Skip to main content
Racconti CuckoldRacconti di Dominazione

M’s story. Capitolo 1. L’esame

By 14 Settembre 20222 Comments

Ero come paralizzata dalla vergogna davanti a quel campanello.
Trovai la forza dopo qualche interminabile minuto, suonai con la voce che tremava:
“Sono M., la ragazza di Luigi”.
Nonostante l’imbarazzo e mille timori ero puntuale. Luigi me lo aveva ripetuto, assieme a mille altre raccomandazioni. “Sii puntuale: non fare aspettare il pa-drone è certamente un segno di grande rispetto”.
Sentii il tiro, aprii e, con le gambe che tremavano, andai all’ascensore: ricor-davo i fatti dei giorni precedenti e come Adelmo, l’uomo che mi aspettava, avesse ricevuto da Luigi carta bianca per la mia “educazione”.
Luigi e Adelmo si eran conosciuti su Internet, entrambi sui 30 anni d’età. Dopo un’approfondita analisi virtuale delle reciproche tendenze avevano concordato di “educarmi”.
Luigi mi aveva fatto partecipare al concorso “Miss ragioneria”, avevo vinto: ero carina ma non avevo il papà: mamma lavorava nei campi ed era povera.
Così, dopo solo qualche mese di quasi-fidanzamento, mi aveva dato una spe-cie di ultimatum: “Il sesso non mi basta, da te vorrei di più, voglio tutto. O ac-cetti di farti educare da qualcuno per diventare schiava, oppure tra noi finisce qua. Se invece accetti, ci sposiamo entro tre mesi”.
Luigi, invece, era bruttino ma di famiglia ricca: non potevo che accettare.
Ci eravamo incontrati di persona tutti e tre in un elegante pub del centro: Adelmo mi aveva trovata carina da morire: colpito dalla mia semplicità tutta “acqua e sapone”, piccolina ma ben fatta, castana chiara. Luigi mi aveva fatto indossare un cappottino che le arrivava fino a metà coscia da cui spuntavano le mie gambe, lunghe e snelle. Sono l’opposto di una Manuela Arcuri, certo: ma sono un mix esplosivo di innocenza e perfezione fisica in miniatura.
Interrogata, ero diventata rossa in viso e avevo detto a testa china che ac-cettava il ricatto del mio ragazzo… anche perché Adelmo era alto, forte e molto carino.
Ci eravamo accordati per la prima lezione: sarei stata a sua disposizione per un paio d’ore il sabato successivo.
Eravamo in settembre, le nozze erano previste per i primi di dicembre: avevo neanche tre mesi per diventare ubbidiente, e non avevo la minima idea d co-sa avrei dovuto fare.
Adelmo spiegò che il primo incontro sarebbe stato un test: se fosse stato sod-disfatto l’avrebbe comunicato a Luigi per farmi andare ad un’altra “lezione”, il sabato successivo. Altrimenti finiva lì.
Grazie a quel primo incontro, dove avevamo parlato piuttosto apertamente, c’era già una certa confidenza anche se, entrando in casa, ero rossa in viso, visibilmente imbarazzata e tenevo gli occhi bassi. Quando mi aprì senti i suoi occhi che mi radiografano: avevo lo stesso cappottino della prima volta, e le mie gambe erano avvolte in calze nere e scarpe con tacco alto.
Mi voleva consenziente e perciò dissi solo quello che avevamo concordato: “Ciao. Sono qua per venire educata”.
A: “Ciao, benarrivata, accomodati e attendi in sala, in piedi”.
Aveva chiuso tutte le finestre e puntato due faretti verso il centro della stan-za, certo per potermi esaminare meglio, mentre lui rimase in ombra.
A: “Comincio subito insegnandoti la posizione da esposizione, che ti prego di assumere: gambe larghe come le spalle, petto in fuori, mani dietro la schie-na”.
Dopo un momento di esitazione, eseguì. Lui continuò:
A. “Ti spiego brevemente le regole, non sono molte: in privato devi darmi del lei e chiamarmi sempre padrone o signore mentre in pubblico dovrai capire tu: se ti presento come una mia amica o come la mia ragazza puoi darmi del tu e chiamarmi per nome. Se invece ti presento, ad esempio, come la mia segre-taria o cameriera vale il discorso del privato.
In pubblico non ti darò ordini diretti ma ti chiederò di fare delle cose, natural-mente per te avranno la valenza di ordini.
Puoi parlare liberamente se vuoi, per il momento non devi chiedere il permes-so, almeno finché non perderai questo privilegio a causa di una punizione.
