“E così hai deciso…te ne vai.”
“Sì. Ho bisogno di cambiare un po’ aria, abitudini, compagnie…penso mi farà bene.”
Siamo qui seduti a parlare piccola G, fianco a fianco sul gradino del patio. Hai saputo anche te, come gli altri, che me ne andrò. Fra poco, pochissimo, meno di un mese. Hai avuto anche tu lo sguardo triste tutto il giorno del mio addio, il giorno in cui ho annunciato la mia partenza irrevocabile. Ma il tuo era più triste degli altri, e non è ancora scomparso del tutto; gli altri non lo vedono, ma io sì. Perché io so, senza doverti osservare, che piccole pagliuzze di tristezza continuano ad agitarsi sui tuoi occhi. Lo so perché da quel giorno, ogni volta che mi guardo allo specchio, le vedo riflesse anche su di me.
“Tornerai ?”
“Non lo so. Non è proprio dietro l’angolo…devo vedere come riuscirò ad organizzarmi. Ma sicuramente tornerò, già mi mancano i miei amici, i miei genitori…”
Mi volto piano ma non riesco a guardarti negli occhi, la voce è un sussurro perché è la voce del cuore, e il cuore parla sempre in tono sommesso.
“…mi mancherai tu.”
L’ho detto, lo sapevamo. Non mi serve guardarti in viso per conoscere il percorso che farà la singola lacrima che sta uscendo lentamente: quante volte ho ripercorso con le dita il tuo viso ? Ti avvicini ancora un po’ a me, come un gatto che si accoccoli contro un cuscino: quanto, oh quanto mi mancherà questo tuo modo di cercare calore e vicinanza, quando dopo aver fatto e rifatto l’amore volevi restarmi vicina ?
“Io lo so che dovrei abituarmi…ci sto già provando, sai ? Queste mattine, quando entro al lavoro e vedo la tua scrivania ancora vuota, cerco di immaginarmela così per tutta la giornata, e un po’ mi aiuta, mi dico: ecco lui non c’è più e la vita continua. Ci credi che lo faccio ?”
“Sì…lo faccio anche io.”
Ti passo un braccio intorno alla spalla e ti tiro a me, sentendo il calore della tua testa sulla spalla. Chinandoti intravedo il luccichio della tua fede, ma che importa ? Ci è mai importato ? “Sono una donna sposata !” mi dicevi le prime volte, e ridevi. Adoravo vederti ridere prima di fare l’amore.
“So che è giusto così…non ho il diritto di trattenerti. Nessuno lo ha. Ma vorrei almeno un ricordo…”
Non servono gesti d’intesa per baciarci. Le labbra sanno già quale percorso compiere per incontrarsi ancora una volta. E’ salato il tuo sapore, sono le tue lacrime ? E’ la prima volta che bacio una donna che ha appena pianto. La tua lingua è dolce piccola G, lascio che sia lei a bussare alle porte della mia bocca, a scivolarmi tra le labbra mentre incrociamo i nostri respiri. E’ dolce e salato il tuo sapore piccola G, lo sento mentre le nostre lingue si abbracciano come noi, i tuoi piccoli colpi di punta a provocarmi per poi ritrarti nella tua bocca e lasciare che sia io a cercarti…”è il nostro nascondino” mi dicevi le prime volte, come se fosse stato un gioco; non ti ho mai detto, non avrò mai il coraggio di dirti che niente al mondo avrebbe potuto eccitarmi di più. Sento il tocco delle tue dita sul petto, lieve come una farfalla: asola dopo asola, bottone dopo bottone, mi apri la camicia senza scostarne i lembi. Perché tu non vuoi spogliarmi e io lo so, lo farai dopo: vuoi solo portare le mani al mio petto e sentirne il calore, misurare direttamente dai battiti del mio cuore l’eccitazione che stai provocando. Le tue labbra si chiudono piccola G, ti allontani di pochi millimetri, riesco a sentire il calore del tuo fiato.
“Andiamo a letto ?” mi dici, dolce come la prima volta, te la ricordi ? Ti avevo consolata tutta la sera di quella trasferta, avevi litigato con lui, lui che non sa e non capisce e non riuscirà mai a vedere quale straordinaria donna la vita gli abbia messo al fianco. Ti avevo baciata ed avevi risposto al bacio, ma dopo pochi secondi ti eri staccata ed eri tornata di corsa nella tua camera…io ero nella mia a rodermi dalla vergogna e dall’imbarazzo, e tu avevi bussato piano per non svegliare nessuno. Avevo aperto e nella luce fioca del corridoio dell’albergo mi avevi guardato negli occhi per un fugace momento. “Andiamo a letto ?” mi avevi chiesto, abbassando lo sguardo. Ti avevo fatta entrare, troppo stordito per capire che in quel momento, quell’esatto momento in cui avevi fatto scivolare la tua vestaglia da notte per mostrarmi il tuo corpo nudo e tremante, mi ero innamorato di te.
