Carlo lo conoscevo da sempre, dai tempi del liceo. E mi piaceva anche. Come amico, intendo, ché a me i maschi sono sempre piaciuti poco e ho sempre preferito la gnocca. E Carlo lo sapeva bene, visto che da ragazzi ci frequentavamo spesso.
Oggi, a quasi quarant’anni di età, sono ancora una bella donna, alta, mora, snella, forse poco dotata di attributi femminili, ma con una figura nel complesso niente male.
Qualcuno obietta che mi vesto sempre in modo troppo mascolino: pantaloni (non metto una gonna da quando avevo dieci anni), giacche di taglio maschile, camicie bianche molto severe che lascio profondamente sbottonate, pochi gioielli, poco trucco, capelli corti. Cedo però al fascino dei tacchi alti e ho una vera passione per le scarpe: ne avrò un centinaio.
Carlo però era più bello di me.
Alto, biondo, atletico, sportivo, lingua sciolta: le ragazze ne andavano matte e proprio per quello avevo cominciato a frequentarlo: lui si stancava presto delle sue conquiste e più di una volta avevo avuto l’opportunità di consolare ragazze piangenti alle quali propinavo il vecchio discorso “gli uomini sono tutti uguali” mentre con molta cautela cercavo di farmi strada nelle loro mutande, spesso con successo.
Mi ci ero affezionata, io, unica ragazza in mezzo a quella banda di maschi scalmanati, che alla fine mi avevano accettata perché bevevo più di loro, scopavo più di loro, facevo tardi come loro, guidavo la macchina meglio di loro.
La banda era composta da ragazzi veramente simpatici: allegri, pieni di iniziativa, talentuosi… Ecco, forse un po’ troppo poco politically correct. La mancanza di rispetto che avevano verso le donne alle volte era intollerabile.
Qualche volta ci sedavamo lungo il corso principale della città a vedere le ragazze passare. E spesso qualcuno cominciava a dare loro dei voti, a seconda della bellezza del viso, del corpo, del culo delle tette, delle gambe, eccetera. Lo facevo anch’io, che di bellezza femminile me ne intendo. Ma quando cominciavano a valutare le ragazze in base al chilometraggio, ecco questo m’infastidiva.
Sapete tutti come si attribuisce un chilometraggio a una ragazza? No? è semplice. Quant’è lungo un cazzo? La media nazionale è sui quattordici centimetri, facciamo quindici per comodità di calcolo e perché i maschi del Sud alzano la media. Quante volte lo devi far andare su e giù prima di terminare la scopata? è un dato molto variabile: alle volte cinque colpi e hai finito e altre vai avanti per delle mezzore. I ragazzi si erano accordati su una cinquantina di colpi, di media. Quindi quindici centimetri per cinquanta volte fa sette metri e mezzo di cazzo che entra in figa a ogni scopata. Una tizia di, poniamo, 25 anni, attiva sessualmente da quando ne aveva diciassette (otto anni di trombate, quindi) a una media di cento l’anno faceva 8 x 100 x 7,5 = seimila metri (6Km) di cazzo. Se una aveva una faccia da troia le davi anche 10Km oppure solo uno a chi pareva una verginella. Ridevano come matti, ma a me pareva che stessero esagerando.
Anche se ero una di loro, comunque qualcuno ci aveva anche provato con me, ma di solito bastava una delle mie occhiate per farglielo ammosciare.
Solo una volta mi ero lasciata convincere (da Luca, un biondino efebico che mi ricordava una femmina, anche se non lo era affatto) e eravamo finiti a letto. Ma appena mi penetrò mi prese una tale furia che lo spinsi via e lo trattai anche male, poveretto.
Mi ero sentita fuori posto, in una posizione che non mi s’addiceva.
Violata, insultata, umiliata.
Non ci abbiamo provato mai più. Né lui con me, né io con gli uomini.
Alla fine Carlo conobbe Monica e questa volta la cosa apparve subito più seria.
Ci siamo frequentati ancora per qualche anno, anche se il tempo delle bravate notturne, delle discoteche e delle bevute fino all’alba era ormai malinconicamente finito.
Poi, piano piano, ci siamo un po’ persi di vista, lui rilevando l’attività commerciale del padre ed io a Roma a studiare Giurisprudenza.
Quando tornavo nella nostra città si trovava sempre il tempo per una cena o un aperitivo. Monica mi guardava con un misto di curiosità e repulsione, sapendo delle mie preferenze in campo sessuale, ma alla fine si faceva invariabilmente trascinare dalla nostra allegria, dalle nostre battute e dal fatto che non rappresentassi per lei una concorrente per il suo Carlo.
Anch’io però guardavo Monica. E il mio interesse aveva dei risvolti più carnali. Mi piacevano le sue forme molto femminili, al contrario delle mie: grandi seni che le ondeggiavano a ogni movimento, sedere burroso, pelle vellutata, faccino molto carino incorniciato da lunghi capelli biondi, con grandi occhi verdi e labbra piene a contenere una splendida fila di denti bianchissimi.
Ma la cosa che più mi stuzzicava era quella sua aria arrendevole, cedevole, sottomessa e mi perdevo a fantasticare: prenderla, sbatterla contro il muro, baciarla con forza, sollevarle la gonna e strapparle gli slip…
Carlo però era un mio amico, lei sembrava innamoratissima di lui e io ci misi una pietra sopra.
Alla fine si sposarono (ricordo ancora quando baciai la sposa forse con troppo trasporto alla fine della cerimonia, facendola arrossire) e da allora piano piano i nostri contatti si diradarono fino a cessare completamente per diversi anni.
Io intanto avevo rilevato lo studio notarile di mio padre, vedovo, che era stato colpito da un ictus e che avevo dovuto ricoverare in una casa di cura.
Vivevo quindi sola nella grande casa settecentesca nel centro di quella bella città del Salento.
Quando la segretaria mi passò la chiamata di Carlo allo studio al principio non capii di chi si trattasse. E comunque feci fatica a riconoscerne la voce, perché dopo tutti questi anni mi sarei aspettata toni di allegria, invece sembrava molto depresso e abbattuto.
Mi chiese se potesse passare a salutarmi e ovviamente acconsentii con piacere.
Quando l’indomani entrò nel mio ufficio lo accolsi allegramente con risate e battute dei vecchi tempi, ma mi accorsi presto che non aveva nessuna voglia di scherzare.
Mi disse che la catena di minimarket che suo padre gli aveva lasciato era sull’orlo del fallimento, che la concorrenza delle grandi organizzazioni soprattutto francesi l’aveva messo in ginocchio, che aveva tentato di diversificare creando una impresa di negozi di prodotti alimentari pugliesi di alta qualità in franchising, ma che ci volevamo ingenti capitali che lui non aveva.
