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Racconti di DominazioneTradimento

La mogliettina perde la virtù. Seconda parte.

By 7 Maggio 2024No Comments

Era un Giugno veramente splendido.
Silvia, durante quel lungo pomeriggio, rifletteva sulle sue recenti esperienze adulterine consumate con il vizioso avvocato Tollerini.
La relazione con l’avvocato era terminata dopo una serie di incontri infuocati, per il timore dell’uomo di rimanere invischiato in una storia che poteva rivelarsi scandalosa e dannosa per la sua prestigiosa posizione sociale: aveva pertanto liquidato Silvia con una grossa somma di denaro come per tacitarla. Lei si era sentita trattata come una meretrice ma – si sa “pecunia non olet” – aveva accolto tutto, accettando di interrompere definitivamente ogni rapporto.
Non poteva negare il notevole piacere fisico ricavato da quegli appuntamenti clandestini, ma non si trattava solo di questo: aveva avuto conferma infatti che in lei albergava una profonda esigenza di sperimentare, uscire dalla strada ben conosciuta di una nota e tranquilla sessualità domestica. Inseguiva un desiderio trasgressivo che desse risposta a quel gusto del proibito che, come un prurito insopprimibile, non le dava pace. Aspettava solo l’occasione che le sue brame, attualmente confinate nella sua fantasia, potessero prendere corpo.
Quella occasione, sotto forma di ispirazione gli venne fornita, senza volerlo, dal marito mentre conversava con un amico all’indomani di una partita di calcetto.
– Si ieri ci siamo divertiti, peccato, Simone, tu mancassi. Li abbiamo distrutti………Il mio vicino Moussa?…..si ha giocato bene e poi…..ahahah… Sotto la doccia ci ha umiliati, facendoci vergognare tutti nel confronto impietoso. Che sberla ha fra le gambe!
Quelle parole erano risuonate nella sua mente, accendendola; si erano strutturate in un pensiero e successivamente in una concupiscenza, un chiodo fisso.
Moussa era un giovane camerunese che lavorava presso un’impresa edile e che occupava in locazione un piccolo appartamento nel loro stesso condominio.
Silvia iniziò a pensare sempre più morbosamente a Moussa e fece di tutto per abbordarlo. Studiando gli orari del giovane e avendoli memorizzati aveva la possibilità di incrociarlo in maniera che sarebbe apparsa casuale. Mise in atto una strategia seduttiva fatta di sguardi sempre più ammiccanti, di sorrisi invitanti. Passò poi dalle frasi di pura circostanza, dai cortesi saluti ad argomenti sempre più interessati ai particolari della vita del ragazzo – delle sue amicizie, del lavoro, delle aspettative future, dei sentimenti -.
Moussa dapprima incredulo, poi intrigato da quell’approccio, fu attratto e tentato da quel rapporto che si rivelava sempre più stuzzicante. Quella ragazza, piuttosto carina, costituiva un obiettivo decisamente appetibile. Però non si faceva troppe illusioni pensando che per lei fosse solo un capriccio, un trastullo divertente e nulla di più.
Finalmente per Silvia il piano, ancora nebuloso, che covava in lei assunse contorni più precisi e si sviluppò.
– Sai Max, dovremmo invitare a cena quel ragazzo – Moussa mi pare si chiami – che abita qui di fronte e che gioca con te a calcetto. Poveretto vive una certa solitudine, mi par di capire. Sarebbe un gesto di buon vicinato.
– Certo, hai ragione. Organizza pure una di queste sere, quando vuoi.
Silvia non sentiva l’esigenza di analizzare le sue tendenze istintive, dei motivi reconditi di quella attrazione, ma voleva solo divertirsi con una persona che apparteneva a un mondo diverso e sperimentare concretamente, dandosi a lui, emozioni inedite. In sostanza aveva una gran voglia di assaggiare quel cazzo nero la cui immagine pervadeva morbosamente la sua fantasia.