“Sì, andiamo.”
Ti prendo per mano e rientriamo in casa. Le candele sono ancora accese, ti è sempre piaciuto mangiare a lume di candela. Le spengo con un soffio, mentre ti appresti a entrare in camera.
“No, aspetta” ti dico.
“Ma…non vuoi più ?”
Sì che lo voglio piccola G, ma questa sera dev’essere diverso, perché è l’ultima volta.
“Sì che ti voglio…ma voglio spogliarti io.”
Mi attendi sulla porta e mi abbracci piano, lasci che ti sollevi e ti deponga piano sul letto. Ti bacio ancora piccola G, non ho mai potuto spogliarti prima d’ora; ogni volta mi anticipavi con una scusa e ti facevi trovare nuda sul letto, la testa sollevata sul gomito, una Maya Desnuda dallo sguardo penetrante. Le nostre bocche tornano a fondersi mentre sbottono la tua camicetta rosa, mentre passo le dita sulla tua pelle come seta; lasci che sia io a sganciare il tuo reggiseno, a prendere nelle mani i tuoi seni, bianchi come la luna e morbidi e caldi come una coppa di latte. Ti ricordi di quando ti confessai che li avevo sbirciati dalla cabina della spiaggia, la prima volta che andammo al mare con tutti gli altri dell’ufficio ? Dopo rimasi così eccitato che dovetti quasi correre in acqua per nascondere l’erezione, e non riuscivo più a guardarti negli occhi. Li tengo in mano come feci la prima volta, quando ci passai sopra i palmi per capire che era vero, che eri nuda e viva e mia…accarezzo delicatamente l’areola in senso circolare, come sono già erti i tuoi capezzoli piccola G ! Ne prendo in bocca uno come a saggiarne la consistenza, è come un grano di uva passa. Succhio delicatamente i capezzoli mentre sento il tuo respiro accorciarsi, mi carezzi la testa e i capelli mentre li lecco, lecco ogni parte del tuo seno, dall’attaccatura al dolce declivio, dove curva bruscamente ad incontrare il petto, quel petto che ora si solleva e si abbassa al ritmo del tuo piacere…in questi 2 anni non l’ho mai fatto come adesso, come se stessi gustando un piatto che non avrò mai più.
“Posso…posso toccarti ?” mi chiedi, la mano già sospesa verso i calzoni. Annuisco con la testa mentre le mie mani scendono lungo la cerniera dei tuoi jeans. Ho dei pantaloni kaki in lino, leggerissimi: la mano che ora mi stringe il pene la sento come se fossi nudo. Abbasso lentamente la cerniera e ti aiuto a far scivolare il jeans. Come sei bella piccola G, hai messo le mutandine che ti regalai la prima volta che riuscimmo a regalarci un weekend assieme; la commessa mi guardava sorniona mentre le impacchettava, forse anche lei avrebbe voluto un uomo a porgerle quel regalo in ginocchio, come feci io quella notte dopo aver fatto l’amore. Ti dissi che non potevo regalarti un anello per legarti a me e quindi avevo pensato a qualcos’altro, qualcosa che avresti dovuto mettere ogni volta che saremmo stati insieme. Le mutandine rosa con i due cuori ricamati, vicini come siamo sempre stati ma non intrecciati, perché il destino non lo avrebbe mai voluto.
Premo leggermente sul tuo monte di Venere e ti sento gemere, riesco a percepire il tuo desiderio da come l’umido della tua voglia mi rimane sulla dita. Chiudi gli occhi mentre senti il tessuto scivolare lungo le cosce, arrivare alle ginocchia e sorpassare i piedi, quelli stessi piedini così minuti sui quali ho eiaculato e sparso il mio seme tante volte, come se fosse stata una crema di bellezza; ti ricordi come sgranasti gli occhi la prima volta che lo feci ? Non potevi credere che mi piacessero come mi piace ogni parte di te. Lascio che la tua piccola mano mi abbassi il pantalone, quel tanto che basta per scivolare dentro e afferrare la mia erezione.
