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LETTERE DA COPENAGHEN – XXI LA FILASTROCCA DI MIRABELLE

By 11 Novembre 2008Giugno 28th, 2021No Comments

Africa Coloniale Tedesca, 19 dicembre 1917.

Ero tutta sola col mio Friedrich, andavo sull’altalena, su e giù, su e giù, le corde erano decorate con fiori secchi, mi sembrava di stare appesa al cielo. Mentre mi muovevo, gli mostravo le mie belle gambe, nude e sorridevo, gli tiravo dei baci, che facevano morire di piacere.
– Quando scenderò, ti regalerò uno dei miei abbracci, per consolarti dell’inesorabile scorrere della vita. Oh, sì, si corre, si corre, verso dove? Chissà’
Il dolore non toccava i nostri istanti, pieni d’Africa e di promesse.
Ad un tratto, presi a canticchiare una filastrocca, che la mia folle nutrice mi aveva fatto imparare a memoria molto tempo prima.

C’era una volta una giovane dalle lunghe trecce d’oro,
che tanto amava il suo marinaio,
il quale un bel giorno partì per l’alto mare,
inebriato dalla sua voglia di amare.
E lei stava sulla spiaggia ad aspettarlo
a braccia aperte,
l’aveva visto svanire tra le brume del Nord
come un fantasma,
sulla schiuma bianca
delle onde dell’immenso.
Durante l’attesa, ella filava all’arcolaio,
ma un bruto venne, venne
e le fece assai male
al lume di candela.
Un seme maligno le depose in grembo,
un seme che lei non voleva,
tanto, che ogni sera piangeva.
Poi, un bel giorno, di ritorno,
di ritorno fu il marinaio
dal suo viaggio nelle Terre d’Oltremare,
trovò la sua bella sconsolata,
ubriaca,
abbracciata alla botte di legno vuota,
perché non aveva da dargli
una buona nuova.
No, lui non l’avrebbe voluta più,
perché nel seno portava un seme
che non era quello del marinaio,
ma di un altro.
Bastardo!
Questo l’appellativo che s’addiceva
al bruto che la bella non voleva,
perché aveva distrutto l’affetto
del suo marinaio,
che quel giorno se n’era andato da lei per sempre,
sbattendo l’uscio violentemente,
certo di quel tradimento,
che non aveva un senso.
La giovane dalle lunghe trecce d’oro
si legò una corda al collo,
all’altra estremità era legata una pietra,
che l’avrebbe portata a fondo.
Il Mare del Nord era tanto profondo!
Forse, quel giorno,
l’avrebbero salvata le cicogne,
dai lunghi becchi,
dalle piume bianche,
dalle ali amiche dei tetti,
aguzzi, perfetti, di quella cittadina della Frisia.
Salvatela,
flutti di ghiaccio,
gabbiani dalle voci di metallo,
marinai dalle pipe spente e dalle camicie strappate,
a righe bianche e blu!
Salvatela,
navi dalle stive colme di botti di birra
o di tesori d’oltremare,
cigni dai colli lunghissimi e dolci, a forma di virgola,
spazzacamini dai volti bruni, vagabondi dei tetti,
con la ramazza in mano: salvatela!
La giovane gravida
si addormentò sulla spiaggia,
non si gettò nell’abisso dell’ancora,
perché c’era la burrasca.
Di tempeste amorose
ne avrebbe vissute altre mille,
si disse, sognando su quelle sabbie tranquille.

E io andavo sempre su e giù sull’altalena, muovevo le labbra scarlatte, come per regalare dei baci a destra e a manca, mentre il caro Friedrich mi guardava divertito.

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