Sono Mario.
Mi chiamo come mio zio, il fratello di mia madre, che è anche il mio padrino di battesimo. Ha diversi anni più della mamma, e la tratta sempre come la ‘sorellina’. Teneramente, affettuosamente, con aria protettiva ma non invadente. Tanto che mio padre gli è molto legato e si trova bene in sua compagnia, pur essendo un carattere alquanto introverso.
In effetti, zio Mario ha delle ottime doti, oltre ad essere un gran bell’uomo, e si fa benvolere da tutti. O quasi.
L’accademia militare ne ha perfezionato il fisico ed impresso al suo carattere doti pregevolissime, come il saper ascoltare, essere capace di analisi e sintesi, e saper raggiungere conclusioni positive.
La scuola di applicazione, successivamente, ne ha migliorato ed affinato le capacità professionali, sì che é uno dei più giovani generali dello Stato Maggiore, con importanti e delicati incarichi in ambito internazionale.
Erano venuti a trovarci, lui e zia Rosaria, la moglie, più giovane di lui di diversi anni, ed eravamo stati, specie io, molto contenti di poterli riabbracciare e trascorrere alcuni giorni con loro, nostri ospiti. Zio Mario godeva di un periodo di riposo. Erano sbarcati a Genova, dopo una breve crociera, e lui avrebbe dovuto raggiungere un comando interalleato, in Germania, dove si sarebbe trattenuto alcune settimane. Aveva già spedito, in quella sede temporanea, il suo bagaglio e le sue cose, e, una volta riaccompagnata zia Rosy (si faceva chiamare così) nello loro bella casa di Catania, avrebbe preso l’aereo per Berlino.
La loro residenza era Catania, città di zia Rosy, e l’avevano scelta anche per la vicinanza alla base di Sigonella che era un po’ l’epicentro dell’attività dello zio.
Eravamo in salotto, dopo cena, a fare quattro chiacchiere.
Zio si rivolse a me.
‘Non sei mai stato a Catania, vero Mario?’
‘No, è vero, ma so che è una gran bella città.’
‘Perché non mi risparmi l’avanti e ‘ndré di andare e tornare e non accompagni tu la zia a Catania? Così potresti visitarla, e, nel contempo, lei si sentirebbe meno sola, anche se, lì, ha qualche parente e alcune amiche.’
Guardai papà e mamma.
Papà si dichiarò subito d’accordo. Mamma disse che, forse, non era il caso di disturbare Rosy.
Zia Rosy rilevò che per lei sarebbe stato un piacere, non un disturbo, fare da guida al nipotino.
In effetti, tanto ‘ino’ questo nipote non era, coi suoi diciannove anni, un metro e ottantasei d’altezza, e un fisico che erano in molte a definire atletico.
Solo, aggiunse, che lei non voleva viaggiare in aereo e il viaggio sarebbe stato abbastanza lungo.
Comunque, fu deciso che avrei accompagnato la zia Rosy a Catania, mi sarei fermato qualche giorno per visitare la città (e i dintorni, aggiunse Rosy) e poi sarei tornato a casa per riprendere la frequenza della facoltà, dopo le prossime vacanze natalizie.
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Niente aereo, dunque, ma treno!
Inoltre, zia Rosy non voleva viaggiare in Eurostar, lei desiderava uno scompartimento, con poche persone, o possibilmente nessun’altra oltre lei e il suo accompagnatore, e a tale proposito era anche disposta ad acquistare tutti i posti!
Ci assicurarono che in quel periodo, nel giorno che avremmo scelto, e con quel treno, che impiegava quasi diciotto ore da Milano a Palermo, era possibile che in prima classe ci fossero scompartimenti quasi vuoti.
L’addetto alle prenotazioni, corregionale di zia Rosy (e dove non sono?) disse di capire tutto (beato lui!) e che avrebbe dichiarato completo lo scompartimento, tanto di posti negli altri ce ne erano a iosa. Anzi, avrebbe fatto mettere il cartello ‘riservato’ sperando che un improbabile affollamento non lo rendesse inutile.
Fu il mio primo incontro con quel particolare modo di ‘intendersi’ e di ‘aiutarsi a vicenda’, che sapeva tanto di clan.
Caro Mario, riflettei, ti aspetta un lungo e non troppo rapido viaggio.
Certo che zia Rosy di capriccetti ne aveva a bizzeffe, e non invidiavo il suo Mario, il marito.
Mi accorgo che non ho ancora descritto zia Rosy.
Non so se casualmente o meno, ma aveva lasciato sulla sua toilette, nella camera degli ospiti, una foto che la ritraeva, sia pure ‘artisticamente’, non del tutto vestita. Unico ornamento, i suoi capelli lunghi e le sue mani.
Non era molto alta, ma di forme armoniose e perfette.
Si capivano sode tette e un culetto alto e prepotente che sembrava sfidare il mondo.
Gambe snelle, ben tornite.
Era intorno ai ’35’, ben portati.
Quel culetto a ‘mandolino’, mi sorpresi a pensare, era proprio invitante, ed io, in fondo, sentivo di avere il plettro adatto per farlo vibrare.
Sciolta nei movimenti, vestiva con sobria eleganza e gusto, ma anche con una certa civetteria che certamente lei controllava dati gli sguardi di zio Mario.
Ora, però, zio Mario non c’era, e, guarda caso, la camicetta aveva allacciato qualche bottone in meno, la gonna saliva inavvertitamente molto più su del ginocchio, quando sedeva, e le gambe accavallate mostravano una bella coscia che doveva essere liscia e soda.
Mamma arricciava il naso, ed ogni tanto domandava a mio padre se era proprio il caso che io accompagnassi Rosy a Catania.
Non che la cosa mi fosse sfuggita, ma zia Rosy cominciava ad essere vista da me, dopo la partenza del marito e le smorfie di mamma, come quello che in effetti era: una bellissima donna, attraente e stuzzicante, con alcuni atteggiamenti alquanto provocanti. In fondo, accompagnare un ‘tocco’ di quel genere sarebbe stato un sogno per molti. Per me era realtà.
Cominciai ad essere più gentile, premuroso, con lei. Quasi galante.
Mi sorrideva incantevolmente, e quando in casa eravamo solo noi non curava affatto di stringere la vestaglia, sotto la quale, si vedeva benissimo, che reggiseno e slip non erano abbondanti. Ci fu, poi, la volta che lasciò aperta la porta della sua camera e si mise ad ammirarsi allo specchio, vestita di niente.
Zia Rosy era decisamente arrapante, e la mia reazione fu naturale e prepotente.
