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Racconti erotici sull'Incesto

KIU’-SI’

By 28 Giugno 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Un po’ strana doveva certamente esserlo. Lei, Marta, aveva fatto battezzare Martina la sua figliola. ‘Perché &egrave il mio frutto, ed &egrave più piccola di me!’
Dopo un po’ decise di liberarsi da quel ‘peso’ scomodo che era il marito. Non poteva condizionare la propria vita con un legame del genere. Veramente, a ben pensarci, il ‘liberato’ fu lui che, tra l’altro, dopo poco andò a vivere negli Stati Uniti, con un lucroso incarico nella Ltd Co di quello che sarebbe divenuto suo suocero, e con a fianco un tocco di femmina che oscurava il sex appeal di Marilin.
Marta si tuffò maggiormente nel suo lavoro, e tirava su la figlia che cresceva sana e bella. Del resto, la genitrice era una che te li tirava i fischi di ammirazione quando la vedevi ancheggiare in quel modo.
Con chi se la faceva Marta?
Non si conosceva nessuna avventura, nessun uomo, fisso o saltuario, ma era difficile immaginare che quella grazia di dio e quel dinamismo esuberante potesse vivere all’asciutto, in bianco.
Martina, in un certo senso, rimaneva nell’ombra della madre, ma qualche simpatia l’aveva cominciata ad avere fin dai tempi del liceo. Cose senza molta importanza, attentamente e discretamente seguita da Marta che, con garbo, era prodiga di ‘considerazioni’, come lei chiamava i cauti e oculati consigli.
Martina non aveva gran voglia di passare il tempo sui libri e chiese alla madre di trovarle un ‘posticino’ per guadagnare qualcosa, perché non intendeva affrontare lunghi e pesanti studi universitari.
In questo campo, Marta era agli antipodi: studiosa, abbastanza ambiziosa, e neppure la gestazione l’aveva allontanata dalla facoltà. Si era sposata in fretta furia, senza tanta gente né inutile pompa, e tre giorni dopo era già di nuovo in aula a seguire le lezioni. Infatti, portò a termine il suo impegno con lode, frequentò un corso di specializzazione in metallurgia, e a ventiquattro anni era in carriera, con una figlia di quattro affidata alla baby-sitter.
Il ‘posticino’ fu trovato, in uno studio di progettazione. Funzioni di segreteria e corrispondenza.
Fu lì che incontrai Martina.
Ci accorgemmo subito che c’era qualcosa tra noi; non solo una reciproca e percettibile attrazione fisica, ma un naturale completamento dei nostri esseri, dei nostri pensieri, del nostro concepire la vita. Non una mera accettazione dell’altro, un appiattimento, quasi un’abdicazione della propria personalità. Ci sentivamo due forze concorrenti a raggiungere un equilibrio, una m&egraveta. Insieme sviluppavamo una ‘potenza, molto maggiore della somma delle singole capacità.
Stavamo bene insieme, anche quando ciò che per me era nero per lei era candido; e viceversa.
Fui io a chiederle di conoscere la madre. Poteva sembrare il residuo patetico d’una certa mentalità piccolo borghese, ma in effetti ero curioso di conoscere questa sua mamma, Marta, di cui parlava perfino troppo spesso.
Disse che mi attendevano a cena. Sabato sera. Una cosa intima e del tutto informale.
Mi feci precedere dai fiori, indirizzati a Marta Bolis, e portavo anche una grossa scatola di pregiati cioccolatini torinesi; di quelli che, dicono, siano ancora fatti a mano, che si squagliano deliziosamente in bocca.
Puntualissimo, ore diciannove e trenta.
Bussai.
Mi aprì una giovane e splendida donna, che somigliava molto a Martina, ma non era lei. Non mi aveva detto di avere una sorella maggiore.
Entrai con il tipico sorriso ebete che si ha quando si &egrave impacciati e non si sa cosa dire. Chinai leggermente il capo.
‘Sono Gilberto Carli”
Mi tese la mano, cordialmente.
‘Entra Gil’ &egrave così che ti chiamano, vero?… sono Marta, la mamma di Martina’ accomodati.’
Quell’incantevole creatura era la mamma! Feci un rapido conto: Martina mi aveva detto che stava per compiere i ventuno’ Marta, quindi, ne doveva avere quarantuno, o giù di lì’ Gliene avresti dato dieci di meno’ insomma, dimostrava la mia stessa età’
Sempre con l’aria abbastanza impacciata, non seppi dire che una frase di maniera.
‘Lietissimo’ signora’ complimenti’ lei sembra la sorella di Martina”
Sorrise divertita.
