Ho rimandato questa cosa anche troppo.
Tutto il resto è fatto: le mie ultime volontà, le istruzioni per il mio funerale, i conti bancari, le utenze ormai intestate ai miei eredi. Questa lettera a mio marito è l’ultima della lista ed è ora che la scriva, non mi resta molto tempo.
Dovrebbe essere una cosa semplice, so già cosa devo scrivergli. Invece non lo è, perché una volta scritta non mi resterà che sedermi ad aspettare la morte ed è una prospettiva abbastanza inquietante.
Mio caro Ettore, mancano pochi giorni alla mia fine e ti sto scrivendo questa mia ultima lettera che affiderò al nostro avvocato con la raccomandazione di consegnartela tre settimane dopo la mia morte. Tre settimane dovrebbero essere sufficienti per attenuare un po’ il dolore e il lutto che sicuramente proverai. O per lo meno dovresti aver terminato gli avanzi nel frigorifero. Tutto è pronto per la mia dipartita (rileggendo questa frase mi rendo conto che suona come se dovessi andare in vacanza…). Tutti i miei affari sono in ordine, ho salutato già tutti, i nostri figli, i colleghi, gli amici, le signore che facevano volontariato con me, i vicini, il prete, il medico di famiglia, la portinaia, l’oncologo che mi segue e il suo staff, così professionale. Poi ho restituito i libri alla biblioteca di quartiere, ho fatto ritirare la roba dalla tintoria e avvertito la banca che presto dovranno aiutarvi a cambiare le intestazioni dei conti. Ho persino avuto modo di dire a quella vecchia strega della casa di fronte che ci spia a che diffonde pettegolezzi sul nostro conto cosa penso di lei, di sua madre e della terra in cui è nata. Le maledizioni di una moribonda dovrebbero darle da pensare, spero. Ma mi rimane ancora la cosa più difficile: dirti addio.
Il mio funerale! Ecco una cosa a cui non mi sarei mai immaginata di dover pensare! Ma non posso che accettare l’inevitabile. Non posso cambiare ciò che mi sta per succedere: ho fatto tutto il possibile e ora non mi resta che aspettare che il cancro finisca per distruggere tutto il resto del mio corpo. Andare con mia figlia Silvia a prendere accordi con le Pompe Funebri per la mia cremazione è stato surreale. Prenderanno il mio corpo, lo metteranno in un forno fino a che non ne rimarrà solo un mucchietto di ceneri che daranno a mia figlia in un vaso. Il mio corpo! Che era così bello e giovane una volta! E quando quel bastardo ha insistito per farsi pagare un robusto acconto in anticipo mi sono sentita come una di quelle macchine che dai al concessionario perché la rottamino per riciclarne il metallo e farci lattine per la birra. A vederlo che si fregava le mani per la cupidigia mi veniva voglia di rimanere viva solo per farlo incazzare, ma non posso. Non posso farci niente.
Vabbe’, dov’ero rimasta?
Abbiamo avuto una bella vita tu ed io, insieme. Ventitré anni sono un bel risultato, non tutti ci riescono. Io ho apprezzato molto quanto abbiamo passato insieme e mi spiace solo di non avere la possibilità di passare altri ventitré anni con te. Ma, come dice il saggio, tutte le cose belle prima o poi finiscono.
Già, ventitré anni. La maggior parte dei quali buoni, ma ne abbiamo avuti anche di brutti, come negarlo? Guardo l’album di foto del nostro matrimonio e vedo l’immagine del nostro primo bacio come marito e moglie. Me lo ricordo come se fosse ieri. Ero così innamorata, che piansi di gioia dopo. Ero giovane, impreparata e ingenua. Pensavo che la nostra vita sarebbe stata come nelle favole: per sempre felici e contenti. Non immaginavo certo le difficoltà che avremmo affrontato e che la nostra vita sarebbe stata come guidare una utilitaria su una strada sterrata, piena di buche, di cunette, di sobbalzi e urti. Chi poteva prevedere le nostre differenze caratteriali, i problemi economici, le faccende pratiche da sbrigare tutti i giorni, di cui nessuno di noi due aveva conoscenza perché nelle nostre case ci avevano pensato sempre i nostri genitori? E poi l’educazione dei figli, i loro spiriti ribelli, le malattie dei nostri genitori e l’assistenza quotidiana che necessitarono, a turno, prima di morire. E le altre donne, che dire di loro?