Era veramente un gran bel pezzo di fica. Per non parlar del culo!
Starle vicino, nel viaggio, sarebbe stato certamente piacevole. E poi, qualche ‘passaggio’ poteva anche scapparci.
Anzi, pensai di provarci subito, e quando acquistai il nuovo CD, la invitai a ballare un vecchio tanto argentino, Plegaria, per vedere come avrebbe reagito.
La reazione ci fu.
Quando la strinsi a me, si strinse ancora di più, e a mano a mano che la mia patta rivelava la mia eccitazione, il suo grembo sembrava cercarla, accoglierla, provocarla. Ci mancò poco che non dovessi andare a cambiarmi. Ma lei aveva mutato espressione, le sue nari vibravano, il respiro era alquanto affannoso, e non per il ballo.
Meno male che i miei erano andati per le spese e Ninetta, la cameriera, era occupata in cucina.
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Partenza l’indomani.
I miei ci accompagnarono alla stazione, fino al vagone. Mamma, anzi, salì, con la sua solita mania di voler vedere se tutto fosse in regola. Quando lesse il cartello ‘riservato’ ci chiese cosa volesse significare. Zia Rosy fu pronta a rispondere che non lo sapeva e che forse avrebbe viaggiato con noi qualche pezzo grosso o chissà chi.
Mamma non sembrò troppo convinta. Anzi, andò a domandare al ferroviere chi fosse il personaggio del ‘riservato’. Le rispose che non lo sapeva.
Per fortuna era l’ora della partenza.
Saluti, baci, abbracci. Una lunga serie di raccomandazioni, con un ripetuto ‘mi raccomando, comportati bene con Rosy’ che aveva tutta l’aria di un messaggio speciale. Risposi con lo stesso tono che non doveva preoccuparsi, speravo che la zia non avrebbe avuto motivo di lamentarsi di me.
Finalmente il convoglio si mosse.
Mettemmo degli oggetti personali vari sui posti di fronte a noi, ed anche su quello accanto ai nostri, vicino al corridoio. Avevamo chiuso la porta scorrevole e tirate le tende. Avevo anche cercato di girare il nottolino quadrato della serratura, ma non vi ero riuscito.
Era quasi buio del tutto. Mancava poco alle cinque del pomeriggio.
Zia Rosy, vicina al finestrino, mi disse di spegnere la luce grande, e di lasciare solo quella azzurrina.
Era abbastanza caldo lo scompartimento, ma zia chiese che le ponessi la pelliccia sulle gambe. In effetti il vestito era piuttosto leggero e molto corto.
‘Sai che ho freddo, Mario? Senti”
Prese la mia mano e la portò sul polpaccio.
In effetti non era caldo.
Ritenni opportuno accertarmi anche della temperatura del ginocchio e lo carezzai lievemente con la mano. Per scaldarlo, le avevo detto. Lei mi ringraziò, sorridendomi seducentemente.
Si cominciava proprio bene, ed eravamo appena partiti.
Rpsy mi disse che avremmo avuto modo di conoscerci meglio, e mi chiese di parlarle di me.
Mise affettuosamente la mano sulla mia ‘quella del ginocchio- e con nonchalance la portò sulla coscia, sotto la gonna. C’era la calza, ma il contatto era lo stesso delizioso. Un tepore incantevole e invitante.
Era molto vicina a me.
‘Collant?’
‘No, mai. Autoreggenti. Senti.’
Salii ancora e incontrai l’elastico vellutato che teneva ferma la calza. Oltre, la carne nuda, serica, meravigliosa. Rimasi così, in attesa che mi dicesse di togliere la mano. Non lo disse.
Il treno aveva acquistato velocità. Fuori era sempre più buio.
Si alzò, si pose a guardare fuori del finestrino, sorreggendosi con entrambe le mani alle maniglie.
Ero rimasto seduto.
‘Vieni a vedere come corrono le luci, Mario.’
Andai dietro di lei, non osavo accostarmi più di tanto, ma furono le sue alte e tonde natiche a venirmi incontro e farmi sentire la loro emisferica saldezza. Già ero arrapato, ora, poi, i pantaloni sembravano voler scoppiare. Il movimento del treno faceva il resto, ma erano soprattutto i suoi ondeggiamenti a farmi impazzire. E la cosa durò abbastanza per incitarmi a metterle una mano sul petto. Fu accolta entusiasticamente, come dopo lunga attesa, e il bel culetto aumentò la sua voluttuosa attività.
La fermata di Piacenza giustificò la mia spinta. O la sua? E così quando ripartì di nuovo.
Il treno stava riavviandosi lentamente.
Si voltò verso me.
‘Devo andare al bagno, mi accompagni?’
Uscimmo nel corridoio, non c’era nessuno, andammo in fondo, sulla piattaforma. Gli scompartimenti erano semivuoti.
La toilette era libera.
‘Va, zia Rosy, ti aspetto qui.’
Mi tese la mano.
‘Entra con me.’
Credetti di stare immaginando. Entrare con lei?
Intanto, aveva aperto la porta e mi aveva tirato con sé. La richiuse.
Senza parlare, con una sconosciuta espressione nel suo bellissimo volto, gli occhi fiammeggianti, le labbra tumide e tremanti, abbassò di colpo la zip del mio pantalone, vi infilò la mano, armeggiò per liberare la mia prepotente erezione dalla prigione dello slip, alzò il vestito ‘era nuda sotto- mise un piede sull’orlo del vaso, e portò il glande all’ingresso palpitante della sua vagina, sporgendosi per farsi penetrare il più possibile.
Sembrava la sarabanda indemoniata di una ossessa infoiata. S’era aggrappata a me, con le braccia al collo, e si dimenava senza controllo. La sorreggevo per le natiche che si contraevano e rilassavano rapidamente trasmettendo il loro moto all’interno di quel grembo avido e affamato dove le contrazioni si susseguivano, voluttuose, voraci, come una instancabile mungitrice che avvinghia il lungo capezzolo che ha imprigionato.
L’orgasmo giunse di colpo, con gridolini e fremiti che raggiunsero l’acme quando svuotai in lei il frutto della mia giovinezza e della lunga continenza.
Sembrò affogare in quell’onda, e gli occhi, estatici, mostravano appena il nero della pupilla, vitrea.
Il tutto non era durato molto. Del resto con quell’impeto la conclusione non poteva che essere abbastanza rapida, ma non per questo meno inebriante.
Sembrò acquietarsi.
Mi baciò sulla bocca, introdusse la sua lingua saettante nella mia, cercandomi golosamente.
