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Giusy

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Er cazzo se pò ddì rradica, uscelloCiscio, nerbo, tortore, pennarolo,Pezzo de carne, manico, scetrolo,Asperge, cucuzzola e stennarello. Cavicchio, canaletto e cchiavistello,Er gionco, er guercio, er mio, nerchia, pirolo,,Attaccapanni, moccolo, bbruggnolo,inguilla, torciorecchio, e mmanganello Zeppa e bbatocco, cavola e tturaccio,E mmaritozzo, e cannella, e ppipino,E ssalame, e sarsiccia, e ssanguinaccio. Poi scafa, canocchiale, arma, bbambino:Poi torzo, cesscimmano, catenaccio,Mànnola, e mmi’-fratello piccinino. E tte lascio perzinoCh’er mi dottore lo chiama cotale,Fallo, asta, verga, e mmembro naturale. Cuer vecchio de spezzialeDisce Priapo; e la su’ mojje pene,Seggno per dio che nun je torna bbene.

G.G. Belli – Roma, 6 dicembre 1832

Non sono pochi a ritenere che l’Educazione Sessuale sia un annoso problema.

E’ vero che sono anni che se ne parla, ma se ci si riferisce agli infiniti millenni che sono trascorsi da quando l’homo sapiens &egrave comparso sulla terra, si può certamente affermare che &egrave un’invenzione recente dell’ansia umana. Certo di un gruppo minoritario, perché alla stragrande maggioranza degli uomini non glie ne può fregare di meno.

Il sesso, forse &egrave vero, una certa curiosità deve averla sempre destata, ma ognuno se la toglieva a modo suo.

Giusy era una biondina tutto pepe, di quelle che giocano sempre, fino a cadere esauste.

Giocava all’asilo, al giardino, in casa.

Nino, il suo amichetto, di qualche anno più grande, che abitava al piano di sopra, era il suo compagno preferito, scatenato come lei, ma sempre pronto ad assecondarla, non appena poteva, specie nei giorni di festa, quando la scuola era chiusa e i genitori preferivano riposare, lo chiamava, andavano nel grande stanzone, in fondo alla casa, dove c’era un po’ di tutto, tavolo, sedie, una lavagna, scatole vuote’, e lì erano corse, disegni, mosca cieca, acchiapparella, o, di rado, un po’ di riposo, dinanzi alla televisione, se trasmettevano qualche cartone animato. Nino preferiva Heidi, che gli ricordava un po’ Giusy, la biondina.

‘Nino, mi scappa la pipì, vado al bagno.’

‘Vengo anche io, così la faccio anche io.’

Giusy abbassò le mutandine, sedette sul vaso. Dopo un po’ prese la carta igienica, si asciugò, tirò su le mutandine.

Nino si sbottonò i pantaloni, alzò il coperchio del vaso, tirò fuori il suo pisellino, e cominciò a farla.

Incredibile, ma era la prima volta che Giusy vedeva un maschietto fare la pipì. La prima volta che vedeva un pisellino.

Si avvicinò ancora di più, si chinò.

‘Fa vedere’ cosa é che hai’ cosa &egrave questo?’

Nino alzò le spalle.

‘E’ brinca.’

‘Brinca?’

‘Così lo chiamano i grandi, al paese di mio padre. Li ho sentiti quando siamo andati a Bosa a trovare i nonni.’

A Giusy quel nome, Bosa, non significava nulla, poteva essere a due o duemila chilometri.

‘Fa vedere’ lo posso toccare?’

‘E tocca!

Giusy allungò la manina, lo prese delicatamente tra due dita e lo carezzò.

Quel cosino, come un tubicino alquanto flaccido, andava ingrossandosi, indurendosi.

Lei guardò il suo amichetto, sorpresa, incuriosita.

‘Che bello’ io non ce l’ho. Chissà come mi starebbe. Me lo fai provare?’

‘Ma mica si stacca!’

‘No, lo metti vicino alla mia pussy’ dai’ fammi provare come mi sta’ vieni”

Si abbassò le mutandine.

Nino le era di fronte. Lei, sempre col pisellino di lui tra le dita, lo tirò verso di se, lo poggiò piano tra le gambette.