‘Adulatore, ci ingraziamo la mamma di lei, vero? E lo fai anche chiamandomi signora’! Dai Gil, entra’ Martina viene subito, &egrave agli ultimi ritocchi.’
Mi precedette verso il salotto. Si voltò appena.
” e ricordalo, mi chiamo Marta! A proposito, grazie dei fiori’ sono bellissimi’ hai buon gusto!’
‘Ah, si’ e queste sono per lei e Martina”
Le porsi la scatola di cioccolatini.
‘Ancora ‘lei” dai’ mi dici che ‘sembro’ giovane e mi tratti da matusa!’
Sorriso ancora più ebete il mio. Senza rispondere.
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Martina, la sua casa, le cene, Marta’ cominciarono a divenire parte della mia vita di ogni giorno.
Facevamo anche delle brevi gite, insieme, andavamo al cine, al teatro. Del resto, era piacevole andare con delle così belle donne. Martina mi piaceva sempre più, mi sentivo pienamente a mio agio con lei, sempre e dovunque. Andavo sempre più convincendomi che forse eravamo una ‘coppia ideale’. Non che non avessimo molte disparità di vedute e di giudizio su questa o quella cosa; che non ci fossero i piccoli e quasi piacevoli bisticci che servivano per rendere più delizioso e appagante il ritorno alla concordia; ma era difficile restare lontano da lei, e lei affermava che era tutto tempo sprecato quello che non passavamo insieme.
Più o meno consciamente, ci avviavamo a ‘mettere su famiglia’.
Mi domandavo anche che ruolo avesse Marta in questo mio sentirmi bene con loro.
Una parte non secondaria.
Lei era affascinante, soprattutto sensualmente. Una femmina che era difficile, impossibile, non concupire, desiderare intensamente. Sprizzava sexappeal, attrattiva fisica, carica erotica, da ogni poro.
Io credo che lei lo sapesse e, in fondo, quasi se ne rallegrava. Non mi riusciva, però, sapere a chi era destinata quella grazia di dio. Insomma, chi se la godeva, perché, ne ero convinto, a letto doveva essere meravigliosa.
Se si metteva sottobraccio a me, mi gratificava del morbido calore del suo seno. Ballando ‘prediligeva il liscio- sembrava la ventosa di una piovra; anche il suo bacio sfuggente sulla guancia aveva una indicibile carica erotica, come se in quel momento stesse dandosi e prendendoti.
In breve, la mia bellissima e giovane futura suocera, mi eccitava; anzi, per rendere meglio l’idea, mi faceva infoiare, arrapare da morire. Chi ne beneficiava, poi, era Martina che, in verità, non era molto da meno della sua genitrice.
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Solitamente, il sabato mattino andavo a casa Bolis, verso le dieci, prendevo il caff&egrave, e poi, se non lo avessimo già deciso dal giorno precedente, si stabiliva con Martina dove andare, se restare fuori a pranzo. Spesso invitavamo Marta, ma accettava molto di rado. In ciò era discreta. Ci lasciava liberi al massimo.
Quella mattina fu lei ad aprire la porta. Cosa strana, di solito appena sentiva bussare correva Martina.
‘Ciao Gil, come mai sei qui?’
La guardai interrogativamente.
‘Perché?’
‘Non te l’ha detto Martina che questa mattina doveva andare al lavoro per una riunione straordinaria e lei doveva verbalizzare?’
‘Non mi ha detto niente”
‘Entra, entra’ uh’ scusa’ che smemorata, aveva dato a me l’incarico di avvertirti. Lei &egrave stata chiamata ieri sera’ Accomodati’ ti porto il caff&egrave.’
Marta era in una corta vestaglia, non perfettamente chiusa, e, a quanto sembrava, si stava preparando per uscire.
‘Forse &egrave meglio che vada, Marta, vedo che”
‘Resta’ ti porto il caff&egrave’ e poi’ ne profitto per qualche cosa che ho in mente”
Ottimo caff&egrave, ma ancora migliore lo spettacolo di Marta che copriva ben poco con la sua vestaglia. Si vedeva benissimo che, sotto, aveva appena un reggiseno a balconcino e un ridotto tanga.
Aveva portato una tazzina anche per lei.
Finimmo di sorbirlo, poggiammo le tazzine sul tavolo.
Marta mi guardava insistentemente.
‘Cosa volevi dirmi, Marta?’
‘Che sei veramente un bell’uomo. Martina &egrave fortunata.’
‘Grazie. Ma &egrave Martina ad essere bellissima’ del resto’ da tale madre”
Marta si alzò, venne di fronte a me.
‘Mi ritieni ancora piacente?’
‘Piacente? Ma che dici’ avvenente, attraente, seducente, desiderabile. E lo sai.’
‘Certo che a parole ci sai fare!’