La verità è che non so se sarà la fine di tutto o invece l’inizio di qualcosa di nuovo e meraviglioso. Don Francesco è passato a trovarmi tante volte e mi ha aiutata molto a farmi passare le paure e a darmi nuove speranze, anche se non ho capito ancora bene il concetto di ‘vita dopo la morte’. Ho sempre pensato che la mia vita fosse cominciata quando ti ho incontrato ed ora l’idea di morire e poi di una vita chissà come e chissà dove, ma sempre senza di te non posso considerarla una vera vita. Non voglio stare senza di te. Ti ho amato dal giorno in cui ti ho conosciuto e non starò senza di te senza importare cosa succeda al mio corpo. Sarò sempre accanto a te dovunque io sia.
Ecco, l’ho detto: ‘Ti ho amato dal giorno in cui ti ho conosciuto’. Ed è vero. L’ho amato per quasi tutti i ventitré anni che abbiamo passato insieme. Nella buona e nella cattiva sorte, nella salute e nella malattia, nella ricchezza e nella povertà. Fino a quando non ho scoperto la sua storia con Bianca. Mi ha spezzato il cuore, quel maledetto bastardo. Ma devo farmi forza, continuare a scrivere cose carine su di lui come se non fosse successo niente, ignorando la rabbia che ancora mi divora.
Ma non voglio che questa mia lettera suoni in qualche modo come un rimprovero. La sola cosa che voglio è dire addio all’uomo che ho sposato e per riuscirci, senza piangere, sono costretta a scrivere anziché parlarti di persona. Sì, vabbe’, ora sto piangendo a dirotto, ma quando mi leggerai tutto sarà passato.
Già, come no. Probabilmente, quando mi leggerà starà già cercando il mio rimpiazzo, come se non lo conoscessi. Come se non sapessi quanto ha bisogno di una donna accanto a sé, lui, che non sa cucinare (neanche un uovo sodo), odia fare le pulizie, non sa usare una lavatrice o un ferro da stiro. Ci ho sempre pensato io, durante tutti i ventitré anni durante i quali siamo stati insieme. Una donna di servizio disponibile anche a farsi scopare: ecco cosa sono stata per lui negli ultimi anni. Trovare un’altra stupida come me non gli sarà facile, credo. E finché non l’avrà trovata dovrà mangiare in pizzeria, accumulare lo sporco in qualche angolo con una scopa (qualcuno dovrà però spiegargli che la scopa è quell’arnese composto da un lungo bastone con una spazzola di setole a una estremità che si trova nello sgabuzzino e che avrà visto chissà quante volte chiedendosi probabilmente a cosa servisse) e spararsi seghe sotto la doccia. Chissà che divertimento!
Abbraccia Silvia da parte mia. Ricordale che l’ho sempre amata teneramente e che ho sempre pensato che fosse la miglior figlia del mondo, anche se ci ha fatto impazzire quando andava al liceo con la sua passione per la marijuana, la birra e i ragazzi ‘difficili’. Ma ora che ha avuto dei figli vedo che è una donna con la testa sulle spalle e che sarà una madre straordinaria. Dille che passi spesso a trovarti e che non ti lasci solo; qualche volta potrebbe persino cucinarti quel pasticcio di carne che preparavo a Natale con la polenta e che ti piace molto. Le ho dato la mia ricetta segreta in eredità, così che ci sarà qualcosa che ti ricorderà di me quando non ci sarò più.
Non parliamo di Silvia. Una ragazza single di ventidue anni con due figli da due uomini diversi non è certo il mio ideale di figlia. Ho sempre sognato di vederla con l’abito bianco in chiesa al braccio di un giovane marito ricco e bellissimo oppure di vederla ricevere la laurea con 110 e lode e bacio accademico all’Università Cattolica, per poi trovare un lavoro in una grande azienda o una organizzazione governativa che le facesse girare il mondo e dove potesse fare una brillante carriera. E fantasticavo nell’immaginarmi dietro il vetro della clinica con altre nonne a puntare il dito verso il bambino più bello dicendo con orgoglio che quello era mio nipote. Non avrei certo immaginato di vedermela un giorno comparire alla porta di casa con un pancione più sporgente delle sue tette a spiegarmi che Lucio, il netturbino precario e drogato, l’aveva lasciata per tornare da sua moglie e dai suoi figli. E poi dover rinunciare alla nostra vacanza in crociera per darle i soldi per far fronte alle spese del nuovo bambino, e, come se non bastasse, vedermela ritornare una mattina all’alba, sei mesi dopo, completamente ubriaca, con un altro marmocchio nella pancia. Mi viene male a pensare a tutto quello che le abbiamo dato, a tutto ciò a cui abbiamo rinunciato per lei e poi vederci ripagare con la consapevolezza che ha rovinato e sporcato tutto ciò che ha avuto e che il suo obiettivo nella vita era aprire la gambe per tutti i mascalzoni e gli sfaccendati della città. Persino la mia ricetta del pasticcio di carne, che le ho scritto in bella calligrafia su un foglio di pergamena, ora la usa come sottobicchiere per la sua bottiglia di vodka.
