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Racconti erotici sull'Incesto

Lery

By 14 Febbraio 2004Dicembre 16th, 2019No Comments

Non era molto distante dalla grande piazza, sempre affollata di gente indaffarata. Importante nodo di traffico, capolinea di numerose linee tranviarie, di autobus, di filobus. Altre vi transitavano, scaricando e caricando viaggiatori frettolosi. Poco distante, partivano le vetture blu per l’estrema periferia, o per i paesi vicini.

Il tram che voltava a sinistra, avviandosi verso i quartieri nord occidentali, faceva stridere fastidiosamente le ruote sui binari, prima di fermarsi subito dopo la stradina dove, al 120, s’apriva la porta della vecchia e caratteristica trattoria fondata da un bersagliere ciociaro, rimasto in città dopo la lunga convalescenza dovuta a alla pallottola che gli aveva procurato una lieve zoppìa. Ora c’era il nipote, a gestirla, a cucinare i vecchi e gustosi piatti tradizionali. Subito dopo, al 122, il portone, un po’ buio, dove, in guardiola, nulla sfuggiva alla sora Nena che conosceva vita e miracoli di chi abitava in uno dei dieci appartamenti.

Due per piano. Impiegati, piccoli commercianti, qualche pensionato.

‘Dove andate, giovanotto?’

Aveva fatto scorrere il vetro e, smettendo di sferruzzare, guardava fissamente il giovane, ben vestito, quasi elegante, che era entrato nel portone.

‘Buon giorno, vado al secondo piano.’

‘Si, ma da chi?’

‘Dalla signora Luciani.’

‘Andate pure.’

Elio salì lentamente le quattro rampe, e si fermò dinanzi alla porta scura con ‘Luciani’ inciso in elegante corsivo sulla lucida targa d’ottone.

S’udì una voce femminile.

‘Chi é?’

‘Sono io, zia, sono Elio.’

L’uscio s’aprì e la donna accolse affettuosamente il ragazzo, stringendolo al petto, baciandolo sulle guance.

‘Come stai, Elio? Fatti vedere. Sei proprio un bel giovane.’

Lo allontanò alquanto, lo squadrò da capo a piedi, con evidente compiacimento, e tornò ad abbracciarlo.

‘Vieni, sono sola, mamma e Paoletto sono usciti. Ti aspettavo. Entra. Togli la giacca. Vieni.’

Entrarono nel tinello, con la finestra che dava sulla strada.

Lery andò ad aprire le persiane, non completamente, e la stanza rimase in una gradevole penombra.

‘Così, Elio, hai un lavoro. Bravo. Ma, ce la farai a lavorare e studiare?’

‘Ci proverò, zia. Intanto, comincio a lavorare e per l’Università ci vuole ancora qualche mese.’

Lery gli si era seduta di fronte. Era vestita di scuro. Ancor giovane, alta, appariscente, solida, forse un po’ robusta di fianchi, ma, nel complesso, piacente. Aveva accavallato le gambe, bianche, ben fatte. Lo sguardo di Elio la esplorò attentamente, lentamente, si soffermò a lungo sul petto florido che s’intravedeva dalla scollatura. Pensò che non doveva indossare reggipetto. Forse per il caldo.

Era la prima volta che guardava zia Lery come donna. Per lui, la zia, coi suoi trentacinque anni, non poteva essere considerata ancora giovane. Però, sembrava un po’ modificata, dall’ultima volta, dal Natale precedente. Più accurata nel vestire, più gioviale, più accogliente.

‘Come hai pensato di sistemarti, Elio?’

‘Devo cercare una pensioncina dove provvedano all’alloggio, al vitto, alla biancheria. A tutto, logicamente.’

‘E a pagarla ci penserà tuo padre?’

‘Spero di non gravare su di lui. Vorrei riuscire a tutto col mio stipendio.’

‘Potresti restare qui. Non posso fornirti tutto io, sai bene che non navigo nell’abbondanza…’

‘Restare qui?’

‘Certo.’