Le banche avevano smesso di fargli credito, anzi, gli avevano chiesto di rientrare.
Ora doveva far fronte a degli impegni con i fornitori e non ce la poteva fare.
Mi chiese di entrare in società con lui e di metterci mezzo milione di euro per il 49% della società attraverso un aumento di capitale. Altrimenti era spacciato.
Io gli spiegai che in nessun modo avrei potuto risolvere il problema e quei soldi erano fuori della mia portata.
Pur con tutto l’affetto e la delicatezza del caso dovetti rifiutare l’offerta. Se ne andò frustrato.
L’indomani mattina, entrando in ufficio, trovai Monica seduta in sala d’aspetto.
L’abbracciai e la feci passare subito.
Non era difficile arguire che la sua visita avesse a che fare con quella del marito il giorno precedente, ma comunque non potei fare a meno di osservare quanto bella fosse rimasta.
Era sempre abbondante in termini di seno e chiappe, ma non grassa. Il viso era ancora più bello di quanto ricordassi con quegli occhioni da cucciolo smarrito.
Mi spiegò che l’atmosfera in casa sua era diventata drammatica, che Carlo era disperato (aveva addirittura accennato al suicidio) e che lei non sapeva come aiutarlo. Che le aveva pensate tutte: vendere tutto, chiedere aiuto ai parenti, ricorrere ai cravattari… ma non c’era niente da fare: l’enormità della somma necessaria rendeva inutili tutti i tentativi.
Fu a quel punto che lei abbassò la voce e gli occhi e mi disse di aver percepito in passato un certo mio interesse per lei. Che se questo interesse fosse stato ancora presente, in cambio del mio aiuto, di nascosto a suo marito, avrebbe potuto comportarsi in modo carino con me, accettando le mie eventuali avances.
Rimasi ammutolita. Quasi commossa dalla dedizione che dimostrava verso il marito.
Non volli dirle subito di no e ci lasciammo con la promessa che l’avrei richiamata l’indomani.
Quella notte, a letto, non riuscii a dormire. Il buon vecchio Carlo era rimasto il solito: sognatore, irresponsabile.
Eppure, per come lo conoscevo, era un venditore formidabile e se qualcuno si fosse occupato della parte amministrativa e della parte politica per la concessione di licenze e permessi ce l’avrebbe anche potuta fare.
L’indomani quindi chiamai Monica al telefono.
– La tua offerta non mi interessa. Ma ho una controproposta: vediamoci oggi a pranzo e ne parliamo. Devi informare tuo marito del nostro colloquio e fare in modo che anche lui venga a pranzo con noi. Non ci devono essere segreti.
Fissammo il ristorante (ottimo e discreto, uno dei miei favoriti) e all’una e mezza eravamo seduti al tavolo.
Carlo era stralunato, tra la disperazione per il lavoro e la confessione di sua moglie. Così al caffè cominciai a parlare.
– Ringrazio Monica per la sua offerta, che apprezzo molto. Ma la mia vita sessuale è piena e soddisfacente: ci sono un paio di signore nei paesi qui vicino che da anni passano volentieri dei pomeriggi di sesso con me di nascosto ai loro mariti e devo dire che sono bravissime. Quindi una scopata in più o in meno non mi cambia la vita. Vedo nella tua impresa, Carlo, una vaghissima possibilità di successo. Normalmente non ci scommetterei un centesimo, ma vista l’insistenza di Monica, che mi ha davvero commosso, voglio provare a metterci questo mezzo milione di euro, come se fosse una fiche su un numero alla roulette, ma a queste condizioni: primo, che con questi soldi io acquisisca il 51% della società che comunque tu continuerai a dirigere, in modo che se dovessi vedere che le cose non vanno, possa cambiarti a mio piacere. E c’è una seconda cosa. è vero che la mia vita sessuale è intensa, ma ogni tanto ho dei desideri, delle urgenze che le mie amiche non vogliono sperimentare e che io invece sì. Per cui Monica dovrebbe essere disposta a dare corpo a tutte questa mie fantasie sessuali senza discutere, senza protestare e senza dirmi mai di no.
Mi guardarono attoniti.
– Sì, l’idea è questa: per la preparazione degli atti e dei documenti per l’aumento di capitale ci vorrà qualche giorno. Oggi è martedì. Venerdì in tarda mattinata dovrebbero essere pronti per la firma. Quindi io propongo che tu, Carlo, accompagni Monica questa sera a casa mia e me la consegni ufficialmente perché diventi la mia schiavetta sessuale fino a venerdì mattina, quando firmerò gli atti. E li firmerò solo se avrà ubbidito a tutti i miei voleri senza mai contraddirmi. Lei starà da me, io provvederò alle sue necessità di vitto, alloggio e vestiario, che saranno estremamente limitate perché più che altro starà nuda, e prometto che non le farò del male, magari qualche sculaccione al massimo, ma in cambio non firmerò nessuna carta se mi avrà detto anche solo una volta, “no”.
Pagai il conto e li salutai dicendo che se non li avessi visti per le sette di sera avrei capito che il nostro accordo, non negoziabile, non era stato accettato.
Alle sette arrivarono, con una faccia da funerale.
Il più spaventato sembrava Carlo, alla sola idea che mi sarei fatta la sua donna senza che lui potesse opporsi.
Anche Monica era rigida come un baccalà.
Io non la degnai di uno sguardo e mi misi a parlare con Carlo come se lei non ci fosse.
– Me l’hai portata, alla fine, eh?
– Ecco… vorrei sapere cosa hai intenzione di farle.
– Non ti preoccupare, non voglio farle del male. Alcune cose le ho in mente, altre le deciderò al momento. L’idea è di togliermi tutti gli sfizi possibili in termini di sesso con una donna.
– Ma quelle che hai in mente, per esempio, cosa… come…
– Beh, sono sicura di come voglio cominciare: voglio spogliarla nuda e esaminare il suo corpo centimetro per centimetro usando i sensi della vista, del tatto e del gusto, principalmente. Quando se ne sarà andata voglio ricordarla nei minimi dettagli. E sono anche sicura di come voglio terminare: venerdì mattina, prima della firma la voglio sodomizzare con la mia cintura fallica. Tra la prima e l’ultima attività ho in mente tante varianti, come usarla come una Barbie e farle provare tutti i vestiti dell’armadio, farle spolverare i libri sulla parte alte della libreria con una uniforme da cameriera francese senza slip, e cose di questo tipo. Niente di faticoso. L’hai preparata?
– Come?