Per il resto obbedisci semplicemente ai miei ordini e fallo senza esitazioni, questo vale soprattutto quando ti mostro ad altri che devono vedere che brava ed ubbidiente ragazza sei”.
Sgranai gli occhi, stupefatta, ma non avevo un carattere abbastanza forte da replicare. Continuò.
A. “Da questo momento, valgono le regole di cui sopra. Ti ricordo che se molli e te ne vai, il tuo ragazzo lo verrà a sapere in pochi secondi e il matrimonio a cui tieni tanto sarà solo un sogno. Hai capito tutto?”.
Io, con la vocina da bimba buona che tremava: “Sì”.
Riprese: “Fai ancora in tempo a tirarti indietro. Sei sicura di voler andare avanti”.
Io: “Sì”.
A. “Bene. Ora, ti avevo chiesto di presentarti con una tenuta che potesse con-vincermi ad accettarti come allieva: togliti ogni capo e spiegami perché l’hai scelto”
“Mi devo spogliare davanti a te e spiegare?”, chiesi con un filo di voce.
Lui alzò un po’ la voce e fece una faccia severa: “Devi darmi del lei! E l’alternativa la conosci: non ho tempo da perdere, non sai quante ragazze vor-rebbero essere al tuo posto”.
Scossa, cominciai a togliermi il cappotto: “Si, scusi: ho scelto il cappottino lun-go, e non quello corto, perché nessuno sa cosa indosso sotto e, se ho capito bene dai vostri discorsi quella volta, potrei anche essere nuda”.
Più imbarazzata sollevai la maglietta.
“Ho scelto una maglietta aderente ma non troppo scollata in quanto,
purtroppo, non ho molto seno e preferisco attirare l’attenzione su
altre parti del corpo”.
Abbassai lo sguardo slacciando il reggiseno.
“Ho scelto un reggiseno push – up per migliorarmi il più possibile”.
Mentre parlavo, porgevo i vari indumenti: ora ero nuda dalla vita in su. Ho il seno piccolo, tra la prima e seconda misura, ma sodo. Le aureole rosa si combinano dolcemente con la carnagione chiara.
Era la volta delle scarpine.
M. “Ho scelto le scarpe classiche invece che stivali perché, anche se sexy quanto gli stivali, sono più adatte per il giorno”.
Mi fermai. Ero bloccata dalla vergogna e da mille paure. Mi incoraggiò:
A. “Dai su, stai andando benissimo, coraggio!”.
Lentamente, presi i bordi della mini.
M. “Ho scelto una minigonna elasticizzata in quanto può essere alzata, tolta e rimessa, con facilità”.
Quando la sollevai fino alla pancina notai che Adelmo sorrideva con espres-sione di ammirazione. Ho due gambe senza difetti: dritte come un fuso, non magre, carnose il giusto.
Sbottonai la mini facendola cadere a terra e misi mano all’orlo delle calze.
M. “Ho scelto le calze autoreggenti perché Luigi le trova molto sexy, se lei pre-ferisce ho comunque portato in borsetta anche il reggicalze; collant non ne in-dosso più da quando ce lo ha detto quella volta che ci siamo conosciuti”.
Restava una sola cosa. Ma non ce la facevo. Rossissima, fissavo il tappetto come se fosse interessantissimo. Adelmo capì cosa provavo:
A. “Hai superato ogni mia aspettativa, calmati adesso. Vuoi qualcosa da be-re?”
Restai zitta, ogni tanto il mio piccolo corpo era percorso da tremori.
Accese lo stereo, scelse una radio con musica italiana: intuii che aveva già capito molto di me.
Aprì il mobile bar e mi versò una generosa dose di limoncello.
A. “Coraggio, dai non fare così adesso. Sei stata bravissima. Bevi questo, fac-ciamo con calma”.
I miei occhioni verdi si alzarono timidamente fino a incrociare i suoi:sembrava sincero.
M. “Grazie”. Presi il bicchiere, più serena.
A. “Non ti faccio sedere, lo capisci che devi stare in piedi quando ci sono io, vero?”
Mi feci un sorriso dolce e birichino insieme.
A. “E poi sei proprio carina da guardare così… io però son stanco e mi siedo”.
Mi calmai un po’ di più. Aveva fatto centro: a tutte le ragazze piacciono i complimenti. Mi stavo rilassando, ci sapeva e pensai che non volesse perder-mi alla prima “lezione”.
