Skip to main content

L’oasi di Elda

By 12 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Il treno rallentò, si fermò con un lungo stridore di ruote. Rumore di sportelli aperti. Sbattere di sportelli che si richiudevano. La locomotiva ansimava pesantemente. S’era arrestata sotto la manica del serbatoio idrico. Il fuochista stava effettuando il rifornimento.

Scesero solo due viaggiatori, un borghese e un ufficiale dell’esercito.

Il facchino, spingendo un carrettino cigolante, s’accostò al bagagliaio. Gli porsero una cassetta militare, d’ordinanza, e una grossa valigia. Firmò dei documenti, accomodò gli oggetti sul piano del carretto e s’avviò verso il deposito.

L’uomo in borghese, fece capolino nell’ufficio del Capo Stazione. Disse qualche parola e s’avviò lungo la strada alberata che conduceva verso la via provinciale, asfaltata, che conduceva al paese.

L’ufficiale si fermò al deposito, chiese al facchino se era possibile avere la cassetta e la valigia al Comando di Reggimento. Alla risposta affermativa, gli regalò una moneta d’argento, equivalente a mezza giornata del suo salario, e s’allontanò mentre l’uomo si scappellava ringraziando.

Elda era seduta sulla panchina di faccia all’ingresso della stazione, all’ombra del grosso albero frondoso, i cui rami stormivano dolcemente al lieve vento che veniva dal mare, non troppo lontano. Sembrava intenta a leggere il libro, che teneva sulle ginocchia, nascosto dai biondi capelli che scendevano dal capo leggermente inchinato. Indossava un vestito chiaro, a fiori, sbracciato, con la scollatura a punta che lasciava intravedere il seno saldo e rigoglioso. La gonna ricadeva sulle gambe snelle, appena dorate dal sole. Calzava delle scarpe comode ed eleganti, rosse come le rose che ornavano l’abito.

Quando Gianni uscì dalla Stazione, lei non sembrò accorgersene fino a quando lui non le fu di fronte. Alzò il capo, gli sorrise.

L’ufficiale fece un cortese saluto.

‘Mi scusi se l’importuno, signorina, buongiorno, sono il tenente Gianni Sabatini, assegnato al Reggimento che &egrave di guarnigione qui, per favore mi può indicare la strada per andare al paese?’

Elda allargò il suo sorriso, mostrando il biancore perlaceo dei piccoli denti.

‘Buongiorno, tenente. Per andare in paese deve seguire l’unico senso possibile di questa strada che, come vede, termina qui. La freccia del cartello segnaletico, del resto, lo mostra chiaramente. Vede?’

Gli indicò il grosso cartello, a fianco alla panchina.

‘Le chiedo scusa, signorina, ma, uscendo dalla stazione, ho visto solo lei. Sono stato attratto dalla sua deliziosa figura, intenta a leggere un libro. Certamente interessante. Sono indiscreto se le chiedo il titolo?’

‘Nessuna indiscrezione. E’ Kif Tebi. L’autore &egrave un arabo che si nasconde sotto lo pseudonimo di El Mansùr, il vittorioso.’

‘Kif Tebi &egrave un nome? Forse del, o della, protagonista?’

‘No, nel dialetto dell’autore significa come vuoi.’

‘E’ interessante?’

‘Soprattutto avvincente. La storia si svolge in un deserto sabbioso, dove sorgono oasi meravigliose. Non &egrave facile, però, trovarle. E’ affascinante l’accostamento tra l’animo umano e la solitudine del deserto. Un vecchio proverbio Tuaregh dice che l’acqua c’&egrave dovunque, basta saper scavare, e dove c’&egrave acqua c’&egrave vita. Non le pare splendido?’

‘Come si conclude?’

‘Non ho terminato di leggerlo, ma sono andata, curiosa all’ultima pagina. Aisha e Ben Alì si allontanano dall’oasi dove hanno vissuto giorni, e soprattutto notti, incantevoli. Ognuno prende la sua strada, senza voltarsi indietro, senza rimpianti, senza nostalgia. Lontano, oltre l’orizzonte c’&egrave, sicuramente, un’altra oasi. E’ scritto così.’

‘Lei &egrave fatalista?’

‘Non accetto passivamente le cose, ma credo che gli eventi umani non dipendano dal libero arbitrio. Forse c’&egrave incoerenza in quello che dico, ma io sono piena di contraddizioni. Si, forse in me c’&egrave del fatalismo. Quando mi domando chissà se’ mi viene subito da rispondermi insh’Allah!’

‘Chiedo troppo se la prego di accompagnarmi verso il paese’ per mostrarmi dov’&egrave il Comando del Reggimento?’

‘Chiede di farmi vedere sola con uno sconosciuto, in un’ora in cui le ragazze dovrebbero starsene in casa. Chiede di divenire l’oggetto delle chiacchiere di questa sera, durante il passeggio. Chiede di prepararmi a rispondere alle infinite domande: Elda, chi era quello? Le sembra poco?’

‘E lei, Elda, perché ora conosco il suo nome, risponda serenamente: quello &egrave mio cugino di Roma. Te ne ho sempre parlato, ricordi? Sono andato a prenderlo alla stazione, questa mattina, perché &egrave stato assegnato al Reggimento che sta qui. Anzi, vieni che te lo presento.’

‘Te lo presento?’

‘Certo, non vorrà che la lasci sola ad affrontare i pettegolezzi, quando tutti s’incontrano in piazza. Allora, mi accompagna?’

Lo guardò a lungo. Chiuse il libro, si alzò. Era snella e bellissima. Gli si mise a fianco.

‘Kif Tebi.’

Si avviarono lungo il viale alberato.

Gianni camminava lentamente, guardandola di quando in quando.

‘Mi scusi, Elda, ma sono uno sbadato. Non ho pensato al suo fidanzato.’

Lei strinse appena le labbra, poi le distese in un sorriso disarmante.

‘Non c’&egrave.’

‘Non &egrave possibile. Una ragazza così bella”

‘Grazie per il complimento, ma &egrave la verità.’

‘Non é un complimento, ma una semplice constatazione. Non posso credere che i giovani di questo paese non abbiano occhi.’

‘Eppure, &egrave così. Per un breve periodo avevo creduto di avere un ragazzo. Un bel mattino ha preso il treno, &egrave partito senza dir nulla a nessuno. E non so dove sia andato. Quindi avevo sbagliato a considerarlo il mio uomo. Era uno cui era piaciuto prendermi in giro.’

‘Strani scherzi fa il treno: chi parte e chi arriva.’

Lei lo scrutò attentamente, aggrottando la fronte.

Gianni si fermò un momento, le prese la mano, la contemplò dalla cima dei capelli alla punta delle scarpe. Lentamente, ammirando la perfezione del volto, del corpo, gli occhi profondi, le labbra vermiglie, il seno e i fianchi deliziosamente modellati.

‘Allora, Elda, tuo cugino non rischia di far adombrare qualcuno. E scusa se ti do il tu. Tra cugini si usa cosi. Me lo permetti?’

Lei arrossì leggermente, lo guardò con occhi che sembravano divenuti ancor più azzurri. La sua piccola mano era ancora in quella di Gianni.

‘Kif Tebi, Gianni.’

Erano giunti alle prime case del paese. Qualcuno si voltava a guardarli.

Poco oltre, sulla destra, un massiccio edificio occupava tutto un lato della piazza. Al centro un’artistica fontana di pietra, nella cui vasca nuotavano tanti pesciolini rossi, che si divertivano a inseguirsi, passando dove il getto si frangeva in mille cerchi concentrici che andavano intrecciandosi tra loro.

Elda fece un lungo respiro.

