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Il segnalibro

By 13 Marzo 2014Ottobre 13th, 2021No Comments

Siamo nel 2014, maledizione! Io ho sessantacinque anni e mia moglie cinquantanove! Com’è possibile che scopra a quest’età un tradimento del 1991? Ventitré anni dopo?

 

 

Eppure è quello che è capitato. 

Mi annoiavo, in pensione. Mia moglie Dolores (non sopporta che la si chiami così, tutti infatti la chiamiamo Dolly) non mi voleva tra i piedi la mattina e mi buttava sempre fuori per essere più libera per le pulizie. 

Così cercavo di tirare tardi. Prendevo la bici e andavo al circolo a bere un caffè e magari a cimentarmi in una mano o due di scopa con gli altri avvinazzati già alla terza grappa alle undici del mattino.

Oppure passavo dalla biblioteca del quartiere a dare un’occhiata ai giornali, e qualche volta alla fine mi fermavo al centro culturale dove c’è un internet point a scaricare la posta.

La signora del centro è una arzilla anziana che gestisce con energia le varie attività e con la quale sono entrato in confidenza, dopo i molti mesi che mi vedono visitare il posto quasi giornalmente.

 Quel giorno la donna era nervosa. Le chiesi il perché.

– Non trovo più il mio libro! Lo stavo leggendo con tanta passione e da ieri non lo trovo più!

– L’avrai lasciato a casa…

– No, ho cercato dappertutto, niente da fare! Devo averlo lasciato sul tram, oppure mi è caduto e non me ne sono accorta!

– Di che libro si tratta?

– Un poliziesco di Ed McBain. “Troppo caldo per l’87° distretto”. Ero quasi alla fine e stavo per scoprire l’assassino… Mi darei delle martellate in testa per la mia sbadataggine!

– Hai provato a cercarlo in biblioteca?

– Non ce l’hanno più! È vecchio, dell’81!

– Mi spiace, non so come aiutarti…

– Pazienza. Mi dovrò rassegnare ad acquistarlo su Amazon. Un’altra volta!

 E mi dimenticai della cosa.

 Due settimane dopo mia moglie entrò in sala come cercando qualcosa e cominciò a sollevare i cuscini del divano.

– Cosa cerchi?

– Il mio maledettissimo libro. È tutta la mattina che lo cerco. Ah, eccolo! – disse, raccogliendolo da sotto il calorifero.

– Beata te. Pensa che invece Eugenia il suo non l’ha trovato più…

– Ha perso un libro?

– Sì. Un giallo.

– Ti ricordi quale?

– Uno di Ed McBain, dell’87°. C’entra col caldo.

– Non sarà “Troppo caldo per l’87° distretto”?

– Mi pare proprio quello.

– Pensa che lo stavo leggendo quand’ero incinta di Marta. Mi ricordo benissimo di quel libro. Una storia appassionante. Forse ce l’ho ancora da qualche parte negli scatoloni in cantina…

 E fu così che la domenica pomeriggio, invece di guardare il Milan in tv, scesi in cantina a cercare in mezzo alla polvere dei secoli se potevo fare un favore alla mia anziana amica.

Infatti lo trovai. Sporco e ingiallito, ma ancora in buone condizioni. Almeno le pagine erano ancora attaccate…

Soffiai via la polvere e me lo misi in tasca con l’intenzione di fare una sorpresa a Eugenia il giorno successivo.

 Ne fu contenta. Lo aprì con la felicità negli occhi. Mi ringraziò e fece per metterselo nella borsa quando dalle sue pagine cadde un foglietto che probabilmente mia moglie usava come segnalibro.

Lo raccolsi e me lo misi nella tasca della giacca notando a malapena che si trattava di un cartellino intestato “Novotel”, ma non ci feci caso più del necessario.

 Fu solo un paio di giorni dopo, quando cambiai la giacca che nel trasferire tutte le cose inutili che mi si accumulavano in tasca, che mi ritrovai il cartoncino tra le mani.