Poi, pose i piedi per terra, si allontanò lentamente e coll’interno della gonna asciugò il mio fallo non del tutto quiescente, lo ripose teneramente nell’interno dei pantaloni, rialzò la zip.
Mi guardò, disfatta e sorridente.
‘Non ne potevo più, Mario. E’ stato meraviglioso. Mi hai saziata e riempita come anelavo. Vorrei che quello che hai lasciato in me restasse per sempre.. anzi no” -sorrise maliziosamente- ‘fino alla prossima volta, cioè prestissimo!’
Si rassettò.
‘Esci prima tu, mi fermo un momento.’
L’attesi in piattaforma.
Uscì.
Tornammo nel nostro scompartimento, si mise in braccio a me, mi baciava teneramente, mi carezzava. Volle sentire la mia mano sui riccioli neri del suo pube, le mie dita ancora in lei, rorida del mio seme.
Ci stavamo fermando a Parma.
Avevamo moltissime ore di viaggio.
Per quanto la cosa mi avesse deliziosamente sorpreso e si prestasse a rosee e allettanti aspettative, temevo che se fossimo ancora’ tornati alla toilette’ prima o poi qualcuno ci avrebbe visto.
Per fortuna s’addormentò. E dormì a lungo, molto a lungo.
Passò l’addetto al vagone ristorante, serie unica, prenotai due posti.
Erano passate le otto di sera, la carezzai per svegliarla, le dissi che dovevamo andare a cena.
‘Dopo, caro, dopo.’
‘Siamo in treno, zia Rosy, dopo chiude il ristorante.’
Si scosse, sorrise, mi baciò.
‘Vado al bagno. Accompagnami.’
Forse l’espressione del volto le disse qualcosa.
‘Questa volta, però, resta fuori.’
Avevamo lasciato Bologna, per Firenze.
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Quando giungemmo nel WR erano quasi tutti a tavola. A noi erano stati riservati due posti, di fronte, in fondo al vagone, dalla parte opposta a quella dalla quale eravamo entrati, dove già sedeva una coppia abbastanza anziana. Lei, un volto piacevole contornato di candidi capelli, sedeva nel senso contrario alla marcia. Lui, anche egli canuto, aveva robuste spalle. Risposero cordialmente al nostro saluto. Lui fece il cenno di alzarsi.
Il cameriere chiese cosa desiderassimo da bere.
Mi consultai rapidamente con Rosy.
Minerale naturale, e bianco di Salaparuta.
I nostri commensali scelsero acqua frizzante e Soave.
La signora, ogni tanto, scambiava sguardi col marito. Fin quando, non potendo più contenere la curiosità, non domandò se andassimo lontano.
Rosy rispose amabilmente che eravamo diretti a Palermo.
Da come ci esaminavano ero certo che si chiedessero quale legame c’era tra me e zia Rosy. Durante il nostro passaggio tra i tavoli, s’erano uditi sussurri. Credo che gli uomini invidiassero me e le donne la zia.
Rosy aveva ancora l’aria un po’ sognante che le era rimasta sul volto dopo la travolgente scopata di poco prima, un’impronta che il riposo non aveva cancellato.
Era bellissima, seducente, attraente, fortemente desiderabile. Sprizzava sesso da ogni poro, da ogni gesto. Una vera sexy lady.
‘Io salterei il primo, Mario. Che dici?’
La vecchia coppia faceva finta di guardare fuori, la nera campagna che non si vedeva, ma si comprendeva che seguivano attentamente il nostro parlare.
‘Credo sia meglio che tu mangi un po’ di pasta, zia, a pranzo hai voluto solo la pietanza.’
Quando udirono che la chiamavo zia si guardarono in volto, e lei alzò scetticamente le sopracciglia.
Sicuramente, avrà pensato dentro di sé, ma che zia a e zia a chi lo volete far credere!
Comunque, era sempre mia zia, Rosy, anche dopo quello che era accaduto in precedenza, e tale sarebbe comunque rimasta.
Mi risuonavano nelle orecchie le sue parole: la prossima volta’ prestissimo’
Vuoi vedere che quella che in principio, quando zio Mario mi aveva proposto di accompagnarla a Catania, era sembrata una scocciatura si sarebbe tramutata in un periodo bellissimo? Una scorpacciata di scopate da star bene per un anno? Non vedevo l’ora di ammirarle dal vero le tettine, di carezzarle quel bel culetto del quale avevo già apprezzata la consistenza. E’ tutto il resto.
Vuoi vedere che Catania sarebbe divenuta la mia città preferita?
Cacchio, che impeto e che passionalità quella splendida brunetta che aveva nelle vene il fuoco dell’Etna.
E nel suo incandescente cratere avrei volentieri fuso e rifuso la mia verga, che dopo ogni fusione sarebbe rifiorita più vigorosa che mai.
Rosy mi guardò.
‘Cosa pensi, Mario?’
‘Ricordavo il passato prossimo.’
‘Strano, anche io pensavo ai verbi, ma al futuro.’
I due vecchi si scambiavano continuamente sguardi.
Lei non riuscì a stare zitta. Si volse a Rosy.
‘E’ suo nipote?’
Rosy assunse un’aria candida, innocente.
‘Si, è il mio nipotino diletto.’
Ma disse ‘diletto’ staccando bene ‘di’ da ‘letto’.
In effetti mentiva, a letto, insieme, non eravamo stati mai. Almeno fino a quel momento.
Ora la domanda toccava a me.
‘E lei, giovanotto, vuol bene alla zietta?’
‘Come può pensare, signora, che non si possa volere più che bene a una zia del genere?’
Annuì con la testa, come se avesse compreso.
Ci disse che loro sarebbero scesi a Roma.
Quando ci alzammo, dopo aver pagato il conto. L’arzilla vecchietta ci salutò sorridendo e ci augurò una felice notte.
Rosy sembrò spontanea quando le ricambiò cordialmente l’augurio.
Di nuovo nello scompartimento immerso nel buio, con la sola piccola luce azzurra.
Un tenero scambio di baci e fugaci carezze, come due fidanzatini.
Passò il controllore. Zia gli chiese se per non essere disturbati era possibile chiudere la porta con la serratura quadrangolare.
L’uomo ci squadrò attentamente, senza alcuna espressione nel volto.
‘Per caso ho una doppia chiave. Potete chiudervi dal di dentro, ma la controlleria può sempre aprire.’
Le porse la speciale chiave ad incastro, uscì, chiuse lui la serratura.
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Stavamo uscendo da Roma.
