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Erotici Racconti

Ardente e intensa lussuria

By 29 Aprile 2017Febbraio 2nd, 2023No Comments

E’ imprevedibile, pure improbabile e persino incerta la vita, eppure quell’evento insperato s’addentrò nelle mie membra come una freccia invadendomi: sì, perché quella mattinata autunnale ci vedeva camminare sopra quel sentiero di terra battuta, con tutte quelle numerose piante erbacee selvatiche ormai cresciute disordinatamente alla rinfusa ai suoi margini. Il silenzio in quell’occasione ci faceva compagnia, giacché nulla sembrava ricordare facendo rivivere il caos del mercato lasciato poco prima alle nostre spalle, dopo aver abbandonato in ultimo la stazione e la via principale, seguendo quelle stradine secondarie per giungere fino ai giardini comunali.

Un leggero vento faceva danzare le foglie, visto che era mattina presto ed erano soltanto le otto. Era un giorno della settimana abbastanza neutrale, eppure in questo giorno che per molti rappresentava soltanto un ribadire e un ripetersi del niente, per noi simboleggiava il compimento e la realizzazione d’una fantasia ricamata e alla fine seguita nella nostra testa, per il fatto che era stata talmente ideata, attesa e in conclusione voluta fino in fondo. In quell’istante incrociammo due anziani che portavano a passeggio il cane, la signora sennonché mi squadrò con un’aria d’inclemente accusa e di severa critica, quasi d’insinuazione, perché probabilmente carichi di quell’estrosa eccitazione che scorreva fra i nostri corpi difficilmente riuscivamo a stento a tenerla a freno: infatti, l’accusa, la bruttura, l’imbarazzo, l’impaccio e la sconcezza per loro, viceversa l’eccitazione, l’esuberanza e l’euforia dall’altra parte erano invece i segnali concreti e tangibili che noi proiettavamo verso di loro, sì certo, forse proibito, probabilmente illecito, bensì non per noi due.

I complessi, le fissazioni e le manie mentali potevano e dovevano venire a castigarci dopo soltanto quando il pasto si sarebbe consumato, dal momento che ormai il peccato era stato compiuto, quando le regole erano state infrante, in quanto la coscienza era piena dell’odore del sesso voglioso, che come la droga ti permette di fare esplorazioni e viaggi mentali incredibili e inverosimili. Nessuno disse niente, soltanto un lieve cenno della testa a modo di saluto e poi via ognuno per la sua strada: loro verso il loro accogliente e confortevole caffè mattutino, noi verso la splendida e la sublime conoscenza. Nessun dubbio, nessun’incertezza trapassò nei miei occhi, intorpidita dalla sua presenza che non ammetteva indugio, perché io già mentalmente acconsentivo ottemperando senz’aver ricevuto ordini. I miei passi avanzavano senza cercare nulla, in assenza di perché, ma seguendo solamente le tracce lasciate dalle nostre fantasie consumate e spremute fin d’ora unicamente nell’intimità e nella riservatezza di un’innocua casella postale. Finalmente attraversammo un ponte di legno: potevamo continuare sulla strada maestra come potevamo scegliere di deviare verso radure sconosciute e forse poco battute normalmente, tuttavia in quell’occasione, incrociando i nostri occhi capii convenientemente che era giunto il momento di perdere la certezza e la convinzione del sentiero con l’uscita d’emergenza e d’addentrarmi in conclusione spingendomi bonariamente nella giungla del nostro erotismo. Non servirono invero parole, dato che la nostra armonia e la nostra sintonia era tale, visto che intuii immediatamente la direzione che avrebbero preso in ultimo i suoi passi.

Adesso l’attesa diventava più pesante, perché lampi continui mi sconvolgevano mettendomi in disordine la mente, la lucidità talvolta veniva perfino a mancarmi. Lui trovò un boschetto con degli alberi in parte alti e alcune siepi con dei rovi che creavano un’ottima barricata fra noi e il mondo: in qualsiasi direzione guardassi io vedevo solamente la natura, nemmeno il sentiero maestro si poteva scorgere, poiché eravamo veramente da soli, unicamente noi e il nostro panno che lui aveva costantemente tenuto sottobraccio, quasi come se fosse stato un tesoro prezioso e unico da custodire, la presunta futura arma del delitto. Lui lo dispiegò e ci sedemmo uno di fronte all’altro, adesso l’imbarazzo, il ritegno e lo scrupolo erano concretamente palpabili, dato che io avrei voluto esprimere qualcosa di sensato, però nulla usciva dalle mie labbra, finché lui parlò scandagliandomi e trivellandomi l’anima con il suo sguardo penetrante:

‘Dai coraggio, accomodati pure qua sopra di me, perché voglio sentirti vicino e toccarti per bene’ – così mi suggerì sistemandomi cavalcioni sopra di lui. Ciò che io avvertii però m’aizzò scompigliandomi totalmente, per il fatto che i suoi pantaloni accoglievano ospitando qualcosa di molto compatto.