Mi alzai e le andai vicino. Ero eccitatissimo.
‘Non sono le parole quelle che adopero meglio”
Stabilire chi fu il primo a baciare non &egrave facile. Quello che conta &egrave che le nostre lingue si cercavano avidamente, e le nostre mani erano irrequiete.
Marta mi dette la mano, si avviò verso la sua camera da letto’
Entrammo’ restò ferma’ quasi al centro del vano’
Sciolsi dolcemente il cordoncino della vestaglia e la feci cadere al suolo. Mentre le slacciavo il reggiseno le baciavo le sue prosperose e sode tette. Lasciava fare, con la testa lievemente rovesciata indietro, gli occhi socchiusi. Mi inginocchiai, afferrai gli elastici del tanga, e cominciai a farlo scendere, lentamente, mentre le mie labbra s’erano nascoste nel suo nero bosco odoroso.
La sollevai, la posi sul letto, di traverso, le gambe fuori dalla sponda.
Fui rapido, questa volta, nel restare come lei, completamente nudo.
Mi inginocchiai di nuovo, tuffai il volto nel serico boschetto del suo pube, sentii le cosce dischiudersi lentamente. La mia lingua lambiva e frugava golosamente, nella tepida valle che nascondeva la testimonianza della sua voluttà, l’ingresso della grotta incantata.
Era, nel contempo, abbandonata e vigile, sembrava seguire con la massima concentrazione la mia deliziosa attenzione erotica, la gustava, l’assaporava, la godeva. Intensamente.
Le sue mani presero la mia testa, mi fecero comprendere che anche il resto del suo corpo attendeva uguale premura. Ora le passavo la lingua intorno ai capezzoli, li prendevo tra le labbra, li suggevo accuratamente, tornavo a lambirli.
Un suo dolce ma preciso movimento fece sì che mi ponessi supino. Il fallo era eretto, vibrante.
Lo prese delicatamente tra le dita, vi si avvicinò col volto, lo guardava fisso, attentamente. Abbassò la pelle del glande, lo leccò come un gelato.
Poi tornò a sdraiarsi, sollevò le ginocchia, mi guardò, i suoi occhi mi invitavano.
Fui tra le sue gambe, col fallo all’umido ingresso del suo sesso. Lo accolse quasi con religiosità, un senso di sacralità. Si capiva che era da molto, da moltissimo, che non aveva un incontro con un maschio. Sembrava come se cercasse di controllarsi, ma’ quando fui in lei, ogni incertezza fu travolta. Era avida, esosa, affamata, ingorda. L’orgasmo sopraggiunse improvviso, come se d’un tratto una diga fosse crollata. Esplose come se troppo a lungo si fosse accumulata in lei una sollecitazione penosamente contenuta e che ora prorompeva prepotentemente. Nessuno può impedire il manifestarsi delle forze della natura. S’abbandonò. Non per molto. Ora erano le mie paratie a cedere, piacevolmente, e compresi come e quanto il seme che l’invadeva, leniva la sete, l’arsura, troppo a lungo sopportata.
Solo l’approssimarsi del rientro di Martina pose fine alla nostra voluttà.
Pensavo: fine o sospensione? Non avrei saputo dirlo.
Mi carezzò il volto, baciò la mia bocca.
‘Dobbiamo alzarci’ Martina sta per tornare’ la doccia’ il pranzo”
‘Possiamo andare fuori”
‘Sì, &egrave meglio.’
Si levò, andò nel bagno.
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Eravamo al solito ristorante, nel solito angolo, col solito cameriere.
Avevamo ordinato.
Martina era allegra, guardava ora me e ora la madre.
‘Allora! Cosa avete fatto di bello in attesa che tornassi?’
Marta la fissò, sorridendo, con una espressione serena e soddisfatta.
‘Io, più o meno, mi sono interessata della mia attività professionale”
Io non riuscivo a comprendere, ero in attesa di sapere cosa volesse significare.
Martina scosse il capo.
‘Non dimentichi mai la tua sigla, eh ma’? Kiù Sì!’
Mi sentivo estraneo a quel gergo, e anche un po’ irritato.
‘Scusa, Martina, vorresti spiegarmi. Ma cosa &egrave Kiù Sì?’
‘Come, ancora non lo sai? E’ quello che fa la mamma: Kiù Sì, cio&egrave Q.C., Quality Control! Lei non dà mai l’OK a ciò che non abbia sperimentato, a quello di cui non abbia accertato la qualità, l’idoneità allo scopo.’
Credevo di metterla in imbarazzo.
‘Il tuo giudizio, Marta?’
Sorriso disarmante.
‘Fitting, oustanding performance! Idoneo, prestazione eccezionale!’
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