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Racconti Erotici

LETTERA DAL RISORGIMENTO

By 8 Gennaio 2009Dicembre 16th, 2019No Comments

Mia cara Orsola,
voi non sapete quanto vi amo e quanto desidero la luce dei vostri begli occhi.
La casa sul Ticino e i suoi giardini sono tutti in fiore. Io mi affaccio un mattino alla finestra dopo aver spalancato le imposte e tra le fronde ormai vizze degli olmi e dei tigli vedo il nostro paese natio, in questo tardo Ottocento, dove tutto sembra svanire ed &egrave come se il vento portasse la luce del vostro dolce volto via con sé. Lungo le sponde del fiume hanno ormeggiato le barche di legno, l’argine grande &egrave ricoperto dei primi fiori d’autunno. Codesti paesaggi mi ricordano Locarno, i laghetti tristi della Svizzera, dove gli amanti fanno gite in barca e le donne portano l’ombrellino in spalla. A proposito, avete riparato il vostro? L’ultima volta che c’incontrammo, uno dei suoi raggi s’era rotto.
Sento che siete qui con me, negli istanti in cui vi scrivo. Sì, &egrave come se mi foste accanto e accarezzaste ciascuna delle mie parole con le vostre dolci mani e le vostre labbra affettuose, per le quali soltanto ancora accetto di restare in vita. Oh, quando, quando sarete di nuovo al mio fianco? Venite presto, il mio cuore freme di nostalgia, la stessa che soffia nella breva, che tocca e tormenta le foglie e i volti dei passanti.
Allorché m’affaccio alla finestra, odo sovente dei rulli di tamburi, delle fanfare, delle voci lontane di soldati. E’ un reggimento, che si prepara alla guerra. Le divise brillano vaghe sotto le luci dell’autunno ed io vi amo, voi non sapete quanto. E’ per voi che sto scrivendo questa lettera, soltanto per la speranza di poter vivere ancora e di godere nuovamente dei vostri baci teneri.
Ho salutato le lattaie dai volti stanchi e opachi, i vecchi, che si reggevano a stento sui loro bastoni ed avevano i volti dipinti di saggezza, i giovani amanti, che amoreggiavano presso le fontane non lontane dal campanile grande. Ho salutato le madri che cullavano i loro pargoli, che cantavano melodie di culla, ho salutato i soldati, innamorati della patria, la vecchia casa diroccata che mi diede i natali, nonché i contadini, i vignaioli tristi, che tornavano dalla vendemmia. Non vi narrerò dei tini, né del raccolto, né dei colori appassionati delle vigne, sotto l’ultimo sole dell’estate che svanisce.
Ho pianto, ho molto pianto, sapete? Per l’ultima volta ho assistito mia sorella Carlotta, prima che morisse e mi lasciasse per sempre. Se sapeste! Andavamo insieme lungo il Ticino, ella nutriva dei suoi meravigliosi sguardi le sue sponde, prima di abbandonarmi ad un destino di lacrime, di cui voi soltanto mi potrete consolare! E’ morta dolcemente, tra le mie braccia, supplicandomi di carezzarla e di non lasciarla nella sua sorte di sofferenza languida. Io ho baciato le sue palpebre, prima che si chiudessero per sempre. Ho pianto e sofferto al suo fianco, affranto.
Non ho osato scrivervi, né chiamarvi, perché eravate troppo lontana e non volevo farvi piangere’ Perdonatemi!
Quando verrete, troverete soltanto una tomba e nulla più. Sopra, vi germoglia il fiore della malinconia.
Ma noi vivremo ancora, saremo felici ancora, godremo ancora di una voluttà di baci ardenti, lo sapete voi e forse lo sanno anche i passeri canori, che visitano le fronde che bussano alle imposte della mia finestra.
Ricordate le affettuose cavalcate, le gite in calesse? Io vi facevo accomodare in sella, davanti a me, voi mi guardavate negli occhi tanto ardentemente, quando mi parlavate, era come se mi deste dei baci con le vostre labbra; sul mio baio, vi conducevo nei boschi bagnati dal Ticino, dove abitavano i tordi e i merli selvatici. Vi facevo udire il suono delle morte stagioni, di quelle che erano trascorse e di quelle che sarebbero venute e voi mi promettevate un amore perpetuo, che nemmeno il tempo avrebbe saputo dissolvere. Una dopo l’altra, le stagioni dei tigli, dei pioppi e dei merli sarebbero svanite nel vento, ma mi sarebbe rimasto il vostro eterno affetto. Vi amo per questo.
Ho visto i soldati che inastavano le loro baionette, i tamburi che rullavano, ho udito voci malinconiche, che intonavano gli inni del Risorgimento. Sfilavano dinanzi alla chiesa di S. Rocco, sotto il campanile grande, il nero parroco s’affacciava sulla soglia, come per salutare o dire addio a molti giovani, che non avrebbero fatto più ritorno. E’ così triste il mondo!
Soltanto il pensiero di potervi avere accanto trattiene le mie lacrime. Sarete ancora mia, con l’ombrellino e la cipria che tanto vi dona indosso, potrò godere ancora delle vostre forme, vi farò strillare e godere, come una volta.
Non ci diremo mai addio.
Venite presto, ardo dal desiderio di abbracciarvi e di baciarvi.
Il vostro affezionato ***.
P.S. So bene quanto mi amate e come sono consolanti le vostre carezze amorose.

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