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Vecchia baldracca

By 30 Dicembre 2014Ottobre 3rd, 2021No Comments

Ho capito che era lei appena fece il suo ingresso nella hall dell’Hotel Brum di Milano, in via Caldera.

I pochi avventori presenti ammutolirono per l’ammirazione. Un tipo alla Anne Hathaway, per intenderci, di quelle che vanno di moda adesso. Non capisco come facciano a piacere queste ragazze senza tette, capelli corti, con l’aria da santarelline che sembrano dire “non mi guardare, non mi toccare, stai lontano che mi fai schifo”.

Sono contenta di non essere stata un tipo così, ai miei tempi. Oggi però sarei fuori moda.

Lei, comunque, doveva essere (o essere stata) una modella, senza dubbio. Sapeva muoversi e quando camminò fino al divanetto dove alla fine si sedette, nessuno riuscì a distogliere gli occhi da lei, tutti ipnotizzati dall’ondeggiare delle sue piccole e rotonde chiappette, quasi maschili.

In ogni caso, il gioco stava per cominciare.

Poi arrivò lui, dopo pochi minuti. Eccolo là. Sorridente, spigliato, premuroso.

Capii subito che non era altro che un impiegato della contabilità, forse nemmeno laureato, provinciale, che sopperiva con la spavalderia a una evidente inadeguatezza rispetto all’eleganza dell’hotel.

Non troppo alto, né grasso né magro, goffo. Insignificante.

La parola “ragioniere” mi venne alle mente immediatamente appena lo guardai.

Si sedette accanto a lei. Il bellissimo volto della giovane signora si illuminò quando lo vide. Chissà cosa le avrà raccontato.

Povera stupidella, sentii pena per lei. E lui? Certo non si rendeva conto che ci si brucia di brutto ad avvicinarsi troppo al fuoco.

Mi venne il dubbio che fosse troppo tardi ormai per il mio intervento.

Ma forse no. Noi donne capiamo al volo certe cose. Si dice che una donna sappia entro i primi dieci secondi se andrà a letto o no con l’uomo che ha di fronte.

I suoi occhi dicevano: “magari non oggi, me se ti sforzi ancora un po’ la mia passera è tua. Ti aspetto.”

I due se la passavano davvero bene. Lui le stava vicino, le parlava a bassa voce e lei rideva in continuazione, lanciandogli occhiate di simpatia e complicità.

Ogni tanto, infervorato dal discorso, la toccava sulla spalla e anche lei a volte gli appoggiava la manina sul braccio.

Non c’è dubbio che io sia fatta per questo lavoro. Mi chiamo Silvia, Silvia Visconti e lavoro per un investigatore privato. Non che ci capisca niente di investigazioni, io faccio l’esca. Vuol dire che provoco tentazioni in mariti le cui mogli cercano una scusa per divorziare.

Sì, l’esca… Chi voglio prendere in giro? Altro che esca. Io sono una troia.

Non mi offendo se qualcuno mi chiama così, anzi sono abbastanza orgogliosa di esserlo: ho lavorato tanto per essere una delle migliori (per lunghi anni sono stata senza dubbio “la migliore”, almeno qui nel Nord Italia), mi sono divertita da pazzi e mi sto per ritirare.

Questo caso, però non lo sto affrontando per conto del mio datore di lavoro. Sto facendo un favore ad un amico e spero di avere il mio tornaconto, questa volta non economico.

Come dicevo, sono una troia vecchio stile: lunghi capelli biondi, grandi tette, un culo da perderci la testa, profondi occhi azzurri.

Una volta, quando camminavo per la strada, fermavo il traffico. Oggi non ci riesco più, anche se ancora, quando voglio, non perdo un colpo.

Però i miei capelli sono color Garnier numero 9, il chirurgo plastico ha molto a che vedere con la pelle liscia del collo e del viso, oltre che con la quarta di seno con cui vado in giro, e il mio sedere mi costa due ore al giorno di step e massaggi. Il fatto è che ho sessantadue anni, anche se non li dimostro.

E quando dico che non li dimostro, so quel che dico. Scommetto che se io e te fossimo nella stessa stanza, in questo momento, leggerei nei tuoi occhi la voglia di scoparmi.

