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Erotici Racconti

Tutto quello che ti serve

By 28 Febbraio 2018Febbraio 6th, 2023No Comments

Lei se n’era innamorata speditamente in un istante, in aggiunta a ciò la sensazione di questo scalpore le capitava davvero di rado, ma dal momento che accadeva in tal caso doveva prontamente dominare condizionando e possedendo appieno l’oggetto del suo amore, tutto questo in maniera doverosa, opportuna e precisa. Quel nido, invero, arrampicato sui tetti di quella città, dove il termine cielo era sempre più spesso sinonimo d’un sogno, perché in quell’ambito era apparso adatto, confacente e perfetto. Sì, perché quelle travi di legno lucido inclinate facevano proprio al caso suo, giacché proprio a quelle lassù avrebbe potuto benissimo agganciarlo.

Un sorriso inconfessato e inespresso le aveva fervidamente illuminato gli occhi di gioia, all’idea di quelle code della sciarpa che nel frattempo accarezzavano lievi le pienezze esposte del sedere di lui, affliggendo in conclusione di continuo le sue insinuanti e maliziose fantasie della sua degenerata e dissoluta mente. Quelle corde di seta, infatti, avrebbero spiccato molto bene contro la sua pelle bianca illuminata solamente dalla luce proveniente dalle finestre, già, quella luce intermittente al neon e i lampioni. Lei l’avrebbe arredata con pochissimi oggetti, in quanto tutto quello che le serviva per dare un’anima a quello spazio era sciogliere sgelando successivamente in brividi di lussurioso piacere quella tensione, che attanagliava a quel punto l’anima di tutti e due quando non potevano toccarsi. Lì, invece, avrebbero serenamente osato e potuto raffrontarsi senza filtri né ostacoli di nessun genere. Non che ce ne fossero tra di loro, tutt’altro, eppure il pudore era un fatto pressoché sconosciuto a entrambi, dato che in questo si erano del tutto affermate e riconosciute assai istintivamente. A volte però, l’imitazione e la scimmiottatura è un fatto doveroso e necessario, però lì, loro due avrebbero potuto spogliarsi, deporre le corazze e l’ironia, disperdere sciogliendo in definitiva ogni laccio per annodarne e per stringerne successivamente degli altri insieme. Quel luogo sarebbe stato pieno di musica e di cibo, giacché non riusciva a scostarsi né a separarsi dall’idea del piacere con lui, da quella partecipazione totale dei sensi, dal momento che lui le aveva restituito per la precisione la voglia di progettare perversamente gli scenari del desiderio, per lui e per loro. 

Onestamente, a dire il vero, erano già trascorse parecchie stagioni dal momento che taluno era stato abile e acuto di compierlo, tenuto conto che non richiamava alla memoria per niente come realmente apparisse quella sensazione che dipingeva di colore vermiglio le giornate, ma attualmente eccola proprio lì. Era stupita in fondo, forse di sé stessa e di lui, perché quell’alienazione, quell’assurdità non era per nulla un fatto nuovo, tenuto conto che la scortava da tutta la sua esistenza. Lei era un’amica sincera più autentica della presunta normalità con cui si era scontrata così tante volte d’aver perso ormai il conto, la voleva e si chiedeva che cosa stesse facendo, verso di chi i suoi occhi lampeggiassero beffardi e schernevoli in quell’istante e chi venisse avvolto dal suo profumo. Tutto questo non era assillo né gelosia, visto che non credeva d’esserne capace di verificare un sentimento di quello stampo. 

Lui era troppo presuntuoso, superbo, sicuro di sé e del suo valore per poterlo davvero provare, poiché era istinto. La sua indole di maschio che la cercava, al di là di qualsiasi raffinata sovrastruttura intellettuale lui tentasse di frapporre tra la sua anima e quella reazione animale, perché lei gli scardinava le basi del suo controllo, in quanto era come se gli stesse spalancando la porta dell’inferno e agguantandolo fermamente per mano gli dicesse: vieni al di là della porta, qui con me c’è il paradiso, e che lui dovesse imporsi di non correre. Non era spaventato dall’intensità, giacché quella l’aveva prevista, anzi, disperava quasi di poterla mai trovare prima d’incontrare lei. No, era il tempo, quello spazio breve che era intercorso prima che si ritrovassero lì. Adesso si chiedeva dove sarebbero arrivati se avessero continuato a quel ritmo, la verità era però che se lo chiedeva sorridendo. Bene, adesso era fatta, ne era davvero soddisfatta, dato che le erano sempre piaciute le decisioni rapide e attualmente si trattava solamente d’allestire adeguatamente la scena. Lei voleva che lui fosse sorpreso, poiché non era facile riuscirci, in quanto lui la leggeva bene e questo le imponeva un controllo ferreo e tenace su sé stessa, per impedire che cosa lui stesse provando e intuisse che cosa lei stesse progettando.

