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Essendo perennemente in ritardo, nondimeno peculiare caratteristica della sua innata tendenza, pure stavolta Emanuele era riuscito a sopraggiungere giusto in tempo in aeroporto, per acciuffare il volo di linea che lo avrebbe in conclusione fatto atterrare ad Amsterdam. Il seminario, in realtà, in quella circostanza si era inevitabilmente protratto oltre l’orario concordato, perché Emanuele al presente captava distintamente d’essere alquanto sfibrato, durante il tempo in cui si degustava una meritata bevanda, confortevolmente sprofondato e concentrato sulla poltrona di quell’aereo di linea della KLM. In quell’istante Emanuele osservò al di fuori dello sportellino intravedendo unicamente nuvole d’ogni aspetto e forma, intanto che rimuginava alla sua consorte Beatrice, considerando e riflettendo per l’occasione per tutto il tempo durante il quale lui non le era stato ragionevolmente né sufficientemente accanto.

Beatrice, all’opposto, presso la sua abitazione si era destata molto prima del consueto, probabilmente allietata e invogliata dalla luce penetrante del sole, che frattanto s’infiltrava obliquamente tra le grandi imposte rendendola bendisposta e incline ad affrontare il nuovo giorno. Forse era da attribuire proprio a quell’accattivante ed energica invitante luce diurna, che quel magico fulgore aveva disseppellito gli appetiti eclissati di Beatrice, attivando e fomentando dentro di lei astruse, cospicue e lascive dissimulate voglie. Beatrice in quel momento avvertiva un fremito trapassarle la figura, captava dentro di sé una svenevolezza indelebile, un bizzarro quanto libidinoso eccitamento senza fine, il suo sensuale sguardo adesso possedeva una stravagante luce, quel bagliore preciso e quel netto riverbero, di chi ha l’inequivocabile e limpida cognizione che in breve tempo il suo corpo si sarebbe rabbonito.

Beatrice per sua natura avanzava con un’andatura lesta, procedeva in maniera civile, garbata e raffinata, sospinta da una vitalità misteriosa e da un’esuberanza recondita che l’incoraggiava persuadendola di fare velocemente. Sia la sua andatura che il suo portamento erano un vero spettacolo, perché non esisteva maschio che non si girasse per scrutarla. Beatrice è snella, di carnagione olivastra e di capigliatura castana, mentre le sue tette erano analoghe a due esigue alture insolenti e irrispettose. La luminosità del suo sguardo era invero conquistante e similmente stupendo, i suoi occhi erano esageratamente streganti e sfacciati, la sua parte migliore. Lei s’abbigliava in un contegno equilibrato, morigerato e semplice, tuttavia il suo portamento diffondeva attorno a sé un’inedita lussuria, un’originale depravazione. Tutto quello che Beatrice indossava le stava addosso a meraviglia, per finire i tacchi a spillo perfezionavano tutto il resto, aggiungendo e conferendo alla sua figura quel portamento aggraziato, leggiadro e curvilineo.

Quel giorno, come tempo addietro stabilito, Biagio sopraggiunse presso la sua gentilizia e nobile dimora, esaminò il numero civico, lesse il nome e suonò. Il cancelletto s’aprì con l’apertura a scatto, lui s’intrufolò attraversando un piccolo cortile e s’addentrò in quel raffinato e lucente andito, salendo i gradini di un’imponente scala di marmo di colore verde scuro. Andò di sopra, s’assestò la giubba prima di suonare il campanello, rimuginando e rileggendo sopra il minuscolo articolo riportato sul periodico che aveva letto e strappato, che adesso aveva ancora in tasca dove pomposamente enunciava:

“Il maschio che qualunque femmina gradisce imbattersi, dev’essere di fatto in linea di massima configurato in questo modo: attrezzato, equilibrato, riguardoso, resistente e di gradevole foggia, perché quello che verrà mi prenderò”.

