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La terra natìa non si dimentica

By 14 Maggio 2011Dicembre 16th, 2019No Comments

La terra natìa non si dimentica.

Avevo tanto atteso di finire le scuole superiori per evadere dal piccolo mondo del mio paesino calabrese. L’università veniva al culmine dell’adolescenza ed era appunto il passaggio fatale per emanciparsi dalle tutele familiari e per vivere appieno la propria autonomia. I racconti dei miei compaesani più grandi, che quel tragitto l’avevano fatto prima di me, non potevano che alimentare la mia fantasia e rendermi sempre più insopportabile il luogo natìo. Basta con le ipocrisie di una piccola comunità abbarbicata alle sue tradizioni di perbenismo e di repressione! Questo pensavo immaginando, per converso, alle donne che mi aspettavano in città e che mi avrebbero condotto nel mondo sconosciuto del piacere senza limiti e senza remore ‘. Del resto, la città che avevo scelto per l’Università, Bologna, era una promessa di bella vita e di goduria.
In verità, per quanto di studenti calabresi Bologna fosse piena, il mio ambientamento era stato più faticoso del previsto e il feeling con l’universo femminile più complicato di quanto immaginassi. In fondo ero pur sempre un ragazzotto di paese, forse un po’ imbranato, sicuramente alquanto complessato. Tant’è che, dopo sette-otto mesi di frequenza, con le colleghe di università avevo combinato un bel niente. E, se non ero rimasto all’asciutto, è per la troiaggine della padrona del monolocale che avevo affittato, la signora Iole, una maialona di 56 anni che si rifugiava nel mio letto tutte le notti che il marito era fuori, cioè un paio di volte al mese, e che in compenso mi praticava un notevole sconto sull’affitto.
Iole non era niente di che, si lavava approssimativamente, fumava come una turca, ma aveva un corpo ancora appetitoso ed era una vera assatanata, sbrodolava come una fontana e non avanzava obiezioni dinanzi ai desideri più perversi che mi venivano per la testa (e per il cazzo). Quando se lo prendeva in bocca sembrava una idrovora, mi tirava fuori anche l’anima. Era superingorda di sborra, diceva che la mia aveva il sapore della mandorla.
In paese mi chiamavano tutti Peppuccio, a Bologna mi facevo chiamare Pippo. Dal paesino natìo ero partito con la volontà di cancellarlo dalla mia mente. Da settembre ci ero tornato solo due volte: quindici giorni a Natale e una settimana per le feste pasquali. Mentalmente mi sentivo liberato dalle mie radici, guardavo alla vita di città come al mio destino. E facevo spallucce a mia madre tutte le volte che mi ricordava che la terra natìa non si dimentica per nessuna ragione, altrimenti essa maledice chi la tradisce.
Ma, finita la sessione estiva degli esami, ora tornavo per restarci un paio di mesi. Sapevo che mi aspettava la noia, ma anche un po’ di refrigerio dall’afa di città. Mia madre Teresa lavorava in una camiceria. Mio padre Michele invece conduceva una piccola azienda agricola che negli anni era cresciuta nel campo della esportazione dei prodotti agroalimentari nelle regioni contermini. Con lui lavoravano anche due miei fratelli più grandi, Pietro e Nicola, entrambi già sposati, che a scuola non avevano combinato nulla e che non perdevano l’occasione per ironizzare sulla vita comoda che la famiglia riservava a me, l’intellettuale di casa.
Dopo alcuni giorni che ero a casa mia madre insistette perché non poltrissi soltanto a letto, perché mi facessi vedere in giro e almeno compissi qualche dovere, come quello di andare a far visita alla zia Assunta, sorella maggiore di mio padre, che si era infortunata ad un piede.
La zia era una 54enne zitella e burbera, ma tutt’altro che spiacevole fisicamente, alta e robusta, con un culone largo e sodo e due tette non disprezzabili, una terza misura abbondante. Era maestra elementare, ma, come buona parte delle donne di paese, non faceva nulla per rendersi attraente, con quei suoi tailleurs fuori moda, quei capelli raccolti e tirati e quegli occhiali da segretaria di biblioteca.
Quando arrivai a casa sua mi accolse con un acido:
– Ah, chi si rivede?!… ti sei ricordata di avere una zia, finalmente’.