Era bello, le stava bene, e poi era piacevole averlo.

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La conoscenza pratica c’era stata, ma lei era curiosa, voleva saperne di più.

Decise che, mentre l’accompagnava a scuola, l’avrebbe chiesto a Rosetta.

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Quando due anni prima, durante una vacanza in Cadore, la mamma, Lucia, aveva chiesto in giro se ci fosse una ragazza che potesse aiutarla un po’ nel riordinare la casa, si era presentata Rosetta, una che nel mondo intero, sia pure con parole diverse, &egrave considerata una ‘sventola’. Lucia pensò subito che quella in casa sua non sarebbe entrata mai. Anche lei era una gran bella donna, giovane e molto avvenente, con pregevoli argomenti giusti nei posti giusti, e Marco, il marito, le dimostrava con particolare premura e frequenza quanto li apprezzasse, ma era comunque meglio non ‘indurre in tentazione’.

Marco era sui trenta, bello, atletico, e già molto affermato sia pure agli inizi della carriera. Rosetta era incantevole, non solo fisicamente. Allegra, fresca, cordiale, ispirava subito fiducia, e Giusy che allora trotterellava appena, le andò vicino e le tese la manina. Rosetta la prese in braccio, la carezzava, mentre diceva alla signora che sarebbe stata ben lieta di esserle utile, e poi una così graziosa bambolina’

Per farla breve, Rosetta iniziò subito il suo servizio, non proprio come collaboratrice familiare nel senso del rapporto di dipendenza, ma come amica giovane che voleva aiutare.

Quando nel pomeriggio arrivò Marco, per trascorrere il fine settimana in famiglia, restò letteralmente abbagliato da quella ragazza: capelli del colore che aveva ispirato Tiziano, della non distante Pieve; centosettantatr&egrave centimetri di altezza; seno che certamente richiedeva la quarta misura, che lei non usava a giudicare dal come si muoveva, rigoglioso, florido, stuzzicante e visibilmente sodo; e un paio di quasi hot pants che rivelavano più che coprire un culetto, non troppo ‘etto’, che ammaliava.

‘Lei chi &egrave?’

‘Sono Rosetta, lei &egrave il sior ingegnere?’

‘Senza il ‘sior’.’

‘Mi scusi, ma sono abituata a parlare come in paese. Chiamo subito la signora.’

Uscì, con passo leggero, sculettando con naturalezza, senza ostentazione.

Lucia gli corse incontro, lo baciò con passione.

‘Chi &egrave quella ragazza?’

‘E’ Rosetta, mi aiuterà per le faccende di casa. E’ premurosa, e poi lei e Giusy hanno fatto subito amicizia. E’ una bella ragazza, vero?’

‘E’ bella si.’

‘Ha smesso le scuole due anni dopo la media, non ha gran voglia di studiare. Gioca a palla a volo nella squadra locale.’

‘Si, ha certo qualcosa di atletico, di ginnico.’

‘Vieni a cambiarti?’

Andarono in camera, lui fece una doccia, poi, in accappatoio si attardò in una minuziosa verifica dei ‘beni della moglie.

Le cose andarono in modo tale che quando rientrarono in sede, Rosetta, con entusiasmo, accettò di seguirli.

^^^

‘Rosetta, lo sai che Nino non ha pussy, come me, ma brica?’

‘Brinca? Cossa selo?’

Giusy cercò di spiegarlo, con parole sue, di cosa si trattasse.

‘Go capìo, cara, ma tutti gli omeni ga la stessa cosa.’

‘Tutti? Anche il mio papà?’

‘Ostrega!’

Alla bambina sfuggì, certamente, il significato di quella esclamazione. Era fondata su precise e non occasionali constatazioni. Marco non aveva impiegato troppo tempo per profittare delle assenze di Lucia quando andava a scuola, al Morosini, dove insegnava matematica.

Del resto, Rosetta era anche lei curiosa di assaporare qualcosa che non fosse il solito ‘bisato’ di Alvise. Aveva tanta polenta, lei, che poteva saziare tutti.