– Sì, dico, che calze porta? Autoreggenti? Reggicalze? Non mi dire che le hai permesso di venire da me con i collant!
– Veramente non ci ho pensato…
– È depilata?
– Ma no! Non ho pensato che dovesse essere preparata…
– Sei sempre una delusione. Adesso vattene, che ci penso io a lei. Ci vediamo venerdì alla una. Se la tua donna si sarà comportata bene avrai la mia firma. Altrimenti dovrai fallire. Se devi diventare cornuto, almeno che sia per una buona ragione…
Così dicendo lo spinsi fuori dalla porta di casa, che chiusi dietro di lui, poi mi girai verso Monica e la spinsi gentilmente all’interno della casa, carezzandole il culo prosperoso. Era la prima volta. Mi diede una scossa elettrica.
Era il più bel culo su cui avessi mai messo le mani.
La pilotai fino alla camera e le dissi:
– Prima di cominciare chiacchieriamo un po’. Lo so che per te è un sacrificio enorme essere qui e compiacermi sessualmente. Se vuoi lasciamo stare, non ne facciamo nulla. Restiamo amiche e te ne torni a casa. Tuo marito troverà sicuramente un’altra soluzione. Non sono un orco.
– No, sono fermamente decisa. Carlo mi ha fatto vivere una vita da signora fino ad ora e io devo sdebitarmi con lui in qualche modo. Non sono ricca, non ho un lavoro e se questa è l’unica maniera io sono pronta.
– Bene. Allora cominciamo. – Stai ferma in mezzo alla stanza mentre ti esamino.
Monica vestiva un tailleur con giacca e gonna con una camicetta bianca senza maniche, abbottonata dietro. Cominciai a sfilarle la giacca e intanto le propinavo le prime istruzioni:
– Ci sono delle regole che dovrai rispettare in questa casa. La prima è che non devi parlare se non sei interrogata. Quando ti do un ordine devi solo rispondere “sì, Daniela”, “no Daniela”, “subito Daniela” e cose simili, tanto per farmi sapere che hai capito, sempre pronunciando il mio nome. Ti è chiaro?
– Sì.
– Sì, cosa?
– Sì, Daniela, scusa.
– Bene. Nel caso che tu debba dirmi qualcosa di urgente, senza aspettare di essere interrogata, devi chiedere il permesso di parlare e farlo solo quando l’avrai ricevuto. Ad esempio quando devi andare in bagno. Mi devi chiedere il permesso, non dando per scontato che te lo darò, perché mi piace molto vedere le donne ballare cercando di trattenere la pipì e qualche volta mi piace che se la facciano addosso. In tutti i casi devi lasciare la porta del bagno spalancata, in modo che io possa controllare ciò che fai. Qui non hai diritto alla privacy.
Mentre dicevo questo le esaminavo la testa, il collo, dietro le orecchie, tenendole il capo fra le mie mani e muovendolo e rigirandolo come se fosse un pallone da basket.
Le baciai il collo e dietro la nuca, inebriandomi del profumo della sua pelle. Poi le infilai la lingua in un orecchio, abbracciandola per sentire i suoi brividi.
Le girai la faccia in modo da averla a pochi centimetri dalla mia.
Le feci aprire la bocca, la guardai dentro, aspirando il suo alito da ciliegia matura. Le ordinai di tirare fuori la lingua, la presi nella mia bocca e cominciai a assaporare il suo gusto di femmina.
La guardai dritto negli occhi e mi resi conto che la cosa non le era stata del tutto indifferente. Era sicuramente scossa. Poi le sbottonai la camicetta e gliela tolsi, mentre le dicevo:
– L’altra cosa che devi ricordare è che qui ti è vietato portare biancheria intima. Anche se starai prevalentemente nuda, nel caso che ti metta qualche vestito sono rigorosamente proibiti slip, calze o reggiseni. E non dovrai mai coprirti con le mani. Poi quando sono in casa dovrai stare sempre a un paio di metri dietro me, a portata di mano nel caso abbia bisogno dei tuoi servizi sessuali. Se invece non ti necessito, dopo qualche minuto di attesa senza ordini vorrei che tu prendessi l’iniziativa di sbrigare qualche semplice faccenda domestica: non mi piace vedere le donne con le mani in mano. Spolverare i libri o i mobili o cose del genere. Ah, dimenticavo. Non ti puoi sedere. Starai sempre in piedi dietro di me anche quando guardo la tv, e se ti faccio cenno di sederti potrai farlo solo per terra o sul tappeto, ai miei piedi, mettendoti prima in ginocchio e poi scivolando di lato con le gambe raccolte vicino al corpo. In modo che possa scaldarmi le mani fredde tra le tue tette.
Intanto le avevo tolto camicetta e reggiseno e le sue splendide tette erano saltate fuori con prepotenza. Lei era imbarazzatissima, perché io non riuscivo a distogliere gli occhi dallo spettacolo.
Presi entrambe le mammelle nelle mani, le strinsi, le soppesai, misi la mia faccia in mezzo e mi schiacciai le guance tra le sue grosse tette.
Con le mie non si può fare…
Quindi le misi le mani sulle spalle e con piccole spinte alternativamente sulla spalla destra e su quella sinistra ottenni che i suoi seni cominciassero a dondolare lascivamente e ipnoticamente.
Uno spettacolo incredibile.
Mi sentii un gran calore tra le gambe e ebbi addirittura l’impressione di avvertire l’odore degli umori della mia fica da quanto mi sentivo bagnata. Monica non era certo una ragazza leggera e si sentiva umiliata per le mie attenzioni da vecchia lesbica perversa.
Le presi i capezzoli e cominciai a tormentarglieli, tirandoli e torcendoli. Per poi prenderli delicatamente tra le labbra assaporandoli.
Mi tolsi la giacca e la camicia, rimanendo in pantaloni neri e torso nudo, e le mie quasi inesistenti, ma abbronzate, tette contrastavano con le sue abbondanze.
Sembravamo esseri di due razze diverse, da quanto eravamo dissimili.
La strinsi a me per sentire il contatto delle sue tette sulle mie, capezzolo contro capezzolo. I miei erano bruni, grossi, eretti. I suoi erano rosa, più piccoli ed eretti pure loro. Sarà stato il freddo?
