Con un gesto lento, deciso e sorprendentemente dolce, Dea si liberò dalle mani della donna che la teneva. Non con violenza, ma con grazia assoluta.
Si voltò.
Le mani si posarono ai lati del viso della donna e poi scivolarono sul collo, calde, leggere.
Le loro labbra si toccarono appena, in un bacio tenero, morbido, che sapeva di riconoscenza e di promessa. Ma poi le dita si strinsero con più forza sui fianchi, e la bocca si fece più esigente.
Dea premette le labbra con più decisione, le aprì, e la sua lingua si insinuò in quella della donna con movimenti lenti, decisi, profondi.
Giocava.
Assaggiava.
Domava.
Le mani, ora, esploravano. Una risalì sotto la maglietta aderente, sfiorando la pelle calda, il ventre, fino a trovare il seno e stringerlo piano, con il palmo aperto, godendo della consistenza piena. L’altra percorse la schiena della donna, scendendo con eleganza lungo il fianco, accarezzando ogni curva, ogni respiro.
Poi si staccò. Non bruscamente.
Ma con intensità.
Le labbra ancora lucide, lo sguardo carico.
— «Vai dietro quell’albero ora. A guardarmi.»
Il tono era basso, calmo, inesorabile.
— «Perdonami… ma io ho da fare.»
La donna non disse nulla. Solo un cenno, quasi impercettibile, e il passo lento verso il tronco da cui tutto era cominciato.
Dea si voltò.
E con la stessa lentezza regale, cominciò a spogliarsi.
Prese il bordo del reggiseno sportivo e lo fece scorrere verso l’alto, liberando i seni con un gesto fluido, preciso. Rimasero esposti all’aria del mattino, sodi, tesi, scossi appena dal ritmo del suo respiro. I capezzoli duri, in evidente eccitazione, puntavano verso l’orizzonte come due segni di interpunzione.
Poi si chinò, slacciò le scarpe e le fece scivolare via.
I leggings seguirono subito dopo, sfilati con calma, con movimenti che sembravano parte di una danza antica.
E fu nuda. Solo il tanga sportivo le restava addosso, ma anche quello sembrava un dettaglio secondario.
Fece un passo avanti.
Poi un altro.
Si fermò.
Allargò le braccia.
Le tese ai lati, le dita aperte verso il cielo.
Le gambe si incrociarono leggermente, le ginocchia appena flesse.
La testa si abbassò in avanti, i capelli tirati dalla coda ricaddero sul volto.
Il corpo nudo, forte, offerto.
Un crocefisso sensuale. Sacro e profano insieme.
Il silenzio nella radura era totale.
Perfetto.
Sospeso.
Poi la voce.
Bassa.
Rauca.
Ardente.
— «Vado bene per voi?»
Non dovette attendere risposta.
I due uomini si mossero con lentezza, ma senza incertezza.
Il Lungo e il Largo.
Uno da destra, l’altro da sinistra.
Le mani grandi, calde, si chiusero sui suoi avambracci con una fermezza che non lasciava spazio all’equivoco.
Non volevano stringerla.
Volevano averla.
La attirarono a sé.
Un abbraccio a tre.
I loro corpi vicini, un triangolo di pelle, calore e desiderio.
I visi si sfiorarono.
I respiri si mescolarono.
Le labbra non si cercarono per baciarsi, ma per annusarsi, per riconoscersi come animali, per marcare il territorio con la pelle, non con la parola.
Era un incontro fatto di carne e fiato.
Non c’era amore, non c’era promessa.
Solo fame.
Le mani iniziarono a muoversi.
Precise. Coordinati come danzatori esperti.
Il Lungo si impossessò subito dei suoi seni, con dita lunghe e affamate.
Li prese tra le mani, li sollevò, li strinse. I pollici girarono intorno ai capezzoli tesi, poi li sfiorarono, poi li pizzicarono con un ritmo crescente.
La risposta di Dea fu immediata: il respiro che si accorcia, la bocca che si apre appena. Nessun suono, solo un fremito.
Il Largo, invece, scese più diretto.
Una mano si infilò sotto il bordo del tanga sportivo.
Non perse tempo.
Non cercò un invito.
Andò dritto al centro.
Le dita affondarono nella piega bagnata tra le sue gambe.
Trovarono il calore.
Trovarono la resa.
La trovarono già pronta.
La pelle delle sue cosce tremò per un istante.
Un sussulto che partì dall’inguine e salì fino al petto.
Non c’era più bisogno di domande.
Non servivano parole.
I due uomini non persero tempo, il lungo si spostò dietro di lei mentre il largo le si pose davanti, a gesti le fecero capire che doveva chinarsi in avanti tenendo le gambe tese. Il lungo ammirò il panorama dei monti e della vallata disegnata dal tanga che si insinuava nel profondo, lo spettacolo non lo fece desistere, spostò il tanga di fianco e non appena fu chinata la penetrò, fu rude, brutale e profondo, il gemito di Dea gli riportò il suo gradimento, il piccolo sussulto quando toccò il fondo gli fece capire che era arrivato al capolinea, Dea godeva della penetrazione ma più della situazione, nuda in mezzo a una radura, due uomini che la desideravano e godevano del suo corpo. Due uomini di cui non conosceva neanche il nome, e neanche voleva conoscerlo.