È pur vero che voi maschi vi scopereste qualsiasi cosa con due gambe e un buco in mezzo (basta guardare certi programmi del mattino alla Tv dove ciccione inguardabili raccontano della loro gravidanza – vuol dire che qualcuno, contro ogni logica, ha pur messo il suo uccello dentro di loro), ma io, come altre grandi puttane, le migliori, abbiamo questa cosa del feromone, dell’odore che emaniamo che fa capire a chi ci sta intorno che basta chiedercelo e noi ci stiamo. Non solo ci stiamo, ma faremmo loro avere la migliore esperienza sessuale della loro vita. A pagamento, ma anche gratis e senza sforzo, per il gusto di un cazzo nuovo. Provaci con una come Anne Hathaway e poi vediamo…

Tuttora, alla mia età, non ho problemi ad attirare maschi. E fu proprio quello che feci quel giorno.

Sorrisi al ragazzo. L’avevo visto con i genitori poco prima. Ora era seduto da solo con una birra. Forse i genitori erano venuti per la cerimonia di laurea ed erano saliti a cambiarsi prima di cena.

Gli feci un cenno e si avvicinò, il bicchiere in mano.

Intanto guardai intensamente un venditore di software (lo si capiva dal badge appeso al collo che non si era ancora tolto) che aveva appena congedato un cliente. Mi parve di capire che gli era andata bene e che avesse voglia di festeggiare.

Anche lui finì per sedersi con noi, col suo Martini.

Ci misi poco a scaldare i miei compagni e presto ci fu un’atmosfera allegra e disinibita. I due erano attorno a me, quasi sbavando, visto che avevano capito che non sarebbero andati in bianco. Ci guardavano tutti, anche un paio di calciatori del Milan (Mexes e Zapata) che, seduti in un divanetto con una bibita analcolica in mano, erano in compagnia dei loro procuratori. Non li avevo mai scopati di persona, al contrario della maggior parte dei loro compagni, ma sapevo dalle mie colleghe che Zapata aveva un uccello spropositato e che con lui ci si poteva divertire un sacco. Un’altra volta, magari: oggi ho da fare…

Con lo studente e il venditore ci accordammo presto e ci alzammo. Mi diressi sola verso il bagno delle donne e, passando davanti al posto della mia ragazza-obiettivo, le lanciai un commento silenzioso, un gesto, insinuando che il suo mascara stesse colando sulla guancia.

Dopo pochi minuti entrava in bagno e mi trovò proprio come volevo mi trovasse. Il venditore mi aveva sollevato la gonna e mi pompava con vigore da dietro, mentre io, piegata a novanta gradi, stavo succhiando il cazzo e massaggiando le palle allo studente, tette penzolanti fuori dal reggiseno e sguardo perso nella lussuria.

Mi staccai un momento dal cazzo dello studente e le rivolsi una breve occhiata, sorridendole.

Era chiaro che fosse scandalizzata dal mio comportamento. Come?! Una donna della mia età farsi sbattere in un cesso da due sconosciuti!

Se solo avesse saputo quante cose anche peggiori ho fatto nella mia vita…

Se ne andò con sussiego e io terminai presto con i miei due occasionali amanti. Mi aspettavo di più dallo studente, invece era piccolo e venne subito. In compenso aveva un buon sapore. Più sgamato il venditore, che riuscì a darmi un discreto orgasmo.

Mi riaccomodai al mio posto e ordinai un altro Bloody Mary. La ragazza non rideva più tanto alle battute del suo compagno, Anzi, pareva pensierosa.

Estrassi il cellulare e chiamai un numero con lo speed dial. Lasciai squillare un paio di volte e chiusi prima che qualcuno rispondesse. Meno di due minuti dopo il telefono dell’accompagnatore della mia ragazza-obiettivo squillò. Si alzò per rispondere, rosso in viso. Imbarazzatissimo, si congedò rapidamente, borbottando delle scuse, e se ne andò di corsa.

Era il momento che aspettavo.

Sorrisi alla ragazza e col mio cocktail in mano la raggiunsi al suo posto.

– Non scandalizzarti, cara, se ci pensi bene io e te siamo uguali, solo in due tappe diverse dello stesso percorso.

– Non credo proprio! – Rispose piccata.

Arrotolava la erre. Al principio potevi credere che fosse francese. Una Anne Hathaway francese. Ma dove le trovano donne così?

– Come credi, tesoro. Ma prima di scacciarmi ti spiace se scambiamo due parole? – E mi sedetti di fronte a lei. – Sei sposata, giusto? Certo non con quel pagliaccio che era qui con te fino ad un momento fa.

