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Tu, in quella circostanza, uscivi di fretta dal negozio di calzature, effettivamente incantevole e vistosa, per il semplice fatto che guardarti era proprio un piacere per gli occhi, precisamente là t’ho visto sogghignare verso Caterina, t’ho adocchiato ironizzare così come bersagli candidamente la vita tempestandola a modo tuo, il mio cane si è frattanto accostato nei tuoi paraggi, per il fatto che captava il desiderio che aveva il suo amico di collegare parole con quell’aggraziata e piacevole giovinetta. Però, che bizzarro modo d’agire quello dei bipedi, avrà certamente considerato. Tu m’illustri fervidamente sennonché fatti e gesta, mi esponi vissuti calorosi sul tuo conto, mi ripeti espressioni del momento, mi parlotti di te, io ti riferisco di me, tu sorridi spensieratamente scuotendo felicemente la testa, intanto che maliziosamente e allusivamente m’annunci:

“Non avevo dubbi, sei rimasto eternamente uguale, ma quando migliorerai?”. 

Attualmente mi proferisci del tuo compagno, perché lui è distante per svolgere un delicato stratagemma lavorativo, io ti squadro e t’invito, tu mi esamini e infine accetti, ti dirò che stasera la scarpinata sarà indubbiamente più striminzita dell’annunciato, porta pazienza, sono certo che ti rifarai velocemente. E’ sera, la notte s’avvicina, per vederci abbiamo prescelto un luogo solitario e volutamente fuori mano, tu sei impegnata, al momento non è benefico né vantaggioso, farsi vedere in automobile andando incontro alla notte insieme a un ex, cosicché giriamo a vuoto in lungo e in largo, il calore nell’autovettura aumenta e non per il riscaldamento dell’abitacolo, là di fuori piove, ci fermiamo, quello che volevi, quello che lascivamente ambivo. 

Tu mi riferisci lietamente che assieme a lui non è com’era con me, c’è poca fantasia, una modica intesa, un’insufficiente complicità, questo tu lo enunci esprimendolo come se stessi creando una scusante perché sai che tra poco sarò dentro di te, l’uscire da soli di notte io e te, sì, lo sapevi, lo immaginavo, la tua mano adesso m’accarezza il collo e sai molto bene, che questo gesto io lo adoro parecchio in automobile. Entrambi non abbiamo voglia né tentazione di cercare un hotel, siamo protetti dalla pioggia, abbiamo tutto quello che ci serve tu, io, la connivenza della notte e l’affiatamento della pioggia, ci spostiamo sul sedile posteriore, ricordi questi eventi? Rammenti la prima volta m’hai acciuffato così, certo, ma adesso sei cresciuta, non sei più una diciassettenne assatanata, eccitata e finanche curiosa.

Tu sei a cavallo sopra di me, seduto sul sedile posteriore io ti spoglio, il leggero vestito è cascato scoprendo la tua cute, incurvi la schiena rivelandomi quanto il tempo sia stato liberale, magnanimo e prodigo:

“Dai, sfilati il reggipetto” – ti espongo io, intanto che le tue floride e sviluppate tette sobbalzano.

Le tue tette sono piccole ma provocanti e stuzzicanti, i capezzoli sono irti, tu attribuisci la negligenza al freddo, io adoro il tuo innocente e genuino impaccio, in quanto la tua candida e smaliziata remora è accompagnata da quel naturale disagio, quella che non dovrebbe manifestarsi né trasparire fra noi due. Io allungo una mano, sotto il cotone tu sei notevolmente irrorata, alquanto eccitata, questo mi fa crescere l’incitamento sobillandomi ulteriormente:

“Adesso con calma sfilati gli slip” – ti mormoro io accalorato e spinto da un inequivocabile e visibile fermento.

Tu adesso t’adegui e ubbidisci, esegui e m’osservi, probabilmente lui non ha compreso che è così che ti piace, tu vuoi essere dominata, liberamente condotta, lievemente sottomessa e governata, perché solamente in questo modo sai essere totalmente donna, unicamente pilotata in questa maniera sai decisamente prendere e non soltanto elargire. Tu sfili quegli slip di colore bianco come un allieva collegiale, io ti reggo il mento sollevato, mentre lo fai ti studio negli occhi. Io ti desidero interamente essenziale e ignuda, bramo spogliare il tuo corpo assieme alle tue intrinseche e immorali depravazioni, sicché t’allontano leggermente saziando la mia focosa esaltazione di quel corpo discinto e torrido, mentre le mie dita ti scompigliano i foltissimi e gli scurissimi peli dell’inguine:

“Molto bene adesso spalanca le cosce, sì così, sei veramente stupenda, sei gocciolante, che meraviglia” – mentre le mie dita s’introducono cautamente nella tua odorosa, accogliente e deliziosa fica.