Cercai di nascondere un sorriso. Anche lui mi stava sorridendo.
A. “Ci tieni tanto a Luigi… e alle nozze, vero?”
M. “Sì”
A. “Fai bene, è giusto. Si vede subito che sei una brava ragazza. Ma l’amore ha il suo prezzo, lo capisci?”
M. “Sì”
Continuò: ora lo ascoltavo con attenzione.
“Sono contento che lui abbia scelto me e tu abbia ammesso che ti sembro ca-rino. Vedrai che andrà tutto bene, diventerai bravissima e sarai tanto felice di essere la più brava schiava del mondo. Abbi fiducia in me, lasciati guidare”.
Avevo finito il liquore.
A. “Mi sembra che vada meglio adesso”.
M. “Sì”.
Parlavo a monosillabi, ma era evidente che stavo meglio.
A. “Riprendi da dove eri rimasta, su, fai la brava”.
Feci un sospirone e, lentissima, abbassai le mutandine.
“Ho scelto uno string nero, trasparente, perché Luigi dice che senza in triango-lino di cotone dietro, solo con i fili, è il più sexy; Se il signore desidera ho por-tato anche un perizoma di quelli col triangolino”
Lo avevo chiamato signore. Spontaneamente. Certo, ero travolta dall’imbarazzo, ma ora mi veniva più facile impegnarmi … o, forse, stavo pian piano scoprendo qualcosa di me.
Ora ero completamente nuda, scalza ed attendevo, timorosa di fallire, gli or-dini provenienti da una persona che non vedevo.
A. “Sei stata brava a chiamarmi signore. Puoi anche chiamarmi padrone, per ora sceglierai tu in base a cosa ti porta il tuo cuore. Gira su te stessa, fatti ammirare”.
Ubbidii: avevo un corpicino Miss, minuto ma proporzionato, e nuda, sapevo che avrei fatto girare la testa a molti.
Il mio sedere, però, era quello che più attirava gli occhi maschili: carnoso (una 42, forse una 44), ma senza un filo di cellulite: alto e sodo.
Me lo disse: “Hai un culo brasiliano”.
Diventai di nuovo rossa in viso, ma non riuscii a nascondere un timido sorriso:
M. “Grazie. Me lo han detto tutti i fidanzati che ho avuto”.
Mi stavo sciogliendo. Merito del limoncello o del modo di fare di Adelmo? Non ero sicura di niente, sono sempre stata un carattere insicuro, ma ero emozio-nata e molto meno timorosa di pochi minuti prima.
Mi versò un altro bicchiere e me lo porse, restando in ombra.
“Bevi con calma, è originale campano. Descrivimi come ti senti adesso: sei ec-citata?”
Tornando ad abbassare il visino risposi: “In… in questo momento sono nervo-sa, Padrone, e provo vergogna mista ad eccitazione; da una parte vorrei an-darmene, dall’altra sto ripensando a tutte le raccomandazioni che mi ha fatto Luigi… e… insomma… se è abbastanza contento di me… potremmo continuare”
Restò in silenzio nella parte buia, forse per darmi il tempo di abituarmi. Aspet-tò che finisse anche il secondo bicchiere.
A. “Bene, ora sdraiati sulla scrivania, voglio esaminarti.”
Spensi i faretti e ne accese un altro sopra la scrivania; questo mi obbligò a chiudere gli occhi, forse in modo da non farmi subito vedere che ero esami-nata da lui, fino a pochi giorni prima un perfetto estraneo.
A. “A letto cosa sai fare bene e cosa male? Rispondi sinceramente perché se dici di sapere fare bene una cosa e poi non è vero ti punirò.”
Mentre pensavo a cosa rispondere, sentii le sue manone cominciare ad esa-minarmi e accarezzarmi dolcissimamente in tutto il corpo: il collo, il viso, il seno, le gambe; sembrava voler valutare e conoscere ogni parte delle sue schiave, ogni odore, ogni neo.
Parlai, dapprima quasi un sussurro.
M. “Con la bocca ritengo di essere abbastanza brava… ma sicuramente potrei migliorare, riesco ad ingoiare fino a 15cm. Lo so perché, anche se Luigi non arriva a quella misura, ho avuto fidanzati con un pene molto più grande del suo.
Trovo un gesto d’amore leccare a lungo il pene del partner e se il fidanzato me lo chiede mando giù il suo seme: però ho paura delle malattie e non vor-rei farlo con altre persone”.
Non rispose, lasciava che io prendessi confidenza: ora la mia voce era quasi normale.