Ci attendeva una lunga notte, e sarebbe stata ancora notte, poco dopo le sei del mattino, al momento dell’imbarco della vettura sul traghetto che da Villa San Giovanni ci avrebbe portati a Messina.
Rosy aveva poggiato la testa sulla mia spalla, aveva gli occhi aperti, e nel lieve chiarore dello scompartimento potevo vedere che erano fissi su qualcosa di fronte, o nel nulla.
Le carezzavo dolcemente il volto, intrecciavo le dita nei suoi capelli.
Ciò mi portò a pensare ai foltissimi riccioli neri del suo pube che avevo appena sfiorato. E mi eccitò.
Di nuovo il dondolio del treno, il ritmico scandire delle ruote sulle connessioni delle rotaie: appena un ronzio, date le moderne tecniche. Ma era quel cullare che ti faceva pensare al molleggiare d’una comoda ed accogliente alcova.
Ogni tanto, dal finestrino, pur con la tendina abbassata, filtravano rapide lame di luci delle stazioni che attraversavamo, preannunciate e seguite dallo sferragliare sugli scambi.
‘Conosci il kamasutra, Mario?’
Domanda improvvisa e inattesa.
‘Si.’
‘Ti piace?’
‘L’ho appena sfogliato.’
‘Hai trovato qualcosa d’interessante?’
‘Tutto e nulla.’
‘Come sei laconico, evasivo.
Ricordi la classificazione delle donne e degli uomini?’
‘Mi sfugge.’
‘Gli uomini sono suddivisi in categorie, secondo la dimensione del loro lingham: lepri, tori, cavalli.
Le donne, a seconda della profondità della loro yoni: cerve, giumente, elefanti.
Tu sei certo un toro, Mario. Ti ho visto. Soprattutto ti ho sentito.
Come mi classificheresti?’
‘Non so, dillo tu.’
‘Io credo di potermi definire una giumenta. La mia cosina, mi sembra, non è smisuratamente ampia, ma é infinitamente ingorda. Di te.
E non a caso il kamasutra dichiara che l’unione tra il toro e la giumenta è la migliore.
Anche la forza dl desiderio, la passione, ha una sua graduatoria. Ed io sono certa che sono una di ‘intense passion and full of desire’. Intensa passione e piena di desiderio.
Ancora non posso dire nulla di te. Quello che è accaduto, però, mi induce a credere che occupi il mio stesso posto nella graduatoria.
La terza considerazione kamasutrana si riferisce alla durata, the time, e questo, dopo la prima voluttuosa incontenibile sfuriata, mi riprometto di accertarlo. Io, per me, sono variabile, in materia, ma sono tendenzialmente portata a raggiungere il piacere con una certa sollecitudine.’
Non nascondo che non mi sarei aspettato una trattazione del genere, ed esposta con un certo distacco, mentre io m’andavo eccitando sempre più. In proposito, però, mi sbagliavo, perché Rosy prese la mia mano e la portò a constatare l’umidore della sua fichetta.
Quel contatto doveva averla maggiormente eccitata. (Non vi dico io!)
Si alzò in piedi, abbassò di nuova la zip del mio pantalone, e’ disse tutto poggiandosi sul sedile di fronte, dopo essersi alzata la gonna.
Mi balzò in mente l’illustrazione di quel famoso libro orientale da lei citato, la riproduzione di una statua del tempio dell’amore, che dopo qualche istante rappresentava noi.
Entrai in lei non affrettatamente, ma fin quando potei.
Sentii accogliermi con caldi palpiti.
Le sue chiappette mi scaldavano il ventre.
Allungai le mani per afferrarle le tette. Quasi strappai i bottoni del vestito, sollevai decisamente i reggipetto.
Eccole, deliziose, sode, col loro capezzolone eretto. E la vagina si stringeva intorno al mio fallo.
Uno stantuffare che cominciò piano piano, come quando la locomotiva comincia a muoversi. Il fuoco che ha dentro causa il moto. Al principio lento, poi aumenta, sempre più, fino a divenire una corsa sempre più veloce per giungere alla stazione d’arrivo. E vi arrivammo insieme, rallentando, fino a fermarci. Ma il fuoco seguitava ad ardere, lo stantuffo a fremere, la guaina che l’accoglieva a pulsare, in attesa che la corsa ricominciasse.
Seguitavo a tormentarle le tette, ogni tanto le carezzavo le chiappe.
Sgusciai da lei, lentamente.
Le passai le dita tra le natiche, sentii il mio seme spandersi in quel solco caldo ed allettante, le contrazioni del suo buchetto. Vi infilai, piano, un dito. Si strinse intorno ad esso. Con l’altra mano la frugai davanti, le titillai il clitoride. Era tutto un palpitare. Mi ripromisi che avrei cercato di avere la mia prima esperienza infilando il mio coso li, nel buchetto, al posto del dito. Ma dovevo scegliere il tempo. E non sapevo che sarebbe stata anche la sua prima volta in materia.
Ci ricomponemmo alla meglio, sedemmo sul divano.
Mi buttò le braccia al collo.
‘Mario, dolcissimo Mario, sei stato bellissimo. Non avevo mai goduto così.
E’ certo, siamo toro e giumenta, la coppia perfetta.’
L’ora, il dondolio del treno, e tutto il resto ci fecero addormentare, abbracciati. E restammo così, a lungo.
Eravamo quasi a Salerno quando fui destato, piacevolmente, da qualcosa che stava accadendo.
Rosy andava realizzando un altro dei suoi ricordi dell’erotismo indiano. E’ certo, aveva detto, siamo toro e giumenta, la coppia perfetta.
Era attaccata con le mani alla reticella, aveva alzata la gonna e fermata in vita, era riuscita ad estrarre il mio fallo eretto dai pantaloni, (e non m’ero svegliato forse perché credevo di stare sognando), e ci si stava impalando golosamente.
Quando le sembrò di essere stata completamente penetrata, (sentiva il mio glande premere sul fondo della vagina), si lasciò andare lentamente, staccando le mani dalla reticella, e cominciò a muoversi.
Non credo che la sua posizione fosse una delle più comode, ma quello che contava per lei, era farsi una bella galoppata a cavallo del mio pisellone.
Le posi le mano sui fianchi, poi sulle belle chiappe.
Aveva il corpetto slacciato, le tette fuoriuscenti.
Riuscii ad agguantare un capezzolo turgido tra le mie labbra e a succhiarlo.
Le pareti della vagina s’erano impadronite del mio sesso come sanguisughe, e lo poppavano, sempre più freneticamente.