‘E a quanto ammonterebbe il’ contributo?’

‘Su questo ci metteremo d’accordo. E’ logico che avrai anche altre spese. Qualche cinema, magari con la tua ragazza. Ma chissà lei che ne pensa del fatto che tu rimarresti qui, con noi?’

‘Credo che sarà contenta sapermi in casa di parenti.’

‘Hai bagaglio?’

‘Si, alla stazione.’

‘Vallo a prendere, e torna prima del pranzo. Desinare modesto, ma sano e nutriente.’

‘Vado?’

‘Si. Ti aspetto.’

L’abbracciò ancora e l’accompagnò alla porta.

Elio scese le scale in fretta.

Lery andò nella sua camera, sedette di fronte alla toletta. Si alzò, tolse il vestito, aprì un cassetto del comò e ne trasse un reggiseno. Scosse la testa, lo rimise a posto. Tornò a vestirsi. Sedette di nuovo, cominciò a spazzolare lentamente i lunghi capelli neri. Mise qualche goccia di profumo nel solco del seno. Si rimirò a lungo nello specchio mentre il pensiero vagava confusamente.

Un uomo avrebbe dormito nuovamente nella sua casa, per la prima volta da quando era rimasta vedova.

Il suo carattere non era dei più dolci. E come era possibile che lo fosse! Si poteva dire che non aveva neppure conosciuto il padre. Ne serbava un ricordo sbiadito, incorniciato in un rancore mai sopito. Era andato via, per ragioni a lei confuse, costringendo la famiglia ad una vita ai limiti della miseria. Non poteva soffrire le altre ragazze che, assai meno attraenti di lei, sfoggiavano vestiti eleganti, vivevano in case belle, e perfino a scuola erano accompagnate dalla domestica che portava i libri.

La sua ribellione era totale, illogica ma profonda, e si manifestava con un astio verso tutto e verso tutti. A cominciare da quella stupida della madre, che s’era fatta lasciare dal marito.

Sfuggiva ogni compagnia, detestava i parenti, evitava soprattutto i ragazzi che certamente, era convinta, l’avrebbero abbandonata, anche loro, dopo essersi divertiti.

Tutti uguali, gli uomini. Come il padre.

Si sentiva umiliata, ad essere femmina. Schiava di quel flusso mensile che l’imbrattava come una bestia sgozzata. Destinata, quasi certamente, ad essere lo sfogo della foia d’un maschio, per un tozzo di pane e un tugurio dove ripararsi. Andava su tutte le furie quando veniva assalita, specie nel sonno, dai naturali stimoli sessuali d’una donna giovane. Aveva assistito, disgustata, ai baci frementi che una coppietta si scambiava proprio sotto la sua finestra, nell’ombra dell’arco del portone, mentre lui, con la mano sotto la gonna della ragazza, la frugava tra le gambe. Dio, che schifo!

Senz’arte né parte, s’era dovuta accasare. Per l’avvenire. Altrimenti cosa avrebbe potuto fare quando la madre l’avrebbe lasciata? La serva, la puttana? E così, pretese una cerimonia fastosa, un vestito costosissimo, per sposare, senza nessun entusiasmo, Giulio che, invece, sentiva d’amare, desiderare, quella bella donna dal carattere bizzarro.

Aveva scoperto, e la infastidiva, che accoppiarsi, in fondo, non era male. Ne provava notevole piacere, ma non le interessava condividerlo col marito. Anzi, dopo, era più aspra che mai, soprattutto per dimostrare che non gli doveva nulla. Era stato un fatto meccanico, anche se, non poteva negarlo, pieno di voluttà.

Giulio, comunque, aveva chiuso presto il suo cammino terreno. Forse senza rimpianti. Non ricordava una carezza della moglie, un bacio, una parola d’amore. Lery si lamentava di tutto, anche della maternità. Un prezzo troppo caro, per lei, dovuto all’egoismo del marito, troppo intento al proprio godimento. E dimenticava i sussulti del suo grembo, l’avidità del suo ventre bramoso e insaziabile, il suo roco mugolare d’orgasmo.