M. “Sono abbastanza brava anche a fare l’amore ma siccome ho paura di far qualcosa che dispiace al partner non ho molta iniziativa: preferisco che sia lui a decidere cosa e come farlo. Essere insicura non vuol dire essere frigida: so-no molto sensibile durante l’amore e non ho mai avuto problemi di orgasmo”.
Mi accarezzava delicatissimo: le coccole mi facevano effetto.
M. “Nel sederino l’ho fatto con tutti i fidanzati, ma a volte è stato doloroso. Credo che dipenda dall’esperienza del ragazzo. Io non sono molto esperta ma penso di poter migliorare. Sono però stata intimorita dai vostri discorsi sulla doppia penetrazione”
Taceva ancora, mi sorrideva… sì, ora Adelmo era proprio dolce.
A. “Bene, mettiti alla pecorina ora, e raccontami che esperienze hai avuto fi-nora e qual è stata la tua scopata migliore”.
Mentre parlava mi esaminò accuratamente il sedere e la patatina:
A. “Davanti sei deliziosamente paffutella. Dietro sei strettina, ma molto sexy, sembra un fiorellino”.
Non riuscii a nascondere un sorriso di gioia: forse non mi avrebbe scartata. Forse potevo andargli bene per essere “educata”.
M. “Luigi è il mio ventitreesimo fidanzato: non sono stata molto fortunata in amore, perché ho un carattere debole. Tanti mi hanno scelta, tutti mi hanno usata, ma nessuno mi ha chiesto di diventare sua moglie… eccetto Luigi”.
Senza preavviso, sentii la lingua di Adelmo a leccarle il fiorellino posteriore e sussultai. Cercava di insinuare la lingua il più possibile all’interno: per fortuna Luigi mi voleva sempre pulita e totalmente depilata. Mi sfuggì un gemito di piacere, del quale mi vergognai. Ripresi:
M. “Sono depilata da tre fidanzati prima: mi ha scelta un uomo adulto cala-brese che mi voleva pulita tutta come una bambina: ascelle, gambe, davanti e dietro. Il fidanzato successivo era ossessionato dal mio sedere: mi faceva sciacquare internamente e mi sodomizzava continuamente. A Luigi sono pia-ciuta così e mi ha fatta continuare”.
Mi accorsi con vergogna di aver inavvertitamente allargato le natiche e alzato i fianchi: la sua lingua faceva effetto. Si fermò e prese a dedicarsi alla mia patatina. Gemetti sottovoce immediatamente, in modo dolcissimo.
A. “Averti completamente depilata, sarà ottimo per quelli che amano leccare. Inoltre, tutti potranno valutarti più rapidamente: sei già bagnata e hai un sa-pore dolce e dissetante”.
Rimasi turbata dall’uso del plurale… ma le emozioni crescevano: gemetti di nuovo, sottovoce, dolcemente, come una gattina innamorata. Non volevo la-sciarmi andare: ho molta facilità ad avere orgasmi e chissà cosa avrebbe pensato adelmo di me.
Mi sforzai di continuare a raccontare dei miei tanti fidanzati imbroglioni, ma la mia voce cambiava. Ormai ansimavo… perdevo il filo logico dei discorsi. Forse Adelmo faceva apposta, forse era un’altra valutazione.
Altri minuti ed ero fradicia: sono una brava ragazza, ingenua e insicura… ma nell’amore perdo il controllo e godo molto facilmente, spesso tante volte di seguito.
A. “Bene, sei ancora un po’ nervosa ma ti stai sciogliendo vero? Scommetto che quando parti sei una vera troietta. Ora dammi le mutandine e siediti sulla poltrona”
Mi lasciò stare, mi calmai, ubbidii.
Lui di fronte a me, mi aprii delicatamente le gambe ponendone una su ogni bracciolo.
A. “Ora voglio che ti masturbi davanti a me con le mutandine… poi me le da-rai; ogni volta che mi vedrai soffiare il naso starò in realtà assaporando i tuoi umori.”
Inizialmente ricaddi nell’imbarazzo. Pian piano tutto cambiò, evidentemente stavo cominciando ad estraniarmi e pensavo solo al mio piacere. Con una mano tenevo aperte le grandi labbra mentre con l’altra strisciavo le mutandi-ne sul clitoride: Eseguivo tutti i movimenti: orizzontali, verticali, veloci rotazio-ni. Ricordai la sua richiesta di inzupparle per bene… mi dedicai alla passerina, arrivando ad infilarci dentro tre dita ricoperte dall’indumento intimo.
