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Racconti Erotici

Mi hai rapito

By 27 Gennaio 2020Giugno 17th, 2020No Comments

Simona ha ventun anni compiuti da poco, possiede un volto armonioso, dolce e impertinente, con un corpo adorabile e seducente di donna, che non conosce ancora la corposità né comprende la densità della passione né ha esperienza e consapevolezza della profonda pienezza dell’amore. Lei è stata allevata e in seguito adeguatamente cresciuta e premurosamente formata in maniera giudiziosa e circospetta, cercando di mantenere una concreta divisione e un lampante distacco congiuntamente a un visibile disinteresse, per il fatto che i genitori le hanno ben impresso in maniera avveduta e prudente, trasmettendole la buona creanza e il giusto contegno, condito abilmente giustappunto con delle sorpassate e disusate concezioni del mondo, in quanto le è stata indottrinata appieno l’indiscrezione, la moderazione e il rigore, influenzandola sennonché sin dal principio, con l’obbedienza e con il rispetto dell’ereditario divieto del sesso prima d’approdare al matrimonio. 

Lei attualmente è, anche se non sembra, in realtà inconfutabilmente una piccola ribelle e perfino a modo suo innegabilmente un’avveniristica e audace rivoltosa, aggiungerei innovativa e pure rivoluzionaria, tenuto conto che detesta rifuggendo e scansando quelle concezioni e quelle ideologie che non percepisce né sente sue in alcun modo, non certo per l’educazione né per la cultura ricevuta, tenuto conto che è rimasta incontaminata e schietta in quanto tale, ma perché nessuno finora le ha mai fatto semplicemente perdere la testa al punto da donarsi completamente. Stanotte, infatti, addormentarsi le diventerà perciò impraticabile, perché nei suoi occhi avverte cogliendo distintamente ancora in pieno risalto il viso di Massimo, con il suo sguardo beffardo e sfrontato, accompagnato in aggiunta a ciò da quel sussurro canzonatorio e irriverente del suo ammonimento che si spinge all’orecchio rivelandole: 

“Devo riferirti cara Simona, che quest’oggi sarà la tua privata e speciale ricorrenza, eccellente oserei dire, perché tu sarai favorita dalla sorte, in quanto ti trasformerai crogiolandoti ben presto in una vera donna. Non dovrai preoccuparti né temere di nulla, giacché io ti penetrerò cavallerescamente, cosicché in tal modo tu non percepirai sofferenza alcuna. Sono più che certo che questa giornata non la scorderai”. 

In quell’occasione, rievocando alla memoria quell’irrompente, depravata e viziosa frase, lei avverte al momento che le sue guance in modo repentino s’arroventano, seguite da quella sghignazzata accomodante e conciliante di Massimo, laddove in modo inatteso lui le sferra uno schiocco, deliberando e infine onorando in quella maniera a modo suo la logica e la semplicità di quell’insperata spiritosaggine unicamente allegra e piacevole. A dire il vero, come sempre, lui l’ha presa in giro, considerandola tutte le volte esclusivamente l’amica della sorella minore, perfino troppo piccina perché sia percepita e vista come una donna, eppure lei è una donna in tutto e per tutto. Lei vuole appartenergli in ogni modo, perché lei ha sofferto, ha pure seriosamente tentennato, si è angosciata e ha trepidato di vera attesa e di speranza a quelle parole, ideando e immaginando la sua vigorosa asta di carne trafiggerla per bene facendola totalmente sua e infine premiandola come si deve. 

Forse, uno dei motivi per cui lei è ancora intatta e vergine, è per mezzo di quell’infatuazione, di quell’avvallato e di quel raccolto lussurioso muto desiderio che da sempre avverte per Massimo. Lui è però fidanzato, giacché ha più di trentacinque anni e la considera solamente una marmocchia. Dal primo giorno che l’ha conosciuto, lei ha infatti cercato di farsi notare, ne ha studiato attentamente allo specchio le smorfie allettanti, civettuole e lusinghiere con cui cercare di conquistarlo, il movimento delle mani con cui sfiorarsi la gola scendendo verso il seno in una provocante carezza, il bottone della camicetta negligentemente sbottonato, quell’accavallamento delle gambe lento e voluttuoso, malgrado tutto questo da parte di Massimo però non c’è stato niente, nessun riscontro degno di nota. Non c’è stata mai finora da parte sua una seria iniziativa né alcun tipo d’approccio, solamente battute teneramente beffarde e costruite affettuosamente in maniera ironica. 