Tu per l’occasione t’emozioni, appiccichi la bocca ai miei capezzoli, non reggi più il mio sguardo, mentre le mie dita solcano dentro quella distesa enorme di fluidi io t’argomento di lui, che cosa direbbe se sapesse, tu ti senti in colpa, tangibilmente a disagio, ma dimostri appoggiando e avvalorando nettamente il tuo lussurioso e spasmodico piacere, infradiciandoti e godendo sempre di più. Io ti forzo di guardarmi negli occhi, fintanto che le mie dita diventate tre ti costringono di ruotare la cavità pelvica raggirando il tuo individuale pudore. In quell’istante imprigiono la mano solamente quando sei in grado d’intravedere l’apice finale, perché t’ho mostrato dove puoi arrivare se soltanto ti lasciassi andare, cosicché dilato le gambe inducendoti a estendere maggiormente le tue, tu nel mentre arrossisci quando percepisci le labbra della fica schioccare e aprirsi. In seguito mi denudi, poi genuflessa fra i sedili mi liberi dei pantaloni e delle scarpe, giochi a mordere il cazzo ancora protetto dal cotone degli slip.

Tu avevi vent’anni d’età la prima volta che hai assaporato un uomo, avevi vent’anni la prima volta che m’hai inghiottito estorcendomi le membra. Le unghie smaltate di bianco adesso raschiano i miei fianchi graffiandoli nel momento in cui mi sgomberi dell’ultimo indumento, il glande è visibilmente rosso, palesemente congestionato, tu resti irrimediabilmente sbigottita appena identifichi che il frenulo si è spezzato, so che ti starai certamente domandando quale femmina sia stata. Le labbra polpute si sigillano congiungendosi sulla mia mascolinità, invischiano il glande, la lingua tenta di penetrare, dal frastuono m’accorgo che le tue dita non danno pace alla tua villosa miniera sommersa, ti muovi disordinatamente nel piccolo spazio, la bocca si muove sul cazzo senza comandi, senza giudizio, tu lo vuoi soltanto tenere in bocca mentre vieni, io afferro le tue guance con dolcezza ti sollevo la testa giusto in tempo prima dell’orgasmo, perché questo che avviene sta sciogliendo il tuo cervello e di questo spettacolo io sono l’unico ed esclusivo abbagliato astante.

Tu sei eccezionalmente stupenda, insolitamente favolosa, al presente guardo la tua bocca spalancarsi cercando l’ossigeno, lecco le lacrime di saliva che si presentano agli angoli della bocca, apri gli occhi e mi guardi mentre sei all’acme totale, tenuto conto che mi permetti di gioire e di gongolarmi con te. Ti collochi al mio posto ancora ansante, io infilo la testa tra le cosce morbide, la tua fragranza assieme alla tua eccitabilità inumidita nutre sostentando la mia, la fica è un frutto maturo, una pesca enorme e succulenta, io ne aspiro il succo, infilo la lingua, dopo cerco il tuo lucido clitoride, splendidamente lo succhio, tu ondeggi, vacilli, dopo m’aiuti ad aprirti le gambe ingaggiando una postura scostumata e triviale, giacché è in tal modo che vieni lagnandoti e frignando:

“Ti adoro come non mai, mi dici per quale ragione te la sei svignata” – mi proclami presentemente scompigliata e sgomenta.

Io non contesto, non polemizzo né dissento, se non con un delicato sorriso e con un apprezzamento autentico e leale ti manifesto:

“Tu sei meravigliosa, veramente strabiliante e soprattutto grandiosa, stanne certa piccola mia”.

“Chiavami tesoro, infilamelo come si deve, fallo come piace a me, sfondami tutta” – mi ribadisci tu assai lasciva guardandomi negli occhi. In conclusione io inizio a scopare perfino la tua mente, perché al presente non hai più blocchi né chiusure né insicurezze né inibizioni di sorta che ti reprimono.

Io comprendo ogni cosa, controllo e padroneggio il tuo codice, ti voglio dentro, se vuoi essere afferrata con piacevolezza scopami, se vuoi essere sbattuta come t’aggrada di più chiedi e l’otterrai. Frattanto collochi i talloni sui poggiatesta, le cosce sono deliziosamente spalancate, la fica è là rigonfia e gocciolante che cerca umilmente il cazzo, il corpo è piegato per reggere gli assalti, tu sei esageratamente lasciva, ma al tempo stesso rischiosamente avvenente, temerariamente attraente, in quel frangente io m’avvicino:

“Piantamelo tutto, lo desidero, fammelo sentire per bene” – mi riveli tu accalorata al massimo.

Al momento trattieni il fiato per tutto il percorso, nel tempo in cui il convoglio s’intrufola nel traforo, avverto la tua lingua bagnata lambire dalle mie labbra il piacere che tu stessa hai rilasciato, io adoro carezzare le tue rigogliose tette, sei ardente, mi muovo adagio depredando dai tuoi occhi le sensazioni che il mio razzo elargisce al tuo corpo, dopo più forte, più veloce, ti scopo, ecco ora ti penetro come volevi, divinizzo la tua cantilena, perché a ogni affondo uno strillo arrochito ti sfugge dal petto. Subito dopo colgo di netto i tuoi muscoli interni contrarsi, come gli addominali, la penetrazione fa un rumore sconcio, l’autovettura è adesso impregnata degli effluvi del tuo travolgente orgasmo, capto gli ultimi singhiozzi, mentre il tuo respiro ritorna con lentezza normale, nel mentre io proporziono le mie spinte al tuo respiro e proseguo, intanto che ci scambiamo vocaboli soavi. Le tue unghie mi solleticano il petto, il didietro, il mio sguardo e fisso sul tuo, adesso non serve parlare, gli occhi lo fanno per noi:

“Sì, ecco, non fermarti, così, molto bene”.

