Skip to main content
Erotici Racconti

Un pacco in dono

By 31 Agosto 2017Febbraio 4th, 2023No Comments

Nel dormiveglia il continuo dondolio del treno aveva risvegliato l’attenzione di Chiara, dal momento che con la testa ciondolante e indolenzita la ragazza aveva spalancato in modo sperduto gli occhi, frattanto si era specchiata nel finestrino buio della galleria appena imboccata. All’angolo la bocca le luccicava persino un poco, dopo si guardò intorno e s’asciugò con il dorso della mano. Il resto del vagone versava più o meno nelle sue stesse condizioni, il posto vicino era rimasto libero, il suo zaino era lì, il libro sul tavolino di fronte, il trolley rosso disposto su in alto vicino al montone ben ripiegato dalla parte della pelliccia.

Appena bucato il monte il treno sbucò nel sole più accecante, Chiara ricordò d’improvviso il suo presente e lo scacciò con un gesto della mano intanto che i suoi occhi ripresero a scrutare il panorama con degli scatti velocissimi, appresso cercò il cellulare nella tasca esterna dello zaino, per il fatto che segnalava un MMS da un numero non in rubrica. Nessun messaggio all’oggetto o in accompagnamento, così cliccò il tasto per passare direttamente alla foto. Avrebbe capito, sperava, ma le comparve davanti soltanto il particolare di una patta bella gonfia: apparve un pacco e un numero sconosciuto, successivamente tentò di ricomporre il numero, ma non si evidenziò alcun nome. Cercò di ricordare di recente a chi avesse dato il suo ultimamente, ma nulla, perché pacco e numero rimasero senz’identificazione. Era forse uno scherzo? Per caso uno sbaglio?

Chiara riosservò la foto e cliccò sull’opzione zoom alla ricerca di qualche particolare nascosto, per esempio una mano, anche un dito, il pantalone o la cintura, il disegno d’una stoffa del divano, d’una sedia o d’un letto, eppure nulla: unicamente quel dettaglio del pantalone dal colore indefinibilmente scuro assieme a un raggio di luce che di traverso illuminava la patta di velluto a costine. Il treno fuggiva dal nord in maniera spedita nella luce invernale d’un cielo limpido, freddo di tramontana, Chiara s’appoggiò in grembo il telefonino con un sospiro tentò di riflettere. Ma guarda tu pensò, uno scappa, torna a casa per le vacanze, o meglio per qualcosa di più che una vacanza, un tuffo nella pace della casa dell’infanzia, nel rassicurante abbraccio dei propri cari, corre via dal proprio dolore, da un fallimento, mentre all’ultimo appare un cazzo dal nulla, bah. Sospirando sorrise e chiuse gli occhi.

Dopo pochi secondi uno squillo mozzato illuminò nuovamente il display, seguì una vibrazione come quella di prima: comparve un altro MMS. Il passeggero di fronte a lei aprì un occhio e cambiò posizione sbuffando leggermente, poi s’appoggiò al proprio doppio mento e riprese il suo russare discreto, Chiara cliccò sulle opzioni e tolse definitivamente ogni tono. Ah già, il messaggio: era infatti rimasta inevasa la posta e la letterina in alto a sinistra, in quanto era lì per ricordarglielo. Un altro MMS, forse si scuserà dell’errore pensò la ragazza con un sorrisino laterale. Il messaggio scritto sennonché citava:

‘Lo squillo lo prendo come un segno d’assenso’ – intanto che seguiva ragionevolmente un’altra immagine.

Chiara aspettò qualche secondo prima di cercarla, per il fatto che stavolta la foto era stata ripresa da un fianco. A ben vedere, si trattava indubbiamente d’un autoscatto, tenuto conto dell’ombra del braccio sulla coscia, giacché la patta da quella prospettiva appariva molto più gonfia. L’animo alquanto sfibrato di Chiara ebbe un guizzo di gioia infantile, adesso chiamo e gli annuncio che il destinatario sperato non ha ricevuto un bel nulla penso tra dentro di sé. Se non fosse affatto un errore? Se fosse invece uno scherzo al suo indirizzo? O addirittura il solito maniaco, che aveva inventato un numero a sorte, guarda caso proprio il suo? Forse poteva cavarsela con un SMS: destinatario errato, prego controllare il numero digitato. Anonimo, informale, per nulla incoraggiante, senza tirare in ballo la sua voce naturalmente. Se d’errore poteva trattarsi, in fondo lei avrebbe potuto essere benissimo un maschietto. Sì, avrebbe fatto così. Per Chiara, invero, quello non era che l’inizio del lungo viaggio che l’avrebbe condotta dall’estremo confine del nord Italia fino alla sua isola in mezzo al mare. Praticamente due giorni di treno. Il diavoletto appeso al lobo del suo orecchio con tanto di corna e di tridente la punzecchiò implacabilmente provocandole una tentazione: e se portassi avanti il gioco, giusto per compagnia e per distrazione? Sì, no, chissà, perciò abbassò lo sguardo sul cellulare: il display si era nuovamente illuminato, giacché in modo silenzioso comparve un altro comunicato. No, un SMS, stavolta. Peccato pensò Chiara stupendosi di tanto ardire: 

‘Vado avanti?’ – chiedeva l’anonimo 349xxxxxxx.