‘Ecco, Tenente, quello &egrave il Castello. Noi lo chiamiamo così. Una volta era abitato da un vecchio nobile del luogo, adesso &egrave la sede del Comando del Reggimento. Di fronte c’&egrave il Caff&egrave Italia, considerato il luogo più elegante della nostra piccola comunità. Verso sera, quando i militari escono in libera uscita, questo giardinetto &egrave il punto dove spesso sorgono e appassiscono amicizie, forse amori. Non lo so. I soldati, poi, vanno al Bar dello Sport. Il caff&egrave Italia &egrave frequentato solo dagli ufficiali. Questa sera, gli avventori abituali, avranno da commentare: avete visto la Elda con un ufficiale? Io sarò lì, al centro delle loro malignità.’

Gianni la interruppe.

‘Noi saremo lì, felici per le chiacchiere che ci circonderanno. O non vuoi?’

‘Cosa direbbe la fidanzata di Gianni?’

‘Se ci fosse, sarebbe giustamente risentita. Comprenderebbe di essere sconfitta, per sempre perché tu sei la più bella di tutte. Ma la fidanzata non c’é.’

‘E’ una bugia di convenienza, vero?’

‘Non dico mai bugie. Forse per questo non ho una ragazza. Tu, Elda, quando io uscirò dal Comando, sarai al caff&egrave?’

‘Solo perché sarei la più bella?’

‘Perché sei tu, e sei anche la più bella.’

‘Incontrata, casualmente, da pochi minuti.’

‘Conosciuta da sempre, e tu mi attendevi. Ci sarai al caff&egrave?’

‘Kif Tebi.’

‘Ad aspettarmi?’

‘Kif Tebi.’

Gianni la salutò. S’incamminò verso la Caserma.

Lei lo seguì con lo sguardo. La sentinella gli presentò le armi. Lui sparì nel buio del grosso portone.

Elda s’avvicinò alla vasca della fontana, e rimase a guardare i giuochi dei pesci rossi.

Quand’era bambina, staccava un foglio dal quaderno, vi scriveva i suoi pensieri, i suoi desideri, poi ne faceva un’agile barchetta di carta. Terminati i compiti scolastici, usciva con la mamma. Andavano al giardino dinanzi la Caserma. La mamma sedeva al Caff&egrave, con qualche amica. Lei correva verso la vasca, prendeva la barchetta di carta e, piano piano, l’affidava alle piccole onde. La barca navigava pigramente, dirigendosi con lentezza verso la riva opposta. Elda correva, felice, e riprendeva il foglietto con i suoi scritti. Qualche volta, invece, naufragava, travolta dagli zampilli che ricadevano tutt’intorno. Elda, triste, guardava affondare il suo fragile battello.

Chissà, la barchetta d’oggi che fine avrebbe fatto.

Tornò a casa, pensierosa.

Si preparò per la doccia, con movimenti lenti. Tolse orecchini, bracciale e collana, e li mise nel piccolo scrigno di legno che era sul comò. Appese l’abito nell’armadio, ripose le scarpine al loro posto. Calzò delle pantofole di tessuto a spugna. Mise reggiseno e mutandine nel cesto della biancheria da lavare. Così, nuda, si guardò allo specchio, quasi distrattamente, senza alcuna particolare espressione nel volto. Si fermò e si collocò di profilo, passò la mano sul ventre liscio, controllò la sporgenza del seno, la curva dei fianchi, i glutei. Tornò a mettersi di fronte. Osservò attentamente le gambe, fece un leggero cenno d’approvazione. Andò nella stanza da bagno, si accertò che il suo sapone preferito e la morbida spugna marina fossero al loro posto, aprì il vasetto di crema profumata che era sulla mensola del lavandino, lo annusò, lo richiuse, lo rimise al suo posto. Salì sul piatto della doccia e aprì l’acqua calda. La fece scendere piano, in piccoli fili. Ne regolò la temperatura. Allungò la mano, prese la cuffia impermeabile, arrotolò i lunghi capelli e ve li sistemò accuratamente. Si mise sotto l’acqua tiepida. Insaponò la spugna e cominciò a passarsela sul corpo, pigramente. Intorno al collo, sotto le ascelle, sul seno, sul ventre, tra le gambe. Con lentezza esasperante. Quando fu completamente avvolta dalla candida spuma, aumentò il volume dell’acqua, vi si pose di fronte. Il getto, forte, la colpì sul volto. Alzò le braccia, offrì a quella piacevole, calda sferza, il seno eretto, il pube. Divaricò le gambe lasciando che l’acqua s’intrufolasse, prepotente, tra i serici riccioli dorati che impreziosivano quella valle deliziosa. Si voltò, si chinò e lasciò che l’acqua tamburellasse sul fondo della schiena, tra i glutei. Si alzò, chiuse il rubinetto, restò immobile per qualche istante.

Indossò l’accappatoio e andò a sedere nella poltrona di fronte alla toilette.

Cominciò a spazzolare lentamente i lunghi capelli.

La mente era affollata da mille pensieri, in lotta tra loro.

Non riusciva a seguire un filo logico.

La logica, già, cos’&egrave?

Riaffioravano i ricordi scolastici. Riudiva la voce dell’insegnante.

Logica, procedimento formale per distinguere il ragionamento corretto da quello scorretto; a sua volta, anche il ragionamento &egrave un procedimento, volto a dimostrare una verità, a risolvere un problema’ errare &egrave allontanarsi dai principi logici’

Stava entrando in una specie di labirinto, o meglio in un circolo di cui non riusciva ad intravedere principio e fine.

In tutto ciò, doveva prevalere la ragione o l’intuizione? I sentimenti che ruolo dovevano avere?

Doveva distinguere i sentimenti dai sensi?

Le accadeva qualcosa di nuovo. Forse, nel passato, i suoi comportamenti erano stati guidati dai sensi, da stimoli che la investivano fisicamente e che richiedevano un soddisfacimento soprattutto concreto, prescindendo dalla spiritualità, da qualsiasi astrattezza. Percepiva, adesso, l’esigenza di un’atmosfera particolare, intuita ma non conosciuta, che le avrebbe permesso di appagare tutte le sue esigenze, anche le più recondite, che sentiva per la prima volta nella loro totalità. L’impazienza di udire una voce, quella voce, era più forte del desiderio d’una carezza. Ciò le era sempre mancato.

Quel giorno, era uscita per andare a sedersi su una delle panchine poste sotto gli alberi che circondavano la vasca. Avrebbe seguitato a leggere il libro cominciato il giorno precedente. Senza rendersene conto, aveva superato il piccolo giardino, tra il Caff&egrave e la Caserma, proseguendo lungo la strada provinciale. Nel punto dove si staccava il vialetto che conduceva alla ferrovia s’era fermata, indecisa se proseguire, e andare a leggere all’ombra del grosso platano, di fronte allo scalo, o tornare indietro, verso la vasca. Stava ancora pensando sul da farsi, quando si accorse d’essere sul verde sedile, dipinto di recente, dirimpetto all’edificio della stazione. Da lontano s’udiva il fischio, un po’ sfiatato, della vaporiera.

Poi, lo sferragliare del treno, lo sbuffare della locomotiva, il rumore dell’acqua che scrosciava nella caldaia. Il treno non era ancora ripartito quando un uomo s’avviò verso la provinciale. Forse era l’unico viaggiatore ad essere sceso lì. Elda riprese a leggere, ed ebbe un lieve sobbalzo quando udì una voce, cortese e nello stesso tempo decisa, che le diceva:

‘Mi scusi se l’importuno”

Fu attraversata da un leggero brivido. Si guardò nello specchio della toilette, e fece un cenno d’assenso col capo, consultò l’orologio.