“Spogliati anche tu…” mi chiedi quasi implorante. Mi alzo e lascio che sia solo la luce della luna a sfiorarmi mentre mi tolgo i pochi indumenti che indosso. Ora siamo nudi entrambi piccola G, e tu hai ripreso la tua posizione classica sul fianco, mi guardi e basterebbe il tuo solo sguardo e la voglia che ne trasuda per farmi scalare l’Everest.
“Vieni…voglio fare una cosa che non ho mai fatto…” mi inviti con la mano a stendermi al tuo fianco.
“Cosa vuoi fare ?”
“Sssstt” mi dici, mentre ti metti in ginocchio e prendi delicatamente l’asta, scoprendo e ricoprendo il glande luccicante dei miei umori.
“Guarda” mi dici, mentre ti chini a prendere in bocca il mio membro, lasciando che ti scivoli in bocca come un frutto maturo. Quando la tua lingua comincia a strusciare lentamente sulla punta mi sento morire, riconoscerei anche tra mille anni il tuo modo di darmi piacere con la bocca; ma ancora non capisco cosa vuoi fare.
Poi con un gesto preciso e definito, come una cometa che attraversa il cielo lasciando una traiettoria arcuata, mi scavalchi con le gambe e porti la tua vagina implorante verso le mie labbra. Cara, piccola G ! Non avevi mai voluto provare il 69 con me, hai sempre avuto paura di non riuscire a concentrarti nel darmi piacere in questo modo; sei sempre stata decisa nel negarmi di fare qualsiasi cosa mentre eri dedita nella fellatio. “E’ il tuo momento di piacere e te lo devi godere” mi hai sempre detto, e hai sempre preteso che venissi nella tua bocca; e quando le prime volte non volevo per non mancarti di rispetto, mi hai sempre risposto “Non c’è nulla di male, è una parte di te come un’altra, e non c’è una parte di te che non mi piaccia.”
“Leccala…” ti sento ansimare, e hai ragione, mi sono perso nei miei pensieri ignorando la tua femminilità che vedo rossa e palpitante davanti ai miei occhi. Pongo le mani sulle grandi labbra per allargarle e passo la lingua lentamente sulla tua vulva, dall’alto in basso e ritorno; ti sento fremere quando passo a picchiettare il tuo clitoride, per poi prenderlo tra le labbra e succhiarlo come fosse una piccola caramella. Non riesci a mantenere il tuo ansimare quando introduco piano un dito nella tua vagina, leggermente arcuato per puntare il tuo punto G. La piccola superficie ruvida reagisce immediatamente appena il polpastrello la sfiora e sento i tuoi muscoli contrarsi e rilasciarsi mentre estraggo il dito per poi rimetterlo. Il tuo respiro è talmente corto che ora hai portato fuori il pene dalla bocca, lo tieni appoggiato sulle labbra mentre lecchi lentamente la radice e i testicoli…lasci sfuggire un “Ah !” di soddisfazione quando senti la punta della mia lingua lambire l’altro buchino. Quante volte, in questi anni, ho lodato e adorato ogni parte del tuo posteriore ? Quante volte ho dovuto insistere all’inizio perché tu mi permettessi di baciarti le natiche, il perineo, di leccare con piacere e devozione il tuo ano ?
“Mi vergogno, è una cosa sporca” mi dicevi: e io ripetevo le tue stesse parole, “è una parte di te e non c’è nulla di te che non mi piaccia”. “Ma ho il culone grosso !” ribattevi.
E io a spiegarti che solo l’uomo superficiale considera il sedere di una donna dalle sue dimensioni: che ho sempre adorato i tuoi fianchi, la bianca pelle tesa delle natiche, il piccolo cerchio rosa del tuo forellino (quanto ho dovuto insistere per fartelo depilare ! e dopo non hai più smesso di ringraziarmi). Ho sempre voluto rendere omaggio alla rotondità, alla pienezza, alla floridità del tuo sedere, tondo e soffice come un cuscino di piume. Ti masturbo delicatamente con un dito mentre la mia lingua spinge sul forellino, lo lubrifica, immerge la punta nel calore che sprigiona; e mentre la tua lingua si riporta a lambire il glande sovraeccitato, ricordo alla prima volta che mi hai permesso di violare la tua seconda femminilità. Io lo volevo e tu anche, come ho scoperto solo dopo: ma quella sera, inginocchiato di fronte a te piegata carponi, mai avrei immaginato cosa sarebbe successo. Avevo preparato del cioccolato fuso e l’avevo mantenuto liquido e tiepido con un piccolo lumino; avevo preso un pennino e con esso avevo scritto una dichiarazione d’amore sulle tue natiche. Non eri riuscita a capire cosa avessi scritto e io avevo preso a leccare via il cioccolato, lettera per lettera. A metà della mia opera avevi preso e tremare e piangere; ero sconvolto e mi sono fermato, ma tu mi hai intimato di proseguire. Quando ho finito e mi hai abbracciato, ho capito che erano lacrime di gioia; eri riuscita a decifrare lo scritto.