Era intestato “Novotel – viale Suzzani 13 – 20162 Milano” ed era un promemoria per ing. Mascherpa e signora per la camera 312 per il giorno 17 marzo 1991.

Ora, l’ingegner Mascherpa sono io. Ma sono sicuro di non essere mai stato al Novotel di viale Suzzani, visto che casa mia non dista più di cinquecento metri da quell’albergo. Che cosa ci sarei mai andato a fare con mia moglie?

Eppure avevo ancora il dubbio di sbagliarmi: certo non ci avevo mai passato una notte, ma ricordavo vagamente di averci avuto a che fare al tempo della sua edificazione perché il locale Consiglio di Zona, di cui facevo parte, stava negoziando la costruzione di un auditorium da mettere a disposizione dei cittadini, e si stava pensando di chiedere all’hotel di provvedere in conto agli “oneri di urbanizzazione” a cui avrebbe dovuto far fronte.

Magari in una di quelle riunioni qualcuno si sarà divertito a scarabocchiare il mio nome su uno dei loro cartellini. Chissà.

Comunque un paio di controlli li avrei potuti fare: ogni tanto incontravo il vecchio direttore del Novotel, ormai in pensione, con il quale avevo negoziato la storia dell’auditorium. Era un fervente cattolico e la domenica mattina lo vedevo sempre uscire dalla chiesa dopo la messa delle dieci.

Avrei potuto chiedergli come fare per risalire agli archivi di quell’anno.

Intanto però non ero preoccupato.

Certamente ci sarebbe stata una spiegazione logica e esauriente. E poi era passato tanto tempo…

Tornai a dimenticarmi del cartoncino.

 La settimana successiva Dolly mi chiese di portare qualche capo di vestiario in tintoria, tra cui la mia giacca.

Mettendo sul banco gli abiti, mi ricordai del promemoria del Novotel e cercai nella tasca se ci fosse ancora. Ovviamente mia moglie aveva svuotato le tasche, così al mio ritorno le chiesi se non avesse trovato una nota del Novotel nella tasca della giacca.

– Non so, Bruno, tutto quello che ho trovato l’ho lasciato sul tuo comodino.

Controllai, ma il famoso biglietto non c’era.

 Strano.

Il biglietto ovviamente era stato nella mia tasca e Dolly mi aveva guardato dritto negli occhi e senza esitazione mi aveva mentito.

Non un minimo dubbio, non un attimo per cercare di ricordare.

 Cominciai a chiedermi se non ci fosse del marcio in Danimarca, come nell’Amleto di Shakespeare… 

 Perché Dolly aveva fatto sparire il cartoncino se non significava nulla di compromettente?

Ed ora perché cercava di convincermi a dimenticarmi della cosa?

– No, qui non c’è. Sei sicura di non averlo visto? Mi aveva incuriosito perché riportava i nostri nomi e noi non siamo mai stati in quell’albergo.

– Cosa vuoi che ne sappia? Dove l’hai trovato?

– Era nel tuo libro giallo, quello che ho dato a Eugenia.

– Guarda, lascia stare. Io non l’ho visto e non ricordo niente del genere. Non sarà per quella volta che tuo fratello è venuto a trovarci con Franca per il battesimo di Marta ed è rimasto in albergo?

Già. Vero. Mio fratello (che vive a Roma) era venuto, io avevo prenotato per lui e dato la mia carta di credito in garanzia. Ma il 17 marzo 1991 Marta non era ancora nata. Il suo battesimo, se ricordavo bene, si tenne un paio di mesi dopo la sua nascita, ossia nel febbraio 1992.

 Le date non quadravano.

Feci finta di accontentarmi della spiegazione, ma invece la mia mente cominciò a lavorare vertiginosamente, cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle.

Fu in quel momento che mi ricordai delle agende Olivetti.