– E tu come lo sai?

– È bastato fare caso al suo abito comprato in qualche outlet di provincia per capire che non sarebbe in grado di acquistarti quegli stivaletti in pelle di cervo di Prada che indossi. Il solitario che porti al dito costa probabilmente più di un anno del suo stipendio. E poi non hai visto il segno della vera all’anulare della sua mano sinistra? Se fosse sposato con te non avrebbe senso cercare di dissimulare il fatto che abbia una moglie, no? Sono sicura invece che sia stato TUO marito, quello vero, a farti questi regali, segno che ti vuole bene sul serio. Dalla tua espressione mi pare di capire però che malgrado tu sappia benissimo che ti voglia bene, ti piacerebbe che passasse più tempo con te invece che al lavoro. E che tu ti senta imprigionata in un matrimonio che ti annoia e che ti fa sentire sola. Ho ragione?

Annuì con il capo, sorpresa dalla mia analisi.

– Ed ecco che il piccolo ragioniere si rende conto della tua vulnerabilità, comincia a farti i complimenti, a dirti quanto sei carina, desiderabile e tutte le altre stronzate, dimenticandosi di sua moglie. Ogni volta che lo incontri, lui diventa sempre più gentile e premuroso e alla fine, senza neanche accorgertene, ti ritrovi ad aspettare con impazienza il prossimo incontro, che ormai è diventata una simpatica consuetudine. Anzi, ti accorgi di essere proprio tu a provocare le situazioni che favoriscono i vostri incontri. Giusto?

Continuava a guardarmi, questa volta con diffidente sorpresa.

Annuì ancora.

– Te lo dicevo: noi due siamo uguali. Anche per me tutto è cominciato in questo modo. Può darsi che per te ci voglia qualche anno in più (o magari in meno, non si sa mai), ma alla fine finirai come me, se non cambi registro. Lascia che ti racconti la mia storia, cara… hummm… come ti chiami?

– Renata. – Proprio lei. Renata Colzani. Anche quel piccolissimo dubbio che m’era rimasto veniva cancellato dal suo nome. Ora ero sicura che fosse lei.

– Renata, tesoro, ho cominciato proprio come te. Una donna carina, anzi, bella, proprio come te, sposata a un ragazzo d’oro, bello, affidabile, intelligente, lavoratore, di ottima famiglia. E una lista di beni “indispensabili”, che dovevamo assolutamente avere, che cresceva ogni giorno. Fabrizio, mio marito, con cui ero assieme fin dall’Università, aveva un buon lavoro come capo della logistica della Digital, qui in Italia (un’azienda che oggi non esiste più). E potevamo permettercelo, seppure a fatica. Fabrizio non ha mai battuto ciglio quando gli chiedevo qualcosa. Si buttava nel lavoro, trovava qualche contratto da programmatore di sera, qualche corso Access da tenere e mi accontentava sempre. La pelliccia, l’Audi TT, la casa a Milano Due… Ma io, come te, a essere lasciata sola tutto il giorno, e spesso anche la sera, mi annoiavo. Ho provato di tutto: la palestra, i corsi di cucina, il volontariato alla parrocchia, ma mi sentivo sempre più sola e annoiata. Al punto che ho cominciato a incolpare Fabrizio per la mia insoddisfazione. Che stupida! Pensavo che gli piacesse lavorare cinquanta o sessanta ore alla settimana, e che lo facesse per farmi un dispetto. Invece era colpa mia: spendevo soldi a bocca di barile, non lavoravo e non contribuivo al bilancio familiare, ma mi annoiavo a morte ugualmente. Poi ho conosciuto Luca. Ah! Luca…! Abitava nel nostro stesso palazzo, al secondo piano, e lavorava da casa. Credo traducesse manuali in italiano per la Ibm. Non so nemmeno com’è cominciato, ma alla fine divenne una sua abitudine passare da me quasi tutti i giorni per un caffè e quattro chiacchiere. Io ero contenta di avere qualcuno con cui parlare e cominciai a raccontargli tutte le mie insoddisfazioni e ben presto mi ritrovai a spifferare cose intime e il farlo mi faceva sentire bene. Non ne avevo mai parlato con mio marito, di questo senso di solitudine, dico. Ma ne parlavo invece con Luca. Questo è stato il mio errore, credo.

