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Omaggio a Schiavi della setta – capitolo 3 – L’Attesa

By 16 Novembre 2025No Comments

grazie a tutti per il supporto ed il riscontro
per suggerimenti scrivetemi a joepunk93@proton.me

Il mattino dopo l’ultima sessione di preparazione con Simone e Angela, mi svegliai con un senso di vuoto opprimente, come se il mio corpo e la mia mente fossero stati svuotati di ogni energia. Elena era già in piedi, seduta sul bordo del letto, e mi guardava con un’espressione mista di stanchezza e determinazione. La gabbietta mi stringeva come sempre, un dolore familiare che ormai controllavo con respiri profondi, ma quella mattina sembrava più insistente, un promemoria costante di quanto fossi cambiato. Ogni pulsazione era un’eco di frustrazione sessuale repressa, un calore sordo che si irradiava dai testicoli gonfi, tesi come se stessero per scoppiare, fino al basso ventre. La pelle sensibile sfregava contro la plastica rigida, e anche solo il peso delle lenzuola mi causava fitte acute, un misto di dolore e desiderio inappagato che mi faceva fremere. Marco ci aveva concesso 24 ore di riposo completo: niente lezioni, niente convocazioni, solo tempo per recuperare e prepararci mentalmente alla Cerimonia del Dono. “Riposatevi,” ci aveva detto la sera prima, prima di andarsene. “Domani sera, Educatore Z vi consegnerà il vostro Dono. Siate pronti nel corpo e nello spirito.”

ci avevano concesso anche una suite che aveva due grossi bagni ed una piccola sauna, oltre che un terrazzino che dava sulla campagna dietro la tenuta

Elena mi sorrise debolmente quando aprii gli occhi. “Buongiorno, amore,” mormorò, usando quel nomignolo che ormai era diventato parte della nostra routine. Arrossii leggermente, ma non protestai. Era il nostro mondo, ora. Indossava una semplice camicia da notte trasparente, che lasciava intravedere le curve morbide del suo corpo, i capezzoli eretti che premevano contro il tessuto sottile, un invito silenzioso che mi torturava.

“Buongiorno,” risposi, sedendomi sul letto. Il movimento mi causò una fitta ai testicoli, gonfi e doloranti dopo giorni di astinenza forzata. Li sentivo pesanti, tesi, come se stessero per esplodere, la pelle tesa e sensibile, un calore pulsante che si diffondeva in tutto il basso ventre. Ma ignorai il disagio, focalizzandomi su di lei. “Hai dormito?”

“Un po’,” disse lei, scrollando le spalle. “Sono stanca, ma… felice. Ce l’abbiamo fatta. Ora siamo pronti per il Dono.”

Annuii, ma dentro di me non ero così sicuro. Mentre Elena si alzava per preparare una tisana – un piccolo lusso che ci concedevamo in quelle rare ore libere – la mia mente vagò indietro, ripercorrendo tutto ciò che era accaduto dal primo giorno in cui ero entrato in quel mondo distorto. Ricordai il nostro arrivo alla Casa, l’incontro con Educatore X, quel primo tocco umiliante nel suo ufficio, quando aveva fatto venire Elena con le dita davanti a me. All’epoca, pensavo fosse il peggio che potesse capitare: vedere la mia fidanzata godere per mano di un altro, costretta a masturbarsi su quelle dita estranee mentre io la guardavo impotente, il suo corpo che si inarcava in preda al piacere, i gemiti che echeggiavano nella stanza, il suo sesso bagnato che si contraeva intorno alle sue dita. Ma era solo l’inizio. Ripensai alle uscite con Educatore X, a come Elena tornava eccitata, raccontandomi di essere stata esposta, toccata da sconosciuti in un locale esclusivo – le loro mani che le palpavano i seni, le dita che scivolavano tra le sue cosce umide, il suo corpo che tremava di umiliazione e desiderio. E io, masturbandomi mentre lei descriveva quelle umiliazioni, sentendomi sporco ma incapace di fermarmi, il mio membro che si induriva al solo pensiero di lei usata così.

