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Benché lui la vedesse da parecchio tempo, in cuor suo sia per il gusto personale quanto per sua logica, per l’eleganza e per la sua innata inclinazione personale, la presenza di Berenice laveva perennemente spazientito ed estesamente urtato, valutandola scarsamente amabile e ritenendola stentatamente piacente. In verità, Berenice non era affatto una ragazza niente male, non le mancava nulla, eppure Tindaro per il lineare fatto che si reputava bravo e corteggiatore, definendosi ganzo, ritenendosi persino un borioso, illustre e glorioso individuo, poiché mal smaltiva e mal sopportava elaborando il fatto che Berenice schietta, spontanea e contegnosa femmina qual era, non le accordasse né le concedesse neanche un’occhiata. Questo rapporto, invero, era raffigurato e ricambiato ancora in maniera bizzarra e strampalata, dal fatto che entrambi svolgevano servizio nella medesima e rinomata filiale dell’impresa assicuratrice, di quel grande e celebre colosso multinazionale eseguendo praticamente gl’identici compiti. 

Le circostanze per conversare naturalmente non mancavano e Tindaro nei primi tempi ne aveva create, prodotte e sollecitate ad arte di numerose, ma Berenice in maniera fedele, coerente e costante, era ininterrottamente rimasta sui suoi passi, esibendo durevolmente una condotta anonima, generica, scialba e inarrivabile. Tindaro si era gradatamente staccato distanziandosi di netto da lei, dal momento che adesso gli rimaneva unicamente quell’indistinto e sommesso rovello che incrinava innegabilmente la sua orgogliosa considerazione, la sua a tratti pretenziosa e strafottente reputazione, logorando, minando e ferendo finanche in conclusione la sua individuale autostima.

L’opportunità per capovolgere e per snaturare quell’idea, sopraggiunse sennonché quasi due anni dopo che si erano frequentati, per quell’esiguo e ombroso periodo di tempo. Ambedue, infatti, si trovavano di turno allo sportello della filiale, senz’eccezione con Tindaro che celatamente la sorvegliava braccandola, mentre Berenice pareva non notarlo minimamente. Tutti e due constatarono osservando nondimeno benissimo lo scippatore, che esibendo in maniera intimidatoria una rivoltella si era addentrato nell’andito della loro succursale, fra la calca d’impiegati terrificati e impauriti, che scappavano urlando qua e là tentando di nascondersi. Quello che realmente avvenne, fu veramente un baleno, una concatenazione di episodi, che solamente appresso con enorme applicazione avrebbero informato in modo dettagliato, esponendo ai Carabinieri in modo sintetico e specifico l’accaduto. Lo scippatore accede di botto, incespica nei pressi d’uno sgabello, impreca a sproposito, ghermisce Berenice rudemente per un braccio, il ladro fa un gesto con la rivoltella rivolta verso Tindaro intimandogli d’incamminarsi, con le occhiate atterrite dei collaboratori, con la cassaforte corazzata già spalancata per le operazioni d’uniformità, attendendo l’arrivo previsto a quell’ora della giornata del furgone dei portavalori. Subito dopo avviene il tentennamento e l’irresolutezza del malvivente, la reazione di Berenice è scandita dal terrore che sconcerta in modo inatteso lo scippatore, la spinta facinorosa allo stesso, che capitombola, perché lì in quel preciso frangente avviene il loro primo intimo, profondo sguardo di vera e di sincera insperata intesa.

Al momento ambedue sono ben accostati boccheggianti alla parete, sono accaldati, impauriti, affaticati e debilitati da quella traspirazione gelida ed esanime, che proviene dalla tensione come quando ti becchi un vigoroso spavento, che al momento li sostiene mantenendoli malgrado ciò vicini, incoraggiandoli e inducendoli nell’individuare quell’affabilità e quella premura umana, peraltro imprescindibile e basilare, per scordare il terrore, ricordando loro che non sono da soli pur con i corpi tremanti e spaventati, perché accanto a loro, c’è un altro individuo allibito e inorridito in ugual modo, che vacillante e insicuro chiede soltanto d’essere avvinghiato, animato e rassicurato.