Rosy sembrava rantolare, un rumore roco e profondo usciva dalle sue labbra, la testa rovesciata indietro, gli occhi socchiusi. E non riuscì a soffocare il grido che proruppe da lei quando fu in preda ad una serie di orgasmi rapidamente susseguentisi, quasi parossistici quando il mio seme esplose in lei. Sembrò che anche la sua testa e il suo grembo esplodessero.
Poi si gettò su di me, e giacque.
Era stato bellissimo, ma ora, dopo, mi venne in mente che qualcuno avrebbe potuto aprire la porta. Qualcuno della ferrovia.
Rosy si alzò. Asciugarmi il fallo con l’interno della gonna stava divenendo un’abitudine.
Poi mi sedette accanto.
Questa volta fui io a cercare di riprendere un aspetto esteriore passabile.
‘Come faccio, Mario, ad aspettare ancora’ ti voglio sempre’ continuamente. Mi giudicherai certo una assatanata, ma non è così, ti giuro. Pensa che nella mia vita non ho conosciuto nessun altro uomo, prima di te, che non fosse mio marito. Ero vergine, verginissima, quando mi ha sposata. Ora, solo ora, mi sembra di essere nata alla vita. Non lo avrei mai immaginato. Eppure, quando siamo giunti a casa tua, giorni fa, ho sentito un improvviso rimescolio, in me, al solo vederti, che mi ha profondamente turbata. Volli credere che fosse una cosa passeggera. No, e non so cosa mi stia accadendo, ma sono pazza di te, come se ti avessi agognato da sempre. Nessun ostacolo mi trattiene.
Ti ho trascinato nel bagno, come una puttanella da due soldi. Non mi ero messo le mutandine. Te ne sei accorto? Era tutto premeditato. Dovevo sentirti in me, subito. Ed è stato ancora più bello di quanto immaginassi. Non credevo di poter provare simili sensazioni, di raggiungere un godimento che non sapevo esistesse. Vedi, mentre ti parlo mi eccito. Baciami.’
Un bacio passionale, travolgente.
Sentimmo qualcuno armeggiare alla porta.
Ci ricomponemmo.
La serratura girò, la porta si aprì, fu accesa la luce.
Un nuovo controllore, questa volta, però, con insegne dorate del suo grado, solo sul berretto. Lui vestiva in borghese, con un badge di riconoscimento sulla giacca.
‘Prego, biglietti.’
Guardò il cartello attaccato al vetro. Si rivolse a noi.
‘Siete voi i destinatari della riserva? Avete un documento in proposito?’
Scuotemmo la testa.
‘Allora, deve essere quanto meno scaduta la ‘riserva’, perché nei documenti in mio possesso non risulta. Devo rimuovere il cartello, quindi.’
E lo strappo’.
Controllò i biglietti.
S’affacciò in corridoio.
‘Prego, possono accomodarsi qui, c’è posto.’
Apparvero due suore, una anziana, l’altra molto giovane.
Entrarono sorridendo, sistemarono il loro piccolo bagaglio sulla reticella, sedettero di fronte a noi, tirarono fuori due libretti, si misero a leggerli.
Dunque, finita la ‘privacy’ e terminato il buio favoreggiatore.
E ancora molte ore di viaggio.
Ma forse tutto ciò non era male.
Era opportuna una pausa, perché l’inizio era stato turbolento e travolgente, e prima o poi saremmo stati sorpresi con le drammatiche possibili conseguenze che si possono immaginare.
Sussurrai all’orecchio di zia Rosy che dovevamo cercare di dormire un poco.
Chiusi gli occhi, ma quella vicinanza, il suo tepore, il suo profumo e’ tutto il resto, non mi fecero appisolare.
Aprii gli occhi. Zia Rosy stava fissando le suore.
Forse lo sentirono, perché la più anziana chiuse il libro e le sorrise.
‘Andate lontano?’
‘A Catania.’
‘Anche noi, così ci faremo compagnia. Arriveremo verso le dieci, se Dio vuole, vero?’
‘Si, poco prima delle dieci.’
‘Siete di Catania?’
‘Si, madre, io sono di Catania’ ‘era sempre la zia a parlare, io restavo in silenzio- ‘ma mio nipote no, mi accompagna a casa per non farmi viaggiare sola.’
La suora mi guardò, mi sorrise, annuì compiaciuta.
‘E’ un bel nipote, una bella guardia del corpo.’
Rosy sorrise anche lei.
‘Si, lo é.’
E batté la sua manina sulla mia, che tenevo sul divano.
Un contatto delizioso.
Rimase un po’ così, prima di levarla.
La suora riprese a leggere.
Ricordai che avevamo acquistato delle riviste. Mi alzai, le presi dalla borsa, le porsi a zia Rosy.
Ne aprì una, cominciò a sfogliarla. Mi indicò qualcosa, mi avvicinai a lei.
Non doveva mostrarmi nulla. Era solo per parlarmi, a bassissima voce, appena un soffio.
‘Mi dispiace, Mario. Ho ancora tanto desiderio di baciarti.’
‘Cerca di riposare un po’. Appoggia la testa sulla mia spalla.’
‘Si, ma tu dammi la mano.’
Chiuse la rivista e se la pose sulle gambe.
Si rivolse alle suore.
‘Mi sento stanca, ma non riesco a riposare. Esco, e non del tutto, da un forte esaurimento nervoso, che mi ha tormentato ed è giunto senza che ne sappia il motivo. Questa è anche la ragione per cui non posso viaggiare in aereo. Sono ancora vittima di una noiosa ma incontrollabile claustrofobia. Mi sento sempre in pericolo, ho bisogno della protezione di qualcuno. Ho tanto bisogno di dormire. Ci proverò.’
La suora giovane la guardò, preoccupata.
‘Vuole che spegniamo la luce?’
‘No, grazie, leggete pure. Mi appoggerò a mio nipote e spero di assopirmi.’
Poggiò la testa sulla mia spalla, mi prese la mano e se la portò in grembo, stringendola, sotto il giornale.
Le suore si guardarono, ma senza lasciar trapelare nulla dall’espressione del volto.
Il treno proseguiva verso sud.
Le dita di zia Rosy sembravano volermi trasmettere i suoi pensieri, erano in continuo movimento. Soprattutto, premevano la mia mano sul suo grembo che mi sembrava sentire palpitare. O forse era solo la mia immaginazione.
Le suore avevano ripreso a leggere.
Zia, però, allentò la stretta, cominciò a respirare profondamente. Si era addormentata.
La suora anziano mi guardò e sussurrò in un soffio.