Lui è un uomo che vede in lei una bimba da giudicare positivamente, da rispettare, da stimare e nient’altro, dal momento che gioca baloccandosi con delle battute che considera argute e spiritose, senza sapere quanto intenso aggravio lei vi dia a tutto ciò, e quanto strazio le provochino nell’intimo, visto che la frase di oggi le ha aperto gli occhi facendole capire fino a che punto lo vuole. Simona vorrebbe offrirsi a lui esponendosi completamente, acconsentire e soddisfare ogni sua voglia e baciarlo dappertutto, scoprire il suo corpo di maschio, toccare le sue spalle con le dita e con la bocca, scendere sul suo torace, percorrere il suo ventre, infilarsi nei riccioli del pube e toccare il suo cazzo, ebbene sì, il suo palpitante e proporzionato cazzo. Quando lui le ha sapientemente annunciato segretamente che diventerà donna, la libidinosa sbirciata di Simona è caduta inconsapevolmente in maniera molto espressiva e incisiva sopra la patta dei calzoni, giacché per un istante lardente lusinga di srotolare quella chiusura lampo e d’infilare una mano è stata un’eclatante e fenomenale trepidazione. 

Durante la notte, infatti, giacché adesso diventa ancora più calda e più soffocante pesandole addosso, quasi ossessiva, quel corpo rabbrividisce al passaggio d’una goccia di sudore, dato che ruzzola dal seno con una lentezza indisponente fino al ventre, poiché immagina sia un suo dito a risvegliarle il brivido. A occhi chiusi sogna al presente che lui sia lì e in tal modo mantenga la promessa, così con le mani diventate autonome lei inizia a spogliarsi, lancia nel buio della stanza la camicia da notte e gli slip, salza e apre la finestra lasciando entrare la luce delle stelle per carezzare la pelle nuda. Lei scruta nel buio chiedendosi adesso dove lui sia e che cosa stia facendo, poi si sporge in avanti appoggiando i gomiti sul davanzale, il seno stretto e rialzato negli avambracci, le gambe leggermente divaricate e i glutei protesi all’indietro, porta un dito alle labbra, lo impregna di saliva e lo passa sul capezzolo, dato che quel dito bagnato le provoca una fitta dolorosa dentro il ventre, giacché avverte uno spasmo d’eccitazione che la lascia stordita. 

Lei s’immagina la lingua di Massimo, la sua bocca, i suoi denti e di nuovo sente la morsa nel ventre procurargli delle vertigini. Dalla bocca quasi spalancata si sente un urlo muto al cielo nero, lo strepito d’una femmina vergine pervasa da un desiderio inverosimile, nel tempo in cui un rivolo di saliva plana sul seno scosso da quel respiro veloce. Lei lo guarda scivolare come ipnotizzata, rapita dalla reazione della pelle che s’aggrotta e vibra a quell’umida carezza, perché la notte al presente si tinge d’aspirazione, di frenesia e persino di volontà. Lei ritorna sul letto, le lenzuola sono fresche sulla sua pelle infuocata, con le mani si percorre tutta, sente raggrinzirsi ogni poro al tocco sensuale dei polpastrelli, in seguito si sofferma con ambedue le mani sul ventre e preme sopra anelando di reprimere quei palpiti che si propagano dall’interno. 

Lei lo vuole davvero, vuole essere deflorata, presa, violata, perché vuole annullarsi nel suo respiro, nel suo sudore, nel suo calore, dal momento che con l’idea lui la scopi per bene avviluppa i suoi sensi, si colora d’euforia, s’inzuppa di bramosia. In quel momento un lampo di luce squarcia il buio, un segnale distinto che decifra il potere della mente, quell’arcana forza del pensiero, quella capacità intima e propria della fantasia di trasformare il fantastico in reale, perché volerlo significa averlo: Massimo, un’entità astratta, eppure attiva e intraprendente, paragone dalla sua smania, dato che percorrerà la sua terra e la solcherà tutta visitandola con la sua “asta rovente”. Lei s’alza e va in bagno, osserva i flaconi ordinatamente riposti in fila sulla mensola, sceglie una bottiglia cilindrica d’alluminio con un tappo a vite arrotondato che richiama alla memoria nella sagoma un missile in miniatura: quello è un fallo di grandezza naturale. Apre la borsetta da sera dove tiene le creme e prende l’olio emolliente per il corpo, sosserva un attimo allo specchio e resta affascinata dal suo viso trasfigurato dalla lussuria, infine sorride compiaciuta tirando fuori la lingua in una smorfia libidinosa e ritorna in stanza, va verso il comò e afferra il telefonino, digita sulla tastiera il tasto “menù” e cerca “impostazioni”, sceglie la possibilità “numero anonimo” e nel frattempo guarda la sveglia: è quasi mezzanotte. 