Ettore, so di aver fatto degli errori e me ne dispiace. Mi sento colpevole per averti infastidito con le mie insistenze e quando ci penso me ne vergogno. Ma non era mia intenzione sminuirti o disprezzarti. Pensavo solo che tu, al contrario, fossi migliore degli altri e vedevo quanto frustrato e insoddisfatto fossi del tuo lavoro e credevo che se tu ti fossi impegnato un po’ di più avresti facilmente raggiunto le posizioni e lo stipendio che ti meritavi. E che saresti quindi stato più felice. Ho sbagliato a spingerti a fare cose che non volevi. È colpa mia, non avevo capito che la tua massima ambizione era andare allo stadio la domenica e giocare alle bocce la sera. Mi rendo conto che avrei dovuto seguirti nelle tue passioni e nei tuoi hobby, così da avere qualche argomento di conversazione in più nelle nostre serate solitarie. Ti chiedo perdono per non aver capito una cosa tanto semplice.
Già, se avessi solo sospettato che la sua massima aspirazione fosse di stare seduto nel suo cubicolo vicino al cesso a spuntare tabulati tutto il giorno col cazzo che l’avrei sposato. Eppure era laureato in ingegneria elettrotecnica al Politecnico! Non è certo da tutti! Come facesse a essere contento nell’esaminare richieste di risarcimento per la società di assicurazioni per cui lavorava per quattro soldi non lo capirò mai. Certo che gli rompevo le palle perché si impegnasse di più. Avrebbe potuto essere il capo di quella schifosa società! O almeno uno dei manager più importanti, ma non gli importava della Mercedes aziendale che veniva data ai dirigenti, né di frequentare la bella gente, quella che conta o di passare le vacanze a Saint Tropez, alle Maldive o a Cortina. Preferiva lavorare dalla nove alle cinque e giocare a bocce con gli ubriachi il sabato sera e la domenica andare a San Siro a vedere l’Inter. Io odio il calcio e l’Inter in particolare! Merda! Nella mia famiglia d’origine erano tutti milanisti!
E a letto? Lo so che mi avresti voluta più disinibita e aperta alla sperimentazione. Ci ho provato, davvero. Volevo che fossi soddisfatto di me, ma proprio non riuscivo a fare molte delle cose che volevi da me. Il mio corpo non riesce a contorcersi in quel modo. Ma ho cercato di provare tutto quanto suggerivi almeno una volta e vorrei che ricordassi quant’era bello quando facevamo l’amore e non quando litigavamo. Io ricorderò per il resto della mia vita i momenti sensuali che abbiamo passato insieme come una delle cose più belle della mia vita.
‘Quando facevamo l’amore’? Avremmo ‘fatto l’amore’ non più di una dozzina di volte nei ventitré anni passati insieme. Il più delle volte mi prendeva e senza una parola infilava il suo ridicolo pisellino (una patetica imitazione di un cazzo vero) dentro di me e andava su e giù per qualche secondo finché non si scaricava. Quindi si girava e incominciava a russare lasciandomi sola a masturbarmi sotto le coperte. Davvero un amante all’altezza.
E che dire della ‘sperimentazione’? Quando provava a ‘sperimentare’ qualcosa io finivo sempre umiliata, dolorante o degradata in una qualche maniera. E cos’era tutta questa fissazione con il mio buco del culo? Tutto quello che voleva era che mi mettessi bocconi senza muovermi, come se fossi un cadavere, in modo che lui potesse infilarmelo nel culo. Lo eccitava moltissimo venire in quel modo. Io invece non sono venuta mai, neanche una volta. Mi faceva un male cane, spesso sanguinavo, e la sensazione dello sperma che mi usciva dal buco era sgradevolissima, come se mi stessi cagando addosso.
‘Fanculo lui e le sue ‘sperimentazioni’! Sono tra i ricordi più disgustosi che mi sono rimasti.