 Quando lavoravo alla Banca Commerciale Italiana, nell’ufficio organizzazione, la Olivetti era uno dei nostri fornitori principali e distribuiva sotto Natale a tutti coloro che avevano a che fare con lei, me compreso, delle bellissime agende, con illustrazioni di qualità di grandi artisti contemporanei.

Le agende erano talmente belle che, seppur usate (e io avevo cura di usare solo la matita per prendere nota), le avevo conservate nella libreria del mio studio, ordinatamente disposte in ordine cronologico.

Cercai quella del ’91.

 L’artista era Maurizio Bottoni, un mito per me che amavo l’arte moderna.

E alla data dal 15 al 18 marzo mi ero appuntato “CeBit”, la grande fiera dell’informatica che si teneva tutti gli anni ad Hannover.

Maledizione! Ero in Germania! Altro che Novotel di viale Suzzani!

 Misi l’agenda nella borsa. L’avrei studiata con calma in seguito. Chissà, risalendo qualche settimana all’indietro avrei forse potuto trovare un indizio, una possibile spiegazione per i fatti del 17 marzo.

 Cominciai veramente a essere preoccupato, a sudare freddo.

La domenica successiva eccomi fuori dalla chiesa ad aspettare Federico Latini, la mia vecchia controparte nell’affare Novotel – auditorium.

Gli andai incontro sul sagrato e lo invitai a prendere un caffè con me.

 Gli raccontai le mie preoccupazioni e gli chiesi come avrei potuto fare per sapere qualcosa di più dagli archivi dell’albergo.

Mi spiegò che si trattava di dati riservati e che nessuno me li avrebbe dati nel timore che li avrei potuti usare in qualche processo.

 Dopo qualche insistenza, alla fine acconsentì a parlare con l’impiegata dell’archivio, una vecchia signora con cui aveva un rapporto di stima e di amicizia.

Per farla breve la signora accettò di riceverci nel suo ufficio. Sulla sua scrivania, come per caso, c’era il raccoglitore con l’archivio del marzo ’91.

Con una scusa la signora lasciò l’ufficio e ci lasciò soli.

Avidamente mi buttai sull’archivio. Scoprii che:

1) la prenotazione era stata effettuata da mia moglie tre giorni prima del fatidico 17 marzo.

2) la coppia aveva effettuato il check in alle 19:37 di quel giorno.

3) La cena e la camera erano state pagate in contanti dall’ing. Mascherpa (cioè da me???), insieme a una consegna speciale di fiori dal negozio nella hall.

4) Alle 21:33 una telefonata internazionale verso la Germania era stata effettuata dal telefono dell’albergo ed era stata caricata sul conto.

Ora ricordavo infatti che quando avevo chiamato a casa non avevo trovato nessuno, ma poi avevo ricevuto una chiamata da mia moglie che mi diceva di essere andata un attimo dalla vicina e di non aver sentito il telefono.

5) Il posteggio dell’auto, invece, era stato saldato con un assegno bancario a nome di Fernando Degli Esposti, in data 18/3/1991. Il bastardo aveva finito i contanti!

6) La colazione del mattino (per una sola persona) invece era stata pagata dalla signora.

 La cosa era chiara: mia moglie aveva passato una notte in una camera d’albergo con un certo Fernando Degli Esposti, che si spacciava per me.

Io ero un maledetto cornuto.

 Quando la anziana impiegata ritornò ero ormai rosso come un peperone per la rabbia e sudavo freddo.

 Le chiesi con voce rotta dall’emozione se ci fosse stato modo di sapere di altre prenotazioni a nome di mia moglie o di questo Degli Esposti, ma dopo una lunga ricerca on line mi disse che non risultava niente. Però mi segnalò che, dato che non vengono accettati assegni senza un documento di identità, il nostro amico Fernando aveva esibito un tesserino del corpo dei Carabinieri.

 Sempre più interessante. E sempre meno comprensibile.

