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Un futuro eccitante

By 16 Aprile 2016Ottobre 2nd, 2021No Comments

Giovanna sorrise soddisfatta mentre parcheggiava la Mercedes nel garage doppio del suo condominio, accanto all’Audi del marito.

Le luci erano accese. Bene.

Conoscendolo, Giovanna immaginò che suo marito Alberto probabilmente si stesse preoccupando enormemente per il suo ritardo. Dove fosse finita, quando sarebbe tornata…
Meglio così: quanto più agitato l’avesse trovato, tanto più ricettivo sarebbe stato rispetto ai cambiamenti che da quel momento in poi sarebbero entrati a far parte della loro vita matrimoniale.
Anzi, che erano già cominciati, per la verità.

Da un lato le dispiaceva per Alberto. Era un ottimo marito, premuroso, attento e generoso anche se un po’ prevedibile e noioso. Come amante era appena adeguato: si dava da fare, si preoccupava che lei avesse sempre il suo orgasmo, ma non c’era quel brivido, quella passione di cui lei aveva bisogno.
Ne aveva abbastanza di prudenza e affidabilità. Dal suo uomo pretendeva avventure travolgenti sempre sul filo del rasoio. E quella sera aveva dato il primo, gigantesco passo in quella direzione. La loro vita sarebbe cambiata per sempre.
Rimase seduta in macchina almeno un minuto prima di decidersi a uscire. Assaporava l’eccitazione per quanto stava per accadere e si sentiva sopraffare dall’emozione.
Infine scese dall’auto, prese l’ascensore e, compiacendosi del ticchettio dei suoi tacchi alti sul pavimento del pianerottolo, entrò in casa.

Si chiuse la porta alle spalle dopo essere entrata e rimase là, in attesa. Il rumore della porta che si chiudeva aveva messo Alberto in allarme e sentì i suoi passi affrettarsi nel corridoio.
– Santo cielo, Giovanna! Cosa ti è successo? Dov’eri finita? Mi hai fatto così preoccupare! Non rispondevi al cellulare, in ufficio non c’eri, nessuno sapeva niente…!
Giovanna alzò una mano interrompendo il marito.
– Stavo dando una svolta alle nostre vite, Alberto. – e con quelle parole si slacciò il cappotto e lo lasciò cadere a terra dietro di lei.
Lei assaporò la sorpresa per l’espressione del marito al vedere il suo corpo nudo.
– Li vedi. Alberto? Li vedi i segni sul mio corpo? I succhiotti, le impronte dei denti, le tracce di sperma secco? Questi indizi ti dovrebbero dare un’idea circa dove sia stata finora, no?