Cominciò a prepararsi, con cura, meticolosità, scegliendo con attenzione quello che avrebbe indossato. Si vestì ponendo il massimo impegno in quello che faceva, controllando che tutto fosse stirato alla perfezione, che il modello dell’abito fosse adatto al suo personale, esaltandone i pregi ed eventualmente nascondendone i difetti (anche se, questi ultimi, non riusciva a identificarli). Infilò mutandine e reggiseno, accertandosi che aderissero senza piegoline, mise l’abito e verificò che il colore della biancheria intima, perfettamente neutro, non trasparisse dall’abito. Aggiustò i capelli, e passò un leggero trucco sulle labbra. Calzò le scarpine più nuove che aveva, intonate al modello e colore del vestito. Andò all’armadio, ne aprì la porta col grande specchio, in modo che potesse vedersi riflessa anche in quello che era sul comò. Le sembrò che tutto fosse in ordine. Prese la borsetta, identica alle scarpine. Andò a salutare la madre, giovane e bella, che sembrava più sua sorella, intenta a leggere, seduta nella sua comoda poltrona, in salotto.

‘Ciao, mamma, esco.’

Si chinò a sfiorarle il volto con un lieve bacio.

La donna sollevò gli occhi dal giornale e la guardò a lungo.

‘Devi incontrare qualcuno, Elda?’

‘Forse, mamma. Poi ti racconto tutto. Non star in pensiero per me.’

Le fece un gesto con la mano, e si avviò verso l’ingresso.

Al Caff&egrave Italia erano già seduti alcuni avventori. Vecchi signori, intenti a leggere il quotidiano, uno dei due che giungevano dal Capoluogo. Signore abbastanza mature, m ancora avvenenti, tutte prese dalle ciacole che, soprattutto, si riferivano al comportamento delle ragazze d’oggi, troppo libere, secondo loro, troppo disinibite. Non confessavano, però, che il maggior disappunto derivava dal fatto che, per tale modo di agire delle giovanissime, rimaneva ben poco con cui colmare, sia pure saltuariamente, il vuoto che le tormentava da quando i loro uomini erano lontani, a causa della guerra.

Elda andò a sedere presso un tavolino, alquanto appartato, dal quale si poteva tenere d’occhio il portone della caserma. Una pianta, piuttosto alta, la proteggeva da sguardi indiscreti. Aprì il libro, come se volesse leggerlo.

Dopo qualche minuto, Gianni apparve sull’uscio del Comando. Rispose al saluto della sentinella, e s’avviò, con risolutezza, verso Elda. L’aveva subito scorta.

La salutò cortesemente, restando in piedi.

‘Posso sedermi?’

Elda chiuse il libro e mostrò il titolo: Kif Tebi.

Gianni non si mosse.

‘Quello significa come vuoi, mentre io desidero sapere se lo vuoi tu, che mi segga con te. Io, logicamente, lo voglio, altrimenti non mi sarei avvicinato, lieto di trovarti qui, al tuo tavolo.’

Elda aggrottò la fronte, poi la distese e lo guardò con un sorriso disarmante.

‘Logica stringente, ma’ Lasciamo perdere’ La prego di accomodarsi, signor tenente!’

Gianni, sedette, le prese la mano e con naturalezza, se la portò alle labbra.

‘Grazie, signorina. Vorrei sapere il seguito della considerazione sulla logica, non &egrave mai il caso di lasciar perdere, spesso ne derivano spiacevoli equivoci.’

Elda assunse un’espressione sorniona.

‘Il tema di quest’incontro, dunque, &egrave la logica. A volte, però, a voler essere troppo logici si trascura la logica. Faccio un esempio. Sono qui, a questo tavolino, così come mi hai fatto chiaramente intendere che era tuo desiderio, come puoi dubitare, allora, del mio volere che tu sedessi qui, con me?’

Gianni, sorrise.

‘Bene, un punto a tuo favore.’

Il cameriere si avvicinò, disse che oggi c’erano gelati di vera frutta e miele. Una specialità della casa.

Elda ne fu entusiasta. Gianni si unì a lei nell’ordinazione.

‘Vorrei sapere qualcosa di te, tenente. Da dove vieni, cosa fai da borghese. Com’&egrave composta la tua famiglia. Non conosco nulla di’ mio cugino!’

‘Non &egrave un racconto lungo. Sono nato e vivo a Firenze. Mio padre &egrave architetto, mia madre insegna lettere al ginnasio, dove mio fratello frequenta la quinta classe. Io, ho ventiquattro anni, sono riuscito a laurearmi in legge, poco dopo i ventuno, e speravo di cavarmela con pochi mesi di servizio militare, invece sono qui. Dopo la nomina ad ufficiale sono stato mandato in un avamposto, dove pochi giorni dopo il mio arrivo abbiamo avuto un violento attacco nemico. Il capitano, comandante, e il suo vice, sono rimasti gravemente ferito. Ho dovuto fare tutto da solo, con l’aiuto, naturalmente, di validi sottufficiali. Abbiamo respinto l’attacco e sono riuscito a far trasportare i feriti al più vicino ospedale da campo. Sono stato promosso, tenente, sul campo, per merito di guerra. Soprattutto &egrave stata fortuna. Se tornerò a casa, dopo la guerra, mi attende lo studio di mio zio, il fratello della mamma. E’ il miglior avvocato di Firenze. E’ scapolo. Questo &egrave tutto. E tu, cugina?’

‘Niente di particolare. Figlia unica, padre Comandante della marina mercantile, attualmente a capo di convogli militari, madre, guarda caso, insegnante di lettere, però al magistrale. Io, diplomata maestra e sempre inquieta. Non riesco a scegliere il da farsi e non mi piace insegnare. Avrei voluto frequentare l’Accademia d’Orvieto, di Educazione Fisica, ma i genitori mi hanno detto che non se ne parla fino a quando c’&egrave la guerra. Il mese scorso ho compiuto diciannove anni. Ma tu non mi hai parlato delle tue ragazze.’

Il cameriere aveva portato due grosse coppe.

Gianni guardò la ragazza, mentre lei aveva cominciato a gustare, con una certa golosità, il gelato.

‘Te l’ho detto, non ho una ragazza.’

‘Neppure in passato?’

Gianni restò pensoso per qualche istante.

‘Qualche simpatia, a scuola. Nulla di serio. Poi, però, all’università ho avuto una storia. Non ne vorrei parlare, non mi fa onore.’

‘Che c’&egrave di male? Dura ancora?’

‘E’ cessata da tempo. Non l’ho rivista più. Di male c’&egrave che’ era una donna sposata, che aveva quindici anni più di me. Brutto, vero?’

Elda era arrossita.

‘Non da parte tua. Era lei a dover evitare una cosa del genere. E dopo di allora?’

‘Niente di serio. E tu, che mi racconti di te?’

‘A diciannove anni ho poco da raccontare. Un compagno di scuola. Il folle primo amore. Deludente. Forse m’ero affrettata per timore di chissà cosa. Le mie amiche mi parlavano dei loro amori travolgenti. Poi la corte serrata di un giovane. Mi faceva quasi pena. Mia madre mi diceva che col tempo gli avrei voluto bene. Era impiegato comunale, aveva vinto il concorso. Aveva lasciato la sua terra, nel Meridione, ma sperava di tornarci quanto prima. Credo che sia tornato laggiù. Non ne ho saputo più nulla. Lunghe passeggiate e interminabili discorsi. Sono restata sempre in pieno deserto, non ho trovato mai, non dico un’oasi, ma neppure un filo d’erba. Diceva di amarmi, ma forse non sapeva cosa sia l’amore. Ad essere sincera, neppure io credo di saperlo, anche adesso.

‘Vorresti saperlo?’

‘Non sapere, in astratto, vorrei conoscerlo. Pretendo troppo? Sbaglio?’

