei alquanto infervorata e spronata. Dico bene?” – ribatte Stefano per stimolarmi oltremodo, pur sapendo benissimo che io non reggo più né mi trattengo dalla voglia di lui.

Stefano sta per compiere ciò che gli ho chiesto, smorza la sigaretta schiacciandola dentro il portacenere, si dirige verso il cameriere per pagare, ritorna verso il tavolo, m’agguanta per mano e usciamo dal bar. Ci accingiamo a camminare, io invasa dalla trepidazione e di tutto ciò che stava avvenendo, non mi sono minimamente accorta che ormai sto fumando il filtro della sigaretta. In testa escogito qualcosa di bizzarro, di brillante e di disinvolto, perché non mi pare vero quello che sto sperimentando, sono infervorata al massimo, ho un desiderio tremendo addosso, intimamente e impulsivamente primitivo, ho invero la fica in fiamme. Repentinamente mi volto, sbatto Stefano verso la staccionata d’un caseggiato in costruzione e inizio a baciarlo con cupidigia, con un’accanita smania. Poche decine di metri ci separano dalla mia abitazione, giunti a destinazione Stefano entra in casa mia come se fosse nella sua, è debolmente disorientato, ma è risoluto, perché subito dopo s’avvia verso la cucina e afferra una bottiglia d’acqua e inizia a dissetarsi.

Al presente siamo soli, in tal modo posso permettermi globalmente ciò che voglio, non posso dissipare questa ghiotta e formidabile occasione. Per l’occasione m’avvicino, gli colloco le mani sulle spalle e lo fisso negli occhi, in quelle incantevoli iridi dallo sguardo irresistibile e magnetico, che ho effettivamente senza fine voluto d’intersecare con i miei. Stefano mi cinge le mani ai fianchi, ha subodorato che in quell’istante sono stata permeata da un’inusuale forma di tenerezza, che quel mio metodo di contegno ferino e impulsivo che avevo al bar, era la giustificazione perché non lo avevo mai avuto tra le mie braccia, in aggiunta a ciò anche per richiamare la sua considerazione. Io inizio a baciargli prudentemente il torace, gli accarezzo gentilmente la chioma, lui frattanto mi sta toccando la schiena, intanto che mi sta levando la camicetta e il reggipetto. In quest’istante siamo avviticchiati, riesco persino ad avvertire il suo cazzo che pressa con insistenza sulla mia pelosissima fica. Io gli sfilo la camicia scaraventandola sul canapè, dove va a far compagnia alla mia camicia che già giaceva lì insieme al mio reggipetto Siamo ambedue a petto nudo, tutto ciò che ci rimane in ultimo da denudare sono le nostre parti intime. Stefano si siede sul canapè, mentre io mi genufletto di fronte a lui, gli slaccio la cintura e gli sbottono adagio le braghe.

In questo momento lo osservo negli occhi, perché durante il tempo in cui gl’infilo la mano sotto le mutande lui prontamente mi bisbiglia di darci dentro. Io sono infervorata più che mai, levo prudentemente il cazzo dalle sue mutande facendo ben attenzione a non cagionargli fastidi ed esordisco a massaggiarglielo, inizialmente sulla base, in seguito lungo tutta la sua estensione, in conclusione gli accarezzo la cappella con la punta delle dita ritraendo bene le unghie per non graffiarlo. Gli stimolo con maestria i testicoli, dopodiché incomincio a leccargli il cazzo, con la lingua girovago comodamente tutta l’asta e il glande per svariate volte, successivamente lo agguanto tutto guardandolo negli occhi e lo ingoio fin dove posso. Porto avanti questa libidinosa opera suppergiù per un quarto d’ora, poi rallento gradualmente quando avverto che inizio a percepire i vasi sanguigni del suo cazzo palpitare più forte e il suo respiro divenire ansimante, perché mi sta chiaramente segnalando che è prossimo all’eiaculazione.

Io voglio farlo godere tantissimo, voglio che quella sovreccitazione non sia un conseguente e lineare appagamento, ma sia la tensione spasmodica epica e magniloquente. Auspico che ricordi in modo memorabile questi lussuriosi momenti per sempre e che li memorizzi come dei notevolissimi, splendidi, indimenticabili e superbi istanti. Bramo che, per lui, questo sia una ricorrenza esclusiva, perché non faccio come farebbe qualunque baldracca di turno, ovverosia di masturbarlo in modo rapidissimo per farlo eiaculare all’istante, bensì rimuovo la mia bocca e le mie mani dal suo cazzo avvicinandoci le mie tette. Colgo di netto che lui emette dei carnali e libidinosi gemiti, sta manifestamente godendo e questo mi fa davvero tanto piacere. Il pensiero che sia io, opportunamente io a farlo godere, mi fa rallegrare e godere a mia volta, poi, che intravedo il suo cazzo tra le mie tette godo davvero tantissimo. Lo distinguo bene, è duro, compatto, mi fa sognare. Stefano seguita a muoversi con il bacino sfregando ritmicamente il suo cazzo avanti e indietro fra il solco delle mie tette, dopo m’invoca che vuole che salga sopra di lui.