Ambedue si erano uditi per telefono e avevano disposto di fissarsi un appuntamento il più presto possibile. Lei essendo dunque ammogliata, doveva essere alquanto cauta e previdente, in questo modo aveva stabilito d’incontrarlo esplicitamente presso la sua aristocratica dimora. Beatrice di lui aveva dimestichezza unicamente di due cose, il nome, Biagio per l’appunto, assieme alla sua deliziosa e incantevole foderante voce, a detta di lei, una delle più amene, fascinose e penetranti che avesse giammai ascoltato, dal momento che per lui perdeva inevitabilmente il lume della ragione, essendosi in ultimo infatuata di quell’accento armonioso e di quella soave e penetrante timbrica per le sue orecchie. La porta si spalancò e un maschio dall’esteriorità amabile, ammodo e cortese si concretizzò davanti a lei.

Biagio era di corporatura media, di buone maniere, pacato e con delle belle mani. Lui svolgeva la professione di fioraio, adorava affascinare le donne, eppure una volta dominate e fruite si proiettava in altre fresche e stravaganti peripezie, seguitando le sue lascive tentazioni, eppure quell’inedito e intemperante incontro al crepuscolo gli mancava eccome. Entrambi s’adocchiarono per un istante infinito senz’esternare nulla, dopo Biagio agguantò Beatrice per mano e l’accompagnò dal vestibolo dove si trovava conducendola in un enorme salotto. Le suppellettili di quella dimora erano di stampo classico, intramontabili, un ampio canapè da un lato e due ottomane dal lato opposto, un tavolino basso in castagno e uno di cristallo, con accanto una splendida lampada d’epoca. Stipata in un angolo invece c’era una magnifica vetrata con numerose bottiglie di liquori di rinomate marche, un enorme pino di Norfolk accanto alla portafinestra, un piccolo pianoforte nero nel centro della stanza e un focolare smisurato rivestito con il marmo di colore rosa che completava l’arredo.

Beatrice si sistemò sull’ottomana, sovrappose le sue gambe mostrando di proposito il collant, perché gl’indumenti intimi che vestiva per quella circostanza li aveva selezionati con una specifica premura. Biagio in quel frangente s’accomodò accanto accarezzandole la testa e nel contempo attirandola verso di sé, in seguito la baciò con trasporto, fintanto che la sua mano s’intrufolava pigramente per dirigersi esperta verso il didietro di Beatrice. In quell’istante le loro bramose e fameliche lingue s’avvolsero, le loro labbra diventarono senz’interruzione maggiormente irruenti. Biagio tastò un capezzolo che immediatamente rispose a quello scostumato stimolo gonfiandosi, accostò quel delizioso chicco marrone alla bocca e ingordamente lo aspirò. Beatrice era smaniosa d’incontrare cazzi con proporzioni superiori, perché gradiva appurare se la sua “carnale spesa” era dotata di ciò che principalmente l’allettava. Beatrice captò ben presto il glande ingabbiato di Biagio da quella chiusura lampo mentre gli palpitava contro il palmo della mano, lei lo liberò da quella penosa segregazione osservandolo nel suo completo fasto. La particolarità era che Biagio aveva un glande largo, in tutta concretezza quel cazzo non era spropositato come grossezza complessiva, però era ben formato nella sua integrale proporzione. Beatrice lo afferrò comprimendolo a manipolandolo con dovizia tra le mani. Sostò lungo quel cazzo esaminandolo con opulenza, subito dopo salì a rilento in maniera scaltra e prudente cercando di non avvolgerlo ulteriormente, mentre la sua ghiotta espressione si sfamò per il diletto cagionato da quella libidinosa quanto sbalorditiva e inattesa presentazione.

Biagio aveva il radicale ghiribizzo di padroneggiarla in tutte le maniere, giacché celermente le separò le mutandine e con le dita iniziò a tastarle quella villosissima fica che spandeva già i sui caratteristici effluvi, solleticandole frattanto abilmente quell’irto clitoride. L’impregnata secrezione che frattanto fuoriusciva riccamente dalla sua fica luccicava, lui osservando quell’opera smaniava maggiormente. I loro corpi bagnati di sudore diffondevano un’esalazione animalesca e invogliante, dal momento che Beatrice gli bloccava la testa accortamente pressata sulla sua fica, intanto che Biagio ne degustava ingordamente la totale essenza, in un secondo tempo sdrucciolarono sul pavimento esauditi e soddisfatti. Biagio, nel mentre, collocò Beatrice nella postura della pecorina inumidendole con dovizia il foro dell’ano con un balsamo, dopo intraprese adagio a penetrarla con dei cadenzati affondi introducendo quel cazzo sempre più nelle viscere. Dal momento che non constatò più alcuna riluttanza, debuttò a cavalcarla con veemenza facendola strepitare per il godimento. Biagio in quell’occasione le intimò di solleticarsi ritmicamente il clitoride, mentre la chiavava tormentandole finanche in modo cadenzato i capezzoli. Lui adesso sragionava dal piacere, perché osservava quelle chiappe ritenendosi attualmente un maschio dalle facoltà illimitate, per tutto il piacere che quell’intemperante, lussuriosa e sfrenata posa gli stava procurando.