Credo di esser stata uno spettacolo osceno, lo osservavo in silenzio di nasco-sto, mi accorsi di una evidente erezione sotto ai suoi pantaloni. Ridiventai ros-sa, nascosi lo sguardo, ma mi emozioni per l’evidente desiderio di Adelmo, bagnandomi ancora di più. Per carattere non ho mai avuto il coraggio di prendere l’iniziativa, ma sono sensibilissima quando mi sento desiderata.
Si fece avanti tra le mie gambe, finché mise la bocca sul mio punto più sensi-bile. Venni all’istante, con un orgasmo sconquassante, lo strinsi tra le gambe, poi mi abbandonai all’indietro, oscena, con le gambe aperte e il respiro affan-nato.
A. “Sei stata bravissima” disse applaudendo, poi mi concesse un po’ di relax succhiandomi le dita, dalle unghie non lunghe ma curate, smaltate di un rosa tenue:
A. “Produci nettare delizioso”.
Emozionata e confusa, lo lasciai fare. Mi alzò leggermente il viso:
A. “Hai uno sguardo felice e sognante… Faremo tante cose belle, proverai sen-sazioni anche più forti di questa, lo sai?”.
Sorrisi dolcemente e mi scappò un
M. “Mamma mia!”
A. “Prima di passare all’esercizio successivo ti dò però un attimo di fiato. Sta-remo ancora insieme un’oretta in casa, non ti farò niente, ma tu devi rilassarti e pensare che sei stata bene. Capisci cosa intendo? Voglio che tu accetti razio-nalmente quello che hai fatto sinora”.
M. “Ho capito, signore”.
A. “Stai entrando sempre più nel tuo ruolo, è momento della seconda prova che ti avevo nascosto con il giochetto sessuale. Ora rimetti le autoreggenti e le decolleté alte. Ma nient’altro. La cucina è di là… e io avrei proprio bisogno di un caffè”.
Sorrisi di nuovo, come una sfacciata. Mi rialzai e ubbidii, senza fare più resi-stenza, almeno senza che Adelmo se ne accorgesse.
Tornai con la tazzina e lo zucchero:
A. “Sai che sei bella? Ma proprio bella vestita così, da serva”.
Tacqui, le guance mi si arrossarono un po’, ma sorridevo. Mi chinai per offrir-gli la tazzina, ma fece segno di “no” col dito.
A. “Non sei una cameriera, sei una schiava. Come si serve il caffè?”.
Capii.
Piegai prima un ginocchio e poi l’altro e tornai a porgergli la tazzina: “Il suo caffè è pronto, signore”.
A. “Bravissima”, prese la tazzina mi gratificò con una carezza sulla guancia. Risposi con un silenzioso sorriso.
A. “Per piacere cambia stazione, puoi scegliere la musica che più ti piace. Poi torna qui”.
Mi alzai e feci quanto ordinatomi, mi accorsi che stavo ancheggiando. Senza malizia, forse la mia natura sentiva che dovevo offrirmi, compiacerlo.
Scelsi un’altra radio, ma sempre di musica italiana: Adelmo aveva intuito be-ne di me.
Tornai da lui e senti che era giusto rimettermi spontaneamente in ginocchio. Mi sembrò giusto fare così, mi sentivo al mio posto.

Lui: “Più vicina e metti il visino sul tappeto”.
Lo feci e senza dirmi altro, appoggiò i suoi piedi sulla sua schiena.
A. “Che bella musica. Ascoltiamo un po’”.
Mi feci fare da poggiapiedi per un paio di canzoni, in silenzio: accettai la genti-le umiliazione, senza fatica. Mi stavo abituando a conoscere il mio posto nel mondo, come diceva lui?
Continuavo a bagnarmi, sempre più umida ogni cosa mi diceva di fare.
Guardai di nascosto tra le gambe di lui. Aveva una eccitazione pazzesca, ge-metti di piacere vedendola, senza riuscire a controllarmi.
A. “Come va messa così?”
M. “Bene, signore”.
A. “Lo vedo. Sai che mi sembri portata per essere schiava? Puoi parlare, pen-sa bene e dimmi cosa ne pensi”.
Non riuscivo a dir niente, passò un minuto buono, mi calmai e…
M. “Non ho mai avuto un carattere forte e sono abbastanza insicura… ho pau-ra di sbagliare ogni cosa che faccio… ho sempre avuto fidanzati con un carat-tere forte… mi danno sicurezza e mi fanno sentire protetta. Ma non so se que-sto vuol dire qualcosa”.