 A casa ripresi in mano l’agenda Olivetti del ’91. Guardai le settimane precedenti e successive al fatidico 17 marzo.

Cercai di fare mente locale a quanto ci succedeva ventitré anni prima, ma non ricordai niente. Il mio primogenito Marcello era piccolo e Marta non era ancora nata.

 Eravamo una coppia indaffarata, ma serena e felice, così credevo almeno. Cercai di togliere dei puntini rossi con il dorso della mano dall’agenda, che mi parevano macchie di sporco.

Poi improvvisamente ricordai.

 Dolly mi aveva indicato i suoi giorni più fertili, perché stavamo cercando di mettere in cantiere un fratellino per Marcello e io li avevo segnati con uno, due o tre puntini rossi a seconda della probabilità che aveva di rimanere incinta. Il 17 marzo era segnato con tre puntini rossi. E infatti Marta nacque proprio nove mesi dooooop… CAZZO!!!

 L’enormità del pensiero che avevo avuto mi colpì con la violenza di un Frecciarossa lanciato a tutta velocità contro la mia testa.

 L’evidenza che avevo di fronte implicava la possibilità che non fossi il padre di Marta, il mio tesoro, la luce dei miei occhi!

Tutte le mie sicurezze, i miei affetti, erano da ripensare.

 La mia stessa vita era forse basata su una menzogna e avrebbe potuto essere una farsa, una presa in giro in cui io stavo recitando la parte dell’inconsapevole cornuto contento.

Cominciai a sudare freddo, mi sentii mancare.

Sentii dapprima un nodo alla gola e quindi come se una mano cercasse di strapparmi il cuore dal petto. Prima di perdere conoscenza feci in tempo a chiamare Dolly, che quando mi vide accasciato sulla sedia si spaventò a morte, ma non perse tempo e chiamò subito il 118.

 Mi portarono all’ospedale di Niguarda, al Pronto Soccorso. Mi visitarono con urgenza, codice rosso, e capirono subito che, benché si trattasse di crisi cardiaca, non era un infarto e la cosa avrebbe dovuto risolversi da sola nel giro di ventiquattro ore.

 Mi trattennero comunque per precauzione quella notte.

Il medico, la mattina successiva nel dimettermi, mi prescrisse delle pillole e mi consigliò di evitare le forti emozioni per qualche tempo.

Al che gli raccontai della mia scoperta e del dubbio che avevo avuto che Marta non fosse mia figlia. Approfittai per chiedergli come avrei potuto verificarlo con certezza.

Mi passò il nome di un paio di laboratori a Milano che nel giro di qualche giorno potevano effettuare un test di paternità con il Dna dei due soggetti interessati a prezzi abbordabili.

Marta stava studiando per un master in Inghilterra e non era più a casa. Ma mi ricordai che nella scatola dei ricordi era conservata in un cofanetto rosa una ciocca di capelli suoi di quando era una poppante. Ne raccolsi tre o quattro in una provetta.

Per sicurezza presi anche quelli di Marcello.

 Tanto valeva controllare tutto, non potevo più essere sicuro di nulla. Ci aggiunsi un campione della mia saliva su un bastoncino cotonato e consegnai il tutto nel pomeriggio ad un laboratorio di piazza Piola.

 Sarei passato la settimana successiva a ritirare i risultati.

 Intanto a casa l’atmosfera era davvero strana.

Da un lato Dolly era estremamente premurosa e sembrava sinceramente preoccupata per la mia salute.

Vedevo che mi spiava di sottecchi per assicurarsi che non stessi per avere un’altra crisi.

Però anche doveva aver visto la vecchia agenda Olivetti quando avevo avuto l’attacco, e a quale pagina era aperta.

 Qualche domanda doveva essersela posta, infatti l’agenda era sparita.

Ora sicuramente si stava chiedendo quanto sapessi e quanto avessi intuito.

La settimana successiva il laboratorio mi telefonò per avvisarmi che i risultati del test di paternità erano pronti.