‘Si è addormentata, meno male, poverina. Si vede che ha bisogno di lei. Forse se non sentisse la sua mano, a proteggerla, non riposerebbe.’
Tornò cogli occhi sul suo libro.
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I vagoni erano stati imbarcati sul traghetto.
Le manovre, e il relativo rumore, avevano svegliato zia Rosy, che mi sorrise, poi si voltò alle sempre immobili suore e sorrise anche a loro. Si alzò, andò al finestrino. Eravamo vicini alla scaletta che conduceva ai ponti superiori.
‘Vorrei prendere un caffè. Mi accompagni, Mario?’
Si rivolse alle suore.
‘Perché non vengono anche loro? A quest’ora qualcosa di caldo ci vuole.’
‘Veramente, signora, noi preferiamo non muoverci, ma loro vadano pure. Certo.’
‘Gliene porteremo due, sperando che non si raffreddino molto.’
‘Lei è molto gentile. Quand’è così, posso pregarla di acquistarli per nostro conto e farli mettere nel termos?’
‘Certo.’
La suora aprì la capace borsa che aveva accanto a lei, ne trasse un piccolo termos, lo dette a zia Rosy.
‘Non preoccupatevi’ ‘proseguì la suora- ‘alle vostre cose pensiamo noi. Lasciate qualche oggetto sui vostri posti.’
Salutammo e ci avviammo nel corridoio. Giungemmo allo sportello, lo aprimmo. Faceva fresco ma il freddo di Milano è tutt’altra cosa.
Salimmo la scaletta, ancora un’altra, e giungemmo dov’era il bar.
C’era abbastanza gente. Il tepore era piacevole.
Zia Rosy aveva preso la mia mano. Sembravamo due adolescenti a passeggio.
C’era un piccolo tavolo libero, in un angolo. Andammo a sederci.
‘A me, Mario, un bel cappuccino e vorrei anche una brioche. Per favore, prendi anche il caffè alle suore.’
Il termos lo aveva già dato a me, in precedenza.
Tornai dopo poco, con un vassoio sul quale fumavano due tazze di cappuccino, e v’era anche un piatto con delle belle brioches calde, due con la crema e due con la marmellata, e, in più, il termos nel quale avevo fatto mettere ben quattro tazzine di caffè.
Sedetti di fronte a lei.
Le sue gambe vennero subito a infilarsi tra le mie.
Mi guardò maliziosamente.
Fu contentissima delle brioches, disse che erano proprio come piacevano a lei. Dopo la piccola colazione rimanemmo un po’ a guardare fuori.
Il traghetto s’era avviato verso Messina.
Pensammo che le suore erano in attesa del caffè, e tornammo nello scompartimento. Nel salire sul vagone, zia Rosy si voltò verso me e mi baciò rapidamente, di sfuggita.
Le suore accolsero con visibile piacere il caffè, dissero che erano due abbondanti tazzine, ed insistettero, senza riuscirvi, nel volerci rimborsare la spesa.
Stavamo tornando sulla terra ferma.
Ancora due ore e saremmo giunti a destinazione.
Non posso nascondere la ridda di pensieri che attraversavano la mia mente.
Cosa mi attendeva?
La domanda potrà sembrare sciocca, ma non è detto che quella fregola scatenata, specie della prima volta, nella toilette, sarebbe durata.
La casa poteva imporle tutt’altro atteggiamento.
I luoghi nei quali viveva col marito, il talamo coniugale, potevano bloccarla.
In tal caso cosa significava per me?
Primo pensiero: avere a fianco un gran tocco di fica, di cui, tra l’altro conoscevo l’esuberanza e la passionalità, e dovermi dedicare al sesso solitario.
Secondo pensiero: in fondo, non stava bene scopare la moglie del proprio zio.
Terzo pensiero: forse è meglio che torni subito a Milano.
Conclusione: manco per niente, rimango a Catania e vediamo come va a finire, non sarò certo io a rinunciare una donna del genere, sola, col marito lontano. Del resto, o io o zio, lei avrebbe scopato sempre con un Mario!
Quello che è certo, che solo pensando a lei venivo assalito da incontenibili erezioni, ma era giorno, c’erano le suore, eravamo in un luogo pubblico.
Ci voleva pazienza.
Wait and see, staremo a vedere!
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Un sorriso per tutto saluto, alle suore, e mi affacciai al finestrino per chiamare un portabagagli. Così aveva voluto zia Rosy.
All’autista del taxi dette un indirizzo.
‘Andiamo alla ‘fortezza’, signora?’
‘Si.’
Quando fummo in auto, le chiesi che significava, nel caso, ‘fortezza’.
‘E’ un gruppo di villette, ben custodite e sorvegliate, per motivi vari. Poi ti spiegherò. Sono poco discoste dal mare, ai piedi della collina, e molte hanno accesso diretto al mare e una propria darsena, anch’essa molto protetta.’
Il taxi si districava discretamente nel traffico, che a me sembrava caotico, con veicoli d’ogni genere e continui strombazzamenti di clacson. Poi imboccammo una strada meno battuta, e dopo qualche minuto giungemmo dinanzi a un cancello fornito di solidi pannelli metallici che non lasciavano scorgere nulla.
Zia Rosy prese dalla borsetta uno strano aggeggio, che capii essere un apriporta elettronico, compose una cifra e il cancello si aprì lentamente.
‘Adesso può entrare, ma la prego di guidare molto lentamente, Si fermi ai piedi della scala che porta alla veranda.’
L’autista era serio, compunto, nascondeva una evidente curiosità, e sembrava compiere un rito particolare. Si fermò dove zia Rosy gli aveva detto.
Scese, prese il bagaglio, lo depositò vicino alla porta centrale della veranda.
Zia Rosy pagò la corsa, con una generosa mancia, e gli disse di uscire lentamente. Avrebbe pensato lei a chiudere il cancello.
La porta della veranda era di vetro, e si vedeva che era molto pesante, del tipo safety and bullet-proof glass. In teoria avrebbero dovuto resistere ad ogni tentativo di scasso. Evidentemente tutto doveva rispondere, altre aperture, infissi, eccetera, allo stesso criterio. Chissà, forse perché zio Mario faceva parte dello Stato Maggiore interalleato.
Un’altra composizione numerica sullo stesso arnese, malgrado due serrature facessero bella mostra sulla parte metallica della porta, e si aprì, scorrendo all’interno della parete.
Seguitavo a capirci sempre meno.
Inoltre, non c’era nessuno ad attenderci.
Evidentemente zia Rosy si accorse del mio stupore.