‘Tutt’altro. Senti, Elda, posso sperare che seguiteremo a vederci?’

Lei annuì col capo, cogli occhi bassi, senza dire nulla.

Gianni la guardò con infinita tenerezza.

‘Credi che sia stato solo il caso a condurti su quella panchina della stazione?’

‘Non lo so, non capisco niente. Mi sembra d’intravedere un’oasi. O &egrave solo un miraggio? Mi sembra di vivere un film, con un ruolo che non ho mai interpretato prima. Temo che da un momento all’altro, appaia la parola fine, che si riaccendano le luci.’

‘Siamo solo all’inizio del primo tempo, Elda, pochi fotogrammi. Sento che noi siamo i protagonisti di qualcosa d’importante, di serio. E tu?’

Tornò di nuovo ad annuire, in silenzio.

Gianni le chiese, inaspettatamente: ‘Mi fai conoscere tua madre?’

Lei alzò gli occhi e lo guardò con un’espressione di stupore, di sorpresa, d’incredulità.

‘Lo vuoi veramente?’

‘Si, Elda, lo desidero. Al più presto.’

‘Gliene parlerò questa sera. Ho molta confidenza con la mamma. Le dico tutto’ quasi”

‘Sono trascorse solo poche ore, Elda, da quando ci siamo incontrati, eppure mi sembra di conoscerti da sempre. Ho finalmente trovato chi ho sempre cercato.’

‘Vivo la stessa sensazione. E’ come se avessi ricevuto un dono, sospirato, prezioso ma fragilissimo, e temo che si rompa in mille pezzi, che svanisca.’

‘C’&egrave un posto dove possiamo passeggiare, soli, o sedere lontani da tutti?’

‘Si, il mio giardino, intorno alla piccola casa di campagna che abbiamo alla periferia del paese. Vieni.’

‘Dove abiti tu?’

‘No, dall’altra parte dell’abitato. Vieni.’

Gianni lasciò sul tavolo il prezzo della consumazione.

Si alzarono e si avviarono verso il retro del castello.

Era una villetta graziosa. Non molto grande. Il fronte dava sulla strada provinciale , ed era protetto da una massiccia inferriata grigia, con al centro un solido cancello d’ingresso da cui partiva un vialetto, fiancheggiato da aiole fiorite, che girava intorno all’edificio, e terminava sotto una tettoia.

Una graziosa veranda sul davanti.

Dietro, un gazebo rivestito con rampicanti, ben curati, che assicuravano una discreta ombra al tavolo e ai sedili, tutti di pietra levigata, che erano dentro.

Ancora aiole multicolori, sotto frondosi alberi, e il pozzo, con la carrucola scura, e un secchio di zinco appoggiato sul bordo.

Ancora inferriata, e il cancello pedonale che conduceva alla campagna, recintata di filo spinato, con una ricca vigna, un piccolo orto, e molti alberi da frutto.

Elda teneva per mano Gianni.

‘Vieni, andiamo sul retro. So dov’&egrave la chiave del cancelletto.’

Lo condusse attraverso un piccolo viottolo che costeggiava il muretto di confine. Sentiva il cuore batterle forte nel petto, in una sorta di suspence, come quando leggeva un racconto del quale era in impaziente e ansiosa attesa di conoscere l’incerta conclusione.

La chiave era sotto il cancello, in un angolo, appena nascosta da una pietra. La prese, la introdusse nella serratura. Il cancello si aprì senza alcun cigolio.

Elda guardò Gianni e sorrise.

‘Nessun rumore. Merito del grasso marino.’

Entrarono.

La ragazza aveva le guance più colorite del solito.

‘Vieni, Gianni, andiamo nel gazebo.’

Aprì il mobile laccato che era dentro, vi prese un panno e alcuni cuscini. Passò la stoffa sulla panchina e sul tavolo, pose i cuscini sul sedile, rimise la pezza al suo posto. Si adagiò sui cuscini.

Guardò Gianni con occhi lucidi, incantevoli.

‘Vieni vicino a me.’

Gianni andò a sedere accanto a lei, voleva cingerla col braccio, ma la fondina lo disturbava. Si alzò.

‘Anche se &egrave contro la regola, vorrei togliermi il cinturone, se permetti.’

‘Fa pure.’

Si liberò di quell’intralcio, e lo pose sul cuscino, a portata di mano. Tornò a sedere. Elda gli si avvicinò, e gli poggiò la testa dorata sulla spalla. Lui le passò il braccio intorno alla vita. Le sue dita sentirono il sodo tepore dell’attaccatura del seno. Con l’altra mano le carezzava lievemente i capelli. La ragazza alzò il volto radioso, verso lui, e le loro labbra si cercarono, avide, in un bacio spontaneamente appassionato, fremente, e nello stesso tempo dolcissimo, struggente, possessivo.

Gli occhi di Elda erano sfolgoranti, due grossi lacrimoni le rigavano il volto. Il respiro era leggermente concitato. Gli sussurrò:

‘Non avrei mai creduto che potesse essere così bello, coinvolgente, meravigliosamente appagante.’

Gianni la fissò, ammaliato.’

‘E’ la prima volta, bambina, che comprendo cosa veramente sia un bacio. E’ donare e ricevere qualcosa d’indescrivibile. E’ incantevole beatitudine, piena felicità, completo abbandono, distacco totale da tutti e tutto. Siamo soli, tu ed io, ma siamo il mondo intero, tutto il creato. Fino ad ora, non sapevo nulla di ciò.’

‘E’ l’oasi che ho sempre cercato, fonte meravigliosa che mi disseta. Devo essere pazza, Gianni. Poche ore fa non ti conoscevo, non ti avevo mai visto. E ti ho baciato come, credo, si bacia il proprio amato dopo una lunghissima lontananza.’

‘In effetti, siamo stati lontani tutta la vita.’

‘Quanto tempo mi farai vivere questa fiaba?’

‘Una realtà, Elda, la cui durata, finche vivremo, dipenderà solo da noi.’

‘Le tue parole sono rugiada, per il mio cuore riarso. Le tue labbra sono miele, per la mia lingua amara. I tuoi occhi sono fulgore, per la notte del mio spirito. Le tue mani sono balsamo per le piaghe della mia anima. Così bisbiglia Achdàr nella tenta di Ibn Ali, dopo aver bruciato i preziosi profumi, perché Iblis, satana, non li separi mai.’

Gianni sorrise. Si alzò, uscì, raccolse alcune foglie secche e le ammucchiò dinanzi all’ingresso del gazebo. Tirò fuori dalla tasca interna della giubba un piccolo accendino, diede fuoco alle foglie. Fece cenno a Elda di andare vicino a lui. Le prese la mano e, unitamente alla sua, la fece avvolgere dalle spire di fumo che si levavano dal piccolo fuoco.

‘Iblis, contro di noi il tuo potere non prevale. Noi non temiamo le fiamme. Le facciamo divampare quando vogliamo, e le soffochiamo quando ordiniamo.’

Calpestò il fuoco e lo spense.

Strinse a sé la ragazza.

‘Tutto sta a noi.’

‘Devo tornare a casa, Gianni.’

‘Ti accompagno.’

Indossò il cinturone, fece uscire Elda dal cancello, lo chiuse a chiave e la rimise sotto la pietra grigia.

Tornarono sulla provinciale.

‘Nei prossimi giorni, dovrò andare a Rovigno.’

‘Vi abita mia cugina. La figlia della sorella di mia madre. Come vi andrai? Sarai solo?’

‘Sarò solo, e vi andrò con un’auto civile, una S9, Bianchi, che adoperiamo per questi compiti’ come dire, riservati. Vuoi venire con me? Cio&egrave, potresti venire con me?’