Mi bagnai le labbra con il Bloody Mary. Avrei dovuto farmelo bastare per tutto il tempo del mio discorso.

– Incominciai a dare la colpa a mio marito per le mie insoddisfazioni. Sentivo un risentimento verso di lui che non avevo mai provato, così cercai di punirlo concedendogli la mia passera col contagocce. Non più di una volta a settimana, il sabato mattina, mentre prima lo facevamo tutti i giorni, qualche volta anche due volte. Non diceva niente, ma sono sicura che lo avesse notato. Avessi cambiato le tende della sala o la disposizione dei mobili avrebbe potuto anche non accorgersene, ma a un uomo, se lo lasci senza fica, lo nota istantaneamente. Fabrizio era un bravo ragazzo: non me l’ha mai rinfacciato. Forse pensava si trattasse di qualche scompenso ormonale femminile o qualcosa del genere, e intanto mi portava fiori, cioccolatini, spumanti… Organizzava romantici week end, buoni ristoranti la sera per distrarmi. Anche a costo di sottrarre del tempo alla sua altra passione: una Jaguar E Type spider del ’64 che aveva comprato come rottame da un contadino del mantovano e che da quasi un anno stava cercando pazientemente di restaurare da sé nel garage.

Renata mi osservava con diffidenza, ma ascoltava senza interrompere.

– Poco a poco il rapporto con Luca divenne più intenso: dai discorsi si passò ai complimenti, dai complimenti agli abbracci e dagli abbracci ai baci. Alla fine mi ritrovai a letto con lui. Pensavo di essermi innamorata e di essere ricambiata. Cercavo allora in tutti i modi di evitare il sesso con mio marito, perché mi pareva di tradire Luca.

– A questo proposito in quei giorni pensavo che l’attenzione e il tempo che mio marito mi dedicava perché fossi ben disposta verso il sesso fosse mancanza di passione, un tentativo di “comprare” i miei favori che mi offendeva. Luca invece mi sbatteva con foga, senza nessun preliminare, fino a farmi male al punto che a volte avevo difficoltà a camminare. Mio marito si preoccupava che il sesso per me fosse l’esperienza più piacevole possibile. Luca no, era quasi brutale. Anche dopo il sesso nessuna coccola, nessuna carezza, nessun languido confidarsi… Avrei dovuto capirlo subito. Gli uomini trattano le loro donne come le loro macchine. Fabrizio mi dimostrava la stessa cura, la stessa delicatezza, lo stesso amore e rispetto che riservava alla sua Jaguar E. Luca aveva una Mondeo vecchia di dieci anni, scassata e con un bozzo nella portiera sinistra che non faceva riparare.

Renata teneva gli occhi bassi e non parlava. Ma si vedeva che stava ascoltando.

– Poi mi ammalai. Una cosa seria, una polmonite fulminante. Chiesi a Luca di portarmi al Pronto Soccorso, ma si rifiutò. Gli chiesi di comporre il numero di Fabrizio e di passarmi il telefono. Fabrizio si precipitò a casa, mi portò all’ospedale d’urgenza e rimase con me tutto il tempo. Rimasi all’ospedale tre settimane. Mio marito veniva a trovarmi tutti i giorni e spesso passava anche la notte con me, su una poltroncina. Luca sparì completamente e non si fece vivo neanche una volta. Quando finalmente guarii dalla polmonite mi ritrovai guarita anche dall’infatuazione per Luca, anche perché venni a sapere che si sbatteva altre donne del vicinato, sposate e non.

Ora Renata prestava attenzione e mi guardava. La smorfia di disprezzo di prima ormai scomparsa.

– Ma quando cercai di interrompere la storia, Luca non ne volle sapere e minacciò di dire tutto a mio marito. Non aveva nulla da perdere: non era sposato, lavorava in proprio ed era grosso e forte. In un confronto fisico con ogni probabilità avrebbe avuto la meglio. In ogni caso, chiunque la spuntasse, il mio matrimonio sarebbe finito. Così continuai a riceverlo in casa. Ora però non perdeva più tempo in complimenti ed altre chiacchiere: mi prendeva con brutalità, senza preliminari, del tutto incurante che fossi pronta o no. E una volta finito se ne andava senza neanche salutare. Cominciò a chiamarmi troia, zoccola… Mi prendeva anche analmente, mi faceva bere il suo sperma… Si sentiva padrone in casa mia: andava e veniva quando voleva.