Aveva una gamba ingessata e si aiutava a camminare con un bastone. Mi raccontò che era caduta accidentalmente e si era ridotta in quelle condizioni che l’avrebbero costretta al gesso per almeno altri 15 giorni. Eravamo seduti in salotto e lei mise la gamba ingessata sulla sedia, e così facendo la vestaglia si aprì mostrando la coscia fin quasi all’inguine. Fui subito attratto dalla visione di quella cosciona ben tornita e, istantaneamente, il pisello reagì gonfiandosi sotto la patta dei jeans. Erano passati venti giorni dall’ultima volta che Iole era venuta a riscaldarmi il letto. Anche l’astinenza faceva il suo effetto. Respirai forte per dissimulare, poi azzardai:
– Zia, vuoi che ti faccia un massaggio alla gamba?
– No, no, che mi fa male’. Però, grazie della premura’ Veramente ne avrei bisogno, ma alla schiena. Mi tormenta da quando con questa ingessatura non posso camminare bene. Ma tu che ne sai di massaggi?…. ci vorrebbe un fisioterapista.
– E qui ti sbagli zia, sono bravissimo a fare i massaggi. A Bologna me lo ha insegnato un mio compagno di università che ha fatto un corso’.
Ovviamente era tutto inventato. L’eccitazione mi suggeriva di recitare sino in fondo la mia parte. La zia riflettè un attimo, poi, pensando che davvero avrei alleviato la sua sofferenza, accettò. Le dissi che avrebbe dovuto distendersi sul letto e togliersi la camicetta, e lei eseguì senza battere ciglio.
Le mie mani cominciarono a scorrere sulla schiena dall’alto verso il basso. Sempre più in basso fino ad arrivare all’inizio delle natiche. Anche se non avevo mai effettuato un massaggio, evidentemente ci azzeccavo, visto che la sentivo sciogliersi sotto le mie mani. Col passare dei minuti mi feci più audace e abbassai un po’ la gonna scoprendo la parte superiore delle natiche sorprendentemente sode. L’eccitazione crebbe ulteriormente e mi rese più paraculo e più impertinente:
– Però zia, lo sai che sei messa proprio bene!?
– Peppuccio, non prendermi per ‘..
– Zia, non ho motivo di fare l’adulatore ‘. Se lo dico, è perché sei davvero attraente! ‘. E guarda che in città se ne incontrano di donne di ogni genere e di ogni età ‘..
La zia fece cadere il discorso, ma il complimento le aveva fatto piacere. E, difatti, quando portai le mani proprio sulle sue chiappe, non ebbe nessuna reazione inconsulta, si limitò ad affondare la faccia nel cuscino come per non vedere. A quel punto le misi una mano tra le gambe e, piano piano, le feci scorrere più in alto accarezzandole delicatamente la figa sopra le mutande. Emise un leggero sospiro di piace e disse:
– Queste cose ti insegnano all’università? Ti insegnano a non rispettare la zia?
– Ti sto mancando di rispetto? Sto solo rendendo merito ad una gran bella donna, anche se è mia zia’.
– Senti Peppuccio, io sono in una fase della vita particolare, e se non la smetti di provocarmi non rispondo delle mie azioni. Non vorrei che succedesse qualcosa di cui potremmo pentirci ‘
– Io non mi pentirei di sicuro ‘
Zia Assunta ribolliva sotto le mie carezze insinuanti, le sue voglie represse la scuotevano, scostai le mutande facendomi strada con il dito medio nella sua intimità. Zia non parlava più, si era arresa; io le sfilai le mutande e infilai un secondo e un terzo dito facendoli scorrere nella sua figona. Lei aprì le gambe tenendo sempre la faccia affondata nel cuscino, mentre io mi abbassavo ad assaporare il suo sesso. Leccai le figa prima dolcemente, poi infilandoci la lingua, e lei sussultò raggiungendo un primo orgasmo. Ormai arrapatissimo, mi liberai dei pantaloni che feci volare insieme al boxer, e, posizionandomi dietro la sua schiena, puntai deciso la figa. Appoggiai la cappella già gonfia di voglia e spinsi penetrandola completamente. La zia non era affatto vergine, in quel momento mi tornarono alla memoria le tante dicerie che avevo raccolto negli anni precedenti sulle sue storie segrete (il farmacista, il maresciallo dei carabinieri, un impiegato comunale, persino un bidello) e cominciai a sbatterla sparandole addosso frasi oscene:
– Ah, zia ‘. ne hai presi di cazzi a quanto vedo!… E brava zia Assunta!… non ti sei sposata, ma il cazzo non te lo sei fatto mancare!…. beh, adesso è il turno di tuo nipote! ‘.. ah porcona! ‘.. e dire che me ne sono tirato di seghe sognando di scoparti!….