Nel frattempo chinandosi trovò davanti al volto il grosso, la lunghezza media del membro era nella media, ma la larghezza era impressionante Dea lo avvolse con la mano saggiandone la durezza estrema, e cominciò a scoprire il glande, non ci fù bisogno alcuno di parole, lentamente e con difficoltà riuscì a farlo entrare nella sua bocca, la lingua danzava sul glande mentre le guance si incavavano per aspirare ancora più sangue nei corpi cavernosi, lo voleva ancora più duro, ancora più grosso.
Il lungo aveva preso un buon ritmo, la penetrava senza fretta, ma con molta intensità e profondità, i due membri solo per lei la donna che da dietro l’albero li guardava, il membro nella sua bocca che la usava e il lungo che la penetrava diedero a Dea il primo orgasmo, intenso, umido e tremante, il suo piacere si diffuse sul membro che aveva in bocca il quale percepì l’onda sonora dell’orgasmo sul glande, e sul lungo che sentì i muscoli vaginali contrarsi nell’orgasmo della ragazza. “brava troietta, vedo che ti piacciono i nostri trattamenti” disse il lungo sfilandosi da lei, si spostò prendendo il posto del largo che a sua volta le girò dietro, ora facciamo un cambio, vediamo se sei larga abbastanza per me. Si pose dietro e con non poca fatica riuscì a penetrare Dea a fondo, la ragazza si sentì allargata a dismisura, mai niente di così grosso le era entrato dentro, ma la lubrificazione abbondante dell’orgasmo appena vissuto e l’eccitazione che aveva addosso le fece comunque godere la penetrazione, anche se dopo qualche istante di assestamento.
Dea godeva della penetrazione del largo, completamente dimentica del lungo, che presala per la coda le propose il suo membro duro e lucido dei suoi umori alla bocca, Dea assaporò il gusto del maschio mischiato al proprio sapore. Essere così usata la faceva impazzire, il suo livello di eccitazione continuava a salire, succhiava e leccava mentre con gli occhi cercava la donna che appoggiata all’albero aveva una mano sprofondata nei pantaloni e si toccava furiosamente.
Il ritmo dei maschi la muoveva come una bambola in avanti e indietro, facendo penetrare a fondo i loro membri alternativamente nella sua bocca e nella sua vagina. Li sentì molto più rigidi, molto più rudi, ma non era ancora giunta la fine per loro. Il largo la fece alzare sfilandosi da lei.La girò e la sollevò in modo che le sue gambe andassero ad aprirsi e abbracciarlo sulle natiche, questo aprì il suo piacere al maschio che la penetrò a fondo e prese a penetrarla così, appesa a lui.
In questa posizione la penetrazione era ancora più profonda, più decisa, ma in quel momento sentì il lungo dietro di lei avvicinarsi e usando le abbondanti secrezioni della sua vagina umettarle il suo antro più segreto, lo sentì appoggiare la punta, e spingere, forte, ancora. Lo spazio già occupato dal largo riduceva lo spazio e l’elasticità del suo antro, ma gli omini erano esperti in questo e all’ennesima spinta, anche il lungo fu dentro.
Dea urlò il dolore della penetrazione forzata, ma il sentire il lungo che risaliva a fondo nel suo intestino la ripagò a pieno del dolore provato, sentiva un serpente salirle nelle viscere mentre il largo continuava imperterrito a penetrarla duramente e a fondo. La sottile parete che divideva i due membri nel corpo di Dea esaltava la percezione di piacere della ragazza, alla sua prima esperienza di questo tipo era alla continua ricerca di ossigeno, ogni spinta, ogni affondo le toglieva il fiato.
Il suo piacere cresceva i due maschi avevano trovato il giusto ritmo, la prendevano insieme, la sollevavano e la facevo ricadere di peso sulle loro erezioni piantate dentro di lei, Dea, non resse più e un nuovo orgasmo la travolse, lasciandola quasi senza sensi in braccio ai due maschi che la usavano come un guanto di carne per le loro erezioni.
Ma a dea anche questo stava bene, sapeva che era lì per essere usata, ma soprattutto per usare, era lì per godere fisicamente e mentalmente, e lo stava facendo. Non c’erano altre motivazioni, non c’era alcun interesse in quei maschi se non il piacere che i loro membri eretti le potevano dare. Il ritmo aumentò ancora, fino a che contemporaneamente si sfilarono da lei e entrambi vennero sul suo corpo irrorandola del piacere che gli aveva donato.
La raggiunsero sul seno, sul ventre e alcune gocce sul viso, la lasciarono lì a terra, si rivestirono e se ne andarono.
La radura era silenziosa.
Nel cielo, il sole alto filtrava tra le fronde, disegnando strisce dorate sulla pelle nuda di Dea. Il corpo era ancora caldo, i muscoli distesi, i sensi saturi. Addosso, il piacere dei maschi: liquido, odore, memoria.