Io afferro e comprendo al volo quello che cerca, assimilo che cosa vuole e lo accontento facendolo sdraiare sopra il canapè. Iniziamo a chiavare, io debutto con una superlativa smorza candela, è bellissimo, ancora più avvenente e magnifico di come mai avrei potuto aspettarmi. Percepire il cazzo di Stefano nelle mie viscere mentre lui m’osserva è una sensazione fantastica e indefinibile, sosterrei indicibile e smisurata, presagisco che siamo amalgamati insieme, che siamo una cosa sola e che non ci staccheremo mai. Io sono infervorata all’inverosimile, ma l’attaccamento e il desiderio che provo per lui e che, forse mentendo, anche lui sta dimostrando verso di me, fa sì che le nostre azioni rimangano amabili e non oltrepassino la demarcazione dell’aspetto dignitoso e morigerato, come invece sarebbe se non provassi il minimo sentimento verso di lui. Lo cavalco e lo bacio, lo stringo in modo vigoroso, la mia lingua assapora ogni lembo della sua pelle, mentre lui mi dà delle spinte che mi fanno scoprire a rilento l’estasi.

E’ davvero molto bello quando veniamo insieme, nello stesso istante, per il fatto che degl’incontinenti strepiti fuoriescono dalle nostre labbra. Io m’accorgo che in quella precisa circostanza mi dimeno oltremodo come una forsennata, tant’è che il suo cazzo fuoriesce dalla mia fica, nell’istante in cui lui con la sua abbondante sborrata mi cosparge l’irsutissima fica e l’addome con tutta la sua densa e lattiginosa essenza, fintanto che il suo candido e denso latte si mescola al mio fluido e saporito miele. Ci pigliamo le opportune pause, perché facciamo l’amore in varie posture per tutto il giorno, restando su quel giaciglio fino alla mattina del giorno successivo. Non assumiamo neppure il cibo, io trascuro d’andare a lavoro per altri quattro giorni, ma non m’interessa niente, perché attualmente nella mia testa c’è soltanto lui. Nel tempo in cui dopo una focosa giornata di radicale partecipazione mi sveglio fra le braccia di lui, che sta ancora dormendo, sento che non potrei desiderare di più, che ho raggiunto il culmine massimo del piacere, sia corporeo che mentale. Al momento sono distesa con la mia testa sul suo petto e le sue braccia che m’aggomitolano. Sono capace d’ascoltare perfino il battito del suo cuore a ogni suo respiro, lui ha gli occhi sbarrati e le labbra socchiuse, è un incanto guardarlo adesso che sonnecchia. Rimango in questa situazione di completo benessere per circa un’ora, allorquando repentinamente sento la sua voce sospirare il mio nome, giacché si è appena svegliato:

“Buongiorno dolcezza” – gli dico io, dopo averlo baciato.

“Erminia, dimmi per piacere che ora è?” – domanda lui vistosamente affannato e crucciato.

“Sono le cinque del pomeriggio Stefano” – rispondo io con una pacata naturalezza.

“Poca puttana, tra poco è sera, accidenti, non ho ancora avvisato la mia consorte per riferirle dove mi trovo” – enfatizza lui, chiaramente angustiato e impensierito più per la replica irrequieta che per l’apprensione che potrebbe avere lei.

A stento apprendo la definizione della consorte pronunciata da lui, capto il sangue che si surgela all’istante nelle mie arterie. Francamente non avevo ancora messo in conto né ponderato a un seguito del genere, perché fino a quel momento avevo unicamente calcolato e considerato di godermi interamente il presente, così, per com’era. Con la distinta e netta afflizione di non poterlo avere mai più, ma anche dell’azzardo e dell’incognita di poter sfasciare la sua famiglia, io lo invito ad adoperare il mio telefono, che si trova proprio sul comodino proprio dalla sua parte:

“Matilde, mi senti, ciao sono Stefano” – precisa lui alzando la voce.

“Dove ti trovi? Tutto bene?” – risponde lei con la voce sonora e cristallina.

