I.
Era da qualche giorno che avevo iniziato a lavorare. Il mio primo lavoro. Lavoro d’ufficio. Giacca e la cravatta di negozio da centro commerciale, a tradire tutta mia giovane età e la mia inesperienza.
L’uniche due cose positive di quell’impiego era la quasi totale assenza di responsabilità che il mio ruolo ricopriva, e la supervisore del nostro reparto: una donna alta, elegante e svelta, con due seni sodi e fissi nella scollatura. Capitava di vederla sculettare per il corridoio, annunciata dagli schiocchi dei suoi tacchi e salutata dalla scia del suo profumo, che aleggiava per qualche minuto ancora, dopo che se n’era andata. Per la gioia delle mie narici.
Si chiamava Zaira. Un nome che non avevo mai sentito.
Fu lei a illustrarmi le mie mansioni e tutto quello che c’era da sapere, la mia prima mattina di lavoro. Forse per questo, come in una specie di imprinting, che fui subito colpito da quella donna. Vi erano altre presenze femminili in quell’ufficio ma nessuna eguagliava la classe di Zaira: Fabiana, una signora in sovrappeso, prossima alla pensione; Francesca, una ragazza poco più grande di me, ma bruttina e occhialuta; e Simona, una donna timida e silenziosa, appena percettibile nella perenne confusione di quell’ambiente. Ogni tanto altre passavano al reparto: meteore improvvise, spesso accompagnate da qualche dirigente (figura mitologica ed arcana). Attraversavano l’ufficio e poi scomparivano per sempre. Raramente, qualche loro viso ricompariva per qualche attimo da qualche parte, quando ci si avventurava fuori dal nostro settore.
L’unica cometa che tornava a solcare i nostri corridoi era Zaira.
Fu un lunedì, un paio di settimane dopo la mia assunzione, che trovai la nostra responsabile alla macchinetta del caffè. La cosa non poteva che farmi felice. Dissimulai noncuranza. Di sottecchi, lanciai uno sguardo furtivo verso la donna: stava agitando nervosamente il bastoncino di plastica nel bicchierino semipieno. Mi vide: “Buon giorno. Come si trova da noi?”
Sorrisi con un’alzata involontaria di spalle: non mi aspettavo di trovarla lì e fui preso alla sprovvista. Immediatamente m’affrettai ad aggiungere: “Mi sto ambientando”. La donna si portò il bicchiere alla bocca e ci soffiò delicatamente dentro, dicendomi: “Vedrà…. in un attimo si muoverà qui dentro come fosse casa sua…” quindi bevve tutto il caffè in un sorso. Con uno slancio della mano buttò il cilindretto marrone nel bidoncino della plastica e si voltò a guardarmi: “E se proprio non si dovesse trovare a suo agio, non si faccia problemi a dirmelo, che le troveremo un altro posto”. Mi sorrise, d’un sorriso splendente; totale. Restai per un secondo imbambolato a guardarla, credendo di starle sorridendo di rimando. Poi con uno svolazzo di capelli, si girò con uno scatto e partì per il corridoio in una cadenza di tacchi secchi. Io guardai allontanarsi quel suo culetto fasciato nella minigonna. Riavendomi, mi girai per assicurarmi che nessuno m’avesse sorpreso in quella mia condotta inopportuna e talmente palese da risultare ingiustificabile. Ma fortunatamente non v’era nessuno nei paraggi. Quindi inserii le mie monete e selezionai un caffè macchiato. Mentre la grossa macchina gorgogliava, realizzai cosa di quel sorriso m’avesse colpito tanto: i suoi canini. Erano piatti, completamente assenti.
Mentre il chiarore della sua dentatura si dissolveva dalla mia mente, ritirai il mio caffè ed inspirai il suo aroma.
Quella sera, a letto, dedicai per la prima volta una sega a Zaira e al suo culo.



Wow, sei arrivato già al quarto capitolo: fantastico, posso chiederti perchè ti sei bloccato? Forse con l'evolvere della storia diventa…
Molto bello
scusa, al quarto sono bloccato!
ti ringrazio, mi fa molto piacere sapere che ti sia piaciuto! il secondo capitolo l'ho completato. nel terzo sono bloccato.…
ne ho scritti altri con altri nick...spero ti piacciano altrettanto.