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Erotici Racconti

Incantato e abbagliato

By 25 Ottobre 2016Gennaio 30th, 2023No Comments

Io avevo da pochi mesi ultimato la mia tesi di laurea e una grande impresa estera d’informatica m’aveva convocato per collaborare con loro, perché volevano testare e verificare per l’esattezza, se alcuni miei studi fossero stati applicabili e utilizzabili per quel settore di quella realtà industriale che m’avevano delineato. Bizzarra, creativa ed estrosa gente per davvero. A dire il vero, onestamente io non avevo avuto molto tempo per cercare una casa, perché mi ero dovuto adattare a una sistemazione provvisoria presso un’anziana signora, in una di quelle vecchie case del centro storico dall’età indefinibile e indistinta, forse dell’ottocento o forse anche prima. Una vecchia casa nobiliare credo, tutta basata su vecchie scale larghe e buie, con un ampio e comodo cortile interno, una di quelle case vivaci per l’appunto e dalla forma incerta cresciute e che si sono sviluppate disordinatamente negli anni, di quelle che prima di riuscire a capire che cosa avesse in mente l’architetto o chi per lui ti sei già perso. Enormi finestre, soffitti altissimi e pochi balconi, fredda quanto basta, però era primavera inoltrata, malgrado ciò la mia camera non era per niente male.

La camera era spaziosa, con un grande letto, il bagno privato e con una certa intimità, legata forse al fatto che la ‘Madame’, così tutti intitolavano la mia padrona di casa, anche se non ho mai capito se fosse davvero una nobile decaduta o se quel nome glielo avessero affibbiato come un assillo, un continuo punzecchiare, in quanto andava a letto presto e aveva una sua impareggiabile e speciale forma di delicatezza e di discrezione, una capacità innata e istintiva d’essere presente quando avevi bisogno di lei e di svanire quando volevi restare da solo. E nel mio caso, infatti, era spesso così. L’unico difetto e l’unica imperfezione per così dire di quella stanza risultava che s’affacciava sul retro, o meglio sul cortile interno, eppure la ‘Madame’ m’aveva facilmente convinto, dato che riteneva trattandosi integralmente d’un assoluto pregio, per queste ragioni lei m’aveva argutamente e sottilmente annunciato:

‘Mi dia retta, è tutto a suo vantaggio, vedrà che così dormirà più tranquillo’ – aveva ripetuto, io le avevo sennonché creduto. 

Io non conoscevo nessuno in città e quindi la sera rientravo presto per leggere un po’ in camera, in quell’occasione stavo appunto sfogliando dei testi quando m’accorsi che una finestra dall’altra parte del cortile era illuminata. Guardai invadente, con quella maniera di curiosità e d’indiscrezione appena morbosa che tutti hanno di spiare nelle case altrui, confidando e sperando di vedere una bella donna nuda o magari soltanto un quadro di vita famigliare o forse come in un noto film di scoprire un misterioso delitto, cosicché cercai ovviamente di non farmi notare. Forse speravo m’accadesse come quella volta a Urbino, quando ero andato per un seminario e avevo trovato posto in un alberghetto sgangherato e trasandato del centro, da dove guardando fuori dalla finestra sulla stretta via medioevale, m’ero affacciato quasi senza volerlo dentro la casa di quattro giovani studentesse, perché ne ricordo ancora oggi persino il numero.

Quella sera, infatti, avevano deciso di fare un’elegante sfilata di biancheria intima, scambiandosela l’una con l’altra con mia grande delizia e vi confesso impunemente con una certa goduria anche della mia mano, che aveva saputo cogliere al volo la deliziosa occasione. Tornando alla mia finestra sul cortile, quando m’affacciai non vidi studentesse nude purtroppo per me, ma solamente una ragazzina al piano di sopra del mio, proprio di fronte alla mia grande finestra senza le tende. Appariva poco più che una bambina che con l’aria molto curiosa e ingenua spiava me, il nuovo vicino per l’appunto. Io le sorrisi, credo, e la spiai di rimando. Lei era bruna con i capelli lunghi e neri raccolti un una coda alta, magra con gli occhi d’un blu intenso, giacché quel colore da solo bastava a demolirmi, a distruggermi. Di certo notai come mi spiavano curiosi quella sera e allora forse un po’ per gioco, o forse soltanto perché era ormai davvero giunta l’ora d’andare a letto io iniziai a spogliami con la finestra aperta e lasciando che lei guardasse, mostrandomi e solleticando in quel modo la mia vena accentratrice ed esibizionista. Quello che realmente mi colpì fu, che lei invece di ritrarsi risentita e sdegnata del vicino esibizionista restò al suo posto a guardare in modo accurato. Molto probabilmente si era accorta che io l’avevo vista e che stavo facendo il mio spettacolino a suo uso e consumo, o forse la cosa in fondo le piaceva.