 Ero pronto anch’io.

 

Quel giorno annunciai a Dolly che intendevo portarla fuori a cena il sabato successivo.
– Che ti prende, Bruno. Sei impazzito? Saranno cinque anni che non usciamo a cena noi due da soli.
– Che c’è, non ti piaccio quando mi comporto da inguaribile romantico?
– Romantico? Io pensavo che mi volessi portare alla solita affollatissima pizzeria…
– Niente pizzeria questa volta. Vestiti bene, che andiamo in un posto elegante. Ho proprio voglia di mettermi una cravatta. Da quando sono in pensione, non ne ho più messa una!
– Dove mi vuoi portare, Bruno, non esagerare! Sono momenti difficili questi e il prossimo mese dobbiamo pagare il master di Marta. Una bella sberla!
– Voglio farti una sorpresa. Ti dico solo di metterti in ghingheri e di tirare fuori i tuoi gioielli. Sabato potrai sfoggiarli.
Il sabato Dolly era luminosa, bellissima. S’irrigidì però quando mi vide entrare nel parcheggio sotterraneo del Novotel.
– Il Novotel?
– Dolly, mi hanno detto che nel loro ristorante è cambiato il cuoco e che il sabato preparano una paella eccezionale.
Durante la cena non badai a spese.
Ordinai del vino pregiato, dolci elaborati. La sala ristorante era poco frequentata, l’ambiente davvero romantico.

Colsi l’occasione per esprimere a Dolly tutta la mia riconoscenza per gli oltre trent’anni di vita felice insieme.
Ebbi modo di sottolineare come, sebbene avessi avuto molte tentazioni durante i miei frequenti viaggi in Italia e all’estero, mai, nemmeno una volta, l’avessi tradita.
Dolly mi guardava senza parole: la mattina ero un vecchio brontolone in ciabatte e la sera ero diventato un cavaliere romantico.
– Vieni con me, Dolly. Ho un’altra sorpresa.
La presi per mano e la condussi verso l’ascensore, e quindi al terzo piano.
Mi fermai davanti alla stanza 312. Dolly era sbiancata.
Estrassi la chiave magnetica ed entrai. Lei mi seguì, esitando. Chiusi la porta alle sue spalle.
– Dolly, lo scherzo è finito. Ora mi racconti tutto. Senza omettere nulla. Altrimenti uscirò da questa stanza da single.
Dalla cartella che avevo tenuto con me tutta la sera, estrassi una busta bianca.
– Sai cos’è questo documento?
– N… No.
– Si tratta dei risultati del test di paternità di Marta. Indovina cosa c’è scritto.
– Test di paternità? Oddio non ci posso credere! Eppure avevo preso tutte le precauzioni possibili! – Collassò sul letto e cominciò a piangere.
– So molte cose, Dolly. So di te e di questo bastardo Fernando Degli Esposti e della notte che avete passato in questa stessa stanza il 17 marzo del 1991, mentre io ero a Hannover. So che tu mi hai telefonato fingendo di essere a casa e invece eri qui a farti fottere da questo carabiniere del cazzo! So della cena, dei fiori e so che avete pagato tutto in contanti tranne il parcheggio della sua macchina, che ha dovuto pagare con un assegno. Come mai, Dolly? Quanto gli avevi chiesto per dargliela? Gli avevi preso tutti i contanti per la marchetta? – Stavo davvero perdendo le staffe.
– Come puoi pensare questo di me, Bruno! Non sono una puttana! E tu devi essere per forza il padre di Marta, ne sono quasi sicura!
– E allora spiegami come mai eri qui a cornificarmi con questo Fernando, mentre io ero in Germania all’oscuro di tutto! Quante altre volte te lo sei fatto? Quanti altri ce ne sono stati, Dolly? Quante volte ti sei fatta scopare da me con ancora lo sperma di un altro uomo dentro di te? Chi sei veramente, Dolly? Chi ho ingenuamente sposato io?
– Bruno, pietà! Come puoi accusarmi di queste cose?!
– Però ammetti di esserti fatta fottere da questo stronzo, no?
– Non posso certo più negarlo, a questo punto, no? Avevo preso tutte le precauzioni: preservativo, crema spermicida, diaframma… Non posso credere che sia stato lui a mettermi incinta!
– Perché con lui, Dolly? Chi cazzo è? Ti eri innamorata?
– Innamorata? Per carità! Io ho odiato quel maledetto bastardo! Ho dovuto sottostare al suo ricatto, ma in questa stanza avevo messo un microfono e ho registrato tutto, quindi da quel momento non ha più potuto ricattarmi. Ho sbagliato. Avrei dovuto fare come Serena e andare subito dalla polizia e denunciarlo! Comunque si è trattato solo di quella volta, te lo giuro, Bruno.
– Cosa c’entra Serena? – Questa Serena è una sua vecchia amica dei tempi del liceo, con la quale Dolly si vede ancora una o due volte l’anno.
– Serena era nella mia stessa situazione e ha subìto anche lei il tentativo di ricatto di quel carabiniere. Solo che lei è andata subito dai suoi superiori e l’ha messo nei pasticci. Ma lei non era sposata e aveva meno da perdere di me. Io mi sono fatta fregare. Ma solo quella volta, ti giuro, Bruno. – E ricominciò a singhiozzare disperata.