In quel momento chiamò rapidamente il vecchio amico antiquario di cui si fidava ciecamente, perché le servivano alcuni oggetti che unicamente lui avrebbe potuto procurarle, quali ganci di ferro battuto per i lampioni da fissare alle travi, quelle in stile liberty avrebbero infatti fatto d’aderenza perfetta per le sue corde di seta. Poi voleva uno di quegl’inginocchiatoi barocchi rivestiti di velluto e ornati di decorazioni, dato che lo avrebbe messo nell’angolo più buio della stanza e lì lo avrebbe in seguito punito con la faccia rivolta alla parete in ginocchio, con le braccia legate e illuminato soltanto dal cono di quella luce fredda e impersonale d’una lampada per di più ultramoderna. Poi lo avrebbe obbligato a chiamare e a contare i colpi della sua frusta, dato che aveva già provato non appena era rimasta da sola. 

Quella mansarda in realtà ne permetteva l’ottimale uso, in quanto da svariati anni aspettava d’essere tolta dalla preziosa custodia. Attualmente le sembrava quasi d’avvertirne già il sapore, no, non ancora, doveva calmarsi, non poteva eccitarsi, non adesso, perché aveva troppo da fare. A quel punto riprese a elencare al vecchio le sue necessità, non la sentiva da ore in nessun modo, impossibile, non era da lei. Lei era connessa costantemente, in qualche modo la sentiva sempre raggiungibile, per questo a volte si persuadeva nel fare un gioco di forza con sé stesso, visto che si auto proibiva nel cercarla. L’ebbrezza della presenza e dell’assenza di lei che comunque colmava la sua anima, dato che lo lasciava esausto e stordito. Lui le stava obbedendo, sentiva quell’oggetto allargarlo e colmarlo, giacché era per lui come se lei fosse lì a sorridergli, lui sentiva la forza dello sguardo di lei penetrarlo quanto quell’oggetto, il suo corpo non trovava pace, il desiderio ne attraversava ogni nervo, lui era posseduto, aveva bisogno d’essere invaso da lei, unicamente da lei. In alcune circostanze s’interrogava come fosse in grado di percepirla in tal modo, lei che era in tal modo nobildonna, ciononostante metteva in atto facendolo tremolare ed evidenziando interamente al meglio le sue più abili menzioni e le sue note d’aristocratica. Abilmente gli mostrava l’esigenza d’essere adoperato, flesso, sottomesso e infine vinto, mentre si chiedeva che cosa stesse architettando e tramando, poiché era nello stesso tempo certo che fosse qualcosa d’esaltante, d’unico, nondimeno per loro perfetto. 

In quell’occasione lanciò uno sguardo curioso in direzione della sala, sfuggendo congratulata sulla porta aperta della stanza da bagno, giacché quella vista lasciava intenzionalmente scandagliare la bellezza blasonata e nobiliare del suo interno. Attualmente era arrivato sennonché il momento d’approntarsi, perché Lidia la sua amica, le aveva raccomandato d’andare da lei almeno due ore prima per poter agevolmente irrompere in quel completo in gomma di lattice, dato che ci sarebbe voluta una lunga e accurata preparazione, però ne sarebbe valsa la pena. Dove cazzo era andata a cacciarsi? Non era rintracciabile in alcun modo da diverse ore, giacché iniziava a preoccuparsi davvero, ma non per lei: il fatto era che la voleva, dannazione, la voleva al punto che si sentiva mancare il fiato. Ogni centimetro del suo corpo desiderava fondersi con quello di lei, ma sapeva che non sarebbe accaduto, perché avrebbe dovuto metterci tutta la sua forza. Lei stava preparando una delle sue fantasie, la stava allestendo, lui avrebbe dovuto capire dove voleva condurlo, successivamente strabiliarla, bramando d’uscire dal tema quantomeno brevemente dal suo bersaglio. Non si sarebbe sottratto naturalmente, malgrado ciò il suo compito era in ultimo cogliere il modo per non farla trionfare, almeno non integralmente. Lei se l’aspettava e lui si divertiva un mondo a compiacerla, anche quando il lampeggiare dello schermo del cellulare qualche ora dopo lo colse impreparato: 

‘T’attenderò nel vicolo del porto vecchio al numero quattordici. Io sono certa che tu capirai molto bene dove dovrai citofonare. Alle ventidue allora, intesi’.