A. “Vuol dire tantissimo. Continua. Allora non pensi di essere una ragazza aperta e disinibita?”
M. “Signore, sono timida. Divento rossa con niente. Anche a scuola quando mi parla un ragazzo che non conosco arrossisco”.
A. “Sei ancora più carina quando arrossisci. Ho visto che mi hai guardato tra le gambe cercando non farti scoprire: viso a terra, lecca il tappeto e parla anco-ra, sciogliti. Qualcosa di tuo, spontaneamente, qualcosa che vuoi chiarire”
Se ne era accorto! Ero di nuovo rossa. Altra pausa di silenzio, poi:
M. “Ecco, signore, come ho già detto, essere insicura non vuol dire essere fri-gida. Non ho mai avuto problemi di orgasmo. Non avere iniziativa non vuol di-re non sentire quello che i fidanzati fanno, non vuol dire non partecipare”.
A. “Lo so, me lo hai dimostrato con la violenza del tuo orgasmo di poco fa. “Verifichiamo di nuovo un po’” e mise una manona palpandomi tutta la vagi-na: ero fradicia.
A. “Cosa ti sta succedendo? Come mai sei così bagnata?”.
M. “Non lo so, signore”
A. “Non ti ho neanche penetrata, come spieghi che sei in questo stato?”
M. “Non si arrabbi, non mi mandi via, la supplico… Giuro che non lo so”.
A. “Pensaci. Secondo me una spiegazione c’è, ma voglio sentirla da te”.
Altro silenzio.
Tolse i piedi.
A. “Ti aiuterò a capirti e vedremo se ho visto giusto. Ripeti quello che ti dirò, ma non meccanicamente, voglio che pensi intensamente a quello che ripete-rai. Hai capito?”.
M. “Si, signore”
A. “E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti ai suoi padroni”
E io, umilmente: “E’ giusto che io stia in ginocchio davanti ai miei padroni”.
A. “E’ giusto che M. faccia loro da poggiapiedi”
E io: “E’ giusto che io faccia loro da poggiapiedi”
A. “E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti a ogni uomo”
E io: “E’ giusto che io stia in ginocchio davanti a ogni uomo”
Ero seria. Mi stavo davvero applicando a pensare quello che diceva, non sor-ridevo più. Pensavo a ogni parola e, inspiegabilmente, mi bagnavo.
A. “Sembri di natura davvero docile. Cosa hai provato?”
Silenzio. Ero ancora una volta rossissima.
A. “Ho capito cosa hai provato. E credo che l’abbia capito anche tu”.
Abbassi lo sguardo di nuovo: aveva capito, ma io provavo tanta vergogna per le reazioni del mio corpo. Tentai di lottare contro me stessa. Non volevo ac-cettare quello che stavo intuendo.
Non volevo accettarmi.
A. “Comincio a pensare che Luigi abbia saputo capire più cose di te che tutti quelli a cui sei stata fidanzata in questi anni, anzi.. di tutti quelli che ti hanno usata e scopata”.
Era stato volgare per mettermi alla prova, ne ero sicura. Rimasi zitta, chinai il capo e mi accorsi che i capezzoli mi erano diventati durissimi e sporgevano osceni.
A. “Lo capisci adesso perché ti ha chiesto di venire da me?”.
Silenzio ancora. Apprezzai ancora la sua delicatezza: non voleva infierire, ci andava piano con me, valutava ogni mia reazione.
Ora mi trattava come un fiore raro e delicatissimo: capiva che bastava niente a spaventarmi o sciuparmi.
A. “Sii sincera adesso: ti sei mai sentita inferiore?”.
Silenzio.
A. “Adesso basta – alzò forse volutamente la voce – rispondi!”
M. “Sì”.
A. “Sì cosa?”
M. “Sì, ho sempre avuto soggezione degli uomini, mi sono sempre sentita in-feriore, signore”.
A. “Perché?”
M. “Non lo so… Penso di non essere intelligente, di non essere abbastanza ca-rina, di non essere mai all’altezza di nulla… io… sono tanto insicura”.
A. “Lo sai cosa mi sembri? Te lo devo dire, altrimenti non ci capiremo. Forse sei una schiava nata. Devi tentare di accettarlo razionalmente. Sei sensibilis-sima, e sarebbe sbagliato forzarti. Devi capirlo da sola. E poi accettarti come sei. E’ per questo che non ti ho ancora penetrata. E oggi non ti farò mia. Non fino a quando non ti accetterai per quella che sei. Resta giù, lecca il tappeto: chi ti ha detto di muoverti?”.