Eppure ho cercato di provare di tutto, come leccargli il buco del culo, lasciare che mi schizzasse lo sperma in faccia o raccontargli con parole volgari, mentre mi sodomizzava, come avrei voluto succhiare il cazzo di un altro o leccare una passera. Ma certe cose non le ho proprio volute fare, come quando mi suggeriva di includere un’altra donna quando facevamo sesso. Mi diceva che lo eccitava l’idea di vedermi con un’altra, ma io sapevo benissimo che la cosa che lo interessava di più era scoparsi l’altra, nel nostro letto, col mio consenso. Quella volta abbiamo litigato, e di brutto, anche. La peggior discussione che abbiamo mai avuto.
Comunque, il sesso con lui definirlo mediocre era già troppo. Non ho mai misurato il mio amore per lui con la soddisfazione sessuale, troppo deprimente.
Ammetto di aver fatto molti errori, nel nostro matrimonio, Ettore, ma anche tu ne hai commesso qualcuno, no? Ho saputo di Bianca Barbieri quasi dal primo momento. Tu pensavi che non ne sapessi nulla, ma invece lo sapevo. E quando l’ho saputo mi si è spezzato il cuore. Ho pensato che ti avrei perso, che mi avresti lasciata. Poi mi sono chiesta cosa avrebbero detto i nostri amici e le nostre famiglie, quale dolore avremmo provocato loro. Così non ho fatto niente, non ti ho detto niente. Volevo disperatamente rimanere sposata con te e rimanevo sveglia la notte a piangere. Non ho mai detto niente a nessuno, ho tenuto tutto dentro. E il nostro matrimonio ne ha sofferto, certo. Non so se ce ne siano state altre, prima di lei. L’ho sospettato, ma lei è l’unica di cui sia stata certa. Forse ti sei messo con lei per qualche mancanza da parte mia. Forse avevi bisogno di qualcosa di cui non mi sono accorta e che non ho saputo darti. Ti chiedo scusa per essere stata una moglie così incapace, sia nella gestione della casa che in camera da letto. Ho provato, ho cercato con tutte le mie forze di essere all’altezza delle tue aspettative, ma mi rendo conto di aver fallito miseramente. E ti chiedo scusa per questo. Ora, che sono così vicina alla morte, mi accorgo di non essere capace di odiarti per quello che hai fatto e così ho scelto di perdonarti. Ecco, lo dico: ti perdono, Ettore. Per il tuo tradimento ti perdono.
Quel bastardo mi ha spezzato il cuore. Dal momento che l’ho visto dal finestrino del secondo bagno scoparsi Bianca sull’amaca in giardino dopo essere tornata prima da una riunione cancellata a scuola, ogni residuo sentimento che provavo per lui si è completamente azzerato, come una lavagna bianca, e per sempre, anche.
Ho capito subito che quello che volevo era restituirgli il male che mi aveva fatto con gli interessi per essersi messo con quella troia, fargli sputare sangue per aver buttato via ventitré anni di matrimonio. Ho pensato di scoparmi il primo che mi capitasse a tiro per poi raccontargli tutto nei dettagli, ma non ne sono stata capace: non sono una troia come Bianca e poi, francamente, dove lo trovavo uno che avesse voglia di trombare una casalinga cinquantacinquenne, madre di due figli, sovrappeso, con le tette cadenti e un culo pieno di cellulite? Allora ho pensato di spiattellare tutto al marito della zoccola. Ma all’ultimo non me la sono sentita: è un tipo così gentile e educato, davvero un gentiluomo d’altri tempi, ammodo e affidabile. Perché rovinargli la vita raccontandogli che sua moglie lo cornificava con Ettore tutte le volte che doveva viaggiare per lavoro? No, non avrei potuto. Meglio aspettare il momento giusto e solo allora ottenere la mia vendetta, un piatto che si gusta meglio freddo, come sanno tutti. Ecco credo che il momento giusto sia arrivato.