Poi c’erano state le regole del Direttore: Elena costretta a girare in intimo, esposta agli sguardi di tutti, il suo corpo seminudo che ondeggiava nei corridoi, i capezzoli eretti sotto il tessuto sottile, il tanga che si inumidiva visibilmente, e io che non potevo toccarla, ridotto a masturbarmi in bagno come un adolescente represso, il seme che schizzava nel water mentre immaginavo altri uomini che la possedevano. Ricordai il primo incontro con Marco, quando gli avevamo chiesto di “soddisfare” Elena, e lui aveva accettato, imponendo le sue condizioni. La prima notte con lui: io che la spogliavo per lui, le mani tremanti mentre le abbassavo il reggiseno, esponendo i suoi seni pieni e sodi, che la preparavo leccandola, la mia lingua che affondava nel suo sesso bagnato, assaporando il suo sapore dolce e salato, solo per vederlo possederla mentre mi masturbavo con un preservativo, il lattice che mi stringeva mentre guardavo il suo membro affondare dentro di lei, i suoi gemiti che echeggiavano come non li avevo mai sentiti con me. E poi le sessioni successive, sempre più intense, con Marco che la dominava, la legava, la usava in modi che io non avevo mai osato – le corde che stringevano i suoi seni, facendoli gonfiare e arrossare, il suo corpo che si inarcava in preda al dolore e al piacere, i suoi orgasmi multipli che la facevano tremare come una foglia.

Ripensai a Franco, al suo tocco ripugnante, al modo in cui mi aveva costretto a leccargli i piedi, a chiamarlo padrone, il sapore salato e acre della sua pelle sudata sulla mia lingua, e a come mi ero sentito… annientato, ma con quella scintilla perversa che mi aveva fatto pulsare nella gabbietta. E Anna, che mi aveva usato la bocca senza pietà, strofinando il suo sesso bagnato e caldo sul mio viso, il suo clitoride che premeva contro la mia lingua, i suoi umori che mi colavano in bocca mentre gemiva di piacere.

Ma il peggio era stato con Simone e Angela, la sera prima. Angela, subdola e tagliente, che mi aveva costretto a lubrificare il suo strapon con la bocca, chiamandomi “assistente” con quel tono che nascondeva derisione, il silicone freddo che scivolava sulla mia lingua mentre lei rideva della mia umiliazione. E poi Simone, con il suo membro mostruoso, che mi aveva umiliato rifiutando il mio tocco. Io dietro di lui, il suo sedere che sbatteva sul mio viso a ogni spinta, mentre dilatava Elena oltre ogni limite. E il momento finale: Angela che mi spingeva la testa contro le sue natiche, ordinandomi di leccare le palle di Simone. L’odore… quel misto di sudore muschiato, acre, che mi aveva invaso le narici, soffocante come un pugno allo stomaco. La pelle calda, umida, ricoperta da peli ruvidi che mi graffiavano la lingua a ogni leccata. Il sapore salato del sudore, misto a un retrogusto terroso, maschile, che mi aveva fatto girare la testa. Ogni movimento di Simone faceva oscillare quelle palle pesanti contro il mio viso, il loro peso che mi schiaffeggiava le guance, il calore che irradiava da esse un’umiliazione vivida e fisica. Piangevo, le lacrime che si mescolavano al sudore di lui, mentre la mia lingua esplorava ogni piega, ogni ruga bagnata, succhiando delicatamente come se stessi venerando un altare osceno. La gabbietta mi torturava, il dolore lancinante, ma l’eccitazione era travolgente, un desiderio malato che mi spingeva a continuare, a leccare con devozione nonostante il disgusto. Marco che mi incitava, Simone che mi schiaffeggiava per aver “leccato da schifo”, minacciando di farmi esercitare con Franco… e io che piangevo, umiliato, eccitato, sconfitto.

Elena tornò con la tisana, porgendomene una tazza. “Luca,” disse dolcemente, “sdraiati. Parliamo un po’. Dobbiamo prepararci per stasera.”

Annuii, sdraiandomi sul letto. Lei si sedette accanto a me, la mano sulla mia. “Cosa pensi che succederà?” chiese, la voce tremante ma curiosa.

Esitai, il cuore che accelerava. “Non lo so…, mi aspetto di venire,” dissi bruscamente, più aspro di quanto volessi. Lei mi guardò sorpresa, e mi pentii subito. “Scusa… è il tumulto dentro di me. Non so cosa dire.”

Lei annuì, comprensiva. “Va bene. Senti… i tuoi testicoli? Ti fanno male?”

Arrossii. “Sì… tanto.”

“Mostrameli,” disse lei, piano.

Esitai, ma obbedii, abbassando i pantaloni. La gabbietta era lì, il mio membro imprigionato, i testicoli gonfi, rossi, tesi, la pelle tesa e lucida per la pressione, venature bluastre che pulsavano visibilmente.