Marco non la deluse, era carino, dolce, delicato, e si preoccupava molto di farla godere. Che bellezza. Le fece conoscere la differenza tra un ‘gotto’ casalingo e la prelibatezza di una coppa di champagne. Il comune fiorellino di campo e il lussureggiante tulipano. Chissà perché, ma sfogliando la leggenda della Primula Rossa l’aveva sempre collegata a un batocchio del genere.

Marco era fantasioso.

A volte la chiamava la sua Inghilterra, perché aveva una’ moneta forte.

Nascondendo il suo fallo tra quelle sode e rigogliose tettone, si rivolgeva ad esse come alle Tedesche, mes ravissants tétons, (un tétons che sembrava teutoni) le mie incantevoli poppe.. Le carezzava il meraviglioso mappamondo sussurrandole che lui aveva uno splendido asse sul quale farlo girare.

E lei gradì spesso girarvi sopra. Voluttuosamente.

Un linguaggio veneto-poliglotta, ma il tutto si concludeva sempre con favolose ed appaganti scopate che sfinivano entrambi. Solo per poco.

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Giusy aveva appreso, dunque, che brinca non era prerogativa del solo Nino.

La scuola che frequentava era curata da suore educatrici, particolarmente preparate secondo moderni criteri di sana pedagogia. Si interessavano dalla materna al liceo linguistico, a indirizzo internazionale, ma i maschietti erano ammessi fino alla terza media.

Giusy aveva deciso di proseguire la sua ricerca. Era interessata, più che curiosa.

Durante la ricreazione in cortile, chiese a Saro di accompagnarla al bagno. Solita funzione, la sua, mentre l’amichetto attendeva sulla porta.

‘Saro?’

‘Si?’

‘Vieni qui.’

Lui si avvicinò.

‘Cosa vuoi?’

‘Per favore, fammi vedere brinca.’

‘Chi?’

‘Brinca.’

‘E cosa &egrave?’

‘Quel cosino che hai tra le gambe e che ti serve per fare pipì.’

!La minchia!’

‘Va be’, fammi vedere quello che dici tu.’

Saro sbottonò i pantaloni e tirò fuori il suo coso.

Era tale e quale a brinca.

Giusy allungò la manina, lo carezzò. Si, era proprio come brinca, s’irrigidiva, diventava più grosso. E più bello.

‘Mettimelo vicino a pussy”

Alzò la gonnellina, abbassò le mutandine.

Saro le si avvicinò e glielo infilò tra le gambe, rudemente.

‘Piano, così mi fai male, stavi quasi per farlo entrare nella mia pussy.’

‘E che, male ti fa? Quando la mattina sento rumore e mi sveglio, e seguito a far finta di dormire nel lettino, sento mia madre che dice che a lei ‘sta mischia l’addicrea’.’

‘Dormi nella stessa camera dei tuoi genitori?’

‘Solo per questo periodo che dicono che non sto molto bene.’

Comunque, a tenerlo così, tra le coscette, in quella fessura che dal pube andava alla schiena, era piacevole. La mamma di Saro non diceva fesserie.

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Più trascorreva il tempo e più Giusy cominciava a rendersi conto che quel suo voler vedere, toccare, sentire cosa avrebbe provato se avesse avuto anche lei una tale appendice, richiedeva riservatezza e cautela.

Ora i gabinetti delle scolare erano separati da quelli dei maschietti.

C’era, però, il Lido, le cabine.

La sua pussy andava lentamente trasformandosi.

Così pure i cosini dei suoi compagni.

Rosetta, raccontava ridendo alle amiche, che non disdegnava nessun oseo, perché lei aveva polenta per tutti. E polenta calda!

Marco era ghiotto di polenta, e tra Lucia e Rosetta se ne vedeva bene.

Dal canto loro, le due monasse lo spolpavano ben bene.

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Alla vigilia degli esami di terza media, Giusy, che ormai sapeva tutto sul sesso, sulla funzione, sulle diversità anatomiche e che aveva già avuto il suo primo menarca, si rammaricava che negli anni successivi i suoi compagni non sarebbero stati con lei.