– Adesso cerchiamo di liberare le chiappe da questo gonnone. Intanto finisco di spiegarti le regole. Stanotte dormirai fuori dalla porta della mia camera, su un materasso per terra, pronta a entrare se avessi bisogno del tuo sesso. Poi domattina la routine sarà la seguente: alle nove entrerai con il caffè, poi andrai a prepararmi la doccia con gli asciugamani caldi, i saponi e le spugne. Ti spiegherò in seguito cosa dovrai fare nella doccia. Poi scenderai in cucina e mi preparerai la colazione. Troverai tutto in frigo con le istruzioni. Io scenderò, mi siederò in sala da pranzo e tu dovrai servirmi a tavola. Nuda, naturalmente. Sogno spesso le cameriere che versano il caffè con un mio dito nel culo. Vediamo come te la cavi. Ma cosa sono questi? Collant?
Le avevo tolto la gonna e avevo visto i collant, Con orrore.
Sotto si vedevano delle mutande orribili. Infilai i pollici nei bordi e con un solo colpo le abbassai entrambi fino ai piedi.
Scoprii una patatina che era un gioiello, bianca, dolce, profumata… Ma pelosa. E a me non piace perché mi disturba la leccata.
Guardai Monica negli occhi con uno sguardo aggrottato e le dissi:
– Tu a letto con me con tutti questi peli questa notte non ci vieni. Fammi pensare a come risolvere il problema.
Presi il telefono e chiamai Jessica.
Ci accordammo che sarebbe passata da lì a pochi minuti. Stava giusto chiudendo il suo studio da estetista.
Lasciai quindi perdere l’ispezione del suo corpo, che avrei potuto continuare sul lettino dei massaggi con Jessica, mi rimisi la camicia e la condussi per mano, nuda, in fondo al lunghissimo corridoio fino a uno stanzone che avevo adibito a palestra. Nel quale avevo anche ricavato un angolo per i massaggi con un letto alto e con un buco per il viso.
Jessica arrivò di lì a poco. Era una giovanissima e maliziosa estetista, una piccoletta con la coda di cavallo e un sorriso intrigante.
Quando si trattava di giocare alle lesbiche non si tirava indietro e più di una volta nel suo studio, mentre mi depilava, sorridendomi viziosa, si era occupata anche della mia prugna con le sue dita sottili.
Io avevo provato a infilarle una mano sotto il camice e lei mi aveva lasciato giocare per qualche minuto con le sue bianche, giovani, tenere, succose grandi labbra e con il suo piccolo clito.
Non avevamo mai approfondito, ma io le lasciavo ottime mance e sempre tra noi si instaurava una certa tensione sessuale.
Lei mi baciava con la lingua quando me ne andavo, tutta bagnata.
– Jessica, amore, questa è Monica, la mia amica – le dissi indicando la donna nuda che tenevo per mano. – Questa sera abbiamo un party e come vedi ha bisogno di una depilazione totale, di quelle che sai fare tu. Ci vorranno pochi minuti, cara, mi dai una mano?.
Jessica mi diede un’occhiata e ci intendemmo subito. Se si trattava di comportarsi da troia lei non vedeva l’ora.
Monica invece era rossa dalla vergogna.
Quando Jessica era entrata aveva avuto un moto istintivo di pudore e aveva cercato di coprirsi, ma io le aveva dato uno strattone alla mano e un’occhiataccia, così si era rassegnata.
Ma soffriva, soprattutto perché Jessica la guardava spudoratamente e con aperta ammirazione.
Poi la fece sdraiare supina, preparò la ceretta, la spalmò su una striscia di tessuto e cominciò con gli strappi.
Monica stava a gambe aperte. Figa esposta in piena luce e Jessica intenzionalmente le appoggiava sopra la mano, ma con noncuranza, come se non volesse, anche se sapevo che lo faceva apposta.
Presto tutto il monte di venere fu depilato, ma c’erano ancora peletti nella parte interna delle grandi labbra, che sarebbe stato troppo doloroso togliere con la ceretta. Jessica preparò un rasoio di quelli da donna e io mi offrii di aiutarla.
Tenevo tesa la pelle delle grandi labbra, aperte verso l’esterno, in modo che la lama di Jessica facesse il suo lavoro.
Spostai la pelle sopra il clitoride, scoprendo ancora qualche peluzzo. Un’immagine unica: queste due donne completamente vestite, chine e indaffarate intorno alla patata di una terza donna, nuda, imbarazzata come non mai, che sentiva le sue intimità maneggiate senza nessun rispetto.
Depilata, Monica era uno spettacolo.
A stento mi trattenni da mettermi a leccarla lì e subito.
– E adesso girati – le disse Jessica quando ebbe finito.
– Come? – protestò Monica.
– Monica, tesoro, anche tra le chiappe ci sono dei peli da togliere, non essere timida – le dissi.
Mi divertivo in modo esagerato a guardare la sua faccia stravolta dalla sorpresa, dalla vergogna e dall’umiliazione.
Si girò. Jessica le mise un paio di cuscini sotto il bacino, in modo che il suo culo fosse più alto del resto del corpo. Così alte, le sue chiappe si aprirono un poco, rivelando il suo ano, anche se ancora troppo in profondità.
Jessica era pronta con la ceretta sulla tela. Senza parlare presi le chiappe di Monica tra le mani e le aprii, scoprendo il solco anale.
Un gesto che mi fa impazzire di libidine e infatti mi sentii immediatamente fradicia tra le gambe. Jessica le diede due strappi violenti con la tela con la ceretta che la fecero sussultare.
Studiammo insieme la situazione, Jessica con il rasoio in mano, io tendendo la pelle delle piegoline intorno al buco.
– Non stringere, cara, non riusciamo a fare un buon lavoro, altrimenti. Oppure prima stringi al massimo e poi rilassa i muscoli, in modo che noi si possa raggiungere anche il pelo più nascosto. Ecco, così, brava. Stringi ancora e poi adesso rilassa. Benissimo, così è quasi aperto del tutto.
Monica avrebbe voluto sprofondare dalla vergogna: aveva quasi le lacrime agli occhi mentre ci faceva vedere il suo buco del culo che si stringeva e si rilassava ritmicamente.
Jessica sembrava soddisfatta, invece. – Più di così non si può fare. È un buon lavoro. Si è un po’ arrossata, però. Ci vorrebbe un olio emolliente contro le irritazioni. Devo averne una mezza bottiglia da qualche parte nella borsa…
Fece cadere un mezzo cucchiaio di olio di sesamo da massaggi intorno all’ano di Monica e cominciò delicatamente a irrorare tutta la parte arrossata con movimenti lenti e circolari.
Monica non si muoveva, ma era tesa come una corda di violino. Jessica muoveva la sue mano tra le sue chiappe con una rara maestria.
Le sue dita si avvicinavano sempre di più al buco, che poco a poco si distendeva e smetteva di resistere. Alla fine infilò il polpastrello del medio. Monica ebbe un sussulto e il suo sfintere si strinse intorno al sottile dito di Jessica.