Elena li guardò, mordendosi il labbro. “Oh… sono così gonfi…” mormorò. Allungò una mano, sfiorandoli con un solo dito. Iniziai a fremere, il tocco leggero come una scarica elettrica che si irradiava dal punto di contatto fino al basso ventre, amplificando il dolore e l’eccitazione repressa. “È un ordine di Marco,” spiegò. “Me l’ha detto ieri sera, mentre tu eri in ginocchio con Angela e Simone. Ha detto che potevo accarezzarti così, per alleviare un po’ il tuo dolore, ma senza farti venire.”

Il suo dito tracciava cerchi lenti sui miei testicoli, un tocco lieve, quasi impercettibile, che mi faceva gemere piano, il calore della sua pelle contro la mia tesa e sensibile mi mandava ondate di desiderio frustrato. “Grazie… Elena…” dissi, la voce rotta, ansimando mentre lei continuava, il dito che sfiorava ogni curva, ogni vena gonfia, facendomi tremare.

Lei continuò, il dito che premeva leggermente su un testicolo, facendomi sussultare. “Spero che stasera entrambi possiamo liberarci con dei potenti orgasmi,” disse, la voce sognante. “Ma sarò grata all’Ordine anche se non ci concederà nulla. È il nostro Cammino.”

Annuii, ansimando per quel tocco. “Sì… ma dimmi, cosa ti aspetti tu?”

Lei esitò, il dito che continuava a sfiorarmi, tracciando linee lente, sensuali, che mi facevano pulsare dentro la gabbietta. “Non so… forse una cerimonia formale, con i Maestri. Educatore Z ci darà il Dono… credo che vorrà possedermi analmente, dopo tutta questa preparazione.”

“Già,” dissi, fremendo al suo tocco. “È sicuro che lo farà.”

Elena sorrise, il dito che premeva un po’ di più, facendomi gemere. “E tu, amore, probabilmente dovrai lubrificarlo. Marco me l’ha detto ieri sera. Vuole che sia tu a preparare Educatore Z per me. Vuoi che te lo descriva? Così puoi… apprezzarlo già ora.”

Arrossii, inorridito ma eccitato. “Descrivermelo? Elena… non so se voglio…” mormorai, ma la mia voce tradiva il desiderio. Il suo dito continuava a sfiorarmi, un tocco che mi faceva impazzire, amplificando l’eccitazione a livelli dolorosi.
“Shh,” disse lei, il dito che tracciava una linea lenta su un testicolo gonfio, facendomi sussultare. “Immagina il suo membro… sarà grande, caldo, potente, venoso, con quella pelle liscia e tesa che pulsa sotto le dita. Dovrai lubrificarlo con cura, massaggiandolo piano, sentendo il calore della sua carne contro le tue mani, il modo in cui si indurisce al tuo tocco, Lo sentirai crescere, diventare ancora più duro, pronto per entrare in me, dilatarmi, riempirmi…”

“Elena… non dovresti parlare così,” mormorai, ma la mia voce era rotta dall’eccitazione. Il suo dito sfiorava ora l’altro testicolo, un tocco che mi mandava scariche di piacere frustrato, il corpo che tremava mentre la gabbietta mi imprigionava, il dolore che si mescolava a un desiderio sempre più intenso. Ero inorridito da come Marco l’aveva cambiata, da come lei descriveva quelle umiliazioni con una passione che non aveva mai mostrato con me, ma non potevo negare che mi eccitava, il mio ano che vibrava leggermente, un brivido che fughai subito, terrorizzato da quel pensiero.

“Io… lo guarderò,” dissi, fremendo. “E… soffrirò, ma… lo accetterò.”

Lei sorrise, orgogliosa. “Bravo, amore mio. Sei forte.”

Continuammo a parlare, le sue carezze che mi torturavano dolcemente. Il Dono ci attendeva, e con esso, l’ignoto. Ma in quel momento, con il suo dito sui miei testicoli gonfi, sentivo che, qualunque cosa fosse, l’avremmo affrontata insieme. O almeno, lo speravo.

La porta della camera si aprì all’improvviso. Anna entrò, con il suo solito passo deciso, portando con sé una borsa elegante. Ci vide lì, sdraiati sul letto, le mani intrecciate, Elena con il dito ancora sui miei testicoli esposti, e scoppiò in una risata subdola, coprendosi la bocca con una mano.

“Oh, ma guardate che scena dolce,” disse, il tono intriso di ironia. “I due piccioncini che si coccolano come se fossero ancora una coppia normale. Pisellino con i suoi testicoli gonfi come palloncini, e tu, Elena, che lo accarezzi come una mammina premurosa. Che tenerezza… peccato che stasera non ci sarà spazio per queste smancerie. Siete patetici, sdraiati lì a illudervi di un’intimità che non vi appartiene più. Pisellino, con quel cosino imprigionato, e tu, Elena, che lo stuzzichi sapendo che non potrà mai soddisfarti. Ridicolo.”