Quella lontananza sarebbe stata molto dolorosa, per lei e soprattutto per pussy che andava sempre più trasformandosi, dimensioni sempre più adulte, s’arricchiva di riccioli che adornavano il pube e nascondevano le grandi labbra. Le sue tettine, che crescevano prepotenti, non avrebbero più avuto le tanto apprezzate carezzine che le ripercuotevano dentro. Le sue dita non avrebbero più sentito ringalluzzire i ‘cosi’ sempre più prepotenti e grossi, né frugato tra il crespo dei boschetti che andavano sempre più sviluppandosi.

Si riprometeva di riguadagnare il tempo perduto incontrandoli di nuovo alla Ca’ Foscari, perché quasi tutti avrebbero frequentato la facoltà di linque.

‘Little Giusy I hope pussy will not forget my cock. Your ‘dick’, as you call it’

Jimmy la carezzava dolcemente.

‘Ma petite Giusy, j’esp&egravere que ta pussy, ton con ,n’oubliera pas ma bitte, ta bitte!’

Denis era tenero e affettuoso, e sapeva baciarla benissimo, specie pussy.

Comunque, entrambi i ragazzi speravano che pussy non dimenticasse il loro fallo!

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Dumas raccontò gli eventi di ‘vent’anni dopo’, per Giusy furono più che sufficienti cinque anni.

Eccola, a diciotto anni, pimpante, disinibita. Che si cambia sulla spiaggia libera sotto gli occhi di tutti.

Un fisico da pin up che fa venire l’acquolina in bocca, ed eleva lo spirito, e soprattutto il resto, solo a sfiorarlo con lo sguardo.

Lo studio, per la verità, non le ha lasciato troppo tempo per le fantasie, e gliene ha concesso ancor meno, diciamo niente, per ripassare la storia di pussy e dei suoi amichetti.

La maturità, superata a pieni voti, &egrave festeggiata al golf club, con molti invitati, vecchie e nuove amicizie.

Dionigi le andò incontro, a braccia aperte.

Lei quasi non riconosceva quello che ora era divenuto un tocco di marcantonio da far venire i crampi in mezzo le gambe.

Pussy non cessava mai di far notare la sua presenza, anzi.

Giusy ricordò subito quello che era il cosino di lui, ai tempi della media, e ne immaginava gli sviluppi, golosamente. Bisogna dire, però, che malgrado ogni atteggiamento, pur avendo conservato interessi e curiosità d’un tempo, Giusy non era mai stata a letto con un uomo.

‘Tu sei Dionigi, il mio Denis! Sei rimasto ancora francese? Cosa studierai?’

‘Sono sempre franco-italiano, studierò alla Ca’ Foscari, anche tu?’

‘Anche io”

Si abbracciarono teneramente, strettamente.

Giusy sentì chiaramente che tutto in Dionigi era in proporzione.

Decisero che dovevano raccontarsi tutto.

Quando? Dove?

Avevano bisogno di un posticino tutto per loro.

‘Che ne dici, Dion, di venire a casa mia?

Domenica i miei vanno a trovare la zia. Ti preparo un manicaretto, cio&egrave metto nel microonde la confezione pronta, e c’&egrave sempre vinello e birra nel frigo.’

‘OK. Diciamo a mezzogiorno?’

‘OK’

Giusy pregustava una piacevole petting session, anche heavy petting, sì pomiciamento spinto, qualche grazioso giochetto, e soprattutto desiderava di appagare le sue vecchie e sempre attuali curiosità.

Niente di impegnativo, e tanto meno di’ irreparabile.

Sorrideva nel pensare a chissà com’era, adesso, la ‘bitte’ di Denis?

Nel contempo, son con era trempé comme une soupe. Sì, pussy era bagnata come un pulcino.

Ecco, pensando a Denis anche i suoi pensieri le venivano in francese.

Nella sua testolina, sempre goliardicamente sbarazzina, s’andavano formando frasi scherzosi e audaci.

Sentiva una notevole intesa, tra lei e Denis. Un’armonia piacevole.