Alberto rimase ammutolito, pietrificato, con la bocca aperta.
– Questo pomeriggio, dopo il lavoro sono andata in bagno e mi sono cambiata. Ho indossato reggicalze e tacchi alti. – Intanto con le mani si accarezzava il corpo. – Ho tolto mutandine e reggiseno, perché tanto sapevo che sarebbero stati solo d’intralcio per ciò che volevo fare, per gli uomini che mi volevo scopare.
Poi continuò:
– Sono andata a casa di Lucia, la mia ex collega, che riceve gli amici tutti i venerdì pomeriggio. C’erano tre uomini con lei, giovani, spavaldi, interessanti. C’era della musica e io ho ballato con sensualità, con abbandono. Mi passavo le mani sul corpo con atteggiamento seducente. Volevo che mi guardassero, che mi desiderassero. Ho improvvisato un piccolo spettacolo per loro, togliendomi gli indumenti uno a uno, fino a restare nuda, indifesa davanti a loro, ma continuando a ballare con gli occhi chiusi solo con le scarpe tacco undici.
Si fermò a leccarsi le labbra, riassaporando quel momento nella sua mente.
– A quel punto ho deciso che era venuto il momento di rendere le mie fantasie, così a lungo sopite, realtà. Ho scelto due dei ragazzi presenti. Uno è Giancarlo, un rappresentante di Verona e l’altro è Luther, un nero del Ghana in Italia per ragioni di studio. Molto diversi da te, Alberto. Sapevo che non sarebbero stati gentili e considerati come te, ma che mi avrebbero presa con decisione, senza riguardi. Che sarebbero stati esigenti, che mi avrebbero trattata come una puttana e che si sarebbero presi il loro piacere senza nessun rispetto.
– Mi hanno trascinata nella camera degli ospiti di Lucia e, appena entrata, mi sono subito buttata in ginocchio davanti a Giancarlo e gli ho aperto la zip dei pantaloni. Il suo membro è sventagliato fuori ancor prima che potessi prenderlo in mano e mi ha schiaffeggiato la guancia. L’ho preso subito in bocca e ho cominciato a succhiarlo con impegno. Che meraviglia! Tu non sai cosa voglia dire avere in bocca una cosa viva e pulsante che ti riempie tutta!
– Intanto, Luther mi ha presa per i fianchi e mi ha sollevata, rendendo vani i miei sforzi per tenere il cazzo di Giancarlo in bocca. I due erano già nudi, senza che mi fossi resa conto di come avessero fatto a spogliarsi e mi tenevano in piedi, tra di loro, come la mortadella tra le due fette di un panino. Sentivo la mazza di Luther premere contro le natiche, mentre la punta dell’uccello di Giancarlo cercava di farsi strada tra le grandi labbra della fica, già gonfie e bagnate.
– Mi sono sentita sollevare. Uno mi teneva dalle ascelle e l’altro dal bacino. Poi, lentamente, mi hanno lasciato scivolare impalandomi sui loro cazzi, uno davanti e l’altro (quello grosso, Luther) dietro. Ho gridato per il dolore e per il delizioso piacere. – Mai nella mia vita mi ero sentita così piena, così riempita, così completa. Pensai che Luther mi avrebbe aperta in due, tanto era grosso il suo membro dentro le mie viscere. Sentivo i loro cazzi che quasi si toccavano, divisi solo da una sottile parete, dentro di me. Mai provato niente di lontanamente paragonabile.
– Poi cominciarono a scoparmi. Duro, forte, violento, intenso, profondo. Luther mi mordeva sul collo e sulla spalla e cominciò a sculacciarmi senza smettere di sfondarmi con colpi lunghi e profondi. Giancarlo mi teneva sollevata per le cosce e mi mordeva i capezzoli con forza.
– Tra dolore e piacere ero già venuta due volte, quando cominciai a sentirli ansimare più rumorosamente e a avvertire che i loro colpi si facevano più frenetici e più profondi. Chiusi gli occhi, completamente rapita dalla lussuria e mi godetti i loro orgasmi, quasi simultanei, e le loro eiaculazioni dentro di me. – Anch’io non potei evitare un terzo orgasmo e mi sentii gridare, quasi con sorpresa.

Si fermò un momento, guardandolo negli occhi quasi con soddisfatto orgoglio, senza l’ombra di un pentimento, senza avvertire nemmeno un briciolo di colpa.
– Sapessi quanto mi hanno lasciato dentro, Alberto! Litri! E come mi hanno sfondata! Tornando ero quasi preoccupata che tu non riuscissi più a provare piacere con me perché troppo larga per il tuo pistolino! Buffo, no? Ma non preoccuparti, ho pensato anche a te e ti ho portato un regalino.

Sorrideva maliziosa, adesso.
– Voglio che ti metta in ginocchio, Alberto. E che cominci a leccarmi, davanti e dietro, e che succhi, spingendo la lingua quanto più possibile in profondità, e lecchi via il misto di umori maschili e femminili mischiati insieme, così copiosi.
Guardò suo marito, che era rimasto a bocca aperta. Poi poco a poco la sua espressione smise di rivelare stupore e incredulità e assunse un aspetto indecifrabile. La sua mascella parve serrarsi, il suo sguardo si fece più penetrante e mosse un passo verso di lei.