Venne il momento dell’invito a cena. Moussa si dimostrò timido e impacciato ma pian piano si sciolse facendo onore alle pietanze. Max si ritirò nello studio a un certo punto, scusandosi, per completare un lavoro in vista della importante trasferta del giorno dopo. Silvia ebbe campo libero e si divertì a civettare con il camerunese che si era offerto di aiutarla a sparecchiare la tavola. Ovviamente la ragazza non poté spingersi oltre un certo limite ma fu sufficiente per sondare l’eccitazione montante di Moussa.
L’indomani Silvia con la prospettiva di essere sola tutto il giorno attendeva il momento giusto.
Attraverso le finestre affacciate sulla stretta via, oramai dissoltesi nell’aria le molecole odorose delle pietanze, risuonavano l’acciottolio delle stoviglie e il tintinnio dei bicchieri riposti dopo il pranzo. Lei sapeva che Moussa sarebbe rientrato e teneva d’occhio il cortile che lui avrebbe attraversato per accedere a casa. Quando lui finalmente comparve Silvia, fingendo di raccogliere la biancheria stesa, fece cadere le sue mutandine che si era appositamente sfilate.
– Oh ciao Moussa, mi faresti la gentilezza di portarmi quella biancheria che mi é caduta? – richiese sorridendogli maliziosamente.
Lui, raccolte le mutandine, fece un segno di assenso col capo e si incamminò lungo le scale; nel tragitto annusò quegli slip e le sue narici si dilatarono per meglio inalare l’inebriante odore di donna che li intrideva. Tale profumo lo eccitò ulteriormente – e già non ne avrebbe avuto necessità – per i feromoni sessuali in esso contenuti.
Lo aspettava tenendo l’uscio spalancato.
– Entra pure.
Richiusa la porta Silvia sorridendo languidamente sussurrò provocante e invitante:
– Grazie per avermi riportato le mutandine. Se vuoi puoi aiutarmi a indossarle.
Per il ragazzo era il segnale inequivocabile di ciò che aveva potuto finora solo sperare: una ragazza bianca e piuttosto bella si dava a lui, un immigrato nero. La sua mano destra si insinuò sotto la camicetta di Silvia carezzandole le sode mammelle e stringendole i capezzoli, la sinistra senza neppure la fragile difesa delle mutandine giunse alla radice delle cosce, si fece strada nella fessura calda e umida della ragazza che reagì miagolando oscenamente. Le labbra morbide e carnose dell’uomo si appoggiarono su quelle di Silvia e lei si abbandonò a quel bacio anticipo di tutto ciò che ne sarebbe seguito.
Silvia sentiva la sua voglia lussuriosa crescere dentro di sé, nella sua anima, ribollire incontenibile per esplodere. Il volto le bruciava, gelidi erano le mani e i piedi.
Moussa la guardò con gli occhi che risplendevano ardenti pronto a prendersi quanto gli veniva offerto; estrasse il suo nero scettro.
– É questo che stai cercando?
Lei, adorante osservò l’oggetto della sua concupiscenza, maestoso nella sua erezione imponente
– É magnifico! Cinse fra le mani quel cazzo, incredula delle sue dimensioni. La camicetta volò via come la gonna e Silvia, completamente nuda, prese a succhiare frenetica quel pene fino a sentire la grossa cappella premere in gola, lo risputò fermandosi a contemplarlo lucido della sua saliva, lo risucchiò di nuovo dentro in un lussurioso gioco.
Fu la volta di Moussa di affondare il suo volto fra le cosce di Silvia.
– Sei dolce come un frutto maturo – sentenziò il ragazzo sollevando il volto impiastricciato degli umori odorosi che colavano dalla figa succhiata e leccata appassionatamente; il clitoride le esplodeva coinvolgendo tutto il corpo nel suo piacere travolgente.
La ragazza stesa sul letto tremante di desiderio sentì che le sue gambe venivano divaricate e finalmente quel grosso, nero scettro aprì, spalancò la tumida fessura rosea, gocciolante di piacere e vi scomparve dentro; la vide uscire lucida per poi reimmergersi nuovamente sempre più velocemente e profondamente: sciabola che veniva sfoderata e rinfoderata strappandole grida e gemiti eccitati.