Ci andava pianissimo con me: io lo capivo e lo guardai con meno paura, quasi con riconoscenza. Mi erano sfuggiti due o tre gemiti di piacere mentre lo ascoltavo. Mi venne naturale sorridergli, con tenerezza, con affetto. Subito tornai col viso a terra, a leccare il tappeto.
A. “Sei stanca?”
M. “Sono piuttosto sconvolta, signore”.
A. “Lo vedo. Ma devo dirti che sei stata proprio brava. Sei una discreta aspi-rante schiava e perciò ti meriti una carezza, vieni”.
Mi accarezzò la testa, i lunghi capelli chiari. Gli sorrisi dolcissima. Fui ricambia-ta.
A. “Mi hai fatto sudare… sei davvero desiderabile, ma non faremo niente di sessuale che tu non voglia, almeno non oggi. Intanto che mi faccio una doccia vai nella camera degli ospiti a riposare una mezz’oretta. Spegnerai la luce e riposerai in ginocchio per terra, sul tappetino scendiletto però. Al buio, per tut-to il tempo, devi ripensare a quello che hai fatto fino ad ora e alle sensazioni che hai provato”.
M. “Ho capito, signore”
A. “E hai capito lo scopo di questo nuovo esercizio?”
M. “Non lo capisco, signore”.
A. “Ok, ti spiego meglio, ochetta che non sei altro. – Un nuovo sorriso suo – Lo scopo è di farti accettare razionalmente le cose che hai scoperto di te stessa, oggi. Non devi avere vergogna di esserti eccitata a servirmi in ginocchio, né di aver provato piacere a fare da poggiapiedi. Lo so che non è facile ma devi sforzarti di accettare razionalmente che sei nata per fare queste cose e non provare imbarazzo”.
M. “Ci proverò, signore”.
A. “Brava. E quando vedi che non ce la fai ad accettarle, ricomincia a pensare daccapo a tutto quello che hai provato e hai sentito, senza demoralizzarti. Ve-drai che ce la farai, ne sono sicuro. Vai adesso”.
Serena, mi alzai e andai a fare come mi era stato insegnato. Mi accorsi di sculettare di nuovo, smisi immediatamente: ma cosa mi stava succedendo? Non è da brava ragazza sculettare.
Senti schiudere la porta dopo un quarto d’ora. Era buio e tutto in silenzio. Lui la richiuse.
Alla mezz’ora mi chiamò dal bagno, dopo poco ero da lui, che stava nudo for-se apposta, nel box doccia, tutto bagnato.
Mi inginocchiai spontaneamente. Imparavo troppo in fretta? Come mai mi ve-niva così spontaneo e naturale?
A. “Come è andata? Sei riuscita?”
Silenzio.
A. “Dai, coraggio, sii sincera, o ti punirò”. Non avevo la minima di cosa com-portasse quel “ti punirò”. Mi feci forza:
M. “Non credo che sia andata tanto bene, signore”.
A. “Perché?”
M. “Non ce la faccio ad accettare che… insomma… che sono nata così. Ho fatto come ha detto, ho ricominciato tante volte, ma non ce la faccio a pensare che è come ha detto lei”.
A. “Sei stata sincera. Brava. Non sono arrabbiato perché è normale ed è giu-sto che tu non sia riuscita. Non perderai anni di educazione in un pomeriggio”.
Gli feci un bellissimo sorriso, ma avevo di nuovo le puntine del seno gonfie, dritte, oscene:
M. “Grazie, signore”.
A. “Se vuoi puoi tornare a casa con tua mamma, ora. So che non sta bene e devi assisterla”.

Ci rimasi male, malissimo, temo lui lo abbia visto. Mi aspettavo che lui, cioè…
M. “Non… non devo… non vuole… non dobbiamo…?”
A. “Cosa dovremmo, cara schiavetta?”
Gli guardai il corpo nudo, distoglievo gli occhi e poi, quando speravo non se ne accorgesse, tornavo a guardare il mio corpo. Aveva ancora il sesso total-mente eretto, era molto più virile di Luigi e sicuramente era duro per colpa mia. Non capivo perché non…
M. “Ecco… io… cioè… siccome ha detto che le piacevo… insomma… credevo che…”
A. “Che avremmo fatto l’amore?”, la interruppi.
M. con un filo di voce: “Sì…”
A. “Ti ho detto prima che come prima volta non avremmo fatto niente che tu non voglia. Puoi fidarti di me. Mantengo la parola”

Abbassai lo sguardo, ma solo aver dato una significativa guardata al suo pe-ne: lo aveva gonfio, arrogante, presuntuoso… ma proporzionato e armonioso.