Arrossii violentemente, sentendo il calore salirmi alle guance. Istintivamente, cercai di coprirmi, tirando su i pantaloni con movimenti frenetici, il cuore che mi martellava nel petto. Volevo rivestirmi velocemente, nascondere quella gabbietta ridicola, i testicoli gonfi e rossi che pulsavano visibilmente, la pelle tesa e lucida per la pressione accumulata. Ma Anna alzò una mano, fermandomi con un gesto secco.

“No, no, Pisellino,” disse, il tono autoritario. “Resta nudo. Tanto stasera sia tu che Elena sarete nudi dall’inizio alla fine. È un segno di inferiorità, di resa totale. Educatore Z lo apprezzerà. Spero che tu non stia pensando di nascondere quel pisellino patetico, eh? Sarebbe inutile, tutti sanno già quanto sei… inadeguato.”

Esitai, le mani ferme sui pantaloni a metà coscia. “Ma… Anna… per favore… mi vergogno…”

Lei rise di nuovo, avvicinandosi al letto. “Per favore? Oh, Pisellino, sei adorabile quando supplichi. Ma gli ordini sono ordini. Spogliati completamente, e resta in ginocchio mentre preparo Elena. E sbrigati, non ho tempo da perdere con le tue lagne.”

Elena mi diede uno sguardo di compassione, ma non intervenne. Si alzò dal letto, nuda com’era, e si avvicinò ad Anna. Io, con le guance in fiamme, obbedii: mi tolsi i pantaloni del tutto, e la maglietta, rimanendo nudo, la gabbietta in piena vista, i testicoli gonfi che pendevano pesanti, venature bluastre che pulsavano sotto la pelle tesa. Mi inginocchiai ai piedi del letto, il cuore che batteva forte, l’eccitazione che montava nonostante l’umiliazione – o forse proprio per quello.

Anna sorrise soddisfatta. “Bravo, Pisellino. Ora, Elena, vieni con me in bagno. Ti preparerò per Educatore Z. Lui ha gusti precisi, e voglio che tu sia perfetta. E tu, Pisellino, resta lì a cuccia, come un bravo cagnolino. Franco arriverà fra mezz’ora per prepararti. Spero per te che Marco non gli abbia dato troppa libertà… altrimenti, chissà cosa ti aspetta con quel porco.”

La porta del bagno si chiuse, e rimasi solo. Inginocchiato, nudo, la gabbietta che mi stringeva, sentii un brivido di paura. In quel momento, un pensiero mi sfiorò: l’idea di Franco che abusava di me, che mi usava come un oggetto. Speravo che Marco non gli avesse dato quel permesso, ma una parte perversa di me si eccitava un filino all’idea, un calore subdolo che si diffondeva dal basso ventre, facendomi pulsare nella gabbietta. Controllai il respiro, cercando di scacciare quei pensieri. No, non potevo desiderare una cosa del genere. Il mio ruolo era diverso, la mia resa era diversa.

I minuti passarono lenti, interminabili. Sentivo le voci attutite di Anna ed Elena dal bagno – mormorii – ma non capivo le parole. Immaginavo Anna che la lavava, la truccava, la vestiva con qualcosa di provocante, preparandola come un dono per Educatore Z. Il mio ano vibrò leggermente, un brivido di eccitazione repressa che mi spaventò. Fughai subito quei pensieri: no, non potevo permettere che la mia mente andasse lì. Non ero come Elena; il mio ruolo era diverso, la mia resa era diversa.

Dopo mezz’ora esatta, la porta della camera si aprì. Franco entrò, con il suo solito ghigno, chiudendola dietro di sé. Era vestito con la sua uniforme da inserviente, ma portava una borsa che non riconobbi. Mi vide lì, nudo, in ginocchio, e rise.

“Buongiorno, Pisellino,” disse, avvicinandosi. “Pronto per la tua preparazione? Sembri un cagnolino abbandonato, lì in ginocchio con quel pisellino imprigionato. Patetico, eh?”

Esitai, il cuore in gola. Istintivamente, senza pensarci, mormorai: “Sì… padrone.”

Franco inarcò un sopracciglio, soddisfatto. “Oh, bravo! Ti sei ricordato come mi devi chiamre anche se non ci vediamo da un po. Mi fa piacere, troietta. Dimmi, ti sei comportato bene mentre aspettavi? O hai pensato a cose sporche?”

“Sì, padrone… mi sono comportato bene,” balbettai, arrossendo.