‘Non credo che puoi farti vedere, in divisa, con una ragazza.’

‘Tutt’altro. Sarò in borghese. Dovrò osservare e riferire. Possibilmente senza destare sospetti. Quindi, se sarò con una bella ragazza, potranno credere che si tratta di una gita’ Però, non vorrei coinvolgerti. Non si sa mai. Se identificano lo scopo del servizio, potrebbero scambiarti per una collaboratrice.’

‘Ti sei già pentito dell’offerta”

‘Quando conti di andarci?’

‘Posdomani.’

‘Benissimo. Questa sera parlo con la mamma, le dico chi sei, le parlo di te, e della possibilità di andare dalla zia Elena, a Rovigno. Quanto starai via?’

‘Due giorni.’

‘Domani serva vieni a conoscere la mamma, e dopodomani si parte per Rovigno. Evviva!’

La mamma accompagnò Elda fino all’auto. L’aiutò a sistemare sul sedile posteriore la valigia di pelle, e la scatola con la torta di ribes che aveva preparato per la nipote. Fece mille raccomandazioni.

‘Andate piano, stati attenti alla strada. Lei, Gianni, badi che Elda non commetta qualcuna delle sue solite birichinate. Se vuole, può restare a dormire dall’Elena, hanno una casa grandissima, così conoscerà anche mia nipote Perla, sempre occupata col suo lavoro.’

Si allontanò, per farli partire.

Era una gran bella donna, alta, snella, bionda come Elda.

Gianni sorrise, chinò la testa per salutarla ancora, ingranò la marcia, fece un cenno con la mano, e s’avviò verso Rovigno.

Sul primo paracarro che incontrarono, era indicato: Gimino, km 13.

L’auto era spaziosa, comoda, con la tappezzeria fiammante, come nuova. Sembrava non essere stata mai usata. La carrozzeria, rosso amaranto, molto scura, lucidissima.

Gianni guidava senza fretta.

Appena fuori della vista della mamma, Elda gli si avvicinò e lo baciò sulla guancia. Senza togliere lo sguardo dalla strada, Gianni le sfiorò le labbra.

‘Siamo qui, soli. Sono felice oltre l’immaginabile. E settantadue ore fa ignoravo la tua esistenza. Dimmi che sono desta, Gianni, che non sogno.’

Lui le mise la mano sulla coscia, e strinse appena le dita.

‘Siamo perfettamente svegli, Elda. Non &egrave vero che non ci conoscevamo, fino a poche ore fa. Te l’ho detto. Non c’eravamo ancora incontrati, tutto qui. Non ti sembra che stiamo insieme da sempre? Una coppia, la nostra, che esiste da epoca remota. Forse abbiamo già vissuto, uniti, un’esistenza, nel passato, e condividiamo infiniti ricordi della nostra vita comune. Mi viene da chiederti: Elda, come stanno i nostri bambini?’

‘Corri troppo, Gianni”

‘No, come vedi, vado pianissimo. Ho telefonato a casa, ieri sera. Ho parlato con la mamma. Le ho detto d’aver incontrato la compagna della mia vita. Lei &egrave rimasta silenziosa per qualche istante, poi mi ha dato, anzi ci ha dato, la sua benedizione. Lo sa, la mamma, che non sono affrettato e impulsivo nelle mie scelte e nelle mie decisioni, anche se non impiego troppo tempo per giungere ad una conclusione. L’ho pregata di parlarne col babbo, di preparare quanto necessario perché ci si sposi. L’ho salutata, assicurandole che presto sarà nonna.’

Elda lo guardava allibita, esterrefatta. I suoi occhi, però, erano sfolgoranti.

‘Devi essere un po’ matto, Gianni. Ci sono stati casi analoghi nella tua famiglia?’

‘Si, i miei genitori si sono sposati dopo un mese dal primo incontro. Io sono nato duecentosettanta giorni dopo le loro nozze.’

Lei scoppiò in una sonora risata. Gli buttò le braccia al collo.

‘Lo immaginavo che c’era qualche tara familiare.’

Gianni l’afferrò teneramente per i capelli della nuca e, sempre guardando la strada, l’attirò a sé e la baciò sulla bocca, mordendole leggermente le labbra.

Elda si abbandonò sul sedile, radiosa.

‘Sei anche un po’ cannibale”

‘Si, e ti mangerò tutta, sarai con me, in me, per sempre.’

Lei respirò profondamente. Labbra, tumide, vermiglie; nari frementi, leggermente dilatate. La voce era lievemente appannata, come arrochita.

‘Sarò io a divorarti, Gianni’.’

Lui fu percorso da fremiti deliziosi. Le carezzò il volto.

Stavano entrando a Gimino. Il cartello recava delle frecce: Pola a sinistra, Canfanaro a destra. La gente si voltava a guardare l’auto, che procedeva lentamente, durante l’attraversamento del paese. Passarono dinanzi ad un edificio militare. Il tricolore al balcone, e la sentinella all’ingresso.

Usciti dal paese, il traffico, già scarso nel tratto precedente, divenne quasi inesistente.

Elda guardava Gianni, quasi in adorazione. Mise la sua mano su quella di lui, sul volante, e rimase così per lunghi minuti, carezzandolo, chinandosi a baciargli la punta delle dita.

‘Potremmo fermarci in qualche spiazzo’. Desidero baciarti.’

‘Non &egrave la zona più adatta, bambina. I cespugli possono sempre nascondere qualche sorpresa. Non &egrave da escludere che del mio breve viaggio sia a conoscenza chi potrebbe avere interesse che non venga condotto a termine. Neppure la tua presenza li fermerebbe. Non vorrei fornire loro l’occasione.’

‘Ma i soldati sono un po’ dovunque.’

‘Si, sempre che quelli che vediamo in divisa siano tutti militari italiani.’

Elda strinse le labbra, guardò fuori, scrutando nella campagna, tra gli alberi.

Lasciata Canfanaro, andavano verso Braicovici.

La ragazza indicò l’insegna che riportava la distanza dal prossimo paese.

‘Sono nomi italianizzati, la pronuncia, però, &egrave quasi sempre simile a quella del vocabolo originale. Siamo sempre in territorio insicuro?’

Gianni annuì.

Lei ritrasse la mano, che aveva tenuto su quella di lui.

Sedeva seria, con le labbra sporgenti, imbronciata.

‘E’ proprio vero che hai telefonato a tua madre?’

‘Perché avrei inventata una cosa tanto seria?’

‘Mah! Mi sembra tutto così inverosimile. Uno incontra una ragazza, e il giorno dopo comunica alla madre che intende sposarla. Sa tanto di fiaba. Di romanzo.’

‘Spesso la realtà supera la fantasia, &egrave vero. Ma ti ho detto la verità. Da Rovigno cercheremo di telefonarle di nuovo, insieme. Le parlerai tu.’

‘Non voglio parlare con nessuno.’

‘Nemmeno con me?’

‘Non lo so.’

Ancora un incrocio. A sinistra per Pola, diritti per Rovigno. Dieci chilometri.

‘All’ingresso del paese, Gianni, devi girare a destra. Ti indicherò la strada per la casa della zia Elena.’

Gianni aveva aumentato la velocità. Guidava in silenzio.

Entrò in paese e andò diritto, fingendo di non sentire Elda che gli diceva di avere imboccato la direzione sbagliata. Giunse in una piazza, sul mare, con la chiesa, il Comune, l’ufficio delle poste e, poco distante, il centralino telefonico. Andò a fermarglisi dinanzi.

‘Vieni, Elda, per favore?’

‘Dove?’

‘Devo fare una telefonata.’

‘Va pure, attendo in auto.’

‘Ti prego, vieni anche tu.’