Espressioni musicali, seguitò a fantasticare, come sonata, quindi orchestra, dove c’&egrave anche la tromba, assolo di tromba:’ trombata’.

Inutile, gira e rigira, si andava a finire sempre li.

Chissà com’era l’assolo di Denis.

Perché assolo? Molto meglio un ‘duo’!

Una musica che iniziasse dolcemente, languidamente.

Immaginava le indicazioni dello spartito: ouverture, introduction, piano con sentimento, andante, andante mosso, crescendo’ galop finale’ per finire’!

La bacchetta del maestro che dirigeva la sinfonia, e i suonatori che raggiungevano accordi inebrianti.

La bacchetta, la baguette’ ma era anche quel robusto filoncino rigido e croccante che quando lo gustavi ti pareva d’essere in paradiso. Che sapore, che fragranza.

Denis che dirigeva la sonata, con la sua baguette!

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Così vagando con la fantasia, preparò la cena. Un piatto freddo, macedonia di frutta, vinello frizzante.

Anche lei andava preparandosi.

Una blusetta non troppo attillata, allacciata in vita, ampia gonna a fiori vivaci. Scarpe con tacco non molto alto. Niente altro. Sì, niente altro!

Sentiva un caldo particolare, in effetti mai provato prima d’ora.

Le sembrava di avere un forno ardente tra le gambe. Un four bien chaud pr’t pou la baguette. Pronto per la baguette!

No. Non doveva accadere. Anche se ne aveva una voglia matta.

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Denis fu puntualissimo. Anzi un po’ in anticipo.

Una grossa scatola di Bisou pour elle, bacini per lei. E quel lei voleva dire tutto.

Si, era proprio un bel ragazzo, simpatico, elegante anche nel suo ‘casual’, di gusto, fine, sicuro di sé.

Il bacio di saluto non fu di quelli distratti e convenzionali, ma come la ricerca d’antichi e nuovi sapori. S’erano lasciati appena adolescenti, s’incontravano nel rigoglio del loro fiorire.

Una coppia straordinaria.

La lenta carezza sulle floride natiche di Giusy non aveva nulla di rozzo, di volgare, era come lambire un fiore: compiacersi del lieve contatto e trasmettergli un caloroso messaggio d’ammirazione.

Giusy ne fu lusingata. Le tettine si eccitarono golosamente, anche la sua micetta sentì gli effetti di quello sfioramento.

La cenetta fu accompagnata soprattutto dai mille ricordi di fanciullezza.

‘Posso considerarti la monella di allora?’

‘Non sono mai stata monella.’

Il tono di Giusy era malizioso e volutamente fanciullesco.

‘D’accordo, ma’ conservi ancora, ne tuo diario, la pagina PM?’

‘E tu che ne sai?’

‘Lo sapevamo tutti che prendevi le nostre misure e le annotavi.’

‘Ma stai sognando’!’

‘No, sognavo quando con finta ingenuità volevi farmi credere che si trattava di rilevazioni antropometriche. Era un sogno dolcissimo, e io insistevo ‘ricordi?- ad essere precisa, così il mio pisellino poteva restare più a lungo nella tua deliziosa manina.’

‘Sfacciato!’

‘C’&egrave ancora la pagina PM? La pagina della pisellometria?’

Giusy assunse un’aria provocante.

‘Si’ ma non &egrave aggiornata!’

‘Non &egrave mai troppo tardi!’

‘Presuntuoso.’

Non nascondeva che quella specie di conversazione le provocava un certo vellichino. Sì, proprio là. E non solo.

Erano sulla veranda, di fronte al giardino antistante la casa.

Comode sedie di vimini con soffici cuscini.

Parlavano guardando il vuoto dinanzi a noi.

‘Piccola, perché non ti fai cullare? Desidero coccolarti, chouchouter.’

Giusy era perfettamente d’accordo con chi ha detto di saper resistere a tutto’ meno che alle tentazioni.

Non se lo fece ripetere due volte.

Del resto, che male c’era?

L’unica precauzione che adottò fu di non alzare la gonna.

Tra il metallo e la calamita s’interponevano’ la sua patta e la stoffa del vestito!

Erano incantevolmente sottili.