– No cara, stai rilassata. È per il tuo bene. Ecco, è finito. Ancora un ultimo colpetto… adesso basta. Girati che ci occupiamo della tua parte davanti.
Jessica è una carogna, lo avevo sempre saputo, e quando c’è da pasticciare con la fica di una donna non riesce a resistere.
Fece colare l’olio e cominciò a spalmarlo con il palmo della mano, facendo pressione.
Dopo qualche decina di secondi il movimento, che stimolava anche il clitoride, cominciò a fare effetto.
Il respiro di Monica si fece più pesante.
Jessica perse ogni ritegno e cominciò a passarle le dita su e giù tra le grandi labbra. Io presi ad accarezzarle le tette e a stimolarle i capezzoli.
– Allarga di più le cosce, che Jessica non riesce a lavorare bene – mi divertivo alla grande…
Monica ubbidì.
Era nelle mani di Jessica, che cominciò a lavorarla con due mani: con la destra la penetrava col medio e l’anulare e con la sinistra le massaggiava il clitoride con grande maestria.
Monica gemeva piano, vergognandosi adesso non solo della sua nudità e dell’indifesa esposizione delle sue parti più segrete, ma anche della sua reazione di fronte al sapiente tocco di una donna esperta e sussultava buttando la testa all’indietro.
Allora le presi le caviglie e le rovesciai le gambe sopra la testa, tenendole sempre ben aperte.
Monica lanciò un gemito ancora più forte, sordo, di gola.
Infilai la mano sotto quelle di Jessica e raggiunsi il suo buco posteriore, giusto in tempo per infilarci un dito e avvertire le contrazioni anali del suo orgasmo. Salutai Jessica con una generosa mancia e un bacio sulla bocca. Monica si stava alzando dal lettino con un’aria frastornata.
– Bene, cara, il tuo primo orgasmo lesbico. Ce ne saranno molti altri. Ma adesso pensiamo alla cena. Apparecchierai in sala da pranzo solo per me, usando bicchieri di cristallo per l’acqua e il vino e posate d’argento. In cucina troverai mozzarella e pomodori. Preparami una caprese, che la sera preferisco non esagerare. Poi aprimi una bottiglia di rosato del Salento. Quanto tutto sarà pronto mi chiamerai e mi servirai a tavola. Dovrai rimanere nuda, ma potrai coprirti con il grembiulino che troverai in cucina. Poi servirai il dessert.
– Va bene, Daniela.
– Io darò un’occhiata al notiziario qui in biblioteca mentre ti aspetto. Non tardare.
Dopo una ventina di minuti Monica venne ad avvisarmi che potevo accomodarmi a tavola. Si era messa il grembiulino bianco che avevo lasciato in cucina per lei. Era troppo piccolo per qualsiasi donna e per lei era addirittura ridicolo. I seni le uscivano da tutte le parti dondolando quando camminava e la parte inferiore copriva appena il pube, lasciando scoperte le gambe.
Ma il laccetto sulla schiena incorniciava il magnifico didietro con un effetto elettrizzante.
Monica comunque aveva fatto un buon lavoro e sul grande tavolo di mogano della sala da pranzo, a capotavola, aveva sistemato una tovaglia individuale di lino bianca con un ricamo in un angolo. Sopra erano adagiati in perfetto ordine un sottopiatto d’argento con un piatto Rosenthal bianco, un tovagliolo della stessa serie della tovaglia, lino bianco ricamato, ripiegato a triangolo alla mia destra, posate d’argento Camusso, acquistate durante un viaggio in Sud America prima che la fabbrica chiudesse i battenti, e bicchieri sempre Rosenthal, la mia marca favorita. Quello dell’acqua era già colmo.
– Spostami la sedia che mi devo sedere.
– Subito Daniela. – allontanò la sedia dal tavolo e mentre mi sedevo me la riavvicinò, come un gentiluomo.
– Portami la caprese. Svelta.
– Subito, Daniela.
Sparì in cucina voltandomi le spalle e dando del dondolare delle sue chiappe uno spettacolo da non poter toglierle gli occhi di dosso.
Mi portò l’insalata in un piatto di portata e cominciò maldestramente a servirmi con una forchetta e un cucchiaio, entrambi sorretti con la mano destra, come i camerieri.
Ma chiaramente era in difficoltà e manovrava con molta circospezione. Per metterla ancora più in imbarazzo le misi una mano in mezzo alle gambe e risalii piano verso il pube.
Carezzai l’interno delle sue cosce, poi arrivai alle grandi labbra, che cominciai a stuzzicare con piccoli pizzicotti. Le sue mani tremavano e l’operazione di servirmi il cibo divenne ancora più difficile.
– Allarga un po’ le cosce, tesoro, altrimenti non riesco a prenderti tutta la tua patata nella mia mano- E stai attenta a non far cadere i pomodori sulla mia camicia.
– Sì Daniela.
Ma non avevo un vero e proprio scopo erotico. Volevo soltanto imbarazzarla e renderle il compito più difficile.
Intanto in qualche modo aveva riempito il mio piatto, così le dissi di tornare in cucina e di mangiare qualcosa, sempre stando pronta se l’avessi necessitata.
La chiamai quando ebbi terminata la mia frugale cena (alla sera cerco di mangiare pochissimo. Ci tengo alla linea e basta un nulla per ritrovarsi un girovita improponibile).
– Adesso versami un bicchiere di vino. Ma voglio che tu lo faccia con un mio dito tra le tue chiappe. Voglio vedere se riesci a non versarne nemmeno una goccia fuori dal bicchiere. Quindi prima sporgi il culo e allarga bene le gambe. Comincia a versare quando te lo dico io.
Allungai la mano e le toccai prima la sua fica e mi accorsi che era bagnata per le carezze precedenti.
Mi umettai l’indice con i suoi umori e, stando attenta a non graffiarla con la mia unghia laccata di rosso, feci un primo tentativo di penetrazione. Ma Monica strinse lo sfintere e il mio dito restò bloccato a metà percorso.
– No, cuoricino, devi stare più rilassata. Questa vecchia lesbica deve poter accedere alle tue viscere. Altrimenti non sarà soddisfatta. E se non sarà soddisfatta non lo sarete nemmeno voi, tu e tuo marito, quando andrete a dormire sotto i ponti. Quindi ora fai un bel respiro, rimettiti in posizione, cerca di spingere leggermente e lasciami fare.
– Farò del mio meglio, Daniela. Scusa.
Era imbarazzatissima, rossa di vergogna e non riusciva a guardarmi in faccia.