“Bene, bene. Alzati e vieni in bagno. Dobbiamo lavarti per bene. Educatore Z vuole i suoi doni puliti e pronti.”

Mi alzai, tremando, le gambe deboli. “Sì, padrone,” risposi, seguendolo. La paura mi attanagliava: cosa mi avrebbe fatto? Speravo che Marco non gli avesse dato il permesso di abusare di me, ma quella scintilla di eccitazione un filino mi tradiva, un calore che mi fece arrossire ancora di più.

Entrammo in bagno. Anna ed Elena non c’erano più; dovevano essere uscite dall’altra porta. Franco posò la borsa sul lavandino e si voltò verso di me. “Spogliami,” ordinò. “E fai piano, troietta. Voglio sentire le tue manine tremanti su di me.”

Esitai. “Io… padrone? Spogliarti?”

“Sì, Pisellino. Spogliami. Dobbiamo fare la doccia insieme, per lavarti bene. O preferisci che ti lavi sporco? Forza, inizia dalla camicia.”

Tremando, mi avvicinai. Gli slacciai la camicia, bottone per bottone, sentendo il suo petto peloso sotto le dita. L’odore muschiato del suo sudore mi colpì subito, un misto acre e maschile che mi fece girare la testa. “Bravo, continua,” disse lui, ridendo. “Sembri una camerierina eccitata. Ti piace toccarmi, eh?”

“No… padrone… lo faccio perché me lo ordini,” balbettai, ma la mia voce tremava.

“Bugie. Dimmi la verità: ti eccita?” insistette, il ghigno che si allargava.

“Sì… un po’… padrone,” ammisi, arrossendo violentemente.

Gli tolsi la camicia, rivelando il suo torace robusto, peloso, con un odore forte che mi invase le narici. “Ora i pantaloni,” ordinò. “Slaccia la cintura, troietta.”

“Sì, padrone,” mormorai, le mani tremanti mentre slacciavo la cintura, abbassavo la zip, facevo scivolare giù i pantaloni. Le sue mutande erano tese, un rigonfiamento evidente. “Anche quelle,” disse. “Toglimele e guarda bene cosa ti perdi.”

Le abbassai, e il suo membro balzò fuori, grosso, nodoso, venoso, con un odore forte di sudore e maschio che mi colpì come un pugno. Arrossii, sentendo un brivido nella gabbietta. “Ora entra nella doccia,” disse Franco.

Obbedii, entrando nel box doccia. Lui mi seguì, nudo, il suo corpo massiccio che occupava lo spazio. Aprì l’acqua calda, e il vapore ci avvolse. Mi spinse sotto il getto.“E apri le gambe, fammi vedere quel pisellino imprigionato.”

L’acqua che mi bagnava. “Sì, padrone,” dissi, aprendo le gambe, esponendo la gabbietta.

Franco prese il sapone dalla borsa, e iniziò a insaponarmi. Prima le spalle, il petto, con movimenti ruvidi, le sue mani grandi che sfregavano la mia pelle. “Bravo, Pisellino, stai fermo. Senti come ti insapono? Ti piace essere lavato da un vero uomo?”

“Sì… padrone… mi piace, ma mi disgusta” mormorai, tremando.

“Bugie. Dimmi la verità: ti eccita o ti disgusta?”

“Entrambe… padrone… mi eccita ma mi disgusta,” ammisi, vergognandomi.

“Bravo, onesto. Ora rimuovo la gabbietta.” Prese una chiave dalla borsa – Marco doveva avergliela data – e aprì il lucchetto. La gabbietta si aprì, e il mio membro, finalmente libero, balzò fuori, eretto all’istante, dolorosamente duro dopo giorni di repressione. Franco rise. “Guarda che pisellino eccitato… patetico, eh? Scommetto che muori dalla voglia di venire.”

“Sì, padrone… muoio dalla voglia,” ammisi, gemendo.

Iniziò a lavarlo, con il sapone, le mani che lo avvolgevano. “Padrone… per favore…” gemetti, il piacere che mi travolgeva.

“Cosa c’è, troietta?” chiese lui, continuando a sfregare. Le sue dita scivolarono sull’asta, poi sulla cappella, insaponandola con la punta del dito, tracciando cerchi lenti, sensuali. Impazzii dal piacere, il glande sensibile che pulsava sotto quel tocco leggero, il sapone che scivolava, creando una frizione erotica. “Padrone… ti prego… fammi venire… non resisto… il tuo tocco… ah… mi fa impazzire!”