In fin dei conti l’aveva cercata lui. Sbaglio o inganno, peggio per lui, e tanto meglio per lei. Il diavoletto si rivelò sennonché femmina e Chiara stette al gioco inviando una serie di puntini di sospensione per tutta risposta, poi restò in attesa. Il display rimase buio per una lunga mezz’ora di tempo, Chiara si ritrovò a sperare che fosse solamente un problema di ricezione per via dei monti e delle gallerie. Che giornata meravigliosa, più s’allontanava e più il cuore diventava leggero e quel gioco degli MMS le stava indubbiamente tenendo una grande compagnia.

In quella circostanza si smarrì in astratte e indefinite fantasticherie, guardando la neve che aveva arrotondato ogni asperità e ammantato di pace tutto ciò che aveva ricoperto. In quel mentre passò il carrello nel corridoio dello scompartimento e la ragazza si gratificò d’un pessimo caffè. Accavallò le gambe e il cellulare cadde per terra. Accidenti, era la prima caduta da quando l’aveva comprato, per il fatto che si decisa nel cambiare finalmente il suo vecchissimo, per via della batteria ormai sfinita, introvabile e ormai fuori produzione. Un’offerta speciale l’aveva tentata: quel Nokia poteva fare foto, ma niente filmati, che altrimenti sarebbe costato troppo, ma mandare e ricevere MMS quello sì, però niente infrarossi e opzioni strane: un passo alla volta perbacco. Lei si definiva geneticamente contro la tecnologia ed ereditaria conservatrice: quel che si diceva di lei corrispondeva al vero. Chiara si contorse, raccolse il cellulare da sotto al tavolino, che era frattanto rotolato tra i piedi del dirimpettaio sbuffante. Con un sussulto al cuore lesse la scritta apparsa sullo schermino, in quell’istante si sentì come quando le capitava di giocare a poker, sennonché negata per la finzione si precipitò curiosissima per scrutare l’ultima foto.

La cintura era sfibbiata e la zip era srotolata per metà, appariva una mano dalle dita che si perdevano nel biancore di quelle attillate mutande di cotone. Lo zoom rivelò una striscia di peli composti che dall’ombelico sfinivano verso il pube, una bella mano d’uomo in verità e il luccichio dei denti d’una zip metallica. Le mutande tese e belle piene lasciavano infine intravedere la sagoma d’una grossa cappella, Chiara si meravigliò a quel punto d’un piacevole solletico inguinale, ma bruscamente un inatteso rumore alle spalle la fece voltare di scatto. Era caduto un oggetto dalla cappelliera dietro a lei e un passeggero frattanto si era alzato, Chiara fece sparire l’immagine dandosi frettolosamente un contegno indifferente, dopo riaprì il messaggio e lo studiò ancora, giacché stabilì che sarebbe finita lì, poiché non lo avrebbe più incoraggiato. Ogni tanto buttava un occhio al display, finché di sfuggita lo vide riaccendersi per l’arrivo d’un altro MMS. Ora la mano non c’era più e il primo piano un po’ sfuocato mostrava un cazzo in erezione, sempre oppresso dentro i boxer, che era avanzato nel cotone sempre più teso, l’elastico leggermente sollevato dalla spinta causata dal gonfiore. Chiara arrossì violentemente e non riuscì a trattenersi, ma al secondo squillo attaccò di schianto con il cuore in evidente palpitazione, lo sconosciuto rilevò i due squilli e rispose con un SMS d’approvazione:

‘Addirittura due squilli’.

‘Dove sei?’ – scrisse successivamente il proprietario del pacco.

‘Dove sono? Adesso che dico’ – pensò Chiara. 

Lo squillo del cellulare d’una signora non lontana la fece sobbalzare per qualche istante, lei cercò di distrarsi ascoltando la conversazione altrui. Chiara rispose dichiarando la verità:

‘Sono in treno, qualche galleria dopo Firenze’.

‘Ti verrò a prendere a Bologna, preparati’ – fu la repentina e schietta risposta.

Alla stazione di Bologna, in effetti, Chiara doveva cambiare treno e aspettare una comoda coincidenza, intanto quello che le comparve fu un successivo MMS che rivelava una cappella congestionata che risaltava lucida e violacea al centro della foto. Perfettamente a fuoco, pensò Chiara e sorrise al pensiero che quel cazzo stesse aspettandola là in stazione. Meno male che c’era qualcuno che pensava a lei, perché le avrebbe almeno fatto buona compagnia nelle ore di transito da un treno a quello successivo. Ma che cosa stava farneticando? Quell’inedita intimità la stava visibilmente corrompendo fuorviandola: lei non conosceva la persona in questione, in tal modo trattenne una risata solitaria e rise di pancia, tanto che le uscì qualche lacrima, dopo s’impose di calmarsi placando quella specie di nervosismo euforico e solitario, concentrandosi in ultimo sulle proprie individuali sensazioni. Immaginò perciò la punta di quella cappella ignota avvicinarsi lentamente alla sua fica, che si stava preparando per aprirsi. Avvertì una spiccata sensazione d’umido sbocciare e muoversi contro il leggero slip di microfibra, restò lì con gli occhi chiusi e forse con un sorriso agli angoli delle labbra in un sogno segreto rivolto a tutti, immaginò ad occhi chiusi perché non c’era nulla da vedere o da riconoscere.