“Anche io…e voglio darti tutto, tutto…”
Avevamo usato la prima sostanza lubrificante che avevamo trovato in casa, dell’olio di oliva che aveva funzionato egregiamente; in seguito, col tempo, eri riuscita a raggiungere un tale stato di rilassatezza che bastava un po’ della mia saliva e il tocco lieve delle mie dita per permettere al pene di scivolare morbidamente nell’ano, incuneandosi e scomparendo tra le tue natiche.
Una calda sensazione di bagnato sulle labbra mi riporta al presente, sei venuta quasi in silenzio, tremando come un animale ferito. Lascio che il tuo sapore mi inondi la bocca, ci potrà mai essere un fluido per me più vitale, più dolorosamente necessario dei tuoi umori ?
“Piccola…” ti sussurro piano, accarezzando morbidamente le tue gambe così lisce.
Ti stai riprendendo ora dall’ondata di piacere e ricominci a coprire il mio pene di baci, dolorosamente duro e prossimo al piacere.
“E’ stato bellissimo…” mi rispondi,”ma tu non sei venuto…adesso rimedio.”
“No…non così.”
Mi guardi con aria interrogativa mentre ti faccio alzare e distendere sul letto. Accarezzo le tue braccia, il tuo collo, scendo lungo il seno e il torace, passo i palmi distesi sul ventre morbido come crema. Allunghi una mano per masturbare il pene, ma in cuor mio so che non c’è bisogno, è tale la voglia di te che potrei restare duro per secoli se necessario.
“Io ho avuto tutto dal tuo corpo.” La mia voce è un bisbiglio mentre le accarezzo le cosce, le caviglie, la pianta del piede. “Mi hai fatto godere in tutti i modi, mi hai permesso di venire in ogni parte del tuo corpo, hai accettato e condiviso ogni mio orgasmo in qualunque modo.”
La guardo piangere in silenzio mentre le mie dita indugiano sul suo ombelico, sul monte di Venere, mentre giocano con i peli del tuo boschetto curato.
“Abbiamo fatto l’amore ogni momento possibile, mi hai dato l’estasi di possederti in ogni luogo di questa casa, ogni parete qui dentro ha memoria dei nostri amplessi.” Prendo un profondo sospiro e proseguo, ricacciando una piccola lacrima dentro di me. “Questa è l’ultima volta, e voglio che sia diversa da ogni altra. Voglio fare l’amore con te così come sei ora…e questa volta voglio che tu mi permetta di venirti dentro, senza preservativo.”
Non oso guardarti negli occhi mentre attendo una tua risposta, il battito del cuore così forte che mi assorda le orecchie. Non mi hai mai permesso di venirti in vagina, troppe volte mi hai ricordato che non puoi prendere la pillola; ma questa sera non puoi negarmi di donarmi a te fino in fondo, succeda quel che succeda. Rimani in silenzio per qualche secondo, poi la tua mano si sposta…scivola lungo l’asta e solletica il glande, come se volesse tirarlo.
“Vieni” mi sussurri, e il sorriso sul tuo volto è per me un’immagine che mi spalanca il cuore. Le tue dita guidano il pene fino all’imboccatura delle piccole labbra mentre divarichi leggermente le gambe. Un brivido mi assale mentre scivolo dentro di te, il contatto pelle a pelle ci scuote entrambi mentre l’asta scivola lentamente, un millimetro dopo l’altro, all’interno della tua vagina, accolto da un calore morbido e buono come te. Non avevo mai compreso quanta unione e piacere potesse esserci in quei primi eterni attimi in cui un uomo e una donna si congiungono, si uniscono fisicamente come da millenni avviene e per sempre avverrà…
La corsa è finita, il glande ora poggia contro il collo del tuo utero. Rimaniamo fermi, abbracciati, mentre i nostri respiri si allineano e il calore dei nostri corpi ci avvolge dentro e fuori di noi.