Appena morto Giulio, il suo pensiero assillante fu di accertarsi dell’ammontare della pensione. Sistemate le cose economiche, respinse sdegnata chi le suggeriva di rifarsi una famiglia, anche se era troppo giovane per rinunciarvi. Non ci pensava nemmeno. Il tempo, però, cominciò a farle pesare la solitudine, le lunghe notti senza la mano di Giulio che la cercava, senza il peso del corpo di lui che precedeva il sentirlo in lei, fremente e appagante. Non avrebbe mai immaginato di desiderare un maschio che la possedesse.

Un giorno s’era presentato Roberto il giovane collaboratore del marito che s’era tanto interessato attivamente durante la breve malattia di Giulio, mettendosi a disposizione di Lery e della famiglia. Era stato lui a curarne i funerali. Aveva voluto partecipare al trasporto a spalle del feretro. Roberto tornò spesso, a fare quattro chiacchiere, a portare qualche caramella a Paoletto. Qualche volta restava a cena. Era un bell’uomo, un po’ chiuso, di scarse parole. A Lery piaceva pensare che quelle visite fossero per lei. Forse era solo la sua immaginazione, il sentire sempre più il peso della vedovanza, il vuoto del suo grembo, le prepotenti esigenze della sua ancor giovane età, dei sensi nel pieno della loro gagliardia. Si sorprendeva a serrare spasmodicamente le gambe, quasi a scacciare, impedire, che qualcosa vi s’introducesse, in una sorta d’angosciosa esorcizzazione isterica. Si mostrò sempre più fredda, verso Roberto, quasi infastidita dalla sua presenza, e le visite ebbero termine.

Era immersa nei suoi pensieri, avvolta in una confusione di ricordi, desideri, timori, dubbi, turbamenti, speranze, paure, illusioni, e non riusciva a spiegarsi il perché dell’irrequietezza che l’agitava da quando Elio aveva accettato il suo invito. Forse non avrebbe dovuto offrirgli ospitalità. Ma era il bambino che lei aveva cullato.

Ebbe un soprassalto, quando trillò il campanello della porta.

Si guardò nello specchio, s’alzò, aggiustò il vestito, andò a guardare nello spioncino, aprì ad Elio, che si presentò sorridendo, con due pesanti valige.

‘Eccomi, zia Lery. Ti sarò d’incomodo, ma io mi troverò benissimo. Grazie.’

L’abbracciò stretta, con un forte bacio sulla guancia.

Lery indugiò tra le braccia del giovane, col suo seno prosperoso premuto sul petto robusto del ragazzo. Gli sfiorò teneramente il volto, con dita timorose.

I giorni trascorrevano velocemente.

Lery sembrava meno cupa del solito, a volte canticchiava, perfino, specie quando riordinava la camera dove dormiva Elio, e s’attardava a rifargli il letto, con particolare cura, sprimacciando bene il cuscino e lisciandolo con la mano, lievemente, come se lo carezzasse. Poi, in attesa che rientrasse, sceglieva un abito, non troppo scuro, lo disponeva sul letto, sedeva alla toletta, si pettinava con attenzione, passava sulle gote un po’ di cipria rosa, che aveva acquistato da poco, e sulle labbra un tenue strato di rossetto. Indossava il vestito, ne studiava la scollatura, provava a sedersi, per vedere come andavano le pieghe. Andava nel tinello, prendeva un giornale e si metteva in poltrona, a leggere, continuamente interrotta dal guardare l’orologio. Paoletto era sempre più spesso mandato a passeggio con la nonna. La vecchia osservava tutto, senza parlare, scuotendo la testa, di quando in quando, poco compiaciuta per l’improvviso mutare d’umore della figlia. Pensava male, la nonna, sapeva di peccare, ma credeva di non sbagliare.