Con mio profondo stupore, la zia si ridestò dal silenzio e cominciò a rispondermi a tono:
– Peppuccio, non giudicarmi male ‘. Ti pare giusto che una donna come me avrebbe dovuto rinunciare completamente al sesso? ‘. Sapessi quanto tempo è che non scopo! ‘. A te ti ha mandato San Giuseppe, che ha avuto compassione di me! ‘. Dai, nipote mio, sbattimi!… non avere riguardi, vai avanti col tuo trapano! ‘. uh che belloooo!!! ‘ che bel cazzo duro che hai, Peppuccio!…. sì, sì, sfondami senza pietà!!!
La zia godeva in un susseguirsi di orgasmi incitandomi a prenderla come volevo. E io la presi sì come volevo. Mi sfilai dalla figa e puntai diritto il suo bel culone. L’avvertii:
– Zia, sei una gran figona’. ma devi sapere che mi sono sempre eccitato masturbato sul tuo culo’ hai un culo bello, poderoso ‘. e adesso me lo prendo!
Zia non fece una piega, anzi si rilassò ancora di più per facilitare la sodomizzazione. Affondai con tutta la mazza che sembrava un palo di cemento e trovai che anche il culo era abbastanza largo. Pensare che quella zia dall’apparenza tanto austera in realtà si facesse inculare mi inebriava. La inculai con vigore, quasi con violenza, e le palle sbattevano rumorosamente sulle belle chiappe sode. Fui preso da un travolgente orgasmo e liberai tutto il mio piacere dentro quel buco nero. Gli schizzi di sborra sembravano non finire mai; alla fine mi accasciai esausto su di lei.
Zia Assunta si rivelò una autentica troia assetata di sesso. Dopo avermi fatto rilassare, me lo prese in bocca facendomi un pompino da esperta bocchinara. Quando lo ebbe portato alla sua durezza massima, glielo sbattei a lungo nella figa, facendola sbrodolare come la peggiore della puttane. Nonostante l’impedimento della gamba parzialmente ingessata, godemmo come porci e alla fine mi pregò caldamente di tornare a trovarla.
Al contrario di quel che temevo, passai un’estate fantastica, sempre a casa di mia zia e sempre a ravanare dentro i buchi di mia zia. La scopavo quasi ogni giorno e lei mi si offriva senza riserve e senza ritegno. Godeva in tutte le posizioni, ma andava addirittura in visibilio quando le schizzavo i fiotti di sborra in faccia o sulle zinne, e subito dopo lei si cospargeva il corpo del mio seme come fosse un prodotto di bellezza.
A settembre ripartii per Bologna, con la volontà di integrarmi di più nella vita cittadina, ma grazie alla zia il mio paese mi era sembrato meno insopportabile del solito.

***

Tornato a Bologna, non erano passati quindici giorni che ricevetti una telefonata di mia madre che, con un insolito entusiasmo, mi annunciava una sua visita:
– Peppuccio, in ufficio mi costringono ad usufruire di ferie non godute’ sai, così non le pagano come straordinari’. tuo padre è in Sicilia per l’azienda, e ci resta tutta la settimana ‘.. cosa ci faccio qui tutta sola?
Quell’annuncio era una bella rottura di palle, che mi costringeva a sospendere per almeno una settimana il lavoro di avvicinamento che avevo iniziato nei riguardi di una mia collega di corso. Feci buon viso a cattivo gioco. D’altronde i miei erano stati a Bologna solo quando ero venuto a fare l’iscrizione, dovevo aspettarmelo che prima o poi mia madre cogliesse l’occasione per venire a trovarmi.
