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Erotici Racconti

Capovolgere la circostanza

By 7 Marzo 2017Febbraio 1st, 2023No Comments

Io ero stata giudiziosa, previdente e particolarmente riflessiva, perciò adesso me ne rallegravo spensieratamente consolandomi, in quanto lui aveva appena varcato la porta:

‘Quanto tempo è passato, che bello però poterti rivedere’.

Il suo braccio intorno alla vita era negligentemente scivolato sui fianchi e aveva sfiorato sventatamente appena le chiappe, che di certo non coprivano la loro modestia sotto il delicato panno di quel vestito dal colore grigio attillato molto simile a una seconda cute. Un gesto cauto e guardingo azzarderei affermare, eppure talmente astuto e lesto per avvallare confermando in conclusione e fugando, se ci fossero stati semmai dei dubbi, per l’orientamento e per la propensione decisiva della serata per quel duttile tocco, visto che avrebbe dovuto accendere di desiderio la mia pelle già irruente dalla voglia delle sue mani:

‘Come vedi, ho indossato l’abito che avevo nella prima occasione che ci siamo incontrati, non so però se ci hai fatto caso’.

‘Sì, certo, mi è balzato subito agli occhi, ti sta infatti a meraviglia’.

L’aria compiaciuta e apertamente congratulata era innegabile di tutti e due. Lui nel frattempo s’accomodò sul canapè come se fosse la sua abituale dipendenza con la sua naturale mania, come se albergasse nella sua indisturbata dimora, dato che aveva impresso quell’atteggiamento naturale quatto quatto e spensierato, di chi voleva godersi pienamente il piacere gustandosi ogni sapore che la vita gli regalava.

‘Vuoi che ti prepari un caffè?’ – esordì lui in modo gioviale e premuroso.

Io per l’occasione mi muovevo per la stanza fra la sala e la piccola cucina dirigendomi verso l’armadio per agguantare le tazzine, i piattini e poi il vassoio il tutto compiuto di fronte alla sua occhiata, perché sapevo concretamente d’essere nel fulcro del suo interesse. Di questo andare, invero, io alternavo un passo dopo l’altro collocando abilmente il portavivande nei suoi paraggi, laddove l’indumento astutamente e maliziosamente orientato si sollevava sulle cosce e moderatamente sui fianchi, quasi all’altezza del pizzo delle calze autoreggenti tra l’altro molto velate. Io dovevo ancora preparare il caffè, però nell’espressione e nei movimenti c’era come un’accurata danza dei preliminari, come per rimandare opportunamente l’attesa, rinviando un piacere indubbio che sarebbe arrivato da un momento all’altro. Tutti questi erano allestimenti a tal punto fiacchi e inefficaci, per chi aveva già quel desiderio smanioso di possedere l’altro. Io mi sistemai perciò vicino a lui aspettando l’arrivo del caffè. Lui odorava di buono, la sua pelle era la cosa più gustosa che avessi assaggiato da un po’ di tempo a questa parte, come qualcosa di delizioso e di soave d’assaporare e da gustare appieno.

‘Adesso ti preparo il caffè’.

Il canapè m’impediva però di muovermi, perché mentre parlava e mi raccontava quello che nel frattempo era accaduto alla sua vita, io non pensavo ad altro che al momento in cui avremmo finito con le parole prestabilite e avremmo strepitato sollazzandoci in ultimo con il fisico passando ai fatti. In quell’istante io osservavo accuratamente la linea del suo profilo, il naso era perfetto, le labbra ben disegnate e quel sorriso accattivante che illuminava quegli occhi scuri e quelle ciglia lunghe, non smentivano le sue lineari e limpide discendenze del meridione. Io avevo sovrapposto le gambe, avevo arcuato il ginocchio e infine accortamente avviluppato una gamba sull’altra con i tacchi a spillo che lo sfioravano, visto che rasentavano i suoi jeans sino all’altezza del ginocchio, in quanto mi sentivo acutamente calda e brillantemente baldracca, perché dal momento che lui parlava io non lo ascoltavo, visto che restavo a osservare le sua labbra desiderandole focosamente sulla mia pelle in ogni centimetro e in ogni nascondiglio. Io lo bramavo energicamente con tutta me stessa, però ne assaporavo drasticamente l’attesa e i secondi, giacché sapevo che lui m’avrebbe agguantato per bene a fondo e che non ci saremmo abbracciati, dacché quello spazio minuscolo lo reputavo invalicabile.

‘Perché sei così distante?’.

‘Bada bene, tu lo sei, non io’.

Nessuno dei due s’azzardava né rischiava di toccare l’altro per primo, nonostante la voglia si potesse tastare chiaramente nell’aria. Fu davvero questione d’un attimo, corresponsabile anche un cuscino allusivamente tirato per gioco a scatenare il resto, sicché io m’appoggiai al suo petto nel tempo in cui le mani si cercavano freneticamente, scorrendo fra le pieghe dei vestiti in quegl’inutili ripari dietro ai quali attendere, per ricercare con meticolosità la scusa di prolungare il desiderio, sennonché lui s’infilò alla svelta nella mia scollatura, che lasciava peraltro intravedere il seno nudo sotto la stoffa arricciata, in quanto io avevo nondimeno intenzionalmente indossato esclusivamente per lui. Lui afferrò il seno, indugiò sul capezzolo e non lo lasciò più andare, ci giocò come voleva lui, dapprima con le mani e appresso con le labbra e persino con la bocca. Le mani s’intrecciavano, si cercavano e si lasciavano, si prendevano e si mollavano dapprincipio incontrollatamente e poi lentamente. Io gli sfilai ingordamente la maglia di dosso, m’affrettai per slacciargli i pantaloni, dato che le mani erano vogliose d’accoppiarsi e di possedere quel corpo che volevo. Feci ai suoi capezzoli quello che lui faceva ai miei, per poco gli facevo male, tanto era la perfezione del desiderio che lui mi faceva avvedutamente assaporare. Il mio piccolo tanga si era annichilito tra i fluidi della mia pelosissima e arricciata rossa fica, a quel punto lui allungò la mano e se ne accorse da solo, per il fatto che scostando le mutandine si divertì a impiastricciarle da quanto erano bagnate.