‘Vieni, Mario, ora accendo le luci. Dentro sicuramente staremo bene perché la temperatura è costantemente regolata.’
Presi il bagaglio e lo portai dentro.
‘Non c’è nessuno, zia?’
‘Il guardiano è nella piccola casa al di là della strada, ed io sono aiutata nel disbrigo degli impegni casalinghi, dalla moglie e dalla figlia del guardiano che, tra l’altro, fa anche da giardiniere. Quando lo riteniamo, lo facciamo alloggiare nella piccola dipendenza che sta dietro la villetta, dove c’è posto anche per un’altra famiglia. Ma tuo zio preferisce starsene solo soletto. Del resto, come vedi, siamo discretamente protetti da ogni sorpresa, e siamo anche sotto la diretta sorveglianza delle forze dell’ordine. Puoi sentirti sicuro.’
‘Allora, già sanno che sei rientrata e conoscono la mia presenza.’
‘In un certo senso si, ma non distinguono le persone. Adesso godiamoci un po’ di privacy e dopo avviserò Agatina, la figlia del guardiano, che sono tornata. Penso che sarà meglio andare al ristorante, per mezzogiorno. Prenderemo la mia auto. Tu vorrai fare una doccia, vero? Prendi la tua valigia. Le camere sono al piano di sopra. A me non serve nulla, ho tutto nella mia camera.’
Salimmo l’ampia scala, girammo a destra.
‘Ecco,’ ‘disse zia Rosy- ‘questa è la mia camera e la tua è di fronte. Buona doccia. E’ quello che farò anche io. Troverai tutto il necessario. Quando sarai pronto puoi scendere nel soggiorno. Ciao.’
Neanche una stretta di mano, non una carezza, un bacio, dopo le intemperanze ferroviarie’
Comunque, la camera era ampia, luminosa, e nel bagno c’era veramente tutto, anche accappatoio e pantofole di spugna.
Fui presto sotto la doccia. Ci voleva proprio dopo un viaggio così lungo e’ movimentato. Specie per alcune parti del corpo.
Me la presi con comodo. Tolsi dalla valigia quanto mi serviva e fui presto pronto.
Uscii per scendere nel soggiorno. Chissà a che punto era zia Rosy. Di fronte, la porta era aperta. Lei era sdraiata sul letto, a pancia sotto, senza nulla addosso, il lenzuolo molto arricciato. A vederla così, mi sembrò che Crepax l’avesse presa a modella per la sua Valentina.
Era incantevole.
Ebbi la tentazione di entrare e baciarla.
Almeno baciarla.
Forse riposava.
Cercai di convincere ‘lui’ che non era il momento.
Scesi.
Accesi il televisore ma nello schermo vedevo solo lei, nella sua incantevole nudità, come mai l’avevo vista, e chissà se avrei potuto ammirarla così.
Mi vennero in mente alcuni versi d’un poeta spagnolo. Non ricordo chi. Era un madrigale dedicato a lei, all’encantadora.
Si, zia Rosy mi ammaliava.
Non so quanto tempo rimasi così, e non mi accorsi che era giunta alle mie spalle, silenziosamente. Mi mise le mani sugli occhi, mi rovesciò la testa, posò le sue labbra carnose e ardenti sulle mie. Le dischiuse, saettò la sua lingua che sapeva di miele, e mi frugò golosamente, deliziosamente.
La presi per la mano e la feci sedere sulle mie gambe. Tornai a baciarla, con più passione di prima, e le stringevo una soda e tentatrice tetta.
Si staccò, affannata.
‘Dopo, amore, dopo. Sto morendo dalla fame, e non solo di te.’
Si alzò, mi prese per la mano. Attraverso una scala interna scendemmo in garage, dov’era la sua elegante auto sportiva.
‘Vuoi guidare?’
‘No, grazie, con te vicina non riuscirei. Inoltre non saprei dove andare.’
Aprii lo sportello per farla salire in auto. Lo richiusi, andai dall’altra parte, mi sedetti accanto. Ancora pulsanti da spingere, sia per la saracinesca dell’autorimessa che per il cancello d’ingresso, e voltò a sinistra. Non c’era quasi nessuno.
‘Vedrai, Mario, andremo in un posticino che spero ti piacerà. Vicino al mare. Oggi il tempo è bello, tiepido, senza vento. Siederemo presso la vetrata, a vedere il mare che s’infrange sugli scogli neri, e ti farò assaggiare una deliziosa aragosta.
Ancora qualche chilometro, ed ecco il ristorante. Sul mare, su palafitte di cemento.
Come ci videro arrivare, uscì un omino e aprì lo sportello dalla parte di zia Rosy. Lei gli dette le chiavi. Entrammo. Non c’era molta gente. Ci venne incontro un signore abbastanza elegante, rotondetto e bassetto, con piccoli baffi neri. Salutò zia Rosy con deferenza. Lei mi presentò.
‘E’ mio nipote, Saro, starà qualche giorno con noi.’
Saro sorrise, compito, ed ammirai la sua discrezione, perché non fece alcuna domanda: nipote come? E il generale dov’era?
Evidentemente in quella zona si viveva così: si guardava senza vedere, si ascoltava senza sentire, e soprattutto non si parlava.
Il tavolo era in angolo, come aveva detto la zia, accanto alla vetrata.
Saro era rimasto in attesa della comanda.
‘Il solito, Saro.’
Un piccolo inchino e s’allontanò verso la cucina.
Un cameriere, intanto, aveva portato due coppe di aperitivo allo champagne, aveva messo su un apposito sostegno un secchiello metallico col vino, e aveva poggiato sulla tavola un cestino dove, su un candido tovagliolo ricamato, facevano bella mostra diversi invitanti tipi di pane.
Fu tutto squisito, ma più d’ogni cosa erano le occhiate di zia Rosy che mi turbavano. Quegli occhi li avevo già veduti, mentre facevamo ardentemente l’amore. Non riuscivo a distinguere, però, se erano pieni di ricordi o di promesse.
Dopo l’aromatico caffè, zia fece un cenno al proprietario, lui annuì.
Capii, allora, che avevano un conto aperto.
Uscimmo.
‘Ora, nipotino, sai dove andare, guida tu. Senza fretta.’
Come salimmo, e mi avviai sulla strada del ritorno, mise la sua mano sulla mia coscia, mi carezzava sconfinando spesso dove la mia patta andava sempre più gonfiandosi.
Finalmente fummo dinanzi al cancello. Stessa liturgia, ed eccoci in casa.
Zia Rosy mi strinse freneticamente a sé, facendomi sentire il palpitare del suo grembo, e ci baciammo appassionatamente.