Questa volta usai anche l’altra mano per aprirle bene le natiche e con i pollici cercai di distenderle bene la pelle vicino all’ano fino a che non vidi che si rilassava un po’.
Era magnifico. Una gradazione di colore solo minimamente più scura del resto della pelle, bianchissima, dell’interno delle natiche. Sembrava dotato di vita propria.
Lo penetrai con più decisione, fino in fondo, facendola emettere un gridolino. E una smorfia di dolore.
– Su, cara. Non ti preoccupare, passa subito. Ora versami il vino lentamente, mentre ti scopo nel culo col mio indice.
Prese a fatica la bottiglia e cominciò a versare. Ebbe come un tremore, vacillò un attimo, ma riuscì a non sporcare la tovaglia. Intanto il mio indice era uscito e rientrato tre o quattro volte.
– Brava, amore. Neanche una goccia – le dissi con il mio dito ancora saldamente piantato nel culo – Però bisogna fare qualcosa con queste limitazioni anali che hai. Altrimenti venerdì, quando ti sodomizzerò, ti spaccherò in due. Dobbiamo allargarlo un po’. Ci penseremo questa notte.
– Come vuoi tu, Daniela.
– Ora è il momento del dessert.
– Ma… non ho visto nessun dessert, Daniela.
– Non ci pensare. Sparecchia, togli tutto tranne la tovaglietta e torna qui, senza grembiule, stavolta. Questa sera, per dessert, patata!
Così, quando tornò, nuda, le chiesi di sedersi sul bordo del tavolo, proprio sopra la tovaglietta davanti a me, poi sdraiarsi e allargare le gambe.
– Di più! – Le dissi
La sua vagina appena depilata era a pochi centimetri da me, aperta, esposta, indifesa. Invitante.
Con le dita le aprii le grandi labbra, poi un po’ di più, fino a che anche le piccole labbra cominciarono ad aprirsi da sole, cominciando dal basso, rivelando il rosa delle sue carni interne.
La osservai per qualche secondo, forse un paio di minuti, sempre tenendola aperta, ma con le dita spinsi anche verso l’alto, scappucciando il piccolo clitoride. La visione era davvero travolgente. Allora cominciai a darle lunghi colpi di lingua, dal perineo fino al clitoride. Lei era bagnata, anche se non esageratamente. Aveva subìto tutti quei toccamenti, aveva avuto un orgasmo, ma era ancora rigida, spaventata e piena di vergogna.
Con la lingua ci so fare. È il mio attrezzo del mestiere e ho un lungo allenamento. E ne ho leccate di fiche, nella mia vita. Decine. Forse un centinaio. E sebbene qualcuna non mi sia piaciuta affatto, è l’attività che mi piace di più al mondo. La mia lingua è calda, morbida, molto lunga e sa irrigidirsi, quando serve, nei punti giusti.
Con la testa fra le sua cosce leccavo appassionatamente i suoi umori, beandomi del profumo, del sapore, del contatto delle sue morbide labbra con le mie, ma quelle di sopra. La sua intimità continuava a produrre fluidi e io ci ficcai dentro il naso, e poi il mento. Volevo la faccia coperta dei succhi del suo piacere. Mi faceva impazzire.
Avevo perso la cognizione del tempo quando lei cominciò a inarcare la schiena e a muovere il bacino, non capivo se per sottrarsi o per venirmi incontro. Poi mi concentrai sul clitoride cominciai a dardeggiarci sopra la punta della lingua con colpi rapidissimi, una mia specialità. Intanto la scopavo con due dita nella vagina, cercando di raggiungere il punto G.
I suoi movimenti si accentuarono e capii che era vicina all’orgasmo. Non c’è niente da fare.
Noi donne siamo tutte troie.
La sua testa sbatteva a destra e a sinistra, la sua mano mi prese per i capelli schiacciandomi contro di lei e il suo bacino sussultava indemoniato. Improvvisamente emise un grido rauco, basso, che quasi mi spaventò perché fino ad allora era rimasta in silenzio e non me l’aspettavo.
E venne.
Un orgasmo spaziale, lungo, infinito, accompagnato dai suoi mugolii e dal solito contrarsi ritmico del pavimento pelvico che si riverbava nella fica e nell’ano, sul quale avevo appoggiato il pollice per non perdermi la dimostrazione del suo piacere e la prova dell’autenticità del suo godere.
– Stai ferma così. Aperta e bagnata per me. Riprendi fiato.
Mi alzai torreggiando tra le sue cosce e le carezzai i seni, guardandola negli occhi. Ci lessi sorpresa, incredulità, vergogna… Ma anche riconoscenza, questa volta. Appoggiai la guancia sul suo monte di venere, mentre la carezzavo delicatamente dall’ano al clitoride e ritorno. Poi mi alzai e le dissi:
– Adesso basta. Vai in cucina e lava i piatti, poi raggiungimi in sala che voglio seguire la mia serie favorita. Col sesso continueremo stanotte a letto.
Si alzò a fatica, lasciando un lago sulla tovaglietta di lino. Mi alzi anch’io, con l’odore dei suoi succhi sulla mia faccia, a ricordarmi la sessione di lingua appena conclusa. Volevo stravaccarmi sul divano, ma prima passai dalla mia camera a spogliarmi e mettermi qualcosa di comodo. Mi tolsi tutto e indossai una T-shirt dei Led Zeppelin di un paio di misure più grande che mi faceva da camicia da notte e passai in sala. Dopo qualche minuto Monica mi raggiunse e al mio cenno con gli occhi si sedette ai miei piedi. Per un po’ guardammo la tv, poi le chiesi di portarmi il vino che avevo lasciato sul tavolo. Quando lei si risistemò ai miei piedi le dissi di tenermi il bicchiere, mentre le carezzavo le tette. Erano veramente uno spettacolo e ci persi davvero una buona mezz’ora. Io ero ancora piena di desiderio perché non avevo ancora avuto il mio orgasmo.
La tv era accesa, il dottor House stava stabilendo che non si trattava di Lupus, ma io ero distratta dalle sue tette e dal pulsare della mia patata. Allora allargai le gambe e le girai la testa prendendola per il mento in modo che il suo sguardo puntasse tra le mie gambe.
– Guarda la mia prugna. La vedi?
– Sì, Daniela.
– Stasera dovrai avere un incontro ravvicinato con lei. Sai come fare?
– No, Daniela.
– Non hai mai leccato una fica?
– No, Daniela.
– Non è difficile. Cerca di fare come ho fatto io con te. A proposito: ti è piaciuto?
– È stato sorprendente.
– In bene o in male?
– No, per carità… Bellissimo. Solo non credevo possibile che…
– Da uno a dieci, quanto?