Alla fine successe l’inevitabile.

Una mattina dissi a mio marito che mi sentivo la febbre e lui, preoccupato, tornò a casa a vedere come stavo a metà pomeriggio, proprio mentre Luca mi stava trapanando nel culo.

Renata era completamente catturata ora dal mio racconto e ascoltava con la bocca aperta.

– Non ti dico! Lo afferrò per i capelli e, prendendolo alla sprovvista, lo buttò fuori dalla finestra aperta! Fortunatamente abitavamo al primo piano, ma poi scese le scale e cominciò a prenderlo a pugni in faccia, incurante del fatto che Luca fosse grosso quasi il doppio di lui, fino a spaccargli le sopracciglia, il labbro e a buttargli giù qualche dente. Luca deve la vita a due vicini che intervennero a fermare il massacro e a un poliziotto che stava tornando a casa e che si diede da fare appena vide la scena.

– Alla fine finì in cella e ci rimase un paio di settimane, prima che lo liberassero in attesa del processo. Durante quel periodo non accettò mai di vedermi e quando uscì mi fece sapere, attraverso una comune amica, che avrei dovuto non farmi trovare in casa un certo pomeriggio, perché lui sarebbe passato a raccogliere le sue cose e non desiderava incontrarmi. La sera i suoi vestiti ed effetti personali non c’erano più, così come la Jaguar.

Renata pareva chiedersi come mai le stessi raccontando questa storia, ma ormai mi seguiva senza interrompere.

– Io invece smaniavo per potergli parlare, per chiedergli perdono, per implorarlo di darmi un’altra possibilità, per confessargli tutto, per dirgli quando mi dispiacesse di avergli causato tanto dolore e per dichiarare che tutto il mio amore fosse per lui e solo per lui. Luca non rappresentava niente per me. Non ci fu verso. Da quel momento ebbi contatti solo con il suo avvocato e lo vidi solo davanti al giudice, ma lui tenne gli occhi bassi tutto il tempo e m’ignorò totalmente. Mi lasciò tutto: la casa, l’Audi TT, i risparmi, i mobili, i quadri… Persino la sua vera matrimoniale. Si tenne solo la Jaguar. Non l’ho mai più visto.

Il ricordo di Fabrizio mi faceva ancora male, dopo trentacinque anni. Dovetti soffiarmi il naso.

– Non potevo dimenticare il senso di disperazione, sconfitta e furiosa rabbia che lessi nei suoi occhi per un secondo quando mi sorprese con Luca. Solo in quel momento mi resi conto della profondità dei sentimenti che nutriva per me e del male che gli avevo fatto. Se solo non fossi stata così stupida! La fine della storia con Fabrizio è il più grande rimpianto di tutta la mia vita. Ogni tanto penso a come sarebbe stato se fossimo rimasti insieme: probabilmente sarei la più felice e scatenata nonna di tutta la terra!

Cambiai argomento: mi sentivo un groppo in gola.

– Luca alla fine decise di non agire legalmente contro di lui, perché non voleva si sapesse delle sue avventure e quindi Fabrizio rimase un uomo libero. Molti anni dopo venni a sapere (da un’amica che aveva incontrato per caso un suo parente) che abitava dalle parti di Firenze, si era risposato e viveva felicemente con un paio di marmocchi in una casa di campagna producendo vino e olio. Proprio la vita che avrei voluto fare con lui, prima che mandassi tutto a puttane. E invece, guardami: sono solo una vecchia baldracca.

– Per circa due anni rimasi sola, mentre lentamente ma inesorabilmente finivo i soldi che Fabrizio mi aveva lasciato. Poi dovetti vendere la casa. Quindi finalmente mi sentii pronta per rimettermi in cerca di un compagno. Giurai a me stessa che non avrei mai più ripetuto l’errore che mi aveva fatto perdere il marito, che sarei stata fedele e dedicata.

E qui cominciava la seconda parte della mia storia. Sospirai a fondo prima di cominciare.