Quando arrivò il gran giorno, andai a prenderla alla stazione centrale. Il treno arrivò con il canonico ritardo, ma alle 19 eravamo nel mio minuscolo appartamento. Mamma si sistemò alla meglio e la portai a cena in una trattoria lì vicino. Tornati a casa cominciai a preparare il divanetto che avevo predisposto per dormire, lasciando a mia madre il mio letto. Ma lei non ne volle sapere:
– Ma non se ne parla nemmeno’. non sono venuta qui per crearti problemi’. come potresti riposare su quel divanetto?… dormiremo insieme nel letto’. vedrai che staremo comodi’.. in fondo sono tua madre, che problema c’è se dividiamo il letto?
Già, qual’era il problema? Il problema era che io ero abituato a dormire nudo e mia madre era una 50enne ben messa, con due tette 4^ misura belle e sode e un culo tondo e alto. Certo, era mia madre, ma chi mi assicurava che non mi sarebbero capitate improvvise erezioni nella notte?
Ma lei insistette ed alla fine non potei che acconsentire. Andai per primo in bagno a prepararmi per la notte, indossai di malavoglia un paio di boxer e mi infilai nel letto. Quando venne a letto mia madre, indossava una camicia da notte rosa trasparente che lasciava vedere delle mutandine sorprendentemente ridotte e le belle tettone ballonzolanti senza reggiseno. Mentre si infilava sotto le coperte, potei vedere dalla scollatura persino le grosse aureole scure. Logico che il mio cazzo, per sua natura irrequieto, reagisse prontamente.
Ci demmo la buona notte, spensi la luce e cercai di dormire, ma avevo il cazzo talmente duro che non riuscivo a prendere sonno. Mamma mi dava le spalle; nel girarmi e rigirarmi alla ricerca di una posizione che mi conciliasse meglio il sonno, finì che mi avvicinai sempre di più a lei, al punto che ad un tratto mi ritrovai con la mazza praticamente appoggiata alle sue chiappe. Mi fermai ma non mi ritrassi; mi sembrava che dormisse, ma avvertii un suo leggero movimento, allungò all’indietro la sua mano e la posò sul mio sesso eretto. Poi quasi sottovoce disse:
– Poverino, ti sto facendo soffrire ‘.. forse avresti preferito che in questo letto ci fosse zia Assunta, vero?
Cazzo! Mamma sapeva della storia tra me e la zia! Allora forse non era venuta per caso’ Vuoi vedere che la storia della zia le aveva fatto venire strani pensieri?
Mentre nella mia mente turbinavano queste domande, la sua mano si stringeva intorno all’asta sempre più dura e si muoveva in una lenta, quasi impercettibile masturbazione. I miei freni inibitori vennero meno, e a quel punto, facendole passare il braccio intorno al corpo, infilai la mano nel suo decolté e, impadronendomi di una mammella, le risposi con voce roca:
– No, ti sbagli mamma, non c’è paragone ‘. è molto meglio avere te in questo letto!
A quel punto lei si voltò di scatto verso di me e mi baciò subito con grande trasporto, infilandomi la lingua in bocca. La mia mano risaliva le sue cosce fino ad arrivare alla figa e lei infilava la sua dentro il mio boxer. Per interminabili attimi restammo a baciarci facendo saettare le lingue e a masturbandoci a vicenda. Le mie mani ormai frugavano nervose tutto il suo corpo, soffermandosi particolarmente sulle belle mammellone. Lei capì la mia ancestrale passione per le sue poppe e le offrì alla mia bocca famelica. Poi la vidi sparire sotto le coperte, raggiunse con la bocca il mio sesso turgido e mi regalò un meraviglioso pompino. Quando la vidi riapparire mi supplicava di penetrarla:
– Tesoro, ormai è andata’. è inutile farsi troppi problemi ‘. vedi, il tuo uccello non si dà pace, poverino! ‘.. dai, mettimelo tutto dentro, fammelo sentire tutto’. tuttoooo!
Ormai le coperte erano volate e mamma si mise a cavallo su di me a smorzacandela. Si infilò da sola il cazzo nella figa e cominciò a cavalcarmi come un’ossessa. Non la immaginavo così calda e vogliosa e me la godevo succhiandole i capezzoloni.
– Sì, amore mio, succhiami le tette e fammi godere!…. Dai questo bel cazzone alla mamma’. sì, riempimi di cazzo e di sborra! ‘.. lo so, la mamma non è giovane come le belle fighe che hai a disposizione qui a Bologna ‘. ma non è da buttare ‘.