– Sinceramente non ho mai goduto così in vita mia.
– Quindi mi sembra opportuno che tu mi ringrazi, per quanto ho fatto per te. Giusto?
– Grazie, Daniela.
– No, però non va bene. Non siamo all’asilo. Ripeti con me: grazie Daniela per aver leccato la mia fica come nessun altro e per avermi fatto godere come una troia in calore.
– …
– Forza!
– Ma… mi vergogno…
– Monica, ti sembra che io abbia speso mezz’ora del mio tempo a leccare la tua sfondatissima fica, con la mascella e la lingua che mi fanno male per sentirmi dire una frase da educanda? Quando godevi come un puttanone non mi sembravi tanto timida, no? Adesso non ti vergognare e ringraziami come si deve e come mi merito.
– Gra… Grazie Daniela… per avermi leccata…
– Leccato cosa?
– La mia fi… fica.
– E poi?
– E avermi fatto godere…
– Godere come?
– Come una… troia.
– Bene. Hai visto che non è stato difficile? Stasera a letto dovrai farmi godere allo stesso modo, troietta.
– Va bene, Daniela.
– Poi domani dovremo pensare ad altro. Non ti posso vedere a piedi nudi o con quei mocassini con cui vai in giro. Mi sono liberata dal lavoro per questi tre giorni, con l’eccezione di giovedì a pranzo e per metà pomeriggio, per un incontro improcrastinabile con i nostri clienti più importanti. Quindi domattina sono libera e andremo a fare spese e ti comprerò delle scarpe col tacco alto per stare in casa. Dovrai sempre metterle perché tutta la tua figura ne beneficerà, il culo in particolare. Inoltre tieni conto che benché nuda, dovrai essere sempre irreprensibile come aspetto. I capelli lavati e fonati tutte le mattine, un filo di trucco, le unghie sempre ben dipinte. Anche se si tratta di fare qualche semplice lavoretto domestico. Non voglio sciatterie in casa mia. Restammo ancora un po’ sul divano a guardare il dottor House che terminava di salvare la vita ad un adolescente paralizzato e poi le dissi di salire a prepararsi per la notte che l’avrei raggiunta in breve.
– Non dimenticarti di raccoglierti i capelli in un codino, che ho bisogno di un manico per la tua testa.
Poco dopo la raggiunsi nel mio letto.
Mi aspettava, nuda come lo era stata sempre dal momento, poche ore prima, in cui le avevo tolto i vestiti per esaminare il suo corpo.
Salii sul letto, poi sistemai i cuscini contro la spalliera e mi ci appoggiai contro.
Aprii le gambe al massimo mostrando la mia patata ben rasata tranne che per un triangolino di corto pelo bruno.
– Forza, avvicinati. Tocca a te. Abbassa la testa, così. brava. Adesso tira fuori la lingua e comincia a leccare. No! No! Le mani tienile dietro la schiena. Voglio solo la tua lingua.
Con una certa esitazione Monica avvicinò la bocca alla mia fica che trasudava umori e, cercando di ignorarne l’odore pungente, timidamente tirò fuori la lingua e diede la prima leccata della sua vita a una fica.
Più che altro appoggiò la punta della lingua in mezzo alle mie grandi labbra.
La presi per il codino e schiacciai la sua faccia contro di me.
– Lecca, lecca! Fai vedere a mamma cosa sai fare! Muovi la lingua, tirala fuori, non aver paura, che mi fai morire!
La sentii rinculare, con un conato di vomito.
Se non ti piace credo che sia come per un uomo prendere un cazzo di un altro in bocca. Da vomitare.
Ma la tenni con forza schiacciata tra le mie gambe.
– Muovi quella lingua! Forza! Più svelta!
A quel punto, visto che lei si muoveva con troppa cautela, cominciai io a muovere il bacino sfregandomi contro la sua faccia che tenevo ferma per il codino.
Sentii l’orgasmo arrivare.
– Brava, così! Vai dentro la mamma con la lingua!
E venni.
Finalmente.
Mi sdraiai a prendere fiato e tirandola per il codino la costrinsi a sdraiarsi su di me, il suo corpo nudo contro il mio, le sue tette sparse sul mio petto, la sua bocca sporca dei miei umori all’altezza della mia.
La baciai con passione assaporando il suo e il mio sapore. Che donna!
– Mi hai fatto godere!
– Sono contenta, Daniela.
– Sono la prima donna che fai godere?
– Sì, Daniela.
– È una sensazione incredibile. Vedrai che non te lo scorderai facilmente. Si prova per un attimo un senso di onnipotenza. Far godere una donna non è facile. Con un uomo è una cosa meccanica: glielo meni per un po’ e lui viene. Con le donne ci vuole maestria, invece. Tu hai ancora molto da imparare, ma sei stata comunque bravissima. Adesso sdraiati supina che comincia il secondo round.
Quando mi sedetti sulla sua faccia e le chiusi il naso con le grandi labbra vidi il terrore nei suoi occhi. Non riusciva a respirare, così le dissi:
– Se vuoi che mi tolga devi tirare fuori la lingua e leccare. La tua lingua dovrebbe essere all’altezza del mio buco del culo. Forza datti da fare.
Dopo un attimo sentii la sua lingua raggiungere l’ano. Presi le mie grandi labbra e le aprii per consentirle di respirare, ma non mi sollevai dalla sua faccia. Doveva respirare aria al profumo di fica.
Mi risistemai avendo cura di accomodare le mie grandi labbra con le dita in modo da chiuderle il naso di nuovo.
L’unica maniera per lei di respirare di tanto in tanto era leccarmi il culo, cosa che faceva disperatamente.
Mi girai al contrario in modo che la sua bocca questa volta fosse a contatto con la mia fica.
– Lecca, bambina, lecca la mamma, fammi godere.
E, diavolo, come mi face godere! Forse la tensione sessuale accumulata nelle ultime ore insieme alla posizione, seduta sulla sua faccia col suo corpo nudo davanti ai miei occhi, avevano accentuato le sensazioni, ma più che un orgasmo il mio fu un’esplosione nucleare. Ondate di piacere che pareva non finissero mai.
Ebbi addirittura una specie di eiaculazione femminile, una cosa che non mi era mai successa che bagnò il corpo di Monica e che mi procurò un piacere intenso e sconosciuto.
Anche una vecchia e navigata lesbica come me aveva sempre da imparare. Il potere che avevo su di lei era un afrodisiaco incredibile, mi sentivo sempre bagnata e vogliosa.
Rimanemmo sdraiate qualche minuto per recuperare fiato. Poi presi dal cassetto del comodino un plug anale e le dissi:
– Forza girati e alza il culetto, che è ora della suppostina.
