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Bagno Giuditta – addio al celibato

By 11 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Mia madre è uno straccio, mi ha lasciato quattro messaggi sul telefonino, insiste che vada subito a casa. Ieri sera ha dovuto fare chilometri e chilometri a piedi perché il suo dietologo non l’ha neanche riaccompagnata a casa. Sarà mezzogiorno ed io sono ancora assonnata, le ho promesso di essere a casa dopo pranzo. La serata è andata come previsto senza il contorno di luna sul profilo di Fanny, senza renderci conto quanto fossero piccoli da quella collina i Bagni Giuditta, quanto piccoli gli uomini e le tante puttane che l’affollavano.

Eravamo le uniche due donne in mezzo ad un mare di occhi che ancora non riesco a spiccicarmi di dosso, che mi succhiavano come fetta d’anguria sopra un bordo piscina. Qualche timida mano s’è fatta coraggio ed ha superato l’elastico prima del tempo, mi ha cercata dove il prezzo non giustificava il mio consenso, dove non era previsto che calassi le mutande ad un invitato qualunque. Perché era un addio al celibato ed io ero destinata agli occhi del futuro sposo tanto per fargli capire cosa e quanto dopo sposato avrebbe perso per sempre. Se mia madre sapesse a cosa è servito il suo feticcio nero, forse m’abbraccerebbe pensando alle tante volte che inutile l’ha riposto dentro il cassetto o alle tante altre che invece avrebbe voluto far vedere solo il colore delle sue nuove lenti a contatto. Fanny invece m’ha lasciato di stucco, ha creato una coda come un’autostrada di quindici agosto. Ora mi è accanto che dorme, imbottita di soldi e di graffi lungo la schiena che stasera, di sicuro, gli faranno saltare i Bagni Giuditta.

Io invece mi sento fresca come una rosa, lo sposo appena sul letto mi ha fatto sentire a stento il sapore perché di sostanza c’era ben poca. Ha cercato invano di gonfiarmi le labbra, di salire sul filo sottile del piacere giurandomi che m’avrebbe sposata se solo non avesse preso altri impegni. M’ha chiamata puttana, m’ha chiamata col nome della sposa per poi accasciarsi sgonfio e ubriaco. Mi ha chiesto soltanto di accarezzargli la fronte e di rimanere quel tanto che giustificasse agli altri invitati un’interminabile stupenda scopata. Per la prima volta sono andata via piena di voglia, tanto che ora riduco a cencio questo lenzuolo che stringo tra le gambe insieme al desiderio improbabile d’un uomo incontrato lontano dai Bagni Giuditta. Guardo il soffitto e mi viene da piangere, le lascio scendere, ma non le capisco. Mi muovo cercando di svegliare la faccia di Fanny colata di trucco e increspata di dolori. M’illudo che un solo bacio potrebbe alleviarle i fastidi, che una sola carezza potrebbe ridarle la luce. Che direbbe se ora stringessi il suo seno? Se le facessi capire che cento uomini insieme non sazierebbero mai quel desiderio incompiuto che rimane strisciante dopo ogni scopata. M’illudo e trattengo le mani che servirebbero solo a farmi dire di non rompere le palle, a vederla coprirsi col cuscino perché il sonno non s’interrompa fino a stasera.

Mi alzo, vorrei andare in bagno e farmi una doccia, lavarmi i denti con acqua bollente per togliere il sapore di sesso molliccio che ancora ingoio e respiro. Ma ho paura d’incontrare la madre di Fanny, non ho voglia di dire altre cazzate, più di quelle che tra poco dovrò inventare tornandomene a casa. Avevo promesso di star via una settimana, ed invece eccomi qui che fuggo dalla finestra al pian terreno con indosso un paio di jeans rubati nell’armadio e nella mano una busta con tutto l’impossibile nero che portavo ieri sera.

Incontro Luca, il mio primo ragazzo sui banchi di scuola. Lui è rimasto tale e quale con i libri che ancora stringe sotto il braccio. Insieme a mio padre credo sia l’unico che non si è accorto che faccio la vita. M’invita per una pizza, per una passeggiata notturna sul lungomare. Manca solo che mi offra una Tequila al Bagno Giuditta e gli scoppio a ridere in faccia! Ok lui è stato sempre promosso ed ora fa Ingegneria a Bologna, mentre io faccio finta di recuperare anni a scuola privata. Rifiuto l’invito e lo sfido a declinare insieme la quinta per fargli capire che quei tempi sono solo un ricordo e lo stesso latino che gli fa progettare tangenziali a me serve per fare la puttana. Ma non molla ed io non ho altri mezzi per dirgli che quello che chiede è il mio lavoro, che ogni parte di me che vede ha un costo, che i suoi coetanei mi prendono a quarti e mi giudicano per il prezzo che chiedo.

‘Sapessi Luca!’ Chissà che faccia farebbe pensando alle tante volte che ho fermato la sua mano o ai tanti cuori trafitti sul diario, ma poi m’interrompo perché magari nel suo sogno proibito c’è una cena, una candela, un lungomare, un bacio sfiorato prima di finire dentro un letto illuminato da strisce di luce lontana. Invece non sa che a me bastano pochi minuti dietro un anfratto o una panchina nascosta se proprio sono troppo distanti i Bagni Giuditta. Lo vedo, mi fissa i seni come se lì in mezzo ci fosse poesia, ci fossero rose che destano solo peccato toccarle. Per un attimo solo vorrei che fossero tali, che mi tremassero perfino le gambe al solo pensiero di poterle mostrare, di potergliele offrire stasera senza pensare che il tempo è scaduto.

‘Sapessi Luca!’ Ma poi mi trattengo pensando che potrei anche accettare il suo invito d’una passeggiata all’istante intorno al palazzo per poi finire abbracciati come un tempo sulle scale dell’ultimo piano o tra il fragore delle vasche in terrazza. Mi guarda come se non fossero passati gli anni che sento, come se davvero le mie mani ancora sudassero al desiderio di accarezzargli i capelli, alla voglia repressa di non cedere prima del tempo.

‘Ma non è così Luca!’ Scappo verso casa senza dargli risposta, come se il mio stato d’animo fosse confuso o i miei pensieri profondi, come se dentro questa busta che stringo porto a casa la spesa da brava bambina.

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