Entrarono nel piccolo locale. Una giovane, allo sportello, era intenta a sferruzzare. Le si accostarono. Gianni disse in tono cortese ma deciso.

‘Per favore, signorina, una telefonata urgentissima per Firenze. Questo &egrave il numero.’

Le dette un foglietto.

La ragazza lo guardò dubbiosa.

‘Non so se me l’accettano.’

‘La prego, cerchi di ottenerlo. E’ una questione di vita o di morte.’

L’impiegata sembrò scossa. Cominciò a manovrare gli apparecchi che aveva dinanzi a sé.

Gianni ed Elda andarono verso l’ingresso.

Elda lo fissava pensierosa.

‘Scusa, Gianni, una questione di vita o di morte?’

‘Si.’

‘Di chi?’

‘Del nostro futuro, dei nostri figli.’

‘Di quali figli?’

‘Quelli che potranno nascere o non nascere a seconda di quello che deciderai dopo la telefonata.’

In quel momento la centralinista li chiamò a voce alta.

‘Venga, signore, &egrave fortunatissimo, Firenze &egrave il linea.’

‘Andiamo, Elda.’

La prese per mano. Entrarono nella cabina. Il telefono trillava. Gianni, prese il ricevitore, avvicinò la sua testa a quella di Elda, tra le due orecchie pose la cornetta.

‘Pronto, mamma?’

Dall’altro capo, abbastanza chiara, la voce, preoccupata, d’una donna.

‘Gianni? Cos’&egrave successo? Una chiamata urgentissima da’ non ho capito bene. Cos’&egrave accaduto? Stai bene?’

‘Sto benissimo, mamma. Con me c’&egrave Elda. Le ho detto della nostra conversazione di ieri sera. Ti vuole conoscere, sia pure per telefono, ti vuole salutare, ma &egrave scettica, non crede che la voglia sposare subito. Ecco, te la passo, parlale.’

Fece cenno ad Elda, di parlare.

‘Pronto, signora, sono Elda. Non sono scettica, sono stordita, confusa. Se lo immagina, lei, un giovane che dopo due giorni che ti conosce ti dice che ti vuole sposare?’

‘Si, figliola mia, lo comprendo perfettamente. Anche il padre di Gianni si &egrave comportato nello stesso modo. Sai che mi ha detto? Che se non sposa te, e subito, rimarrà celibe per tutta la vita. Mi ha incaricato di preparare i documenti: Capisco la tua confusione, ma Gianni é fatto così. Se ti piace, se senti qualcosa per lui, ascoltalo.’

‘Se mi piace, signora? Gianni &egrave affascinante, mi ha stregata. Se sento qualcosa per lui? Lo adoro come un dio che mi ha folgorato.’

‘Allora, bambina mia, siate felici, e vieni presto a trovarci, voglio conoscerti di persona.’

Gianni si avvicinò al telefono.

‘Ciao, mamma, saluta il babbo, e prepara i confetti.’

Abbracciò Elda, raggiante.

‘Allora?’

‘Telefoniamo alla mia mamma.’

Era una chiamata nello stesso distretto telefonico, v’era la linea diretta.

Elda attese di udire la voce della madre.

‘Siamo a Rovigno, mamma. Tutto &egrave andato benissimo. Ascolta, mamma. Gianni &egrave un po’ matto. Credo che tutta la sua famiglia sia un po’ matta. Mi ha detto che vuole sposarmi subito. Ho creduto che scherzasse, che mi prendesse in giro. Allora, lui ha fatto una chiamata urgentissima a Firenze, alla sua mamma, alla quale ieri sera aveva comunicato tutto, e la mamma mi ha rassicurata. E’ vero. Mamma, mi senti?’

‘Ti sento, cara, ma non ho parole. Mi sembra che anche tu sia divenuta un po’ pazza.’

‘Pazza di gioia, mamma.’

‘Ah, va bene, siamo già a questo punto. Cosa vuoi che ti dica? E per telefono, in aggiunta. Sono scelte tue, che valgono per tutta la vita.’

‘Mamma, cerca di farlo sapere a papà, cerca di metterti in contatto con lui attraverso radio maripol. Ciao, mamma.’

‘Ciao, Elda. Che dio ti protegga.’

Uscirono dalla cabina.

‘Gianni, mi sembra di svenire, non capisco nulla.’

La prese sotto braccio, pagò le telefonate, la condusse all’auto.

‘Gianni, non diciamo nulla alla zia Elena.’

‘Va bene. Vuoi che andiamo da lei?’

‘Non immediatamente, devo riordinare le mie idee.’

‘Bene. Sali in auto, leviamoci da qui.’

Sulla vetrina del centralino telefonico c’era un manifesto con l’immagine di una piccola chiesa, S.Felice.

Gianni si affacciò nell’interno e chiese alla ragazza dello sportello.

‘E’ lontano San Felice?’

‘Pochissimi chilometri, segua la segnalazione che indica il Canale di Lemme, subito a sinistra del Comune.’

Giunsero dopo qualche minuto ad un piccolo borgo di pescatori. Quasi sul mare, s’ergeva un fortino in cemento armato, dal quale spuntava una vecchia mitragliatrice. Un cartello vietava l’accesso alla zona militare.

Una casetta bianca, con un’insegna verde: Bar ‘ Pescheria.

Lasciarono l’auto nell’angolo in ombra. Entrarono nel Bar.

Una simpatica donna, abbronzata dal sole, disse che poteva offrire loro solo gassosa in bottiglia o vino piacevolmente freddo. Sorrise, e aggiunse che aveva anche delle ostriche freschissime, la specialità del Canale. Attualmente, però, la mancanza d’uomini, e soprattutto di richiesta, faceva languire quella che era stata una caratteristica risorsa della zona.

Elda batté le mani.

‘Le ostriche, che buone.’

Sedettero ad un vecchio tavolo di legno grezzo. La donna chiamò: Nane! e quando apparve un vecchio che salutò sorridendo, scambiò con lui poche parole. L’uomo andò nel retro e tornò con un mastelletto di legno. Lo poggiò sul banco. Prese due piatti e li mise dinanzi a Elda e Gianni, unitamente a due bicchieri di vetro e due strane forchettine, in un altro piatto pose tre grossi limoni e un coltello. Portò una caraffa di vino, ne versò nei bicchieri e in quello che teneva in mano, li invitò a bere, levando in alto il suo bicchiere, imitato subito dai due giovani. Tornò al banco e cominciò a preparare le ostriche. Le toglieva dal mastello, con un coltellino le apriva, le sciacquava in un recipiente con acqua di mare, le allineava su un vassoio di legno. La donna era riapparsa, con alcuni piccoli biscotti salati, una specie di gallettine. Tutto fu messo sul tavolo al quale erano seduti Elda e Gianni.

Le ostriche erano ottime. Gianni, con la forchettina, le staccava dal guscio, le poneva nel centro, vi spremeva sopra alcune gocce di limone dai frutti che aveva tagliato, le avvicinava alle labbra di Elda che le suggeva golosa.

‘Come sono?’

‘Incantevoli, squisite, deliziose”

‘Più di un bacio?’

Elda lo guardò maliziosa.

‘Non di un tuo’ anche se li fai desiderare”

Il vassoio fu presto vuoto. Anche i bicchieri.

Il vecchio li esortò a ripetere, ma rifiutarono ringraziando.

Gianni pagò il modesto prezzo richiesto. Uscirono, salirono di nuovo in auto. Si avviarono per tornare in paese ma, girato l’angolo, Gianni si fermò sotto un gigantesco albero frondoso. Attrasse a sé Elda, la baciò appassionatamente sulla bocca, sul collo, sulle braccia, dove la scollatura lasciava scorgere il solco del seno. La ragazza gli lisciava la nuca, lo stringeva a sé, si sentiva sempre più invasa da un turbamento sconosciuto, da una bramosia ignota, da un’estasi incantevole. Le sembrava precipitare in un vuoto delizioso e poi risalire verso vette d’intenso rapimento. Sentiva Gianni che continuava a baciarla, a carezzarla. Non riusciva a controllare i suoi sussulti, i fremiti, l’ardore del ventre, di tutto il suo essere che vibrava come l’arpa sotto il tocco di dita celestiali.