Mi prese per la mano, si avviò al piano superiore.
Si fermò davanti alla sua camera.
‘Vieni fra cinque minuti. Non farti aspettare.’
Aprì la porta, entrò, la richiuse.
Un minuto per indossare il pigiama e le pantofole, e quattro interminabili minuti prima di bussare alla sua porta.
‘Avanti!’
Entrai, era sul letto, nuda.
Splendida, visione, incantevole, che aumentò spasmodicamente la mia eccitazione.
Non l’avevo mai vista nell’incanto della sua completa nudità.
Era più bella che mai.
Affascinante, irresistibile, stimolante.
Un istante dopo le ero vicino, vestito come lei.
La carezzavo, baciavo, sul petto, sul ventre, sul pube, frugando nel folto del suo riccioluto boschetto corvino che m’inebriava.
‘Adesso, Mario, adesso. Amore mio, Mario!’
Le fui sopra. Afferrò il mio glande e lo portò alla sua vagina beante. Inarcò le reni per accogliermi meglio, sentii che il mio sesso aveva toccato il fondo, e mi sembrò che quanto era in lei lo accogliesse baciandolo. Era qualcosa di inimmaginabile, un piacere profondo.
Il mio pistone impaziente era stretto in lei, come se temesse di lasciarselo sfuggire. Era tutto un sussultare. Cercò le mie labbra, fu avida, golosa, vorace.
M’ero calato nell’incandescenza del suo vulcano.
Ma avevo come domare quel fuoco.
Quando il terremoto del suo grembo divenne incontrollabile, e dalle sue labbra sempre più alta erompeva la testimonianza del suo godimento, dalla mia lancia esplose il fluido che placò il suo tumulto. E rimase spossata, ansante, col palpitare del grembo che andava placandosi.
Mi prese la testa tra le sue mani, e mi baciò gli occhi, il volto, le labbra’ sussurrando che ero il suo Mario, delizioso Mario, insuperabile Mario’
Volle mettersi su me, poggiata sui gomiti, e mi guardava negli occhi.
‘Sei tu il mio vero e unico uomo. E vorrei che lo fossi per sempre.’
Sentivo il profumo, il tepore del suo corpo delizioso.
‘Sei bellissima Rosy, e penso con sgomento il momento che dovrò lasciarti.’
‘Ma noi non dobbiamo lasciarci.
Lo so che la vita ha le sue leggi crudeli e inesorabili. Ma dovremo trovare il modo di vederci più spesso che mai.
Perché non vieni qui a frequentare l’università?’
‘A parte che non so se vi sia la mia facoltà, ma come giustificare lo spostamento da Milano, sede prestigiosa, a Catania?’
‘Hai ragione. Dovremo studiare un’altra soluzione.
Comunque, tu viaggi in aereo, e ci vuole poco a raggiungermi.’
‘Si, ma lo zio?’
‘Non sta tutto il giorno in casa e spesso si assenta per qualche missione.’
‘E il personale di servizio?’
‘Di notte non c’è, e di giorno ci sono infiniti residences nelle vicinanze.’
‘Pensi a tutto.’
‘No, penso a te.’
Mi balzò in mente che non avevamo adottato alcuna precauzione, non in senso igienico, logicamente, ma per evitare indesiderate conseguenze.
Glielo dissi con cauta discrezione.
‘Indesiderate? Perché? Pensa che bello concepire un figlio con te. Sarebbe il frutto dell’amore, d’un amore così bello che non conosce paragoni.’
‘Ma’ tu’ come fai con tuo marito?’
‘Lui vuole che prenda la pillola, dice che per ora è troppo presto appesantire la famiglia. Troppo presto! Ho 33 anni, e lui 46!’
‘Pensa, zia, io ne ho 20. Tu sei nel mezzo, tra me e zio Mario. Venti più tredici fa trentatré ed ancora più tredici fa quarantasei!’
Si mosse in un certo modo.
‘No, io non sono nel mezzo, ma sopra te, lo sento.’
Sentiva, certo, la rinnovata esuberanza del mio sesso e non credette di lasciarla inutilizzata.
Una cavalcata frenetica, coi suoi orgasmi ripetuti, con la sapiente mungitura del mio fallo, voluttuosamente strizzato dalla sua fremente vagina.
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I giorni si susseguivano rapidamente, ed avevamo trovato il modo di eludere la eventuale curiosità del guardiano e della sua famiglia che veniva in casa per le faccende domestiche.
Che ci credessero o meno, avevamo detto che andavamo in biblioteca per le ricerche o che zia Rosy mi faceva visitare la città e i dintorni. Quest’ultima cosa capitava, ma occupava un tempo molto minore di quello che trascorrevamo nel discreto e accogliete residence che avevamo scovato.
Possibile che l’esuberante ed esigente Rosy non avesse un ‘sostituto’ del marito durante le assenze di lui?
Dopo una delle più voluttuose ed appaganti scopate, glielo chiesi brutalmente.
‘Ma tu, quando zio Mario non c’è, con chi ti sazi sessualmente?’
Si mise di fianco, poggiando la testa sulla mano.
‘Non sono vittima di esuberanti esigenze.
Io non voglio un maschio. Voglio te.’
Il tono della voce si inasprì.
‘Da quando sono nata ho scopato solo con un Mario: i due uomini della mia vita. Ma uno solo è quello che sazia la mia sete d’amore, la mia passione, la mia esigenza di femmina.
E’ una sensazione sconosciuta, quella che tu sai donarmi.
Con te mi sento la Terra, la zolla dal quale nascono i fiori, le messi, tutto quanto è più bello nella natura. La terra fertile che attende avida il seme che la feconderà, la impregnerà.
Si, il tuo sperma è, per me, in me, il seme che anela la terra. E prima o poi io sarò pregna di te, lo voglio.
Sono disposta anche al rischio che eventuali sospetti portino a ricerche genetiche e che io venga scacciata.
Non m’importa.
L’essenziale è che tu mi stia vicino. Quando puoi, quando vuoi.
Un tuo bacio vale un anno di vita.
Sentirti in me, vale tutta la vita.’
Ero commosso e nel contempo spaventato dalle parole di quella donna tenera e meravigliosa, da quell’amante deliziosa, che sapeva evidenziare un carattere inimmaginabile in lei.
Del resto, era la prima vera donna della mia vita.
Ed era vero, Milano-Catania è un breve volo.
E nessun ostacolo avrebbe mai più potuto dividermi da Rosy.
Da zia Rosy
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grammaticalmente pessimo........
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…