Mentre mi cavalcava sbattendomi in faccia quelle tettone da sballo, le risposi con passione:
– Mamma, ti sbagli di nuovo ‘. non ci crederai, ma da quando sto all’università, di fighe appena l’odore ‘. ma credo che la tua non abbia eguali ‘. non ho mai goduto come in questo momento ‘..
– Sicuro? ‘ nemmeno con quella troia di zia Assunta?
– Giuro. Non ti cambierei né con zia Assunta né con le pollastrelle dell’università’.
Nonostante Iole mi avesse insegnato a gestire le scopate, ero troppo arrapato per resistere a lungo. Mi abbracciai forte al suo corpo e, mentre lei mi faceva roteare la lingua in bocca, le sborrai nel ventre. Mamma ebbe un sussulto di piacere e si accasciò esausta su di me.
Le ero rimasto dentro e avevo il cazzo ancora duro. Sentivo le sue contrazioni vaginali e ricominciai subito a scoparla. Mamma si dimenava in un susseguirsi di orgasmi e, quando le infilai due dita nel culo, capì al volo il mio desiderio. Si sfilò tenendo saldamente il cazzo in mano e se lo infilò su per il culo, impalandosi da sola.
Solo in quel momento realizzai che desideravo sodomizzare mia madre da sempre. La inculai lungamente fermandomi ogni tanto per non venire. Ma quando si accorse che ero ormai prossimo all’orgasmo, con un balzo si sfilò, si chinò tra le mie gambe, me lo prese in bocca e lo ciucciò fino ad ingoiare tutta la sborra.
Possedendo mia madre, avevo infranto il mio ultimo tabù. Vissi con lei una settimana da dio. Mi accudiva, mi coccolava, mi cucinava, mi faceva scopare. Quasi non riconoscevo più il mio monolocale, tanto era diventato splendente in quei giorni.
Un pomeriggio passò di lì Iole, la padrona di casa, e rimase piuttosto contrariata nel constatare la presenza di mia madre. Le due donne si scambiarono solo poche parole di circostanza, ma si dissero con gli occhi molte più cose che con la bocca.
Quando Iole se ne fu andata, mia madre mi si avvicinò, mi afferrò con una mano il cazzo e, guardandomi con fierezza negli occhi, me lo strizzò energicamente, sibilandomi:
– Questo l’ho fatto io, trattamelo bene!’ Non lo dare a cani e porci!’
Sorpreso da quelle parole e soprattutto da quello sguardo, mi precipitai a rassicurarla:
– Mamma, mica sarai gelosa di una vecchia troia come quella?
Mi rispose con un certo puntiglio:
– No, non pretendo che ti tieni alla larga dalla figa, anzi mi fa piacere che mio figlio se la goda con le belle ragazze di Bologna ‘. Ma se devi sfogarti con certe puttane, eh no ‘ questo bendidio conservalo per tua madre, che ti soddisfa meglio di loro! ‘..
Aveva ragione. L’abbracciai con grande calore e ci baciammo con passione. Le chiesi di trovare una scusa e di stare qualche giorno in più con me. Ne fu molto contenta, avvisò mio padre e l’ufficio dove lavorava del prolungamento delle ferie e mi regalò un’altra settimana di goduria.
Accudito in tutti i sensi da mamma, misi qualche chilo in pochi giorni. Quando lei ripartì eravamo entrambi molto commossi. Alla stazione restammo abbracciati per un tempo interminabile. Prima di salire sul treno mi disse che il distacco le pesava e che non vedeva l’ora che arrivassero le feste di Natale per riaccogliermi a casa, aggiungendo subito:
– E quando vieni mettiti in testa che devi stare con mamma tua ‘. Quella troia di tua zia toglitela dalla testa!….
Ero strafelice di aver goduto così intensamente l’intimità di mia madre, ma ora mi sentivo in crisi. Ero letteralmente scappato via dal mio paese e non avrei mai pensato di dover fare i conti con la nostalgia delle radici. Ma mentre il treno volava via era proprio quel sentimento che mi prendeva il cuore facendomi inumidire gli occhi. La terra natìa non si dimentica e non si tradisce, ed erano due donne della mia famiglia, prima mia zia Assunta, poi soprattutto mia madre Teresa, che mi stavano evitando la sua maledizione fatale.

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