– Oddio che bello, continua così…cosììì!
Lei si concesse languidamente a quelle membra muscolose che la manipolavano, la rigiravano, la sollevavano affinché le penetrazioni fossero più profonde; ansimava in un bagno di sudore assaporando l’odore, l’afrore di quel nero corpo che la sovrastava, la travolgeva. Raggiunse l’orgasmo che aveva da tempo sognato soddisfatta e ormai sazia di quel sesso impetuoso, di quel cazzo sontuoso che pulsante la scopava. Il volto di Moussa sopra di lei nell’amplesso la fissava quasi senza espressione con la bocca semiaperta che mostrava quei denti bianchissimi che torturavano le sue tette e i capezzoli. D’improvviso lo sguardo del nero ebbe un lampo come per un’ispirazione e Silvia comprese che per lui non era ancora abbastanza. Evidentemente cercava ancora qualcosa di più, voleva che la sua conquista fosse totale.
Moussa, estratto il suo bastone nero, lucido, dalla figa – dopo averle sollevato il bacino e postosi di fronte a lei -, lo indirizzò violento attraverso la roseola scura – scardinando lo stretto anello dello sfintere – fin dentro l’intestino della ragazza.
Silvia, le cui caviglie erano sollevate all’altezza del volto dell’uomo, impotente a impedire quell’assalto potè scorgere, sollevando il capo, quel cazzo entrare ed esercitare un possesso privo di ogni tenerezza, addirittura rabbioso. Pur abituata a quella pratica a cui il suo precedente amante – l’avvocato Tollerini – l’aveva introdotta, tuttavia urlò e le lacrime le bagnarono il viso. Percepiva quel cazzo, troppo grosso, avanzare impetuoso, da despota incontrastato su nel suo culo, occupandolo con la sua massa voluminosa e provocandole un dolore sordo nell’urtare le pareti del retto. Lei si dimenò, implorò:
– Ti supplico, basta adesso lasciami, è troppo grosso, così duro! -, ma ben presto fu priva di forze e non le usciva più il fiato: si sentì completamente soggiogata. Pur provando dolore, decise di abbandonarsi, concedendosi arrendevole a quel piacere selvaggio che comunque si faceva strada in lei.
Fantasticò di essere una fanciulla rapita da un’organizzazione criminale e ceduta al capo di un gruppo di guerriglieri africani come regalo, per ringraziarlo della sua alleanza; lei schiava veniva brutalmente posseduta, nella foresta, da quell’energumeno dall’enorme potenza sessuale.
Mentre Moussa si addentrava profondamente nelle sue viscere, Silvia pur sfinita, prostrata all’azione di quella verga di carne, si ritrovò a stimolarsi intensamente il clitoride un po’ per ingannare con quella eccitazione la sofferenza che pur sempre rimaneva ma, soprattutto per essere coinvolta ancor di più in quella sconcia sarabanda. Accolse come una liberazione lo svuotarsi del caldo seme che le riempì il culetto, mentre l’uomo, preda di un orgasmo che lo scuoteva, ansimava e muggiva elettrizzato. Moussa, dopo aver intensamente goduto, pienamente gratificato, le giacque al fianco e lei si assopì finalmente rilassata, con un sorriso di piacere e sollievo.
Lui aveva tante ragioni per essere contento: oltre ad aver goduto fisicamente rispondendo alla sua brama da tempo repressa, aveva dominato, sottomesso una giovane e bellissima ragazza bianca e questo era per lui motivo di rivalsa e orgoglio che lo ripagava di tante frustrazioni quotidiane. Silvia si ridestò nella stanza da sola, appagata pur con le sue cavità che le ardevano per il rapporto sfrenato consumato, mentre già i colori del tramonto illuminavano di rosa le pareti della stanza. I lenzuoli, inzuppati degli umori del sesso, erano testimoni silenziosi di quell’adulterio che aveva ostinatamente perseguito e ottenuto in quel pomeriggio di lussuria senza scrupoli.
Adesso però doveva sbrigarsi a rassettare tutto, poiché fra un paio d’ore suo marito sarebbe rientrato.

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