Franco rise, un suono crudele. “No, Pisellino. Non ti è concesso. Ma dimmi, ti piace come ti tocco? Senti come la cappella scivola sotto il mio dito? È gonfia, rossa, pronta a esplodere, eh?”

“Sì, padrone… è gonfia… mi piace… ti prego… fammi venire… supplico…” balbettai, il corpo che tremava.

All’improvviso, girò la manopola dell’acqua, versandomi addosso un getto gelido. Urlai per lo shock, il freddo che mi trafiggeva, il mio membro che si ammosciava all’istante, ritraendosi dal dolore, tornando piccolo e flaccido, bagnato e freddo. “Così impari a eccitarti come una cagna,” disse lui. “Ora mani sulla parete, gambe aperte. Devo lavarti dappertutto.”

Obbedii, appoggiando le mani alla parete della doccia, aprendo le gambe. L’acqua calda tornò, ma il mio corpo tremava ancora. Franco si versò del sapone gel sulle mani, e iniziò a insaponarmi la schiena, scendendo verso le natiche. “Senti qui, Pisellino… il tuo culetto… devo lavarlo bene, eh? Non si sa mai, magari qualcuno vuole usarlo da lì a poco.”

“Padrone… ti prego… non…” mormorai, ma il mio corpo tradiva: sentivo un brivido di eccitazione.

“Non cosa, troietta? Ti eccita l’idea? Dimmi, vorresti essere inculato da un vero maschio?”

“No… padrone… mi fa paura… ma… sì, un po’ mi eccita,” ammisi, vergognandosi.

“Brava troietta,” disse, continuando a insaponarmi le natiche, le sue mani che sfregavano con forza, scivolando tra le mie cosce. “Sai, Pisellino,” confessò, la voce rauca, “ti vorrei inculare. Ti vorrei sfondare quel culetto vergine, farti urlare come la troia che sei.”

Tremavo, il terrore che mi paralizzava. “Padrone… no… Marco non ha concesso…”

“Sì, lo so,” disse lui, ridendo. “Marco non ha dato il permesso. Ma nulla vieta di masturbarmi, vero? Piegati e allargati le natiche, troietta.”

Esitai, piangendo. “Padrone… ti prego… non voglio…”

“Ora!” urlò lui, dandomi una pacca forte sulle natiche, che bruciò sulla pelle bagnata.

“Sì, padrone!” balbettai, piegandomi in avanti, le mani sulle natiche, aprendole con le dita tremanti. L’acqua calda scorreva su di noi, il vapore che appannava tutto. Sentii Franco che si masturbava dietro di me, il suono ritmico della sua mano sull’asta bagnata, i suoi gemiti che echeggiavano nel box doccia.

“Guardati, Pisellino… aperto come una puttana… pronto per essere inculato… ma non oggi… ah… sì…” ansimava lui, la voce carica di desiderio.

“Padrone… è umiliante…” gemetti, il disgusto che mi nauseava, ma l’eccitazione che mi faceva pulsare il membro ammosciato. “Ti prego… non venire su di me… mi fa schifo…”

“Zitto, troietta,” ringhiò lui. “Ti piace, lo so. Dimmi, senti il mio cazzo che ti sfiora il culo? Ti piace sapere che sto per venire guardandoti così aperto?”

“Sì… padrone… mi piace… ma mi vergogno… è disgustoso…” ammisi, piangendo, il corpo che tremava mentre sentivo il suo membro duro strusciare contro le mie natiche aperte, il glande caldo che scivolava sulla mia pelle, lasciando una scia di pre-eiaculazione.

“Ah… Pisellino… sei proprio una troia… prendi questo!” urlò lui, e sentii i getti caldi del suo sperma schizzarmi sulle natiche aperte, colare giù, sull’ano, tra le cosce, mescolandosi all’acqua calda. Era denso, appiccicoso, un’umiliazione che mi fece piangere più forte, ma il mio corpo tradiva, il mio ano che vibrava leggermente, un brivido di eccitazione che mi terrorizzava.

“Brava troietta,” disse Franco, ansimando. “Ora che sono libero si continua la pilizia”

Prese una bottiglia di sapone gel e se ne versò una quantità abbondante su due dita. “Padrone… cosa fai?” balbettai, ancora piegato, le mani sulle natiche.

“Devo pulirti dentro, Pisellino,” disse lui, ridendo. “Rilassati, o farà male.”

“Padrone… no… ti prego… non lì…” supplicai, ma sentii le sue dita, fredde e scivolose di gel, premere contro il mio ano. Spinse, infilandole a fondo, ruotandole lentamente. Il piacere mi travolse: le dita grosse che sfregavano le pareti interne, il sapone che creava una frizione lubrificata, un calore che si diffondeva dal mio ano al basso ventre. Godevo, il mio membro che cercava di indurirsi nella gabbietta, ma il dolore della costrizione mi fermava. Dovevo controllarmi per non venire, respirando affannosamente, stringendo i denti.