Biagio si voltò di schiena invitando Beatrice nel collocarsi sulla sua cavità pelvica e d’usufruire da sola approvvigionandosi della sua totale virilità. Beatrice, per la circostanza, ben gioiosa e aizzata si dispose nella posizione della smorza candela, con la schiena rivolta verso la faccia di Biagio, lui le posizionò le mani sui fianchi sollevandola e abbassandola gradualmente, su quel cazzo eretto che si conficcava dentro quella nera e pelosissima madida fenditura. Beatrice enormemente sobillata e trasportata, intraprese a scopare come una valente ed esperta cavallerizza affannandosi e dibattendosi come non mai, strillando la sua individuale e trascinante goduria dei sensi. Osservarla era un vero incanto, adesso i suoi fluidi fuoriuscivano abbondanti, facendo rifulgere quel cazzo che entrava e che usciva da quella lanutissima e grondante fica. Lui in seguito la fece rialzare, intanto che il suo cazzo si ergeva come un pinnacolo al vento, Beatrice fomentata più che mai accostò il viso al suo cazzo e annusandolo iniziò a leccarglielo con un’inattesa voracità. Con la punta della lingua lo lambì dalla base, con le mani gli premette i testicoli, dopo si concentrò totalmente terminando la sua azione su quel largo glande avvolgendolo del tutto.

Adesso se lo assaporava per istanti interminabili, emettendo nel contempo dei limitati borbottii d’assaggio. Al momento, l’infossamento delle sue gote, divenute nel mentre purpuree per il piacere assieme al gorgo continuo che s’udiva, comprovava e svelava il totale piacere e il netto diletto che sperimentava nel compiere quel lascivo e vizioso atto. Pochi secondi prima di sborrare, Biagio accortamente la spostò con fermezza per la chioma cercando rimandare il suo orgasmo, eppure il tiepido e denso fiotto della sborrata la centrò in modo inatteso sul naso, dopo sulla guancia e infine sul palato, nel momento in cui Beatrice dilatava avidamente la bocca assaggiandone l’asprigno retrogusto. Al momento Beatrice era interamente alterata, camuffata e imbellettata in viso da tutto quel candido sperma, al presente si sentiva sgualdrina, felice, radiosa e spensierata, si sentiva totalmente affrancata e gustosamente femmina. Adesso era indispensabile avviarsi, Biagio doveva procedere, Beatrice si era infine placata, era soddisfatta e manifestamente acquietata, oltre a ciò era indubbiamente piena d’energia, per il semplice fatto che la sua grigia, inespressiva e spenta esistenza nuziale poteva continuare.

Emanuele profano e all’oscuro di tutto, frattanto dallo sportellino dell’aeromobile guardava la metropoli illuminata, che là di sotto mostrava la sua dinamica, incessante e spedita attività, perché adesso non vedeva l’ora di gettare le braccia al collo di Beatrice. Il braccialetto che lui aveva acquistato era proprio un incanto, in quanto lo aveva pagato un capitale, malgrado ciò la sua consorte non se lo meritava per nulla. Appena atterrato si diresse verso il nastro trasportatore per ritirare il bagaglio, in un secondo tempo utilizzò un tassì facendosi accompagnare velocemente verso casa.

Appena arrivò pigiò sul campanello e salì di corsa su per le scale, Beatrice lo attendeva sulla soglia con indosso una vestaglia da camera. Emanuele accedette, depositò la valigia in un cantuccio e scaraventò il cappotto sul sofà. Adesso desiderava la sua consorte e dal bagliore che scrutava nei suoi occhi afferrò e presentì bramosamente, che pure lei smaniava concitata d’assaggiare la sua carnale e voluttuosa essenza. Che stupenda circostanza essere rientrato a casa. 

{Idraulico anno 1999}

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