Debolmente adagiata sul sofà Simona si cosparge con un balsamo profumato, lasciando scorrere i polpastrelli nel rincorrere le sensazioni che si dilatano dallo spirito alla sostanza. Quelle carezze insinuanti e accattivanti sono esasperatamente lente, ma anche eroticamente insistenti, fino a giungere libidinose su quel boschetto spesso e scuro del pube e stringerlo nella morsa oleosa del palmo, traendolo con forza verso l’alto per percepirne il doloroso richiamo della fica ormai stracolma d’aspettative. Le dita entrano in quel nido bruciante, manipolano, solcano e stuzzicano fino a farla tremare e gemere, poi fuggono dal richiamo dell’orgasmo e s’inoltrano sui glutei, sui fianchi e sulla schiena e ancora sulle braccia, sui seni e poi sulla gola. Ogni porzione d’epidermide è amata, è risvegliata da carezze sempre più esigenti e intriganti, fino a diventare soltanto fuoco e passione, rito di preparazione, quella lenta e tortuosa salita verso la meta. A quel punto agguanta il flacone d’alluminio, lo unge, lo massaggia pensando a Massimo e al suo cazzo, alla sua voglia d’averlo, si mette supina con le membra mollemente abbandonate e sotto il ventre il flacone ben adagiato, poi ci scivola sopra con il pube lasciandolo che s’incunei nel suo sesso pulsante, sentendone la consistenza farsi insistente vicino all’ingresso. Afferra il cellulare, dato che finora non gli ha mai telefonato, quel numero peraltro rubato di nascosto all’amica in un attimo di distrazione è lì da tanto, custodito e guardato con inappagata e insaziabile attesa. Il telefono fa un primo squillo e il respiro s’incastra in gola nell’ansia dell’attesa, al secondo squillo lei avverte la tensione percorrerle la spina dorsale, al terzo squillo quasi urla di rabbia all’idea che lui non risponda, poi lo sente: 

“Pronto, ma è tardissimo, chi parla?”. 

La saliva difetta al palato, la parola stenta a formarsi, trattenuta dalla contrazione della mascella: 

“Massimo, io stasera ho bisogno di te. Ho una voglia fortissima, una voglia incontenibile di lasciarmi andare e di godere con te, dove tu mi ascolti mentre io mi masturbo”. 

Il silenzio fa da eco alle sue parole, crepitandole dentro d’improvviso timore. Che stolta che sono rimugina Simona, invece di creare suadenti melodie di sirena mi è uscito soltanto quel disarmonico e stonato guaito, forse Massimo ha già chiuso la comunicazione convinto d’aver a che fare con una squilibrata maniaca, oppure è sovente scocciato dalle consuete disturbatrici intenzionali: 

“Chi sei? Fatti conoscere, pronto chi parla, ti ascolto” – prosegue Massimo, divertito e interessato di sapere chi c’è all’altro capo del telefono. 

Nella sua voce c’è una nota di stupore, però non sente il rifiuto, anzi, le pare d’avvertire quasi un incoraggiamento per proseguire, un’esortazione per insistere: 

“Non ti dirò chi sono, io ti chiederò solamente però d’ascoltarmi mentre mi tocco e ti penso” – ribatte Simona, tenacemente appassionata e decisa nel proseguire la conversazione. 

“Ci conosciamo?” – ribatte lui, ancora attratto e incuriosito da quell’inatteso dialogo notturno. 

“Non farmi domande, ti prego. Restami vicino, ascoltami e guidami” – insiste tassativamente Simona. 

La mano adesso s’intrufola fra quegli spessissimi e nerissimi riccioli grondanti di fluidi, strofinando le dita sul clitoride fino a sentirlo vibrare, dalle labbra dischiuse straripano gemiti e sospiri che investono il suo interlocutore, adesso la voce di Massimo cambia, il tono diventa roco e persino complice e allettante: 

“Sono qui, tascolto e ti vivo, dai continua piccola. Dimmi che cosa stai facendo, raccontami ogni tuo movimento, ogni dettaglio, non fermarti” – mi stai letteralmente istigando. 