“Padrone… ah… mi fai godere… è troppo…” gemetti, il corpo che tremava.

Franco rise. “Oh, Pisellino, stai godendo come una cagna in calore! Senti come stringi le mie dita? Il tuo buco è affamato, eh? Scommetto che vuoi un cazzo vero dentro.”

“Padrone… no… ti prego… sto per venire… fermati…” supplicai, le contrazioni che iniziavano ma che fermavo con la forza della volontà.

“Non ti permetto di venire, troietta,” disse lui, spingendo più a fondo, ruotando le dita, sfregando punti sensibili che mi facevano urlare di piacere. “Senti come scivolano? Il tuo culo è pronto per essere usato. Riferirò a Marco quanto godi con le dita nel culo… chissà, magari ti farà inculare da qualcuno stasera.”

“Padrone… ah… no… ti supplico… mi fai impazzire… il piacere… è insopportabile…” gemetti, controllandomi a fatica, il mio ano che si contraeva intorno alle sue dita, il sapone che bruciava leggermente ma amplificava il piacere.

“Patetico,” disse lui, continuando a muovere le dita, in e out, ruotandole, insaponandomi dentro. “Sei proprio una puttana. Dimmi, ti piace essere violato così? Senti come ti apro?”

“Sì… padrone… mi piace… ma mi vergogno… è troppo…” piansi, il corpo che tremava, il piacere che mi spingeva al confine dell’orgasmo.

Alla fine, tolse le dita, lasciandomi ansimante e dolorante. “Bravo, non sei venuto. Ma guarda come sei duro di nuovo. Acqua fredda sul pisellino, per sicurezza.”

Girò la manopola, e l’acqua gelida mi colpì il membro, facendolo ritrarre ancora di più, il freddo che mi trafiggeva. Urlai: “Padrone! Freddo… ah!”

“Zitto, troietta. Senti come si ammoscia? Perfetto per la gabbietta,” disse lui, ridendo. Rimise la gabbietta, chiudendola con un clic definitivo. “Ora sei pronto, Pisellino. Sembri una brava puttanella lavata e profumata.”

“Sì… padrone… grazie, padrone…” mormorai, ancora tremante.

Uscimmo dalla doccia. Franco si rivestì, ridendo della mia umiliazione. “Marco sarà contento. E tu… continua a essere una brava troietta. Scommetto che stasera qualcuno userà quel buco pulito.”

“Sì, padrone,” dissi, piangendo.

Quando uscii dal bagno, ancora nudo e bagnato, trovai Elena già in camera, inginocchiata sul pavimento, completamente nuda, il corpo liscio e lucido per l’acqua, i capelli sistemati che le cadevano sulle spalle. I suoi occhi erano abbassati, in un atteggiamento di sottomissione che mi strinse il cuore. Senza dire una parola, mi inginocchiai accanto a lei, il pavimento freddo sotto le mie ginocchia, la gabbietta che mi pizzicava la pelle ancora umida. Il silenzio tra noi era pesante, carico di tutto ciò che avevamo vissuto. Pensai alla cerimonia imminente: se qualcosa fosse andato storto, sapevo che anch’io avrei pagato, forse con umiliazioni ancora peggiori. Non volevo deludere Marco, e soprattutto non volevo deludere Elena. Lei si fidava di me, nonostante tutto, e io dovevo essere all’altezza del nostro Cammino.

La porta si aprì e Marco entrò, seguito da Anna e Franco. La sua presenza riempì la stanza, ma notai una tensione nei suoi movimenti, un’irrequietezza nei suoi occhi che tradiva un nervosismo insolito. Si passò una mano tra i capelli, poi ci guardò, il tono più secco del solito. “Allora, Anna, Franco,” disse, la voce leggermente tesa, “i fidanzatini sono stati lavati con cura? Sono pronti per Educatore Z? Non possiamo permetterci errori stasera.”

Anna annuì, un sorriso subdolo sulle labbra. “Ogni buco di Elena è pronto a servire, Marco. È stata lavata, profumata e preparata alla perfezione. È un dono degno di Z.”

Franco sogghignò, il suo sguardo fisso su di me. “La doccia con Pisellino è stata… molto apprezzata.”

Elena mi guardò, incuriosita, le sopracciglia leggermente inarcate. Ma non osai incontrare i suoi occhi, il viso in fiamme per la vergogna. Le lacrime mi pizzicavano gli occhi, ma le trattenni, abbassando lo sguardo sul pavimento.