Lei chiuse gli occhi, si piantò, nuda, a gambe larghe con le mani sui fianchi e protese il bacino in avanti. Avvertì le mani del marito sulle sue braccia e si preparò al momento che avrebbe cambiato per sempre la sua concezione del sesso, del matrimonio e della vita.
– AAAAAAAUUUUUUGGHHHHH!!!

Il grido uscì improvviso dai polmoni di Giovanna al sentirsi sollevare dal marito che se la caricò spalla destra, poi sentirsi portare fino alla porta di casa, scaricare bruscamente sul pianerottolo, tanto che dovette appoggiarsi al muro per non cadere, mentre sentiva la porta di casa chiudersi sbattendo alle sue spalle. Ma che stava succedendo?

Cercò di riprendersi.
– Alberto!?

La porta blindata di casa si riaprì solo per un attimo. Giovanna vide la sagoma di suo marito stagliarsi contro la luce dell’anticamera mentre con un gesto sprezzante le gettava addosso in malo modo il soprabito che aveva indossato per tornare a casa e la borsetta.

Fece per avvicinarsi a lui, notando che aveva in mano il suo portachiavi da cui stava togliendo qualcosa prima di gettarlo per terra vicino a lei.
– Alberto!! – ripetè.
– Ti farò trovare le tue cose negli scatoloni nel box domani pomeriggio. La chiave del box è ancora nel tuo portachiavi. Non chiamarmi, non telefonarmi, non mandarmi messaggi, mail o whatsapp. Non provare in nessun modo a metterti in contatto con me. Non ti voglio più vedere. Mai più.

Stranamente lo vedeva diverso, così alto, così forte, così determinato, così sicuro di sé. Perché non se ne era mai accorta prima?

La porta si chiuse rumorosamente, lasciandola sul pianerottolo, nuda e sola. Sentì la chiave girare più volte nella toppa. Un suono agghiacciante.

Prese il mazzo di chiavi ai suoi piedi e cercò freneticamente quella della porta blindata, accorgendosi che era proprio quella che Alberto aveva tolto e s’era tenuto. Cominciò a suonare il campanello e a picchiare sulla porta a mano aperta.
– Alberto! Alberto!! Mi spiace! Non lo sapevo! Forse ho esagerato! Non immaginavo che avresti reagito così male! Scusami!

Non poteva certo finire così, pensava Giovanna. Era lei quella che aveva il pieno controllo della coppia. Lei quella che decideva tutto. Il ruolo del marito era stato sempre solo quello di esaudire i suoi desideri. Doveva assolutamente entrare in casa e parlargli, farlo ragionare, convincerlo a vedere le cose dal suo punto di vista.

Niente. Nessuna risposta.

Le parve di sentire un rumore dietro l’altra porta del pianerottolo, quella della vedova Zagatti, ma non ci fece troppo caso e continuò a bussare chiamando il marito.
Dopo qualche minuto la porta dell’ascensore si aprì e due persone in uniforme ne uscirono. Due carabinieri, un uomo e una donna. Lui alto e grosso e lei piccola e magra, ma nient’affatto intimidita.
– Che succede qui? Ci hanno chiamati per un problema di schiamazzi notturni – Chiese la donna.
– Santo cielo! Una donna nuda! – Disse l’uomo.

La donna, un vice brigadiere, aveva un grado più alto dell’uomo, che era solo appuntato scelto. Gli rivolse un’occhiata severa e disse:
– Quanto sei perspicace! Sei sicuro di averne vista qualcuna, prima di questa? E lei, signora, le dispiace dirci che cosa sta succedendo prima che l’arrestiamo per atti osceni in luogo pubblico?

Giovanna raccontò l’intera storia, alzando il tono della voce e gesticolando. Il grosso appuntato raccolse da terra il soprabito e glielo allungò senza una parola.

Quando Giovanna concluse la sua storia i due militari si guardarono increduli. L’uomo emise un sibilo di sbalordimento.
– Vado a cercare di parlare col marito – disse, quasi tra sé e sé – anche se m’immagino che non sappia aggiungere niente di più, né che si riesca a convincerlo a riprenderla in casa. D’altra parte, chi può dargli torto?