Lui adorava percepire l’umido nella stoffa che s’impregnava sempre più, io sapevo che gli aggradava molto, perché molto probabilmente m’avrebbe semplicemente scopato di certo con le mutande appena scostate. Io gli avevo appena slacciato la cintura e i jeans, mentre i boxer sembravano elevare l’asta d’un drappo, dal quale faceva sfoggio la cappella del suo cazzo, non enorme a dire il vero, però ben proporzionato, bello, pronto e imperioso per darsi da fare. Io lo volevo, esigevo assaporare quel corpo e gustarne la pelle come non mai, lui si sfilò nel contempo i boxer da solo per mostrarmi pieno di sé la sua eccitazione sotto il mio sguardo animato, impaziente e voglioso.

Io m’inginocchiai davanti a lui con il vestito ormai semi scostato, il seno fuori dalla scollatura che morbido e smanioso s’adagiava sul suo inguine. In quella magnifica occasione ero in ginocchio davanti a quel cazzo borioso, eretto e carico di personalità, tuttavia un po’ curvo. Io lo guardavo negli occhi mentre la mia lingua scorreva sull’asta per inghiottirne la punta gonfia, lucida e umida, lo succhiavo lentamente, poi indugiavo, in seguito mi scostavo per poi ritornare, perché volevo portarlo al culmine della libidine trattenendomi in tempo per non farlo sborrare così presto, anche perché adoro assai vedere quando l’uomo eiacula sul mio corpo esternando il suo arcaico e semplice piacere, in questa circostanza però volevo farlo durare più tempo possibile. Fissavo lo sguardo nei suoi occhi scuri come disegnati da un pittore, curiosi, grandi e lucidi così come quelli d’un bambino che si diverte al parco dei giochi, interessati come la sua voglia impaziente d’avermi, poiché io volevo esasperarlo intenzionalmente a fondo e ci riuscii. Lui m’afferrò le mani di scatto e mi fece sdraiare sulla schiena sollevando il mio vestito e cercando la mia pelosissima fica, le sue mani forti frugavano senza tante premesse, in quanto erano mani risolute che mi penetravano come se conoscessero alla perfezione quello di cui avevo bisogno, tant’è che persino la mia fica pulsante ne era rimasta piacevolmente colpita. 

Io mi sentivo sciogliere, così come se dalla mia pelosissima e rossiccia fica dovesse fuoriuscire una cascata di piacere, lui m’afferrò per i fianchi per avvicinarmi, giacché io perdevo l’equilibrio e la ponderatezza, ma specialmente la ragione, in tal modo s’inginocchio al cospetto del mio focoso e pelosissimo nascondiglio e iniziò a leccarmi con una lingua ancora più appuntita e decisa direttamente sul clitoride, poi sulle labbra intorno e poi ancora sul clitoride, fino a sentire che tutte le mie labbra erano diventate una cosa sola, un enorme organo di godimento, come se soltanto quello fosse stato l’unico punto vitale in uso del mio corpo. Da lì prendevo vita, perché a ogni colpo della sua fantastica lingua io godevo tanto da perdere il controllo immaginando di saltare in aria. Lui mi portava sino alla soglia massima, all’acme totale del piacere per poi lasciarmi, tenuto conto che io non mi contenevo oltre. In realtà era una vera afflizione, un costante e soave supplizio, perché la mia testa rovesciata indietro reclamava apertamente il piacere, io lo supplicavo d’andare avanti, di non fermarsi, o di trattenersi precisamente là, in quella cavità disponibile e spalancata che sussultava richiedendo attenzioni.

Io toccavo i suoi cortissimi capelli fra le mie dita, in quanto li afferravo mentre godevo come lui afferrava i miei, li tiravo e godevo, li stringevo, lo volevo dentro, possedevo quella testa come per incorporarla cercando d’unirla alla mia fica. Finalmente il mio corpo iniziò a vibrare e poi a tremare in spasmi di godimento acuto, febbrile e rabbioso, talmente acutissimo e insostenibile, perché nel tempo in cui anelavo per scappare lui diffidente non mollava né scioglieva la presa, poiché aveva ribaltato di colpo senza preavviso la situazione. Io volevo farlo supplicare dal desiderio e lui aveva fatto implorare me, dopo che m’aveva leccato per un’ora e mezzo. Aveva però del talento il ragazzo nonostante la giovanile età, pensavo sbalordita dentro me stessa. Chi l’avrebbe mai detto, che un ragazzo di tredici anni più giovane di me avesse tutta quell’attitudine e quell’inaspettata vocazione da vendere? 

‘Non dovevi prepararmi il caffè, ricordi?’ – esclamai io argutamente, cercando di distoglierlo per affievolire stemperando la focosa e lasciva situazione.

‘Sì, certamente, per l’appunto, un caffè annacquato da formare come ornamento all’apprezzabile, alla grandiosa e alla voluttuosa nottata che dovrà al momento affermarsi e arrivare, naturalmente e solamente tutta per noi due’. 

{Idraulico anno 1999} 

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