“Fallo” mi sospiri nell’orecchio, e il piacere che provo nel muovermi dentro di te non avrà mai fine piccola G. Non esiste e non esisterà mai preservativo tanto sottile da ricordare questa sensazione, la sensazione di due corpi a contatto nei punti più interni e sensibili. Stiamo facendo l’amore, lentamente e dolcemente; e così come i nostri sessi sono uniti e allacciati, anche le nostre anime sono compenetrate.
E’ tale la nostra sintonia e la nostra voglia che so di non aver bisogno di cercare stimolazioni particolari, ci basta questo movimento oscillatorio per godere, il ritmo contenuto del mio pene che a ogni spinta reclama un po’ più di te, come se volesse scavarti nell’anima. Ci baciamo e ci guardiamo negli occhi mentre i nostri gemiti si incrociano, il calore dei nostri fiati eccitati pervade ogni spazio tra i nostri volti.
Allarghi ancora un po’ le gambe e le tue mani scendono a stringere le mie natiche, so cosa vuol dire: stai per venire e vuoi incitarmi ad aumentare il ritmo.
“Vieni” mi sussurri mentre i miei lombi spingono più a fondo e più velocemente dentro di te,” voglio che vieni adesso e che mi vieni dentro…sarà il mio ricordo e se succederà, in futuro sarà un ricordo ancora più grande che durerà per sempre…non mi interessa cosa accadrà con lui…”
“Sei…sicura ?” gemo in affanno, lottando a tutti i costi contro l’eiaculazione impellente.
“Sì…ti amo e lo voglio…voglio il tuo seme ora !” non finisci neanche la frase che riprendi a gemere. Ora il ritmo delle mie spinte è allo spasmo, il pene esce e affonda nella tua fessura a ripetizione, con deliziose fitte di piacere ogni volta che il glande forza delicatamente le piccole labbra.
Prima di accorgercene stiamo venendo assieme, cosa mai successa in questi due anni: due corpi che simultaneamente diventano marionette comandate dal piacere e dall’orgasmo dei sensi. E’ il mio corpo che decide di inarcarsi, la mia gola di dare sfogo al grido, i lombi che spremono ed eiaculano tutto il mio seme, la mia anima, il mio amore. Lacrime di gioia solcano le tue guance mentre soffi e gemi e ti unisci al mio grido, la vagina impazzita che stringe come una morsa il pene vibrante, come a sfidarlo di inondarla ancora di più. Come mi confesserai più tardi con un sms, hai contato ogni mio getto, percependolo come una calda sferzata di piacere mai provato. Non si arrestano le spinte mentre mi sembra di venire per secoli, i densi fiotti che attraversano il pene come un treno in corsa; vengo e vorrei non fermarmi mai.
Sono molti e lunghi i secondi che impieghiamo a riprenderci, ancora stretti in un ultimo abbraccio, i sessi caldi e congestionati ora separati; la tua vagina ricolma di caldo seme e il mio pene abbattuto, pulsante e sfinito. Ci siamo ripromessi di non fare durare oltre questo nostro addio. Ci coccoliamo in silenzio, ancora caldi e affaticati dall’orgasmo; e non posso provare una stretta al cuore nel vedere come ti accarezzi il grembo ora, sentendo in te il calore latente del mio sperma.
Ci rivestiamo e senza parlare ti riaccompagno alla porta, sfiorandoti le labbra con un bacio. Ancora un ultimo muto abbraccio prima della separazione, prima che tu riprenda la macchina e torni a casa da lui ti aspetta e ignora come ha sempre fatto.
“Mi mancherai.”
“Anche tu. Stai bene.” Mi rispondi, prendendomi il viso tra le mani.
Guardo i fari allontanarsi mentre le lacrime salgono da sole, non mi serve chiamarti per sapere che anche te stai piangendo ora.
Addio piccola G.
Ciao Ruben, sei un mito! Hai un modo di scrivere che mi fa eccitare! La penso esattamente come te. Se…
Ti ringrazio, sono felice che ti piacciano. Vedremo cosa penserai dei prossimi episodi, quando si chiuderà anche la sottotrama di…
Davvero molto bello. Piacevole come gli altri e decisamente pregno di sentimenti espressi senza risultare melensi o ripetitivi. D'impatto leggiadro,…
Come ti ho detto, in pochi e poche sanno sa scrivere in maniera così eccitante sia dare un senso ad…
Grazie davvero, sono racconti di pura fantasia. Da quando ho scoperto la scrittura come valore terapeutico, la utilizzo per mettere…