Per nulla, caro mio tesoro, non mi fermo, dal momento che ti smembri visibilmente squassato da tremolii fortuiti ancora per qualche secondo, in seguito mi vezzeggi, mentre le tue labbra polpute ispezionano la mia pelle.

“Senti un po’, vorresti incularmi?”.

Questa frase la riporti talmente bonariamente e placidamente, così come una fanciulla reclamerebbe alla mamma un bacino:

“Onestamente mi sento svuotata, quando tu esci da me è pressoché una sensazione simile, eppure non lo dico”.

Dopo sollevi le ginocchia fino a portarle alle spalle, sei oscenamente spalancata, perversamente e viziosamente offerta:

“Però fa’ adagio, tienilo presente. E’ la prima volta, ne sono consapevole” – mi ribadisci tu, con la smania e con l’impazienza addosso che ti divora. 

Io appoggio a rilento il glande al buco dell’ano indugiando un poco, tu istintivamente mi solleciti con cautela di proseguire:

“Dai spingi, dammelo subito, sì, ne ho voglia, infilamelo dentro nel culo. Sono pronta”.

Le tue parole mi stimolano aizzandomi e invogliandomi più del dovuto, sono sobillato al massimo. Adesso spingo, tu strizzi gli occhi, io ti spiego come fare per offrirti meglio, sento il tuo pertugio allargarsi e gradualmente cedere, lo supero, comprendo la tua personale smorfia, so d’essere grande, pigio, tu mi vieni incontro, sei stupenda, mi fermo soltanto perché i testicoli hanno trovato posto nel solco delle tue natiche, per tutta la corsa sei rimasta a guardarmi negli occhi, perché tu sei la mia cordiale e soave libidinosa puttanella.

Ambedue danziamo una specie di valzer svogliato e sfumato, il mio pollice stuzzica la perla, ti lasci andare, la danza diventa frenetica, le tue dita s’uniscono saldamente alle mie, mentre ti penetri con l’indice e il dito medio, io continuo a carezzarti il bottoncino, ora riconosco i tuoi focosi e incontinenti lamenti di piacere. Tu mi esorti di continuare, ti sento cedere sempre di più, il cazzo si colora delle tue secrezioni, abbassi gli occhi e lo osservi, m’hai sporcato, diventi rossa fino alla punta dei capelli, vieni gemendo di gusto fra i singhiozzi, mentre con una mano guidi le mie spinte che vuoi forti e profonde, mentre mi enunci che sai che sono vicino al culmine. Mi dici di riempirti, io seguito a muovermi, voglio farlo, con un gesto lesto mi fai uscire, da sola infili il cazzo nella fica, mi tieni fermo introducendomi le unghie nei pettorali, mi scopi in tal modo scuotendoti e sbattendo il bacino, quando mi senti sborrare rallenti, la tua lingua percorre il solco che separa i pettorali raccogliendo il sudore, i primi schizzi si disperdono invadendoti la grotta fino all’utero, mentre tu mi esorti spronandomi di farcirti per bene, perché vuoi che io ti metta incinta.

Io proseguo, è inattuabile non farlo, impossibile non compierlo, restiamo là, io immobilizzato a te, tu attaccata a me, si è fatto tardi, ma per noi c’è più tempo, la pioggia era cessata e non ce n’eravamo accorti, subito dopo un lampo squarcia il cielo e ricomincia a piovere, noi riattacchiamo proseguendo nel giocare. Da quel giorno ci siamo rivisti con una certa frequenza, tu sei con lui in Calabria, mentre un messaggio riferisce – è te che voglio come concubino, come seguace e come individuo – perché vorrei addormentarmi e svegliarmi accanto a te.

Io però non ho risposto, non so perché, giacché per quindici lunghissimi e sublimi anni tu m’hai donato tanto, e ancora oggi seguiti a darmi, io t’adoro come non mai. Se mai dovessi leggere questo racconto capirai, adesso però ti lascio con una frase che tu ben rammenti:

“Lascia che il lupo ululi alla luna, non la raggiungerà mai. Dimentica, tralascia che vaghi per oscure foreste, non è in esse che troverà quello che cerca, perché soltanto quando sarà riuscito ad ammettere e a riconoscere d’avere bisogno d’amore, troverà e avvertirà la vera felicità. Fino a quel momento sii sua con apertura, dedizione e franchezza, dagli quello che altri gli hanno costantemente negato. Adagiati, coltivalo, cullalo e lusingalo con il tuo amore, quando lui metterà nelle tue mani il suo cuore”.

Ciao caro e splendido amore mio, per sempre mitizzato e indimenticabile.

{Idraulico anno 1999} 

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