In quel momento mi sbottonai la camicia e restai a torso nudo, in quanto il mio petto da pallanuotista gonfio e robusto, coperto di peli radi, ma con i pettorali ben evidenti era al presente in bella mostra alla luce del grande lampadario centrale attraverso la finestra senza le tende, poi mi sfilai i jeans e rimasi in boxer, scalzo con quel mio grosso membro già bello e duro per l’eccitazione, che si notava da quel rigonfiamento evidente della stoffa di cotone bianco. Io fui sorpreso nel vedere che non solo lei non si ritraeva, ma cominciava a sua volta a eccitarsi guardandomi attraverso la sua finestra e la sua eccitazione fu tangibile quando la vidi infilarsi una mano sotto la gonna larga e pieghettata, sollevandola appena sulle cosce magre con i calzettoni bianchi, dato che immaginai da lontano che due dita entrassero nelle mutandine bianche e cominciassero a spingere sul suo clitoride.

Il suo modo di fare era un masturbarsi rapido e veloce, che io distinguevo tra l’altro chiaramente da lontano per la sua posa in piedi con le gambe larghe, quasi appoggiata sulla sua mano e soprattutto per quel movimento impercettibile e ritmico della spalla e del braccio, che seguivo attentamente con gli occhi. Infine io mi spogliai rimanendo completamente nudo. Adesso il mio membro era dritto come l’asta d’una bandiera, gonfio, teso e rivolto all’insù, giacché sembrava quasi un manico per afferrarmi e portarmi via. Lei guardava e si toccava ancora, con quegli occhi sgranati, affamati e curiosi che mi facevano impazzire, io mi toccai sennonché stringendolo forte in mano e la guardai dritta negli occhi. Notai un momento di panico che m’eccitò ancora di più, in seguito però come se ormai non riuscisse più a fermare quel gioco, continuò a lavorare il suo piccolo sesso con la mano sottile, fino quando non lessi nei suoi occhi blu il suo orgasmo, per il fatto che la vidi piegarsi appena per il piacere sulle ginocchia magre ormai sbucciate. Venni anch’io, guardando quei due occhi e riempii il pavimento in graniglia della Madame di grosse gocce bianche e appiccicose, mi distrassi per un momento per guardare quel guaio e lei svanì.

La sera dopo lei era di nuovo lì presente, in tal modo ripetemmo l’atto, visto che andò avanti così per qualche giorno. Io ero attratto e stregato da quegli occhi che mi guardavano e da quella mano che scendeva per scavare tra le sue grandi labbra, perché tornavo a casa sempre prima per poter ripetere quel rituale d’accoppiamento a distanza, poi finalmente decisi di rompere gli indugi. Avevo notato che tornava sempre alla stessa ora la sera, forse andava a studiare da una sua amica o non so, così feci in modo d’incontrarla per caso lungo le grandi scale buie. Ricordo ancora il suo sguardo quando mi vide, perché quegli stessi occhi blu curiosi ed eccitati, erano adesso imbarazzati e spaventati che mi guardavano sgranati. Io mi trovavo in chiara difficoltà, avrei voluto incontrarla, però non sapevo davvero che cosa enunciare né che cosa mettere in atto. In quell’istante rimanemmo lì squadrandoci per un momento lunghissimo, lei sembrava sul punto di scappare, fino a quando forse per un mio gesto lei si mise di nuovo la piccola mano sotto la gonna come per toccarsi quelle mutande candide. Quello là davanti a me, fu un gesto imprevedibile, insolito e inspiegabile, un comportamento interamente fuori dal comune, ma che era l’atto e il gesto preciso da compiere. Il suo cenno fu, infatti, come se lei avesse deciso di scardinare un incantesimo, come se mi lanciasse con precisione un segnale, un messaggio tutto per me, perché fu come un brivido, blu come il colore dei suoi occhi che mi guardavano nel buio. Se lei avesse parlato, io avrei parlato, le avrei forse detto ciao e lei avrebbe detto a me di rimando buonasera e la cosa sarebbe finita lì.