Io ero completamente perso a quel punto. Ricatto? Quale ricatto? Perché?
In ogni caso avrei potuto convivere col suo tradimento se si fosse trattato solo di questo episodio giustificato oltretutto da una coercizione esterna.
La strinsi tra le braccia per consolarla e le sue lacrime mi bagnarono la giacca. Provai una grande tenerezza per questa donna che aveva tenuto dentro di sé quel dramma per più di vent’anni. Chiaro, dovevo sapere tutto.
– Cos’hai fatto con questo carabiniere, Dolly?
– Il meno possibile. L’ho obbligato a mettersi il preservativo a ‘sto grassone sudato. Mi ha presa alla pecorina e dopo trenta secondi aveva già finito. Io per tutto il tempo ho cercato di non vomitare. Voleva toccarmi, baciarmi, ma io non l’ho permesso. Voleva che lo aiutassi a farglielo venire duro per un secondo round, ma io gli ho consigliato di menarselo da solo, che a me faceva schifo toccarglielo. Alla fine si spazientì per il mio atteggiamento e se ne andò durante le notte. Sesso tra noi ce n’è stato davvero poco. Più che altro ho cercato di farlo parlare per costringerlo a confessare il suo sporco ricatto e registrare le sue parole. Che, infatti, in seguito ho utilizzato per controricattarlo a mia volta. Se non mi vergognassi terribilmente te le farei ascoltare. Ho conservato la registrazione. Non si sa mai. Non so come abbia fatto a mettermi incinta, Bruno!
– Dolly, il Dna dice che sono io il padre di Marta.
– Ma… Come?! Mi hai fatto credere che…
– Non avevo nessuna prova per farti confessare, Dolly. Ti ho fatto credere che il Dna indicasse il contrario. E infatti ha funzionato. Adesso mi devi raccontare tutto. Come poteva ricattarti questo carabiniere?
– Non sai come sono sollevata! L’idea di aver messo al mondo un figlio di quel bastardo non era sopportabile per me. Mi ricattava perché collaborava con l’Interpol e aveva saputo del mio passato.
– Passato? Quale passato, Dolly?
– Bruno, ti prego, portami a casa. Qui mi sento male. Ti racconterò tutto, se proprio non puoi fare a meno di conoscere la mia storia. Non ne vado certo orgogliosa.