Poi giacque, sfinita, affranta.

Gianni la stringeva tra le braccia.

Lo guardò come se uscisse da un sogno incantevole.

‘Cos’&egrave avvenuto, Gianni?’

‘Un bacio.’

‘Solo un bacio?’

‘Solo un bacio, si.’

‘Ho vissuto sensazioni di paradiso, ne potrei morire di gioia. Forse ne morirò. Si, morirò tra le tue braccia, sul tuo cuore. Potrai vantarti raccontando che tua moglie &egrave morta di te.’

‘Allora mi sposi?’

‘Si.’

‘Quando?’

‘Adesso”

La zia Elena li accolse con l’esuberanza che poneva in tutte le sue manifestazioni affettive. Chiamò Perla, la figlia, perché venisse a salutare la cugina.

Sembravano della stessa età. Perla aveva circa trent’anni, era medico. Bellissima, d’un biondo incantevole. La mamma non raggiungeva i cinquanta, ma ne dimostrava dieci di meno. Anche lei alta, di forme seducenti, ma il suo biondo tendeva al platino. Aveva dedicato la sua vita al marito, ora al Comando Supersloda come richiamato, alla figlia, ai fiori, al mare.

Fece entrare l’auto nel giardino, indicò a Gianni dove parcheggiarla.

‘Venite, carissimi. Mia sorella mi ha telefonato, ha preannunciato la vostra visita, Mi ha parlato di Gianni. Sono certa di aver compreso che tra voi, ragazzi, c’&egrave del tenero. Bravi, sono proprio contenta. Non perdete tempo, altrimenti finite come Perla che non sa decidersi.’

La figlia l’interruppe.

‘Mamma, sta mica a dire scemenze.’

‘Ma si, cara, non sai deciderti. Trovi difetti in tutti quelli che ti scodinzolano intorno. E dire che sei un tocco di figliola, con una professione lucrosa, e con qualcosa da parte”

‘Mamma’ non parlare come se si trattasse di cani.’

‘D’accordo, d’accordo. Su entriamo in casa.’

Si avviò verso la veranda della bella villa, non lontana dal mare.

‘Ho fatto preparare per voi, carissimi, le camere al primo piano. Sono comode e tranquille. Ognuna col proprio servizio. Noi siamo al secondo. Perla, però, sta quasi sempre nel suo studio, nel padiglione realizzato qualche anno fa.’

Gianni cercò di schernirsi.

‘Signora, la ringrazio, ma io posso andare nell’albergo che sta nella Piazza del Comune.’

‘Si fermi qui, ragazzo mio. L’albergo non le offre, certmente, quello che potrà avere qui. E vedrà che al momento di partire mi ringrazierà per non esservi andato. Adesso, una rinfrescatina, nelle vostre camere, e a tavola tra un quarto d’ora.’

Gianni fece un piccolo inchino.

‘Le obbedisco, signora, convinto della preziosità del suo consiglio. Nel pomeriggio, però, vorrei fare un giro in paese, come turista. Per non destare più curiosità del necessario, la prego di consentire ad Elda di accompagnarmi in questa passeggiata.’

‘Lei deve chiederlo ad Elda, non a me.’

‘Lo farò se questa graziosa’ minorenne otterrà il nulla osta della zia, non meno incantevole della nipote.’

Elena fece un eloquente gesto con la mano.

‘Va là, Gianni. Lei la sa lunga. Capisco come Elda la guardi con adorazione. Andate pure a spasso, avete la mia benedizione.’

Elda s’avvicinò a Gianni, lo prese per la mano. S’avviarono verso la scala interna, per salire al primo piano.

Il pranzo era stato ottimo, la conversazione aveva toccato diversi argomenti, dalla situazione bellica, al panorama internazionale, alle particolari condizioni dei territori dove vivevano, oggetto di varie e non chiare rivendicazioni.

Elena aveva abbandonato la sua aria scanzonata, spensierata, allegra.

‘E’ il nostro problema di sempre. Prima del Patto di Londra, c’era lo spirito irredentista della nostra gente. Venivamo guardati con sospetto, forse giustamente, perché eravamo estranei al potere dominante. Dopo la vittoria del 1918, a fianco di Francia e Inghilterra, ci furono la rivendicazione italiana di quel Patto, la mediazione del Presidente degli Stati Uniti, Wilson, la pace di Saint Germain, e siamo al settembre 1919. Divenuto territorio italiano, i fascisti ci hanno spesso trattati da cittadini di categoria inferiore, da tenere d’occhio. Adesso, Josip Broz, fornito di armi dalla Russia, con la connivenza dei suoi alleati, ha equipaggiato gruppi di fanatici che terrorizzano, con l’aiuto di pochi adepti che vivono tra noi, le popolazioni di queste terre.

Ma &egrave meglio parlare d’altro.’

Il discorso era scivolato su argomenti più piacevoli. Era sempre Elena ad animare i discorsi.

‘Elda, la mamma mi ha ritelefonato poco prima che giungeste, per dirmi che intendete affrettare i tempi, volete sposarvi al più presto. Avete già deciso dove vi sposerete? Dove risiederete? Forse, essendo Gianni un ufficiale, non credo sia il caso di scegliere il tuo paese. C’&egrave sempre il pericolo di qualche malintenzionato che voglia manifestare la sua protesta.’

‘Non ancora s’&egrave deciso niente, zia.’

‘Perché non scegliete un santuario? E’ così bello. V’&egrave qualcosa d’intensa spiritualità, in quei luoghi. Sembra d’essere ancor più vicini a Dio.’

‘Ci penseremo, zia.’

Elena aveva trovato un argomento che l’appassionava.

‘Del resto, Gianni &egrave di Firenze, tuo padre fa, di solito, scalo e sosta a Livorno, avete il bel Santuario di Montenero. Senza parlare di Pisa, di Lucca’ E’ logico che io, Perla e lo zio verremo al tuo matrimonio. Sarebbe anche un’occasione per muoverci un po’. Ci facciamo portare a Trieste dal Parenzi, che &egrave sempre tanto gentile, e di lì, in treno, una lunga gita: Venezia, Bologna, Firenze, Livorno. Può darsi che Perla incontri qualcuno che le vada a genio.’

‘Mamma, sei monotona, sembra proprio che ti voglia liberare di me.’

‘No, Perlina bella, &egrave che desidero cullare i miei nipotini.’

Gianni disse che era ora di andare nel centro del paese, e lungo il mare.

Elda si allontanò per pochi minuti, tornò più allegra e vivace che mai.

I due giovani salutarono, assicurando che sarebbero tornati, molto prima della cena. Uscirono dal cancello, e si allontanarono, tenendosi per mano.

Elda e Gianni erano seduti sul dondolo, sotto la veranda. Perla, nello studio, visitava alcuni pazienti. Elena era in casa, forse in camera sua o in cucina ad aiutare Luisa, che preparava la cena.

Gianni stringeva a sé la ragazza, e le sussurrava qualcosa che lei ascoltava, assorta, lievemente accigliata, col volto leggermente infiammato e gli occhi sfavillanti. Gli carezzava, piano, la mano poggiata sul fianco.

Le mordicchiò leggermente l’orecchio. La sentì fremere.

Le chiese bisbigliando:

‘Allora?’