Attualmente, là in quella circostanza c’è però dell’altro, non importa, le loro mani frementi si cercano, si stringono, s’intersecano, l’emozione li combina radunandole, perché è con ampia spontaneità che arriva l’indispensabile e prestabilito abbraccio, per il fatto che diventa istantaneamente un bacio, tra le lacrime che colano salmastre sulle labbra di facce accaldate dal quel batticuore vissuto. Adesso tutti e due sono in una dimensione diversa, fuori dal tempo, disgiunto e indistinto da quei dipendenti, dal malaugurato e riprovevole malvivente che è là di fuori. Loro invece sono lì dentro, nel cocente, tetro e sicuro mutismo del loro rifugio, dentro quel fortuito ripostiglio, perché al presente la caldana e l’adrenalina li spinge nel cercarsi rincuorandosi e incoraggiandosi immancabilmente a vicenda.

Berenice s’avviluppa a Tindaro, gli strappa la camicia, intanto che le unghie pare che vogliano addentrarsi fino ai muscoli, perché sono tirati, sono robusti nell’attirarla ancora maggiormente verso di sé, nello scoprirle il petto, senza neppure sfiorarlo, ma solamente come bivacco e come gradino in direzione della gonna, in prossimità dell’assolvimento e del compiacimento del desiderio bestiale che li muove. La gonna adesso svolazza via per terra, Berenice nella penombra lo osserva, lo squadra esaminandolo con un’incondizionata e suprema sfida, le pare d’essere come quelle donne coraggiose, impudenti e spavalde, che bramano costantemente rammentando al maschio dominante la loro intrinseca forza, in quanto mostrano l’agguerrito contegno e il rinvigorito valente piglio. Nella medesima maniera, infatti, Berenice lo minaccia provocandolo, nel tempo in cui si curva in avanti concedendo ed esponendo se stessa nel modo più sboccato, scurrile e selvaggio, che possa elaborare, interpretare e nutrire in quel preciso momento.

Tindaro s’avventa entusiasta contro Berenice, è in effetti una soluzione inconscia e una reazione connaturata, poiché non poteva succedere diversamente che volesse prenderla così, senza definizioni né espressioni, senza rispetto né tatto né ossequio alcuno, solamente con la voglia di godere, alla fine come d’incanto lui se la scopa a modo suo in modo lussurioso. Berenice inizialmente sebbene si vergogna turbandosi e arrossendo, dopo si lascia totalmente andare, osservando adesso Tindaro con occhi completamente diversi, audaci, animosi e tangibilmente insolenti. Senza che lei abbia cognizione di sé, Tindaro abbozza a scoparsela infilandole dapprima un dito nella sua torrida e smaniosa fica, intanto che lei nello stesso istante si masturba focosamente. Infoiata e accalorata com’è, Berenice enuncia a Tindaro di proseguire. Attualmente il cazzo di Tindaro è ormai compatto, ben eretto e peraltro invitante, dal momento che Berenice si issa sopra quell’asta di carne marmorea, lui fomentato com’è le manifesta di fare quello che più le aggrada. Dopo Tindaro la sente discendere su di sé in una favolosa smorzacandela con le loro facce che si esaminano uno di fronte all’altra, intanto che Berenice s’assapora per bene quel glande arroventato sconquassandole la fica, raccomandandogli e segnalandogli, che dopo la sborrata lei la preferisce sul viso e non dentro la fica.

Passano soltanto pochi minuti, Berenice si gode quella favolosa smorzacandela e dopo si solleva sfilandosi il cazzo. Si mette comoda e ghermisce il cazzo di Tindaro pigliandoselo in bocca e gustandoselo con un’inedita cupidigia e con un originale insaziabilità mai osservata prima d’allora. Lo brandisce deliziosamente fra le sue labbra e lo scopa in modo sublime con quella deliziosa e affamata cavità, ottimizzando e tramutando quel lussurioso atto in qualche cosa d’esclusivo, di lascivo e d’eccezionalmente irrefrenabile, un istante altissimo e inarrivabile, una sorta di manipolazione sovrumana, una specie di trattamento eccelso e paradisiaco.