Non posso darti il mio perdono per quello che hai fatto a Bianca, però, per terminare la tua relazione con lei. T’ho visto, ero lì vicina, nascosta dai cespugli. Ma non ho detto niente a nessuno per paura che facessi anche a me quello che hai fatto a lei. So bene che tutti l’hanno cercata quando hanno denunciato la sua scomparsa, Polizia, Carabinieri, il marito, giornalisti, vicini, amici e parenti. Invano. Hanno persino dragato i laghetti e gli stagni qui del Parco Nord, vicino a casa, sapendo che spesso amava fare qualche chilometro di corsetta leggera nel parco e qualche episodio inquietante è anche successo in passato, come quando hanno violentato una signora ottantenne che passeggiava la mattina presto. Ma non hanno mai trovato la benché minima traccia. Sparita nel nulla. Ma io so cosa le è successo: ho visto tutto. Stavo entrando in casa con la bici (ero tornata prima perché minacciava pioggia) quando ho visto la sua macchina nel nostro box, accanto alla tua e tu che colpivi Bianca da dietro, alla nuca, con quella grossa chiave inglese, pesantissima, da idraulico, che teniamo insieme agli altri attrezzi nel box. L’ho vista cadere e t’ho visto colpirla ancora un paio di volte quand’era a terra. Hai avvolto il suo cadavere in quel vecchio tappeto finto-orientale che non usavamo più e che tenevamo arrotolato nel box. Poi l’hai trascinata in giardino, hai scavato una buca vicino al nostro melo e ce l’hai sepolta dentro. Non ti sei accorto di me, ma io ero lì, poco distante e ho visto tutto. Finora ho avuto paura di fare la stessa fine e per questo sono sempre stata zitta, ma ora, che so che mi resta poco da vivere, non ho più niente da perdere. Il cancro sta facendo il lavoro al posto tuo. Provo una strana sensazione. Ti ho sempre amato con tutta me stessa, ma vederti compiere un’azione così orribile, selvaggia e violenta in quella ferale notte d’estate, mi ha fatto perdere ogni traccia di fiducia nell’umanità. E questo non te lo posso perdonare. Non mi capacito di sentirmi così. Un tempo ti amavo alla follia e in un certo senso ti voglio bene ancora oggi, ma non posso né dimenticare né lasciar passare ciò che hai fatto alla povera Bianca.
Queste ultime frasi dovrebbero dargli da pensare. La rivelazione della sua defunta moglie che sostiene di essere stata testimone di un delitto che lui sa benissimo di non aver commesso dovrebbero impensierirlo. Già, perché non è stato lui a accoppare la troia. Sono stata io. E’ successo esattamente come l’ho descritto, solo che la mazzata in testa con la chiave inglese glie l’ho data io, non lui. La chiave inglese! Di quelle che chiamano ‘pappagallo’. Pesantissima. L’aveva comprata una volta che si era intasato il lavello della cucina, pensando che l’avrebbe saputo far funzionare di nuovo, ma dopo qualche tentativo ha lasciato perdere e ha chiamato l’idraulico. Ingegnere delle mie palle! E la chiave è rimasta lì, dimenticata nel box, per anni e anni, finché non è finita sulla testa di Bianca. E così, in un colpo solo ho messo fine alla loro squallida tresca e mi sono vendicata di lei. E ora con questa piccola bugia in questa lettera, mi vendicherò anche di lui.
Ho dovuto ammalarmi di cancro per pareggiare i conti con quel maledetto bugiardo, traditore e figlio di puttana. Ora non mi resta che terminare la lettera e prepararmi a morire.
Voglio chiederti perdono per non essere stata capace di essere la donna, la moglie e l’amante che avresti voluto che fossi, ma ho fatto del mio meglio e sono stata la miglior moglie, amante, madre e compagna che sono stata capace di essere. Mi spiace quindi che dobbiamo lasciarci così. Spero che di me ricorderai le cose buone e i momenti felici che abbiamo passato insieme, dimenticando i nostri dissidi e le nostre incomprensioni. Ricordati che ti ho amato sempre con tutto il mio cuore a con tutta me stessa. Con amore Daniela
Non male, davvero. Suona sincero. Credo con questo di aver finito il mio compito su questa terra. Non voglio morire, ma visto che devo per lo meno lo farò essendomi tolta un peso enorme dalle spalle.
Secondo l’oncologo la fine dovrebbe arrivare in modo rapido e doloroso. Quanto odio il dolore! Per fortuna ci sono gli antidolorifici e la morfina che mi aiuteranno a entrare nell’incoscienza fino alla morte.
Bene, questo è tutto. No, un momento, ho dimenticato una cosa importante:
P.S. Ettore, ho dato istruzioni all’avvocato di far aver una copia di questa mia alla Polizia e ai Carabinieri.
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…
Grazie davvero, sono racconti di pura fantasia. Da quando ho scoperto la scrittura come valore terapeutico, la utilizzo per mettere…