“Senti Matilde, è da ieri mattina che non mi fermo un attimo, qua è pieno di sostenitori ovunque, onestamente non me l’aspettavo. Al momento sono riuscito a rintanarmi in un albergo, ma dovrò attendere ancora prima d’essere sicuro di poter ritornare a casa” – replica lui con una disinvoltura mirabolante e placante, che può scaturire solamente da una lunga esperienza d’anni trascorsi nel riportare menzogne tramite telefono.

“Certo, immagino, come sempre, sì, come no. Ho capito, ci rivedremo a casa quando cazzo girerà a te, va a farti benedire” – troncando di netto la comunicazione in modo arcigno e scostante.

“Posso presumere che tu abbia sentito ogni cosa” – mi fa presente lui, cercando di stemperare la faccenda.

“Sì, certo, non ho potuto fare altro, dal tono della voce lei non pareva tanto gioconda né soddisfatta” – gli rispondo io, con un’espressione infelice e sconsolata.

In quel frangente mi faccio coraggio, preannunciando un momento che tanto so che si sarebbe immancabilmente verificato poche ore dopo.

“Sono desolata, che cosa sarà di noi due Stefano? Di questa notte di pura intimità e di folle confidenza, resterà solamente un nebuloso e sfuggente ricordo? Non ci rivedremo mai più? Che cosa succederà?” – gli domando io palesemente irrequieta, chiaramente ansiosa e palesemente scoraggiata con il viso che s’ottenebra per quella circostanza.

Stefano m’accarezza la capigliatura con naturalezza, con una tale disinvoltura, direi con una rara spregiudicatezza, come se quel momento lo avesse già vissuto innumerevoli volte e come se quelle parole le padroneggiasse già a memoria:

“Erminia, come consideravi che si sarebbe conclusa tutta questa storia” – m’espone lui, con un tono d’un commediante adattamento e quasi con una studiata premurosa sufficienza.

“Da ieri mattina a pochi minuti fa, semplicemente non pensavo. Ho vissuto una giornata che giammai avrei pensato di vivere e l’unica parola che avevo in mente era il tuo nome, mi spieghi come facevo a pensare?” – controbatto ed esclamo io con la faccia colma d’avversione e di rancore.

“Ascolta Erminia, sono molto desolato, non posso fare nulla. Io t’ho donato tutto l’amore e la disponibilità che potevo offrirti, ma adesso devo ritornare alla realtà, ho la mia vita, la mia famiglia. Là di fuori ci sono tante belle ragazze, che hanno bisogno dello stesso favore che ho fatto a te, da parte mia”.

A seguito di quell’infelice e sventurata asserzione dovrei spedirlo direttamente al diavolo, malgrado ciò so che è così, lo so che lui si diverte a far ingelosire e a far innamorare una moltitudine di donne, perché quella frase non m’ha sconcertato più di tanto. Io lo amo, anche perché ha questa particolarità e perché si diverte a fare lo strafottente. Adoro tutto di lui, per questo motivo non gli rispondo e comincio a baciarlo e ad accarezzarlo in ogni parte, con l’unico pensiero nella mente, che forse quelli sarebbero stati gli ultimi momenti passati con lui, giacché dovevo godermeli al massimo per non avere più remore né rimpianti di sorta.

Nonostante lui si diverta a fare il disonesto e lo sleale, non lo è per niente e, mentre lo bacio, lo guardo ogni tanto negli occhi e dentro ci vedo tanta tenerezza e una viva imboscata sensibilità. Lo distinguo nel suo sguardo, lo avverto dal calore delle sue mani, che ciò che m’ha detto prima riguardo le ragazze e il favore che gli chiedono, era unicamente un’espressione scandita per fare scena e che, anche se magari corrisponde alla realtà, non è un aspetto della sua vita di cui lui vada particolarmente fiero.

Lui, in fondo, per un’intera giornata ha saputo amarmi all’ennesima potenza, amandomi e interessandosi per davvero, anche se spirerebbe pur di confermare e di sostenere il contrario. Per una settimana solamente sono stata la sua donna, la sua atipica e incomparabile donna, ci siamo amati all’inverosimile in modo inedito, forse come pochi. E’ stato magnifico, inenarrabile e in special modo portentoso, malgrado ciò doveva terminare, molto sciaguratamente.

Al momento ci troviamo sul lungomare della mia città, stiamo attendendo il calar del sole, io gli dispenso il dissoluto, l’estremo e il conclusivo lussurioso bacio, giacché è per me fantastico, impensato e inverosimilmente impudico e voluttuoso.

Un bacio per l’appunto, che non scorderò giammai per niente al mondo. 

{Idraulico anno 1999}  

 

 

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