Lei adesso lo sente vicino, capta le sue dita frugarla dentro, segue quella voce, sente i sospiri di Massimo unirsi ai suoi, sente la sua pelle sgobbare sudando sulla sua, i suoi muscoli guizzarle sopra, peraltro audaci e spericolati. Lei inizia a muovere i fianchi sul flacone ancora inoffensivo, intanto che il suo ammonimento s’accinge a formularle e a enunciarle che cosa le sta esattamente mettendo in atto: 

“Se io fossi lì con te raccoglierei il tuo delizioso e saporito miele con la lingua, traccerei sentieri umidi sulla tua pelle, bacerei le tue labbra fino a perdermi nel tuo respiro, gusterei accuratamente il tuo sapore come si fa con il cibo più pregiato, assorbirei ogni tuo odore con esagitata e insofferente libidine”. 

Quei rigagnoli di schietto piacere scaturiscono e scorrono emancipati bagnandole le cosce, scivolando abbondanti per lavarle le dita. Con una mano impugna il flacone e lo preme con forza verso quell’ingresso inviolato, mentre le pelvi iniziano a muoversi oscillando martellanti verso quel cazzo falso e illusorio. La punta forza l’entrata, dilata la fica e s’incastra nella stretta della carne vergine, Simona attualmente si muove ondeggiando sul fallo, facendolo uscire e successivamente rientrare con dei movimenti lenti e costanti ritmati da quella voce, mentre a occhi chiusi lo immagina sotto di lei descrivendone ogni gesto, ogni movimento, ogni fremito con la voce diventata più acuta, febbrile e scostumata. Massimo la sta scopando con ogni parola e i suoi sospiri sono d’un desiderio crescente, meraviglioso. E’ soltanto fremito adesso, tutto il suo essere è sesso, è solamente una sostanza vibrante, che cerca il pieno compimento a cospetto di quell’incendio che la sta innegabilmente divorando. Lei glielo urla, giacché è una preghiera che diventa ordine per l’impeto con cui lo chiede: 

“Massimo, scopami con il tuo cazzo, immediatamente. Sì, dai così, cola a picco in me, fammi tutta tua, ti supplico, la mia pelosissima fica attende la tua bianca sborrata” – ripetendo focosamente e ardentemente quei peccaminosi, sboccati e sfrenati concetti. 

Nel momento in cui lo dichiara lei s’abbatte con brutalità sul flacone, perché il grido che le scaturisce dalla testa si spezza nella bocca sprangata con forza. Lei coglie nettamente il dolore mischiarsi al piacere, però non si ferma, dato che affonda con le pelvi sul letto facendo penetrare ancora più a fondo il fallo immaginario sentendolo pulsante e vivo. Massimo è sotto di lei, perché è lui che la lusinga accarezzandole le reni, è lui che le bacia le lacrime che sgorgano dagli occhi chiusi, è lui che inizia a muoversi dolcemente portando il dolore a ridursi e lasciando il posto a un’amabile, armonioso e irresistibile affanno, da ultimo avverte il suo ammonimento diventare arrochito e saturo di lindo e di verginale appagamento, nel momento in cui l’imbottisce con il suo denso liquido spermatico: 

“Tesoro, devo ammettere e confessarti che di questo andare mi fai responsabilmente delirare, io non ce la faccio più. Sì, ecco adesso, sì, sborro, tieni è tutto per te”. 

Lei gli presta diligentemente e minuziosamente attenzione, sente ogni suo gemito dentro, avverte e intercetta qualcosa che si disperde, si sbroglia e si scioglie d’improvviso dentro di lei, mentre i fremiti diventano densi e corposi, perché l’orgasmo adesso esplode dal cervello fino al sesso. Lei resta ferma così, con il telefonino appoggiato all’orecchio fino a quando il corpo smette d’oscillare, successivamente con il tono lieve della voce gli rivolge il saluto: 

“A risentirci mia adorabile e squisita tenerezza, è stato effettivamente indimenticabile e magnifico, sono realmente senza parole, mi hai demolito”. 

In seguito, senz’attendere risposta alcuna lei chiude rudemente la comunicazione, dopo con fatica salza e si sfila il flacone, accende la luce e affascinata guarda le rigature che lo dipingono. Massimo forse non verrà a conoscenza, non comprenderà né coglierà nulla, ciononostante senza richiederlo né volerlo, è stato involontariamente proprio lui a deflorarla, disonorandola apertamente e schiettamente per primo in maniera sorprendente. 

Questa è stata una testimonianza, si è rivelata unasserzione, in principio germogliata e poi scaturita per impossessarsi rubandole una smorfia d’imbarazzo, di riserbo e di vergogna, dal momento che suo malgrado Massimo l’ha magistralmente riadattata, l’ha sovvertita mutandola radicalmente, scompigliandola del tutto, rendendola definitivamente e irrevocabilmente femmina. 

{Idraulico anno 1999}   

 

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