Il pacco in regalo era arrivato per posta e non riportava mittente, perché non si forzò ad immaginare altro, giacché quel che contava era quella fantasia nata dal caso. La cappella, quella della foto, che appariva enorme, ma su quali parametri, puntandosi tra le sue grandi labbra e lentamente, esasperatamente dapprima adagio scivolava fra i fluidi vischiosi della sua voglia aprendola. Dalle palpebre abbassate trapelò il buio d’un tunnel, lo stretto cunicolo di pura carne viva era compresso tra le sue gambe accavallate, buio anch’esso nell’avanzare di quella penetrazione immaginaria, inumidendosi di goccioline dense che sembravano crearsi dal nulla e guidavano un cammino che non portava da nessuna parte, per il fatto che la caverna era chiusa senz’altra uscita. Si vedeva nettamente il bidet contro lo sfondo di mattonelle verdine, l’immagine ritratta allo specchio rifletteva un particolare dell’habitat del fotografo. Una bella pancia piatta e tonica e un cespuglio di peli chiari su cui svettava in un arco perfetto, un magnifico pene corredato di testicoli compatti e contenuti. La foto terminava in basso sul preludio di quadricipiti scolpiti ad arte. Chiara in quel momento fu scossa da un insopprimibile e invincibile richiamo della carne ed ebbe freneticamente un sussulto al basso ventre: il fiotto caldo fin lì trattenuto, desiderio ed eccitazione, esplosero silenziosi e veementi tra le sue gambe:

‘Felice di ritrovarti’ – era attualmente il testo che accompagnava il messaggio MMS. Ritrovare chi? L’amante?

Perché adesso lo sconosciuto non si era meravigliato che voleva incontrare fosse sul treno proveniente da Firenze? L’ipotesi del maniaco riprendeva consistenza, ma lei non aveva dato altri elementi d’identificazione, quindi non era in pericolo, perché tutto poteva essere, anche che si trattasse d’una coppia gay, perché no? La supposizione che fosse qualcuno di sua conoscenza era sfumata una volta caduto l’ultimo velo, no, perché quel cazzo non rientrava facendo parte tra le sue conoscenze, purtroppo. Chiara si sentì dissoluta, Chiara scostumata e viziosa pronta ad affrontare sfidando qualsiasi cosa, lestamente ragionò d’essere nella condizione ideale per un incontro del genere, eppure c’erano troppi dubbi da sbrogliare.

La neve era sparita da un pezzo, Chiara s’affacciò dal finestrino e l’aria gelida la ghiacciò dai suoi bollori. Mezz’ora, quaranta minuti e sarebbe arrivata in stazione. Che cosa sarebbe successo? Come auspicare d’incontrare e riconoscere un uomo di cui si conosce soltanto il pacco? Un uomo che aspetta qualcun altro o forse proprio lei? Chiara immaginò ogni tipo di variante d’approccio, ma la fisionomia che attribuiva di volta in volta all’uomo del mistero svaniva esaurendosi così come il fumo della sigaretta fumata a metà nei pochi minuti di quell’ultima sosta. Quando ritornò al suo posto controllò il cellulare: stavolta però niente. Nient’altro e nulla di nulla. Mi ha preso in giro, pensò. Anche lui. S’appoggiò allo schienale e rise di sé stessa, mentre i compagni di viaggio di fronte a lei le rimandarono sguardi inespressivi e scialbi. Chiara rigirava di continuo il telefonino tra le mani, non c’era segnale, cosicché si consolò, Bologna non arrivava mai.

Doveva finire così? Che scherzo, che esibizione inutile, certo doveva trattarsi d’un mitomane con parecchi soldi da buttar via. Ricordò la frase che usava spesso suo nonno:

‘A chi giova? Nessuno fa niente per niente, ricordalo Chiaretta, non dimenticarlo mai. Così va la vita’ – le diceva.

La periferia, le mani sudate, giù la valigia, zaino in spalla, in piedi sugli ultimi scossoni del treno. Bologna San Lazzaro. Chiara pensò di scendere lì. Dov’era finito il cellulare? Ah, in tasca. Adesso riecco un SMS:

‘Arrivi al binario 14’.

Lui era lì ad aspettarla. Ad aspettare chi? Vuoto di pensieri. Ora tutta improvvisazione, occhi veloci per capire, per non perdere nessun particolare, perché tutto è apprezzabile, importante e sostanzioso.

Sembrare trascurati e indifferenti, ebbene sì, sembrare indifferenti e incuranti.

{Idraulico anno 1999} 

Leave a Reply