M. “Luigi non mi sgriderà?”, chiesi.
A. “Luigi ti ha affidata a me, e io decido cosa è bene che tu impari e in quanto tempo. Però capisci da sola cosa mi ispiri, vero?”
Con la manona mi indicò il suo uccello, per farmi vedere che aveva una splendida erezione.
M. “Sì”.
A. “Anche se non lo ammetti sono convinto che oggi ti sia piaciuto tutto. Hai superato ogni attesa, ti ho promosso, potrai tornare sabato prossimo”.
M. “Ho capito”. Ma non avevo il coraggio di chiedere niente.
A. “Vieni qua”. Mi diedi una carezza sulla testa e un bacio sulla fronte. “Fac-ciamo così: io finisco di asciugarmi per qualche minuto. Hai il tempo di rivestir-ti e uscire. Se invece, resterai vestita così e ti troverò in sala, qualcosa fare-mo”.
Non riuscii a controllarmi, sorrisi di gioia, feci di sì con la testa. Ero già diven-tata una svergognata?
Quando tornò in salotto mi feci trovare in ginocchio, eretta, il capo chinato.
Non disse niente, mi passò davanti e accarezzò il mio viso… si portò dietro di me.
Delicatamente mi spinsi la testa sul tappeto, mi ritrovai a 4 zampe, come una gattina in calore: mi venne spontaneo alzare i fianchi per offrirmi.
Mi palpò la vagina: non c’era bisogno di alcuna preparazione, ero ancora fra-dicia!
Mi accarezzo le autoreggenti nere, mentre appoggiava la puntona alla mia fessurina depilata.
Sospirai e gemetti, sottovoce.
Spinse.
Quel cosone entrò subito, come nell’olio.
Mugolai.
Cominciò a muoversi dentro di me… Misi le mani sui miei fianchi, li accarezzò gentilmente… ma per prendermeli in modo fermo dopo poco.
M. “Oh… ooohhh… siiiii!”.
Ero venuta. Di nuovo. Il mio corpicino scosso dai tremiti dell’orgasmone. Mia-golavo come una gattina bianca in calore.

Lui non capii più niente.
Iniziò a sbattermi forte, cercando di spingere per farlo entrare tutto: capii che me lo ero meritata.
A. “Brava… bravaaa… bravaaaaa!”
I colpi mi facevano sussultare. L’orgasmo continuava. Mi tenevo aggrappata al tappeto, mentre sentivo il suo respiro farsi sempre più affannoso.
E mugolava. Anzi, forse miagolavo: Piano, piano, quasi sottovoce, ma in con-tinuazione, come un canto d’amore.
A. “Brava, non stai fingendo, sembri creata per questo.”
M. “Oh… ooohhh… siiiii!”.
Avevo avuto un altro orgasmo, il terzo di quel pomeriggio.
Non capivo più niente: lui portò le mani a strizzarmi le tettine, mentre i colpi dietro diventava forti, quasi violenti.
Poi ad un tratto, mi sentii prendere e voltare. Capii subito cosa dovevo fare.
Svelta, mi inginocchiai ed aprii la bocca, pronta ad accogliere il suo seme, il segno del gradimento del mio nuovo padrone.
Il getto caldo mi colpì in pieno viso, e sentì le grosse gocce appiccicaticce co-prirmi le guance e gli occhi.
Era venuto un mare.
A. “Come si dice?”, chiese sorridendomi.
M. “Grazie signore”, risposi spontaneamente, tornando rossa in viso ma felice e sorridente.
A. “Brava, sei proprio una brava bambina”, e prese un fazzolettino perché lo pulissi.
Con la mano tentai una prima pulitura, poi aprii gli occhi e lo osservai: bello, alto, sicuro di sé… era crollato sul divano.
A. “Vai adesso, farai tardi. Dico tutto io a Luigi, Ci vediamo sabato alla stessa ora. Vieni vestita esattamente come oggi”.

Mi alzai traballando. Ero un po’ intontita, ma ormai sicura di una cosa: ce l’avrei messa tutta per imparare.
Mi ricomposi… non mi accompagnò alla porta.

98
24

2 Comments

Leave a Reply