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A casa Dolly mi raccontò la sua incredibile vicenda.
Tutto era cominciato quarant’anni fa, nell’estate del 1974, quando lei e la sua inseparabile amica Serena, per celebrare la maturità liceale appena conseguita, se ne andarono zaino in spalla in California, a San Francisco, per una vacanza spensierata e piena d’avventure.
La California negli anni settanta era il paradiso dell’amore libero e delle droghe leggere e le due ragazze si fecero coinvolgere da entrambe le cose. Erano le uniche due italiane negli ostelli della gioventù che frequentavano, erano simpatiche, carine e disponibili e in breve divennero molto popolari.
In particolare Dolly cementò una certa “amicizia” con un ragazzo di nome Tom. Non era certo l’unico a beneficiare dei suoi favori, ma lui divenne in breve il suo partner principale. Anche Serena si diede molto da fare, ma con nessuno legò in modo speciale come Dolly con Tom.
Le due ragazze avevano però sottovalutato i costi della vacanza (e della marijuana…) alla fine della seconda settimana i soldi erano quasi finiti. Avevano previsto una permanenza di un mese e il biglietto di ritorno era previsto per un giorno ancora lontano. Cercarono di darsi da fare con qualche lavoretto in alcuni ristoranti italiani, ma la fatica era massacrante e i soldi pochi. Un giorno, infatti, dopo aver grattugiato per dieci ore senza interruzione un’intera forma di parmigiano, decisero di trovare qualche altra soluzione.
Fu proprio Tom a segnalare loro la casa di Jerome. Tom raccontò che questo Jerome era un miliardario con un’enorme casa nella quale amava circondarsi di belle ragazze in bikini intorno alla piscina. In pratica cercava di riprodurre le atmosfere di Hugh Hefner, il fondatore di “Playboy”. Le ragazze non ricevevano un compenso, ma potevano vivere nella villa e approfittare dei lussi disponibili: cibi prelibati, bevande di tutti i tipi, piscina, campi da tennis, anche capi di abbigliamento da prendere gratuitamente. L’importante era essere quanto più possibile discinte e farsi vedere in giro fraternizzando con gli ospiti, spesso persone importanti, ricche, qualche volta anche abbastanza famose. Jerome e i suoi ospiti passavano le serate ai tavoli da poker e giocavano cifre da capogiro.
Dolly e Serena non videro il pericolo e con la raccomandazione di Tom si presentarono una mattina ai cancelli del miliardario. Furono accettate, con loro grande sorpresa e il giorno successivo se la spassarono al bordo della piscina in bikini, con ospiti di grande classe e altre ragazze giovani e simpatiche come loro.
La sera le ragazze si vestirono bene si divertirono un mondo tra musica, balli e soste al bar con gli ospiti. Dolly e Serena conobbero diverse persone e benché notassero che sul finire della serata molti ospiti terminassero a letto con qualcuna delle ragazze, a loro nessuno chiese nulla e se ne andarono a dormire da sole, anche se molto tardi.
Il giorno successivo era sabato e la giornata passò come la precedente, solo che pareva che la casa fosse molto più frequentata. Durante il pomeriggio due ragazzi, (Tony e Jackson) si avvicinarono a loro e cominciarono a chiacchierare amabilmente. Tony si concentrò su Dolly e Jackson si dedicò a Serena. Erano simpatici, carini e davano l’impressione di persone per bene. La conoscenza si fece più intima durante la cena. Nel dopocena i due ragazzi si sedettero per un’oretta ai tavoli da poker dai quali si alzarono soddisfatti e allegri per la vincita che avevano conseguito. Un’allegria che contagiò le ragazze, alle quali parve naturale lasciarsi andare e finire a letto con loro, ciascuna nella sua stanza.
Dolly raccontò che Tony fu ardente ma rispettoso, curioso e avventuroso ma anche delicato e considerato. Alla fine verso le due si addormentarono abbracciati.

Per poco.