Rimase un attimo immobile, gli occhi socchiusi, le labbra ancora leggermente umide, il petto che si sollevava piano. Le ginocchia tremavano appena, ma era un tremito dolce.
Di appagamento.
Di resa.
Poi sentì i passi.
Leggeri. Decisi.
La donna.
Le si avvicinò con lo stesso sorriso di sempre: quello che non chiedeva il permesso, quello che non temeva nulla.
Si chinò su di lei, senza dire nulla.
Sfiorò con la lingua una goccia sulla spalla, poi un’altra sulla schiena, lenta, lenta.
Un gesto sfacciato e intimo.
Un gesto di complicità.
Poi le prese il viso tra le mani e la baciò.
Un bacio pieno, rotondo, dove c’era il sapore del piacere maschile, ma anche il riconoscimento di qualcosa che andava oltre.
Era condivisione. Era un sigillo.
Quando si staccò, le accarezzò la guancia con il dorso delle dita e si rialzò.
Fece qualche passo, poi si voltò.
La luce le disegnava il volto con una grazia quasi irreale.
— «Se vuoi ripetere…» disse con tono leggero ma chiarissimo,
— «stasera ci trovi a fare l’aperitivo in paese. Potremmo stare un po’ più comodi, la prossima volta.»
Un sorriso, un cenno del capo.
Poi scomparve tra gli alberi.
Dea restò lì.
Ancora nuda, ancora viva.
Il corpo sazio, la mente limpida.
Il passeggero oscuro era ancora lì. Presente, silenzioso, ma attivo.
Una carezza alla mente, non un comando.
Una presenza avvolgente, calda, che non lasciava sola Dea.
Non ancora.
Bea non era tornata.
Non era il momento.
Non con il corpo ancora scosso dal piacere. Non con le gambe che tremavano, non di debolezza, ma di euforia.
Ogni muscolo le doleva. Ogni nervo ricordava.
Ma lei sorrideva.
Un sorriso pieno.
Lento.
Felice.
Finalmente si era lasciata andare.
Non si era trattenuta, non aveva recitato, non aveva chiesto.
Aveva preso. Aveva dato. Aveva scelto.
Si alzò con calma, ancora nuda, le foglie umide sotto i piedi, il sole che filtrava tra le fronde e le disegnava ombre morbide sulla pelle. Ogni passo era una dichiarazione d’esistenza. Ogni movimento un tributo al corpo che ora riconosceva come proprio, come sacro e profano insieme.
L’invito della donna, l’idea dell’aperitivo in paese…
Non lo prese neppure in considerazione.
Non era tempo di bar.
Non era tempo di ripetere.
Il passeggero oscuro, nella sua voce bassa e interna, le parlò con chiarezza:
— «Questa è stata un’esperienza.»
— «La prossima… sarà un viaggio.»
— «Altre persone. Altri profumi. Altri sapori.»
Si rivestì lentamente.
Il tanga, umido di piacere.
I leggings tirati con un sospiro.
Il reggiseno, infine, sistemato con un gesto pieno di presenza.
Fu allora che accadde.
Dea fece un passo indietro.
Non scomparve.
Si fece solo in disparte.
E Bea tornò.
Corse a casa, a ritmo lento. Non per fatica, ma per godere della scia lunga di quella mattina.
Ogni falcata era un ricordo.
Ogni respiro, un sapore che le restava in gola.
Aprì la porta, la richiuse alle sue spalle, e si spogliò subito.
Come il giorno prima.
Stessa porta. Stesso gesto.
Ma il corpo… non era più lo stesso.
Le mani percorsero la pelle come per verificarla, per ritrovarla. Era lì.
Segnata.
Dolente.
Sazia. Ma affamata di altro.
Il piacere vissuto.
La sensazione di essere stata usata — e di avere usato.
Era tutto nella sua testa. Ma leggero, dolce, quasi puro.
Perché oggi aveva scoperto qualcosa di più profondo.
Non voleva solo essere toccata.
Non voleva solo possedere corpi.
Voleva possedere la mente.
La volontà.
Il desiderio stesso dell’altro.
Voleva diventare qualcosa di più.
Un pensiero ossessivo.
Un sussurro costante.
Un bisogno.
E in quell’istante, mentre si versava un bicchiere d’acqua e restava nuda nella sua cucina, Bea capì che il prossimo passo non sarebbe stato più fisico.
Sarebbe stato mentale.
Spero che vi stia piacendo, come per la scorsa serie prediligo l’approccio mentale e non quello fisico per la descrizione dei miei racconti. Se avete commenti li leggerò volentieri qui o via mail a mogliemonella2024@gmail.com
Ciao Liuk, grazie per i complimenti. La lunghezza del racconto è sicuramente un problema, ma non trovo alternative per descrivere…
Grazie mille Ste, lieto che i miei racconti di portino delle emozioni.
Ciao, curi molto i dettagli, complimenti! Potresti avere solo due 'nemici' : la possibile lunghezza totale del racconto e la…
Sei uno sctrittore veramente preparato descrivi ogni momento, dal luogo all'outfit, in modo tale che lo si possa vedere con…
Ciao Ste, trovo il tuo commento criptico, non ho capito cosa mi vuoi dire.