La vice brigadiere parve assumere il controllo della situazione:
– Signora, le spiace rimettersi il soprabito? All’Università ho avuto anch’io una fase lesbo, ma le assicuro che lei in questo momento non mi fa nessun effetto.

Dopo un decina di minuti, che parvero ore, l’appuntato tornò sul pianerottolo, chiudendosi la porta alle spalle. Intanto la porta della vedova Zagatti si aprì leggermente, solo uno spiraglio.
– Tutto bene? – chiese la vice brigadiere rivolgendosi all’appuntato.
– Beh, abbastanza, date le circostanze. Non ci sono segni di violenza e tutto pare in ordine. Certo, l’uomo è un po’ alterato… Gli ho dato il mio biglietto da visita e gli ho chiesto di chiamarmi in caso di problemi.
– Bene.

Giovanna avvertì palpabile un senso di sollievo nei due militari e si stupì che tutta la loro preoccupazione fosse rivolta verso suo marito, mentre non sentiva altro che indifferenza nei suoi confronti.
– E di me chi si preoccupa? Siete riusciti a fargli accettare di lasciarmi tornare a casa?
– No. Perché avrei dovuto? – disse l’appuntato, abbastanza seccato. – Il mio consiglio è che lei passi la notte con qualcuno dei suoi partner. In fretta anche, perchè in questo momento suo marito è al computer che blocca on line la sua carta di credito, anche se dice che lei ne avrebbe una legata a un conto intestato solo a lei che non riesce a bloccare.
– È vero. È stato lui a insistere perché ne avessi una di riserva in caso avessi avuto un problema, una difficoltà qualsiasi.
– Già. – disse la vice brigadiere con aria annoiata. – meglio che se ne vada adesso, non ci faccia ritornare perché in quel caso saremmo costretti a incriminarla per molestie e disturbo della quiete pubblica e a trovarle un posto carino dove passare la notte, nostra ospite, al comando, insieme alle puttane della retata di stasera.
E poi rivolto all’appuntato:
– Andiamo adesso, sono stanchissima e non vedo l’ora che finisca il turno. Manca ancora più di un’ora e poi voglio andare a casa e farmi un bel bagno caldo, con la musica, le candele, un bicchiere di vino e tutto il resto.

Sull’ascensore la donna mise una mano sul braccio del grosso appuntato.
– Senti, Cucchiaroni, promettimi una cosa. Se mai dovessi fare una cazzata simile sparami un colpo in testa, ti spiace?
– Stai tranquilla, Soldan, conta pure su di me. Ti ho mai deluso?

Intanto Giovanna si trascinò zoppicando verso la Mercedes. Salì in auto e chiuse la portiera senza accendere il motore.

Ora che l’esaltazione del momento era passata si sentiva esausta. E sporca. Sentiva il disperato bisogno di una doccia.

Senza più l’eccitazione, la lussuria, la consapevolezza di stare facendo qualcosa di deliziosamente proibito le rimaneva solo un corpo dolorante Sentiva male dappertutto, sia nel corpo che nella mente. Nessuno dei suoi due amanti aveva avuto un minimo di delicatezza e lei era stata sbattuta qua e là senza nessun riguardo.

Ma che cazzo le era saltato in mente?

Era così sicura di sé, di essere lei a prendere le decisioni anche in materia di sesso e ora invece sentiva la struggente mancanza del caldo sorriso complice di suo marito, del suo tocco delicato, della maniera gentile e affettuosa che aveva di farle l’amore.

Che sciocca che era stata a interpretare questa sua tenerezza come un difetto, una mancanza di carattere.

Mise in moto la Mercedes, uscì dal box sotterraneo e rivolse meccanicamente uno sguardo alle finestre di quella che fino a poco fa era stata casa sua. E mentre guardava, vide la luce spegnersi.

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