Elio apriva piano la porta di casa, e sapeva che avrebbe trovato la zia, in poltrona, ad attenderlo. Lery gli tendeva la mano, si chinava in avanti per ricambiargli il bacio, e la scollatura mostrava generosamente il candore del seno. Si alzava e lo accompagnava a togliersi la giacca. Aspettava che levasse cravatta e camicia, la leggera maglietta a carne, gli porgeva l’asciugamano, e l’accompagnava alla porta del bagno, perché lui, a torso nudo, si rinfrescasse. L’aspettava per dargli biancheria pulita, e invitarlo e bere qualcosa di fresco, nel tinello.

‘Siediti pure, ti porterò una limonata leggera. Ti farà bene.’

Era sempre molto premurosa.

Al mattino s’alzava per tempo, contrariamente alle sue abitudini, e in luogo di ciabattare, scarmigliata e sciatta, con la camicia che pendeva sotto un vecchio abito dismesso, indossava sulla pelle nuda una delle nuove vestagliette civettuole che s’era affrettata a comprare. Preparava la colazione ad Elio, e lo andava a svegliare, con una carezza, sedendosi sul letto, con una tazzina di fumante caff&egrave. Appena il ragazzo apriva gli occhi, si chinava su lui e lo baciava sulla fronte, mentre la vestaglia s’apriva ampiamente.

Forse i sogni della notte, e certo l’esuberanza della gioventù, rendevano Elio sempre più attratto dalla prorompente femminilità della zia. La guardava fisso, le ricambiava il bacio, sulla guancia, abbracciandola, trovava mille ragioni per muoversi, sfiorarla, appoggiarsi alla sua gamba spesso malcoperta dalla vestaglia. Provava eccitazioni sempre maggiori, la barriera dell’età andava cedendo alle pulsioni istintuali. Lery lo guardava sorridendo, e sentiva crescere prepotente lil desiderio d’un uomo, la fame d’un maschio. Che quello fosse il nipote non poteva interessarle meno. Al di sopra di norme, di morale, di convenzioni, di tabù, imperava la legge della natura, che imponeva le sue inderogabili esigenze.

La domenica, Elio poltriva a lungo. Paoletto andava a Messa, con la nonna.

Lery era entrata, più tardi del solito, a portargli il caff&egrave, dopo essere rimasta a lungo a farsi carezzare la pelle dalla doccia tiepida.

Il giovane era seduto sul letto, appoggiato alla spalliera, e scorreva una rivista. La zia sedette sulla sponda, gli sorrise. Lui poggiò il giornale sul comodino.

‘Già sveglio. Perché non hai chiamato?’

Mise la tazzina sulla rivista e gli si avvicinò per baciarlo.

Elio l’abbracciò stretta, e, forse casualmente, si voltò di modo che le sue labbra, in luogo della gota, incontrarono quelle della donna. Ci fu uno sguardo di sorpresa, di spavento, di felicità, negli occhi di Lery. Un lieve congiungersi di labbra, scambio di tumidezze frementi, appena dischiuse.

Lery ebbe un fremito fugace, si staccò, prese la tazzina e la porse al nipote. La voce era incerta.

‘Il tuo caff&egrave, si raffredda.’

Elio bevve, restituì la tazzina. La donna fece per alzarsi.

‘Resta, zia, fammi un po’ di compagnia. Oggi sei particolarmente bella.’

‘Forse é merito della doccia, vedi che sono ancora in accappatoio?’

‘Sei ancora bagnata?’

Le infilò la mano sotto la veste, e salì, carezzandola, verso l’alto, fino a incontrarne la deliziosa sericità che le fioriva tra le gambe.

Lery ebbe un sussulto, sentì come scoppiarle il grembo, dilatò le narici, mentre il seno sembrava esplodere dall’accappatoio. Non sapeva che fare, le sembrava venir meno. Sentì che quelle dita la frugavano, non più timide, la titillavano, penetravano in lei che istintivamente aveva divaricato le gambe. Si voltò verso Elio, gli prese il volto, lo baciò avidamente, saettando la lingua alla ricerca di quella di lui. Non aveva mai provato nulla di simile. Scese con la mano tra le coperte, afferrò il sesso del giovane che svettava in tutta la sua esuberante vigoria.