Questo contatto, in effetti, mi fece sciogliere in un attimo, visto che sarebbe bastato soltanto un limitato gesto per farmi venire, io avevo la mente nel pallone e questo contatto già così intimo m’aveva fatto tornare in mente tutto il fiume d’appassionate e di vibranti mail che fino a poche ore prima c’eravamo a vicenda inviati: io che gli descrivevo mostrandogli il mio corpo mentre reagiva alle sue provocazioni, lui che delineava come avrebbe desiderato scoparmi, io che lo inducevo provocandolo allusivamente, lui che mi punzecchiava di continuo stuzzicandomi, e di questo andare giù foto in gran quantità. Lui aveva sempre prediletto d’imbarazzarmi turbandomi con delle richieste alquanto inedite e in quest’istante eravamo a tu per tu con noi stessi, senz’interfacce di nessun tipo, senza la confortevole né la consolante maschera teorica, senz’appigli facili né scappatoie pronte, perché questa era la vita concreta, effettiva e soprattutto reale. Fu più forte di me: io mossi lievemente il bacino per accogliere e ospitare meglio quel cazzo a dire il vero non enorme, però ben fatto, per conoscerlo e per sentirlo persino meglio. Sentendo il mio movimento, lui riempì le sue mani con le mie natiche salendo così sulle mie cosce, impossessandosene e prendendomele con passione e stringendosele infine forte a sé. Quest’atto fece diventare come fuoco il mio clitoride, giacché nel silenzio si sentiva il cuore pulsare in lui, eppure non ci fu tempo per pensare né per rimuginare, perché troppa era la passione, esagerato il desiderio, fuori misura erano le fantasie e le frasi che riempivano in quegl’istanti le nostre menti.

Lui mi baciò con esaltazione e senza darci il tempo di capire nulla le nostre mani si erano già infilate sotto le camicie nel tentativo di denudarci a vicenda, in cerca di quei corpi a lungo voluti. I miei sospiri, i suoi gemiti, le mie unghie, le sue dita, tutto divenne passione e trasporto allo stato puro. Io gli slacciai la cerniera dei pantaloni, lui scostò il perizoma e senza troppi preamboli né parole inutili mi penetrò con un’audacia e con una sfrontatezza inattesa, spingendo il cazzo fino a farlo entrare completamente dentro di me. Io sollevai il bacino per agevolarlo e dopo lo riabbassai con un ritmo sempre più forte, infine non capii davvero più nulla, m’accorsi soltanto che lui pompava con forza, poi di nuovo io leggiadra cavallerizza affaccendata a dovere guidando con perizia per cercare di domare quello stallone invasato, successivamente puledra sottomessa e vinta dal suo nerboruto vigore. Avere quel cazzo dentro per me era come sentirsi completamente spalancata alla vita, in quanto le sue spinte e i suoi stimoli erano slanci d’energia massiccia e possente, perché ogni volta che entrava io mi sentivo sempre più divaricata. In nessun caso in vita mia avevo avvertito né provato una sensazione così prestante e virile da sentirmi lacerata e squarciata in due. Lui era un aitante tornado dalla potenza infinita, io ero assuefatta dall’energia, dalla potenza e dalla voglia che quasi non mi rendevo conto di come le mie mani in maniera indemoniata sondavano il suo corpo, insieme ai miei baci, ai miei morsi e alle mie urla, poiché tutto era autentica, pura e schietta follia.

Io ero nuovamente sopra di lui, adesso ruotavo il bacino, m’alzavo quasi fino a far uscire il suo cazzo da me per poi riaccoglierlo, però la lentezza non era ben accolta e così lui mi stringeva le natiche imponendomi e obbligandomi a muovermi rapida, come se lo stessi assaltando violentemente, come se mi stesse aggredendo fino a strapparmi l’ultimo respiro. Passarono quantomeno tre ore prima che riuscissimo a staccarci dai nostri corpi, dal momento che eravamo affamati, libidinosi e vogliosi come non mai. La mia pelosissima fica bruciava, eppure lui continuava a infierire, tartassando con tutta la partecipazione e la passione che conteneva quel suo bel cazzo, dato che insieme a quel dolore si combinava abilmente mescolandosi coscienzioso e dabbene pure il piacere.

Era un godimento così dissoluto e libertino, per il fatto che nulla ormai aveva più logicità né senso, perché nessun’afflizione né preoccupazione aveva più ragione d’esistere. Lui m’aveva interamente contaminato disonorandomi con il suo sé perverso, io ero contenta e felice di poter essere il suo individuale diletto. Lontano però, in me rimaneva il sapore del suo sperma fra le mie labbra, in lui invece restava imbevuto il sapore del mio gustoso, intimo e personale peccato sulla sua lingua.

Dentro di noi, viceversa, fattezze, immagini e sembianze d’una mattinata non abituale e fuori dall’ordinario, nell’intenzione e nel proposito di sperimentare altre cariche accompagnate da intense pagine di totale libidine, che ancora adesso attendo impaziente, ingorda e vogliosa. Torna presto amore mio.

{Idraulico anno 1999}  

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