Berenice è abile, ben ferrata ed esperta in quel compito, è navigata e preparata, è la sua lapalissiana specialità, il suo indiscusso pregio, il suo effettivo e inoppugnabile vanto, tuttavia lo tiene nascosto mostrandolo soltanto a pochi eletti di suo gradimento. La sua movenza con la bocca e con la lingua è qualcosa di veramente stupendo e di soprannaturale, perché Tindaro adesso può fare ben poco, perché Berenice lo conduce rapidamente all’apogeo massimo del piacere. Lui si dimena e contorcendosi le urla frasi sconce e vocaboli scurrili, nel tempo i cui prorompe il suo abbondante piacere, sborrando la sua lattescente e densa essenza in parte sulle tette e in parte sul viso di Berenice, imbrattandola tutta, intanto che lei lo osserva soddisfatta per il raggiungimento del suo mirabile scopo, mentre lecca il suo seme appena espulso. Berenice lo esamina, mentre Tindaro si scuote ancora per quel possente e nerboruto orgasmo appena provato, lei lo squadra senza dire niente, lo soppesa solamente con i suoi grandi occhi che confabulano, predicano e proferiscono da soli.

Lei sobillata e vivamente aizzata com’è vuole però di più, gradatamente lo accarezza con perizia nello scroto e nel solco anale, giacché in breve tempo quel cazzo riacquista a rilento e con pazienza nuovamente vigore, sotto gli abili, i competenti e i sapienti tocchi di Berenice. Lei intraprende di buon grado a lambirgli il cazzo in tutta la sua estensione, lo scappella con ritmo cadenzato, insistendo innanzitutto sul frenulo con la lingua e mimando un’indolente scopata. Berenice non gli segnala nulla e repentinamente introduce bruscamente un dito nell’orifizio anale, prosegue a masturbarlo frizionandogli a fondo il canale del retto, leccandogli i testicoli e invitandolo comodamente di rasserenarsi e d’abbandonarsi, che questa libidinosa azione gli avrebbe di certo giovato. Tindaro si sentiva invaso, profanato e in un certo qual senso oltraggiato da un’ingorda e famelica incontinente femmina, che adesso padroneggiava irrimediabilmente e fatalmente per di più in maniera dissoluta e intemperante le sue viscere e il suo intelletto, profanandolo in modo sregolato e vizioso.

Berenice lo stava soggiogando, perché lo stava dominando a suo piacimento, Tindaro afferrava intuendo rapidamente che Berenice lo stava scopando, o meglio lo stava inculando in modo inatteso e insospettato, ma al tempo stesso con un contegno convincente, efficace e suadente. Quella viziosa e depravata condotta proseguì ancora per pochi istanti, fino a quando Berenice non si piegò su di lui, seguitando a masturbarlo con accuratezza. Tindaro abbozzava nel lagnarsi, percependo che in breve tempo avrebbe prorotto, facendo tracimare la sua virile essenza di maschio. Lei, d’altro canto, scaltra e provocante com’era, pungolandolo ammodo e tenendolo garbatamente sulle spine, flebilmente gli mormorò che sarebbe stato delizioso contenersi e gustoso resistere, arginando in tal modo l’orgasmo, per poi deflagrare simultaneamente con tutto il vigore e con la massima energia godendo insieme.

Tindaro le ribatté che era piacevolmente d’accordo, perché quest’azione procurò stimolando ad ambedue un’esortazione, un’istigazione e uno sprone fuori dall’ordinario, eppure pochi istanti appresso Berenice afferrò in mano la situazione e lestamente s’adagio sopra di Tindaro iniziando a scoparlo nella tipica posizione della smorzacandela squadrandolo in faccia, quasi per volere suggellare pienamente il proprio dominio, concludendo e sancendo in definitiva la sua incontrastata e indiscutibile supremazia a suo sfavore. Berenice intraprese a scoparlo speditamente e vivamente, perché iniziò a imprimergli vigorosi affondi, strepitando ad alta voce il suo incisivo e vigoroso piacere, frignando ormai prossima, per erompere la sua tensione spasmodica volutamente accumulata e tesa al massimo.

Berenice non fece però in tempo per contorcersi, perché Tindaro le imbottì la fica di sperma, sborrando nuovamente dentro il corpo delizioso di quell’infervorata e appassionata ragazza, subissandola per bene e rimanendo fermo prima di distaccarsi. Dopo tutti e due si riassettarono ripulendosi alla meglio, guardando attraverso le anguste finestre di quell’aleatorio, ma provvidenziale, benedetto e propizio ripostiglio, che li aveva fatti conoscere, deliberando e decidendo le loro individuali sorti.

Dopo alcune ore, una fessura di luce s’introduce in quel bugigattolo, inquadrando ambedue gli spasimanti indeboliti nell’angolo più lontano, che sdraiati e soddisfatti riposano beati e avvitacchiati dopo il loro sfibrante, spossante, concupiscente e carnale amplesso. 

{Idraulico anno 1999}  

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