Sentiva chiaramente l’ariete insidiare il castello.

Meraviglioso assedio.

La resistenza ferrea che la castellana s’era ripromessa s’andava dolcemente sciogliendo. Lei, del resto, aveva tanto di crogiuolo dove fondere quel brando superbo e prepotente.

A proposito’ di che dimensioni era?

A giudicare da quello che avvertiva, erano tutt’altro che trascurabili.

Ora, poi, c’era anche la mano che le palpeggiava le tette, le saggiava, soppesava, accertava la consistenza, giocherellava coi capezzolini diventati capezzoloni.

Non le sembrava un giuoco leale, ma divenne ancor più subdolo quando l’altra cominciò la stessa menata tra i riccioli, sotto la gonna.

Le sussurrava nell’orecchio, e di quando in quando ne mordicchiava il lobo.

‘Come sono belli’ sono cresciuti tantissimo’. Fa sentire il resto”

E rimase pienamente soddisfatto dell’ulteriore esplorazione, perché incontrò il turgore delle grandi labbra e nessuna difesa per la sua imperterrita avanzata. Non s’era accorta che aveva proteso il bacino in avanti. Lui sì, e ne approfittava per approfondire la perlustrazione, prolungandola delicatamente, alla proficua ricerca dei punti sensibili. Andava cercando di scoprire qualcosa, pronunciando sottovoce, lentamente, le lettere dell’alfabeto: a’, b’, fin quando raggiunse il luogo preciso che la fece sobbalzare, irrefrenabilmente, accendendo, inevitabilmente, un lungo e palpitante orgasmo. Lui insisté, mormorando, nel contempo ‘g’.. ‘g” ‘g’!

La patta dei pantaloni sembrava scoppiare.

Poverino, non poteva portarlo a quel punto e’

Si alzò, lo prese per mano, e lo condusse nella sua camera da letto.

‘Aspettami qui.’

Andò nel bagno, tolse gonna e camicetta, si avvolse in un grosso telo di spugna. Sapeva che quella prima volta avrebbe lasciato visibili tracce, ed era di buon gusto non renderle pubbliche.

Denis era sul letto, nudo, con il suo fallo che sembrava la torre Eifel.

Le tese la mano. Gli fece il gesto di alzarsi un po’, stese il telo che aveva portato.

Gli fu vicina.

Le sussurrò che non aveva’.

Non lo lasciò finire’ precauzionalmente, era da qualche tempo che prendeva la pillola. Lo sapeva che doveva accadere, ed era bellissimo che accadesse con Denis.

Glielo disse, quasi con vergogna.

‘Denis, je suis vierge! Sono vergine!’

‘Je le sais, ma petite. Je le sais. Lo so, piccola, lo so.’

La carezzò teneramente, lungamente, la baciò dappertutto. La sua eccitazione divenne frenesia, impazienza.

Lo accolse palpitante. Sentì che premeva alla sua porta, una piccola resistenza dell’uscio e poi fu in lei, lentamente, soavemente. Si fermò un momento. Percepì il pulsare delle vene del suo fallo che le sembrava immenso, e la sua vagina che rispondeva contraendosi bramosamente. Dimenticò subito il piccolo ‘ahi’ che le era sfuggito dalle labbra, e si accorse che lo cancellava del tutto con lunghi voluttuosi gemiti. Non immaginava che potesse essere così bello, cosa significasse avere un orgasmo, di quelli veri, naturali, non dovuti a deludenti surrogati.

Denis era magnifico, insaziabile come lei, e ogni volta che l’invadeva col suo caldo seme, sentiva di raggiungere la beatitudine assoluta, la pace dei suoi esuberanti sensi.

‘Sono piena di te, amore. E’ stato bellissimo.’

‘Qualsiasi cosa accada, non potrò mai dimenticare questi momenti.’

‘E per scolpirli anche nella mente, li ripeteremo sempre.’

‘Sempre.’

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Per la cronaca.

Il giorno dopo, Giusy aprì il suo vecchio diario, pagina centrale, PM.

Registrò: nome D;. la data di ieri; dim. Lung/Circ. 20×14.

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