Lei si sollevò la gonna, io andai verso di lei e la strinsi, la strinsi talmente forte contro di me infilandole le mie mani grandi e scure sotto la gonna sollevata, agguantandole in conclusione le sue piccole chiappe dure da ragazza adolescente. Il mio cazzo duro strofinava sul suo pelosissimo e profumato pube, mentre lei si muoveva maliziosissima spingendo contro, come mai nessuna donna matura ha finora saputo eseguire. Era come se cercasse di trarre da quel contatto rubato tutto il piacere del mondo, come se si stesse masturbando sul mio grosso cazzo, prigioniero custodito dentro quei jeans. E così fu un lampo tirarlo fuori e posarglielo sulle mutandine bianche, tra le sue gambe lunghe e magre, sproporzionate forse, come quelle di un’adolescente. Fu lei credo a lasciarsi cadere sugli scalini, larghi e smussati di quell’enorme scala padronale, lei era per terra con la gonna sollevata, dal momento che si sfilò le mutandine con un gesto d’una semplicità innata e spontanea, tra l’altro malizioso e provocante come l’invito del serpente dell’eden.

Io la penetrai subito come lei voleva, la deflorai al primo colpo deciso, facendola urlare appena di dolore. Un breve urlo, un colpo, quasi un sospiro e poi di nuovo il silenzio, rotto soltanto dal suo ansimare delirante. Io ne avvertivo spiccatamente il piacere mentre iniziavo a spingere in quella fessura stretta, che cedeva ogni volta che il mio cazzo infervorato entrava e l’apriva. Credo che lei venne in brevissimo tempo, con un orgasmo quasi discreto, dolce e per di più silenzioso, mentre io continuavo a scoparla. La mia cappella gonfia scivolava su e giù dentro di lei, spalancandola e indugiando, strofinando sulle pareti di quella caverna bagnata e infantile. Io le pesavo addosso sbattendola quasi in modo primitivo come un animale, per il fatto che lei venne più volte, io non riuscivo a contare i suoi orgasmi concentrato com’ero nel mio. Bruscamente l’inondai riempiendola tutta, tracimando dal mio membro affondato tra le sue gambe, stretto dalle piccole labbra che avevo aperto per primo, continuai ancora non soddisfatto del tutto, pompando in quel misto di liquido appiccicoso, di secrezioni amare e di sangue verginale che colava fuori grondante.

Senza farci troppo caso, sporcammo le scale di sangue e quella macchia restò lì per parecchio tempo, troppo dispettosa, indisponente e scortese per la portiera miope o forse individuabile e visibile soltanto per chi sapeva dove cercarla esattamente. In seguito non successe più nulla, perché le volte successive quando l’incontrai io le dissi ‘Ciao’ e lei di rimando educatamente ‘Buongiorno’, dal momento che non parlammo mai. In conclusione mia moglie arrivò da Vienna, per portarmi la notizia che avevo infine vinto la selezione con l’annesso concorso all’estero. Per essere sincero, mi capita ancora a volte di ritornare in quella città e di tanto in tanto intravedo e percepisco in maniera netta ancora quegli occhi blu là che mi pedinano e che mi spiano per la strada.

Ancora oggi, a dire il vero, mi piace immaginare ipotizzando che siano i suoi, che lei sia attualmente la mamma di due splendidi fanciulli e ogni tanto supporre salendo per quelle scale buie, che l’occhio le cada su quel gradino, forse ancora macchiato, chissà.

{Idraulico anno 1999} 

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