– Così conobbi Edo. Sarebbe Edoardo, ma tutti lo chiamavano solo Edo, che divenne il mio marito numero due. Edo era bello, di una bellezza quasi demoniaca: non altissimo, con i capelli neri pettinati all’indietro che formavano una punta sulla fronte come certe immagini dei vampiri. Occhi nerissimi, imperscrutabili. Un piglio deciso, un’aria maschia e forte. Era avvocato e abbastanza bravo, anche. Con lui stavo attenta a non commettere gli stessi errori che con Fabrizio, così, quando, dopo un paio d’anni, cominciai ad annoiarmi, gli dissi che volevo trovarmi un lavoro. Edo conosceva tutti e attraverso un amico mi sistemò in una grossa agenzia di assicurazioni come assistente amministrativa.

Cercai di succhiare ancora qualche goccia del mio Bloody Mary, dal bicchiere ormai vuoto, e continuai.

– La mia prima preoccupazione fu informare tutti i miei nuovi colleghi che ero una donna sposata e che non ero in cerca di avventure. Non perdevo occasione per lasciar cadere ai ragazzi dell’ufficio frasi del tipo: “mio marito dice…”, “mio marito mi ha portata a…”, “mio marito preferisce…” eccetera. Alla fine mi consideravano una di loro, quasi come un ragazzo come gli altri. Avevo persino cominciato a interessarmi di calcio, così che potevo cambiare argomento con cognizione di causa quando qualcuno si faceva più insistente. Finimmo per diventare tutti amici, in modo cameratesco. Ci si frequentava anche fuori dal lavoro, magari fermandoci a bere qualcosa prima di rincasare senza secondi fini. E la cosa andò avanti così per più di tre anni.

Feci una pausa a effetto. Stavo per raccontare un altro punto di svolta della mia vita.

– Però sai come sono gli uomini: non è facile far loro dimenticare un paio di grosse tette come le mie, quando se le vedono ballonzolare sotto i loro occhi per tutto il giorno. Così quel venerdì, dopo che avevamo vinto una grossa commessa, invece di andare al bar a festeggiare, rimanemmo in ufficio. Qualcuno tirò fuori lo spumante, qualche salatino e l’allegria prese il sopravvento. Avevamo una radio e l’accendemmo a tutto volume sintonizzandola su una stazione di musica italiana e qualcuno cominciò perfino a ballare, spostando le scrivanie. La festa andò avanti per un po’, le altre ragazze se ne andarono, io continuai a bere e alla fine rimanemmo solo in cinque: io, completamente ubriaca, e quattro giovani venditori. Finì che mi lasciai trombare da tutti loro, a turno e anche contemporaneamente. Tornai a casa distrutta, ma mio marito non disse nulla. Invece la settimana successiva uno dei ragazzi mi prese da parte e mi spiegò che avevano fatto delle foto e anche un filmino. Che a loro sarebbe piaciuto ripetere l’esperienza. Senza bere stavolta. E che se a me l’idea non fosse piaciuta, mio marito avrebbe potuto ricevere, nella posta del mattino, qualche foto e una cassetta Vhs (a quei tempi il Vhs era ancora in voga…). A malapena ricordavo confusamente qualche immagine delle mie gesta della settimana prima. Comunque che potevo fare? Mio marito non avrebbe mai dovuto sapere: ero una moglie fedele e devota, io. E poi Edo non era certo un ingenuo come Fabrizio: era un avvocato e se avesse avuto la scappatoia per lasciarmi senza un soldo non ci avrebbe pensato un momento.

Mi decisi a ordinare un altro Bloody Mary. Uno solo non mi sarebbe bastato per terminare il racconto.

– Così acconsentii. Ci trovavamo in squallide stanze d’albergo, noi cinque e ci si abbandonava a ogni sorta di nefandezza. Al punto che dopo il terzo gang bang mi vergognai al punto che decisi di trovare il sistema per venirne fuori. Ma non ce ne fu bisogno. Quella stessa sera, infatti, appena rientrato a casa, Edo mi chiamò. Ero in bagno, sotto la doccia a cercare di lavarmi via lo sperma dei miei amanti dal corpo, violentato e abusato per tutto il pomeriggio. Lo raggiunsi in accappatoio. Mi pregò di sedermi, poi mi chiese cosa ne pensassi di Teresa.

– Teresa? Chi è Teresa? – Chiese la mia Renata.