Marco annuì, il volto ancora teso. “Bene, bene. Ottimo lavoro. Franco, prendi i giocattolini di Pisellino – il vibratore anale e la vagina di plastica – e portali qui. Deve tenerli in mano.”

Franco obbedì, tornando con i due oggetti osceni: il vibratore anale, nero e lucido, e la vagina di plastica, un simbolo della mia umiliazione. Me li porse con un ghigno. “Tieni, troietta. Stringili forte.”

Li presi, le mani tremanti, il peso di quegli oggetti che mi faceva sprofondare nella vergogna. Marco si avvicinò a Franco. “Dammi la chiave della gabbietta di Pisellino.”

Franco gli porse la piccola chiave con un sorriso malizioso. Marco la prese e, con un gesto lento e deliberato, se la infilò nelle mutande, proprio contro il rigonfiamento del suo membro. Mi guardò con un sorriso beffardo, ma con un’ombra di nervosismo negli occhi. “Sai, Pisellino, è in un posto che entrambi amate.”

Arrossii violentemente, il cuore che mi martellava nel petto. Elena abbassò lo sguardo, imbarazzata per me, e una lacrima mi sfuggì, scivolando lungo la guancia. La vergogna era insopportabile, ma il pensiero di quella chiave lì, così vicino al suo potere, mi fece fremere di un’eccitazione perversa che non volevo ammettere. Sapevo che dovevo essere perfetto stasera, per non deludere Marco, per non deludere Elena.

Marco continuò, il tono ancora teso. “Anna, Franco, vestiteli con le tuniche nere da cerimonia. Quelle raffinate, adatte alla serata.”

Anna e Franco obbedirono. Anna prese due tuniche nere dalla borsa, di seta leggera ma elegante, che scivolavano sulla pelle come un sussurro. Elena indossò la sua, il tessuto che aderiva alle sue curve, lasciando poco all’immaginazione. Io infilai la mia, sentendo il materiale freddo contro la pelle ancora umida, la gabbietta che si intravedeva sotto il tessuto sottile.

Marco si passò di nuovo una mano tra i capelli, visibilmente nervoso. “Anna, prendi il rossetto più da troia dalla collezione di Elena e applicalo a entrambi. Devono sembrare pronti a servire.”

Anna annuì, un sorriso subdolo sulle labbra. “Sì, Marco.” Prese un rossetto rosso brillante dalla borsa di Elena e lo applicò con cura sulle labbra di Elena, spalmandolo con movimenti precisi. Poi si avvicinò a me, afferrandomi il mento con forza, e mi applicò lo stesso rossetto, il colore acceso che mi faceva sembrare una caricatura oscena. “Ecco, Pisellino,” disse, ridendo. “Adesso sembri proprio la puttanella che sei.”

Franco scoppiò a ridere, un suono volgare. “Guarda, la troia e il suo cagnolino, tutti e due con il rossetto da puttane! Che coppia patetica!”

Mi sentii sprofondare, le guance in fiamme, le lacrime che mi bruciavano gli occhi. Non osavo guardare Elena, il peso delle sue parole e di quelle di Franco che mi schiacciava.

Marco, ancora nervoso, si voltò verso Anna e Franco. “Ottimo lavoro con i fidanzatini. Siete stati bravi. E visto che so che tra voi c’è un’intesa sessuale che dura da molto tempo, vi concedo la serata libera. Andate, divertitevi sul loro letto, fate tutto il sesso che volete, senza curarvi né della decenza né dell’igiene. Ve lo meritate.”

Franco rise forte, un suono rauco e trionfante. “Grazie, Marco! Sarà un piacere sporcare il letto di questi due cagnolini!”

Anna gli diede una spinta scherzosa. “Non esagerare, Franco. Ma sì, grazie, Marco. Ci divertiremo.”

Marco ci guardava con un’espressione tesa. “Forza, voi due, in piedi. È ora di andare da Educatore Z. Non fate errori, stasera.”

Ci alzammo, tremanti, e uscimmo dalla stanza, le tuniche nere che frusciavano leggermente, i nostri corpi umiliati ma pronti per il Dono. Le lacrime mi rigavano il viso, silenziose, mentre il mio ano vibrava ancora, un brivido di terrore e desiderio che non riuscivo a scacciare. Pensavo alla cerimonia: dovevo essere perfetto, non potevo deludere Marco, né tantomeno Elena. Il Cammino ci aveva cambiati, e il Dono avrebbe sigillato il nostro destino.

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