Un sospiro d’autentico sollievo lo attraversò tutto e l’uomo sorrise. Nora aveva fatto un lavoro spettacolare, il completo di gomma di lattice la fasciava come un guanto, i tacchi a spillo d’acciaio brillavano riflettendo la luce delle candele disseminate per la stanza, perché mancavano pochi minuti alle ore ventidue. Il tavolo era apparecchiato in una profusione armonica ed equilibrata di cristalli vari, la donna sorrise pensando a quello che aveva fatto incidere sulla targhetta del citofono. Lui non era veramente sicuro d’aver interpretato i desideri inespressi di lei nel modo giusto, indubbiamente era entusiasta e infervorato come non mai. Gl’indumenti intimi di lei vezzeggiavano il suo fisico, gradiva amabilmente la percezione che quel morbido velluto gli causava, se lo sentiva cucito sulla persona alla maniera di quando lei se lo scopava carnalmente senza sosta. D’improvviso però quella letizia insidiò quell’atmosfera, perché lo sguardo si posò sul bubbolo, allora lui deciso rintoccò.

Il vecchio ascensore gli permise di guardarsi riflesso nelle ante, poiché aveva messo anche la cravatta, visto che voleva che lei capisse immediatamente la natura delle sue intenzioni, voleva effettivamente donarsi senza condizioni né limiti. L’apertura del sommo pianerottolo era però sprangata, lui udì le note di quella melodia jazz-fusion di Al Di Meola che lei adorava, dato che affollavano la limitata stanza in penombra, cosicché lui entrò determinato. Il fiato a quel punto si troncò in gola bloccandosi, lei era bellissima, perché riusciva quasi ad apparire perfetta, lei che era troppo viva per riuscirci mai veramente, persino la gomma di lattice sulla sua pelle acquistava delle sfumature calde, impetuose e palpitanti. Lei fumava da un lungo bocchino, con un cenno gli rivelò le stringhe che penzolavano e lui cominciò a denudarsi, nel momento in cui la squadrava con attenzione sondandola per quell’eventuale pretesto, tenuto conto che era irrealizzabile allontanarsi a qualsivoglia desiderio lei avesse sollecitato. La vide comparire quando capì che cosa portava sotto quel gessato impeccabile, la signora era sorpresa, adorava riuscire a sorprenderla, cosicché si spogliò rapidamente mentre la voce di lei lo raggiunse morbida indicandogli: 

‘Adesso infila le mani nelle polsiere e poi chiudi le fibbie’.

Lui eseguì in modo rispettoso e ubbidiente, la sentì raggiungerlo da dietro, per il fatto che le dita di lei gli penetrarono il sedere in maniera decisa e inflessibile, lui si morse le labbra per non urlare, poi si protese offrendosi proclamando:

‘Sgualdrina, sei veramente una sgualdrina di primo livello in pieno calore’.

La donna in quel frangente sentiva il corpo sciogliersi in mille brividi, mentre le sue mani lasciavano cadere il bocchino per terra e afferravano il cane, perché adesso doveva colpirlo subito e con forza:

‘Dai, conta sgualdrina, così, su forza. Voglio sentire la tua voce chiamare i colpi e ringraziare dopo ognuno di essi’.

Lui iniziò a contare, la voce si spezzava a ogni colpo che lei sferrava, lei era molto decisa, tanto implacabile e oltremodo ritmica. Sul decimo colpo lei lasciò cadere il cane e si mise a leccare le strisce rossastre sulla schiena di lui:

‘Sì, va bene signora, vi prego, fate della vostra sgualdrina tutto quello che volete’.

La voce dell’uomo in quel frangente era limpida e schietta nonostante il dolore, la donna si tolse rapidamente la gonna, agganciò al tanga di lattice e affondando le unghie nei fianchi dell’uomo lo penetrò alquanto determinata. Il corpo dell’uomo s’inarcò strattonando le corde dov’era appeso e un sospiro di puro, finché un gemito di piacere venne fuori dalle sue labbra. Nora in quell’istante iniziò a entrare e a uscire ritmicamente dall’uomo, affondando intanto i denti nella sua schiena, sulle spalle, sulle braccia. I colpi erano ritmici anche stavolta, però ogni colpo lo portava più vicino alla sua personale idea e del suo intimo convincimento di quell’empireo. L’uomo sentiva la sua volontà squagliarsi ogni secondo di più, sciogliersi nello sperma che riempiva i suoi testicoli, poiché avvolta pienamente dal calore rovente di lui, la donna sentiva d’essere ormai vicina all’esplosione finale. Il ritmo era al momento frenetico, uscì e rientrò, lui urlò sentendo il cazzo indurirsi al massimo, lasciandosi andare e successivamente sborrando con pieno gusto tutta la sua intensa energia. Nora in quell’occasione esplose, con le unghie cominciò a scorticargli i fianchi, mentre i denti erano già affondati nella sua spalla. Qualche ora dopo l’uomo sorrise, mentre Nora avvolta in una vestaglia di seta gli lavava la schiena amorevolmente e dolcemente inginocchiata alle sue spalle.

In conclusione, fatemi afferrare e capire quest’elementare e semplice faccenda? Chi giammai l’ha divulgato e summenzionato, appresso diffuso e proclamato seriamente che la beatitudine e l’estasi può aspettare? 

{Idraulico anno 1999} 

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