– Teresa era la sua segretaria, assunta da poco. Giovane e carina. Era meridionale, non so se calabrese o siciliana e viveva a Milano da sola. Gli risposi che mi pareva una brava ragazza, ma che non la conoscevo abbastanza per esprimere giudizi. E fu così che Edo m’informò senza neanche cambiare espressione che Teresa sarebbe stata il mio rimpiazzo, la sua nuova donna. Io avevo due ore per prendere la mia roba e andarmene. Mi avrebbe lasciato un piccolo fondo di diecimila euro e tremila euro di alimenti al mese per due anni. Poi, basta. Avrei dovuto sbrigarmi perché l’indomani molto presto sarebbe partito in crociera con Teresa e non mi voleva in casa.

Renata sgranò tanto d’occhi alle mie parole.

– Che bastardo! – disse.

– Già. Tanto più che anni dopo scoprii che era stato proprio lui a organizzare la faccenda del gang bang in ufficio. Aveva parlato con i ragazzi, aveva promesso dei soldi, aveva fornito qualche pastiglia di ecstasy che io avevo ingerito inconsapevolmente col vino e aveva procurato la telecamera per riprendere le mie performance, nella speranza di trovarmi “ben disposta” per la separazione e il divorzio. Intanto si spazzolava la sua Teresa.

– Andò male anche a lui, però: nel giro di qualche anno, dopo due figli, la graziosa Teresa era diventata una botte. Talmente rovinata dalla chirurgia plastica da essere impresentabile, grassa come una vacca e quel che è peggio, non fidandosi del marito (come darle torto) lo seguiva dappertutto e non lo lasciava solo un attimo. In più gli negava il sesso.

Sospirai forte.

– Mi dovetti trovare un appartamentino in una cooperativa di Sesto san Giovanni, in affitto. Purtroppo però quelle sessioni di gang bang lasciarono una traccia in me. Mi resi conto che il sesso mi piaceva un sacco, in tutte le sue forme e varianti, e cominciai a inseguirlo con determinazione, dovunque e con chiunque. A tratti ne feci una professione, addirittura. Dopo Edo ebbi ben poche relazioni significative e comunque non lasciai mai più che un uomo avesse il controllo su di me.

– Ora ascoltami, bambina. Quello scimmiotto che faceva il cascamorto prima con te assomiglia davvero troppo al mio vicino di casa Luca, per cui sta attenta. Non ti può dare quello che cerchi, e parlo delle cose importanti della vita, perché il suo cuore appartiene a sua moglie. E per quanto ti giuri il contrario, se messo alle strette sceglierà sempre la famiglia. Se avesse dei figli, poi, non avresti nessuna speranza. Non solo non ti può dare il suo cuore, ma nemmeno il suo tempo: avrà sempre da fare col suo lavoro di ragioniere e il suo tempo libero lo dedicherà alla famiglia e a te rimarrebbero solo le briciole. E nemmeno può darti i suoi soldi, perché non ne ha abbastanza per garantirti il livello di vita cui sei abituata. Incasinarti con questo pisquano sarebbe come scopare in spiaggia: sembra romantico, ma quando tutto è finito, ti ricordi solo il freddo, il bagnato e ti ritrovi con la sabbia nelle mutande.

Mi guardava senza parlare. Diedi l’ultimo affondo.

– Tuo marito, invece, probabilmente ti vuole bene davvero. Si fa un mazzo così, giorno dopo giorno, per garantirti il meglio e per farti contenta. E se tu non lo sei abbastanza forse la cosa migliore che puoi fare e di sederti attorno a un tavolo con lui e fargli sapere come ti senti e quali insoddisfazioni covano dentro di te. Di sicuro troverà la maniera di stare un po’ di più con te, magari facendo cose divertenti insieme. è questo che in fondo vuoi, no?

– Sì, mi farebbe piacere stare di più con lui. – Disse, quasi vergognandosi.

– Perché l’alternativa è trombare il ragioniere, sperimentare del mediocre sesso che ti farebbe rimpiangere tuo marito e infine farti buttar fuori di casa appena lui lo dovesse scoprire. E presto o tardi lo scoprono sempre, non sono così stupidi come crediamo. E quando ciò dovesse accadere saresti a un passo dal diventare come me, un’altra vecchia baldracca.

Renata era pallida. Lo sguardo preoccupato.