Monica mi gratificò di uno sguardo impotente e disperato, ma lentamente si girò.
Bagnai il plug con la saliva e lo accostai al suo buco.
– T’avevo detto che sei troppo stretta, Dobbiamo allargarti un po’. Ho preso il più piccolo, stanotte lo terrai dentro e domattina lo toglieremo, ma domani notte ne metteremo uno più grande e giovedì uno ancora più grande.
E piano piano glielo infilai.
– Dovrai tenerlo tutta la notte. Ora vattene e lasciami dormire. Svegliami domani alle otto.
Si alzò dal letto muovendosi a fatica per il fastidio del plug nel culo.
La mattina successiva mi svegliò con il caffè.
La visione di lei nuda di primo mattino fu davvero eccitante.
La feci sdraiare e le tolsi il plug anale. Con delicatezza.
Il suo ano reagì contraendosi con un elegante movimento che mi fece subito sentire il calore tra le mie cosce.
Ormai conoscevo bene il corpo di Monica. Ne ero affascinata e mi chiedevo come avrei fatto una volta che il nostro accordo si fosse concluso.
Comunque le dissi di precedermi nel grande box doccia che avevo fatto costruire apposta per due persone. La raggiunsi dopo qualche minuto e le chiesi di insaponarmi.
Cominciò con la schiena, poi le spalle. Quindi il petto.
– Insisti, così!
Poi le gambe. Si inginocchiò e le appoggiai un piede sul suo seno per farmelo lavare a dovere. Poi l’altro.
Le dissi di continuare a insaponarmi ma senza usare le mani, solo il seno.
Così fece.
Tetta contro tetta, poi le sue tette sulla schiena, sulla chiappe, scivolose e insaponate, ma sempre apportatrici di sensazioni sensuali.
Quando cominciò a far scorrere le sue poppe sulla mie gambe ero già bagnata in modo vergognoso.
Mi voltai verso il muro, appoggiai le mai alle piastrelle a mosaico, allargai le gambe e spinsi il culo in fuori.
– Fammi venire, Monica, toccami. Una mano sul seno e l’altra sulla fica. Fammi godere. No, non penetrarmi, non mi piace la penetrazione. Rimani in superficie. Clitoride, piccole labbra… Diomio, che tocco delicato! Più veloce, ora, ecco, così! Stai imparando in fretta!
Mi fece urlare. Veramente questa cagnetta mi stava viziando.
Dopo qualche tempo, ormai vestita e colazionata, la portai nella stanza dei vestiti.
Una mia amica organizzava delle riunioni per il suo circolo di amiche e vendeva loro dei capi alla moda che ritirava dalle sfilate.
Io non compravo mai nulla, perché il mio stile era troppo mascolino per quegli abiti fru fru, ma le lasciavo usare una delle mie stanze per tenerci il suo magazzino. A me non costava nulla e avevo modo di conoscere molte signore, tra le quali di tanto in tanto intravvedevo qualcosa di interessante per me.
La mia amica trovava sempre il modo di sdebitarsi, magari regalandomi qualche accessorio o …in altro modo.
La vestii con una mini nera corta a metà coscia che le fasciava il culo in modo molto aderente e una larga blusa senza maniche grigia con una scollatura non molto pronunciata, ma che se si fosse chinata in avanti avrebbe lasciato vedere completamente il suo florido seno.
Niente slip, niente reggiseno, niente calze.
– Andiamo a comprarti le scarpe, forza.
La portai da Shoe’s, il negozio più alla moda della città. C’era una ragazzetta timida che mi intrigava e che avrei avuto piacere di imbarazzare.
Entrammo e dissi subito alla giovane commessa:
– Qui da noi subito! Questa mia giovane amica ha bisogno di scarpe. Volevamo vedere qualche decolleté tacco undici.
– Subito signora.
La ragazza se ne andò, chiedendosi come mai quella che aveva bisogno di scarpe era la mia amica, ma chi le sceglieva ero io.
Tornò con cinque o sei scatole e cominciò a mostrarci la mercanzia.
– Queste no… Queste nemmeno… Queste rosse, magari. Monica, provale.
Monica si sedette. La ragazzetta era proprio davanti a lei, con la testa all’altezza delle sue ginocchia.
Appena seduta la giovane commessa si accorse subito che la gonna stretta non copriva uno spazio tra le gambe, seppur strette alle ginocchia, che permetteva agevolmente di vedere che non portava slip e che era completamente depilata.
Arrossì violentemente, imbarazzatissima. Anche Monica era rossa dalla vergogna.
La cosa divenne più grave quando si trattò per la ragazza di infilare la scarpa sul piede destro di Monica, che fu costretta ad alzare un ginocchio e ad allargare leggermente le gambe lasciando così la sua patata in piena vista.
Infilata anche la sinistra, dissi:
– Monica, tesoro, fatti vedere. Alzati in piedi.
Si alzò, dando ulteriore spettacolo.
Le rosse erano delle Terry De Havilland di coccodrillo, appuntite, molto scollate e con un laccetto alla caviglia che faceva tanto schiava. Monica stava meravigliosamente: i suoi polpacci prendevano consistenza e il culo sembrava più alto. Si avvicinò allo specchio obliquo sul pavimento per osservarsi meglio e la commessa, che era ancora seduta sul basso sgabello, guardando lo specchio aveva una visione privilegiata dei tesori sotto la gonna di Monica. La quale si piegò in avanti per controllare le scarpe e diede spettacolo con le sue tette, libere sotto la blusa. La piccola commessa non sapeva più dove guardare, vergognosa e imbarazzata.
Forse anche incredibilmente eccitata, a giudicare dal luccichio dei suoi occhi.
– Bene, la mia amica prende queste. Adesso portaci qualcosa di nero.
Tirò fuori delle Manolo Blahnik classiche da mille euro.
– Forza, aiuta la mia amica a togliere le rosse. Prendile il polpaccio e tira! E tu Monica, alza bene la gamba!
Forzai la piccola al contatto fisico con le gambe di Monica mentre il ginocchio alzato rendeva la giovane estremamente consapevole della fica nuda di Monica a meno di mezzo metro dalla sua faccia.
– Bene. Monica prende anche queste.
Pagai, dissi a Monica di raccogliere il sacchetto (e piegandosi ebbe modo di esibire le tette in tutta la loro bellezza) e ce ne andammo.
Non senza prima passare la mano, uscendo, sul sederino della piccola. Una carezza che terminò affettuosamente con una pacca amichevole.
Lei non reagì.
Mi ripromisi di ripassare una volta terminata questa storia.
grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…