Lei rimase pensosa, con un tumulto interiore che la turbava, indecisa, esitante. L’alito tiepido di Gianni le sfiorava il collo, le dita la carezzavano. Sentiva il cuore impazzito che sembrava scoppiarle. Provò di nuovo la sensazione percepita quando lui l’aveva baciata. Sprofondava in un mare di delizie, volava verso vette d’insormontabile beatitudine. E questo per il solo essergli vicina. Sospirò profondamente.

‘No, Gianni, non lascerò la porta aperta. Questa volta non ti dirò Kif Tebi.

Debbo essere io a volerlo, a decidere, a scegliere il momento. Devo essere sicura di quello che faccio. Devo riflettere, capire se mi lascio vincere dai sensi. Distinguere la passione dall’amore, quello vero, che solo riesce a mantenere uniti due esseri, per sempre.

Sii tu a non chiudere l’uscio della tua camera, perché un raggio di luce, splendente, mi indichi la via della felicità. Il mio cuore e la mia mente guideranno i miei passi.’

Alzò il volto verso di lui e lo sfiorò con un bacio.

Tutt’intorno era silenzio profondo.

Dalle finestre filtrava il chiarore della luna, che pennellava di smeraldo l’erba delle aiole. All’orecchio giungeva il mormorio del mare, come il gemito della rena baciata dalle onde, che si ritiravano e tornavano a baciarla, senza mai fermarsi, dissetandola con mille rivoli di spuma biancheggiante.

Una porta s’aprì, cauta, guardinga. La snella figura, coi lunghi capelli sciolti, attraversò il corridoio, fu avvolta dal lungo raggio luminoso che l’investì, s’introdusse furtivamente nella camera, lasciò cadere in terra la vestaglia e la vaporosa camicia da notte, entrò nel letto.

Perla s’alzò prestissimo, come ogni mattina, e cominciò, com’era sua abitudine, a girare per casa, quasi ad accertarsi che fosse tutto in regola.

La porta della camera di Gianni era socchiusa.

Guardò dallo spiraglio.

Elda, vestita solo dei suoi capelli biondi, era riversa su Gianni, che dormiva profondamente, supino, e con una mano le avvinghiava il fianco. Sul volto della ragazza, poggiato sulla spalla di lui, aleggiava la beata espressione di un completo, meraviglioso, appagamento, di gioioso benessere, di felicità. Il viso dell’assetata che, dopo aver vagato nel deserto arido, ha, finalmente, placata la sua arsura alla fresca fonte dell’ombrosa oasi dei suoi sogni.

Sorrise, soffermandosi a lungo ad ammirare la coppia, chiuse la porta, senza fare il minimo rumore.

Andò nel suo studio.

Quella mattina Mussolini e Hitler s’incontravano a Feltre.

Il suggerimento di zia Elena fu attentamente valutato.

Dati i tempi, bisognava tenere conto della difficoltà dei trasporti e della tranquillità dei luoghi, anche per tale motivo, gli inviti dovevano essere limitati ai soliti pochi intimi. V’era, poi, da pensare al dove brindare agli sposi.

Per Elda, sarebbero intervenuti solo i genitori e la zia Elena col marito e la figlia. Un po’ più di gente era prevista da parte dei Sabatini.

Tenendo conto che il padre d’Elda sarebbe stato a Livorno ai primi di settembre, che i Sabatini erano di Firenze, e i loro parenti vivevano tra Firenze e Livorno, la scelta del Santuario di Montenero sembrava la più razionale.

Furono tutti d’accordo. S’intesero benissimo, per lettera, per telefono, anche per radio. Flora Sabatini, madre di Gianni, pretese che Elda le desse subito il tu.

‘Vuol dire, cara, che ti conoscerò la vigilia delle nozze. Ma so tutto di te. Gianni mi ha portato delle bellissime fotografie, sei splendida.’

‘Grazie infinite, spero di essere considerata una figlia. Mi auguro che presto le cose si aggiustino e che il prossimo anno sia possibile, per voi, venire qui, nella mia terra, a conoscere il nostro primo bambino. Lo vogliamo subito.’

Sarebbe stato un matrimonio in divisa: Gianni, il suocero, lo zio d’ Elda, e forse anche qualche altro parente.

L’architetto Sabatini prese gli accordi col Santuario. Un delizioso pranzetto intimo li avrebbe visti tutti raccolti nel refettorio, per particolare concessione del Superiore. Il papà di Elda, il Comandante Cheli, avrebbe inviato per tempo qualche riserva della sua cambusa, dove avrebbe trovato anche qualche bottiglia di champagne imbarcato a Marsiglia. Le bomboniere, elegantissime, d’alabastro, riuscirono ad essere colmate con deliziosi confetti d’un rinomato laboratorio dolciario artigiano, lo stesso che avrebbe preparato la torta nuziale. Rimaneva da stabilire il viaggio di nozze.

La sera della cerimonia, gli sposi sarebbero andati nel miglior Albergo della città. L’indomani sarebbero partiti per Venezia, dove avrebbero trascorso una settimana. Poi’ Gianni era atteso al suo Comando, coinvolto dalle confuse vicende del dopo 25 luglio.

I Cheli, e la famiglia d’Elena, sarebbero stati ospiti, per qualche giorno, dei Sabatini, nella loro casa di campagna, nella parte alta di Fiesole.

Elda e Gianni, letteralmente presi dal loro amore, non trascuravano occasione per rivivere la travolgente notte di Rovigno. Mai domi, mai sazi. Sempre alla ricerca smaniosa l’uno dell’altro.

Principio di settembre, giornata luminosa.

Dal Santuario si spaziava lontano, sul mare.

Tutto si era svolto alla perfezione, in serena letizia.

Quando il sacerdote chiese: ‘Accoglierete con gioia i figli che il Signore vi manderà?’

Elda esclamò Oh, si!, con gioia, guardando Gianni. Gli astanti sorrisero.

Raffinato il pranzo, squisiti i vini, piacevole lo champagne.

Poi il gruppo si sciolse. Ognuno prese la propria strada: Livorno, Firenze, Fiesole’

La sera, mentre gli sposi erano nel loro delizioso nido d’amore, la radio trasmise un comunicato del Maresciallo Badoglio: l’Italia aveva chiesto l’armistizio agli Alleati.

Dopo poco, s’udirono carri armati tedeschi sferragliare per le strade.

La nave del Comandante Cheli fu occupata dai Tedeschi.

Supersloda si disgregò.

Dai boschi di Planik, di Vojak, balzarono fuori orde inferocite, piene dell’odio che era stato diabolicamente inculcato in loro, con armi russe, inglesi, francesi, d’ogni nazionalità. La stella rosse sul berretto, bandiere rosse con le scritte smrt, mrznja. Dilagarono verso sud seminando distruzione, spargendo fiumi di sangue innocente. Rancori privati, odio personale, vendette, antiche faide, riempirono le foibe. Il mare restituì corpi orrendamente mutilati, la violenza non risparmiò nessuno. Molti di quelli che andavano a caccia di talijanski, non conoscevano una parola di hrvatskosrpsko. Agli alberi erano appesi resti umani, irriconoscibili, di persone martoriate, seviziate, non identificabili, con al collo un cartello scritto col rosso del loro stesso sangue: izdajica. Spesso erano solo rivali più fortunati in amore, o donne dalle quali erano stati respinti.

Di coloro che quella mattina erano nel Santuario di Montenero, nessuno percorse più le strade di Pazin, Zmini, Kanfanar, Rovinj.

Le graziose e civettuole ville d’Elda e d’Elena, furono invase, e poi abitate da qualche zapovjednik, che per la prima volta aveva una casa con zahod e telefòn.

Il primo dei numerosi figli di Gianni ed Elda nacque a Fiesole.

Leave a Reply