– Quello che hai visto oggi nel bagno delle signore non è niente, te lo assicuro. Alla mia età sto cominciando a stilare un bilancio della mia vita e non è positivo. Ho visto più cazzi di un urologo, ma non ho un uomo tutto mio. Faccio probabilmente più sesso di una pornostar, ma non ho nessuno che si preoccupi di me. Il mio conto in banca è gonfio, ma la mia casa è vuota e silenziosa. Qualche volta, ancora dopo trentacinque anni, penso a Fabrizio, il mio primo marito, e mi chiedo come sarebbe stato se non fossi stata così scema da tradirlo. Adesso ci sei tu in quella posizione: pensa bene ai tuoi prossimi passi, se vuoi davvero evitare di diventare come me.

E con questo mi alzai, dopo un ultimo sorso al mio secondo Bloody Mary.

– Spero di averti dato qualche spunto di riflessione, tesoro. Purtroppo ora ti devo lasciare, ho un appuntamento importante. Comunque mi ha fatto piacere parlare con te: credo che farai la scelta giusta. Arrivederci.

Mi diressi verso gli ascensori, lasciandola seduta e attonita. Mi accorsi che qualche cliente dell’hotel non riusciva a staccare gli occhi dalle mie chiappe mentre camminavo.

Al sesto piano mi diressi verso la suite 620 e venni accolta da un uomo sui trentacinque anni.

– Allora, zia Silvia, com’è andata?

– Ti posso quasi garantire che la bambina ci penserà due volte prima di fare un passo falso. Le ho messo addosso una paura del diavolo. E a te com’è andata?

– Tutto ok. Ho chiamato l’amministratore delegato dell’azienda del ragioniere, dove avevo investito qualche centinaia di migliaia di euro, e gli ho detto che avrei avuto piacere di raddoppiare o anche triplicare il mio investimento, ma di essere stato informato della scarsa moralità di certi suoi dipendenti e di essere in dubbio nel mettere i miei soldi nelle mani di gente con così pochi scrupoli. In particolare gli ho parlato del ragioniere e delle sue attività in orario d’ufficio correndo dietro a donne sposate.

– Caspita!

– Quando ho ricevuto la tua chiamata gli ho detto che il suo uomo in quello stesso momento stava cercando di portarsi a letto una signora in un albergo. è diventato paonazzo dalla rabbia, l’ha chiamato subito e gli ha detto di presentarsi immediatamente all’ufficio Risorse Umane con una lettera di dimissioni. Urlava come un pazzo, avresti dovuto sentirlo! Poi ha chiamato il suo capo del personale chiedendogli di trovare il modo di far sapere alla moglie in che razza di pasticcio si era cacciato il marito. Stasera il pagliaccio avrà una serata movimentata, spero!

– Tutto a posto, allora.

– Zia, non so come ringraziarti. – Prese una busta e me la passò. – Questo è il tuo pagamento, quanto ti avevo promesso. Fabrizio Zappa ora ha sessantaquattro anni, vive a Impruneta, vicino a Firenze, in campagna. Sua moglie è morta due anni fa per un tumore e le sue due figlie sono ormai sposate e fuori di casa. Nella busta trovi l’indirizzo e qualche foto, sua, delle figlie e della sua abitazione. Fa una vita ritirata, prendendosi cura delle sue Jaguar (ne ha comprate altre tre), ma ha ancora qualche amico in paese con cui parla spesso in trattoria. Le mie fonti mi dicono che parla ancora di te con nostalgia. Potrebbe averti perdonata, è probabile.

– Tu avresti potuto perdonare la tua Renata?

– Sinceramente non sarebbe rimasto abbastanza di lei da perdonare, dopo il divorzio. – Disse mio nipote in un sibilo.

– Come? non capisco. Che avvocato avresti usato?

– La mia amica Beretta Fusion nove millimetri. – Era serissimo. – Grazie ancora, zia, io sono pazzo di lei ma non avrei potuto tollerare un suo tradimento. Sono convinto che tu sia riuscita a salvare la situazione. Questo sarà il suo solo avvertimento, ma anch’io ho bisogno di cambiare il mio atteggiamento e di passare più tempo con lei, magari andare in vacanza, coinvolgerla di più nelle mie attività e farmi a mia volta coinvolgere dalle sue. Speriamo. Comunque tu sei stata speciale, zia, grazie ancora.

– Oh, non è niente. Chiunque avrebbe potuto farlo. Non c’è niente di speciale in me. Sono solo una vecchia baldracca.

Uscendo dall’hotel chiamai Trenitalia per prenotare un posto sul Freccia Rossa per Firenze – Santa Maria Novella. Magari non è troppo tardi perché questa vecchia troia possa cambiare strada.

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