Poco dopo le tre, infatti, Tony la svegliò dicendole di vestirsi in fretta che Serena aveva avuto un incidente ed era ferita.
Dolly uscì dalla stanza in tempo per vedere la sua amica su una barella mentre degli infermieri la stavano caricando su un’ambulanza, cercando di coprire la sua nudità con un lenzuolo. Fece in tempo a vedere che aveva un occhio nero, un labbro spaccato e che perdeva sangue dal naso.
Un poliziotto chiese alla ragazza in barella chi fosse stato a conciarla così e quando Serena accusò Jackson, il poliziotto parve non aver sentito.
Non scrisse nulla sul suo taccuino, che invece chiuse. Si alzò senza fare altre domande e si mise a parlare per radio con la centrale, lontano da orecchie indiscrete.

Dolly salì sull’ambulanza con Serena e passò ciò che restava della notte con lei all’ospedale. Le sue condizioni non erano gravi, ma aveva contusioni su tutto il corpo.
Serena le raccontò che Jackson aveva cominciato a darle della puttana, a cercare di sottometterla torcendole un braccio e tirandola per i capelli per costringerla a praticargli un pompino.
Quando Serena si negò, Jackson perse le staffe e finì per menarla prima di andarsene con Tony alla chetichella dalla casa.

La mattina successiva la polizia chiese loro di passare dal comando.
Le due ragazze credettero di dover rilasciare una qualche dichiarazione o depositare una denuncia. Invece si videro accusare di prostituzione e furono rinchiuse in cella!

Fu loro assegnato un avvocato d’ufficio. Un cretino che suggerì subito che si dichiarassero colpevoli, perché la polizia aveva prove inoppugnabili: molti testimoni che dicevano di averle viste chiedere soldi e due ragazzi che giuravano di aver fatto sesso con loro a pagamento la sera prima.

Delle contusioni di Serena non se ne parlava proprio: sul rapporto del poliziotto c’era scritto che la ragazza era caduta dalle scale.

In confidenza l’avvocato disse loro che non avevano speranze. Jackson era figlio di un politico locale molto noto e nessuno avrebbe sposato la causa di due straniere contro un pezzo grosso della politica.
Il suo socio Tony era un dipendente di suo padre incaricato di coprirgli il culo dopo le sue bravate.

Alla fine finirono davanti a un giudice, si dichiararono colpevoli e furono espulse dal paese con la proibizione di ritornarci. Sui loro fascicoli risultò però l’indelebile macchia della condanna per prostituzione negli Stati Uniti.

Il carabiniere Degli Esposti si trovò per caso il vecchio fascicolo tra le mani e pensò di trarne vantaggio.
Prima con Dolly, che però gli giocò il tiro della registrazione della sua confessione riguardo al ricatto e in quel modo riuscì a evitare altre situazioni compromettenti.
Anzi, Dolly sostenne che lo strano furto nel nostro appartamento del 1992 dopo il quale trovammo tutto per aria, ma ben poche cose mancanti, fu un tentativo frustrato di Degli Esposti per impadronirsi della cassetta con la registrazione.

Tre mesi dopo cercò di costringere Serena a piegarsi alle sue libidini con la stessa scusa, ma lei fu ben più coraggiosa di Dolly e andò direttamente dal maresciallo come una furia e riuscì a convincerlo delle proprie ragioni adducendo l’esistenza di una registrazione nelle mani dell’amica che lo condannava senza appello.

Degli Esposti confessò e fu radiato dall’Arma.

Cosa potevo rimproverare a Dolly? Benché assurdo, il suo racconto aveva il sapore della verità e mi ritrovai a crederle completamente e a desiderare di abbracciarla e consolarla.

E fu proprio quello che feci.

Davanti a noi si prospettavano molti anni felici. Più felici ancora per via del peso che Dolly si era tolta dal petto e che si rifletteva anche, incredibilmente, nella nostra vita sessuale.

All’età di cinquantanove anni suonati Dolly, per la prima volta nella sua vita, mi permise il coito anale. Una cosa che è ormai entrata stabilmente nel nostro menù sessuale.

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