S’alzò di scatto, lasciò cadere l’accappatoio e si mise a cavallo di lui, facendosi penetrare, con avidità, con una fame che non trovò sazietà se non dopo molteplici orgasmi, in una voluttà sconosciuta e inimmaginabile. E giacque, supina, mentre Elio le suggeva i capezzoli, la carezzava dolcemente tra le gambe.

Il respiro affannoso, l’espressione beata.

‘Cosa abbiamo fatto, Elio. La tua vecchia zia é impazzita. Ti ha indotto in tentazione, ha abusato della tua esuberante giovinezza. Non potrai mai perdonarmi.’

Lui seguitò a carezzarla.

‘Potrai perdonarmi, Elio?’

‘Solo se verrai a trovarmi questa sera, quando dormono tutti.’

‘Non scherzare, mi vergogno.’

‘Sei una forza scatenata, non che io abbia molte esperienze in proposito, ma non ho mai fantasticato che una donna potesse … amare come te.’

‘Una vecchia. E poi, ti sei fermato prima di dire ‘amare’ stavi per dire ‘scopare’. Vero? Del resto é giusto, per te é stata una scopata come un’altra.’

‘Non riesco a trovare una parola che esprima pienamente e propriamente quello che ho provato. Non é stato un semplice rapporto sessuale. Ho sentito di più, qualcosa che non so spiegare. Ho ricevuto un dono insperato, celestiale, gratificante, totale. E per te?’

‘Io ti ho dato quello che non ho mai dato a nessuno e che non sentivo di saper e poter dare. Ti ho dato tutta me stessa. Ho commesso e ti ho fatto commettere un gravissimo errore, ma l’immensa felicità che mi hai fatto conoscere é stata una sensazione che vale bene l’eternità dell’inferno.’

‘Che c’entra l’inferno?’

‘Quello che ho fatto e ti ho fatto fare lo merita. Perdonami.’

Elio si sdraiò su di lei, cominciò a baciucchiarle le labbra, i lobi delle orecchie, gli occhi.

Lei sentì che il giovane tornava ad eccitarsi, ancora, lo cercò con dita frementi, aprì le gambe, lo accolse di nuovo. Lui la guardò, estasiato, le sussurrò:

‘Visto che dobbiamo andare all’inferno, tanto vale meritarselo bene.’

Paoletto e la nonna non avrebbero tardato a tornare.

‘Vieni, Elio, ti aiuto a fare la doccia.’

Voleva vederlo in tutta la sua nudità, mostrarsi a lui senza veli, a rischio di non averlo mai più.

Lo insaponò con la mano, senza spugna, lentamente, con carezze lunghe, golose, voluttuose, soffermandosi lungo il corpo, con gli occhi socchiusi, per imprimere nella mente le forme che le sue dita sfioravano, saggiavano, palpavano, e poi tornava a guardarlo, compiaciuta.

Lui fremeva a quel tocco sapiente ed eccitante, sentiva i capezzoli turgidi vellicargli la schiena, si voltò e la baciò, sotto l’acqua che scrosciava lenta, portando via la schiuma, lei scivolò sulle ginocchia, con la lingua gli lambì l’addome, più giù, sempre baciandolo, avida, accogliendolo tra il fuoco delle sue labbra, sentendolo crescere irresistibilmente. Si staccò un momento, per guardarlo in volto.

Lui la baciò sulle labbra, le passò alle spalle, delicatamente, e s’inginocchiò a sua volta, spingendo il suo sesso tra le solide natiche della donna che s’affrettò a facilitargli la penetrazione, mentre lui le tormentava il seno, i capezzoli, il clitoride fremente, incurante dell’acqua, che avvolgeva i loro palpiti, i sussulti, il grido liberatorio di Lery che si lasciò cadere, esausta.

‘Tu mi uccidi di piacere, mi riempi di voluttà. Dobbiamo affrettarci, purtroppo, stanno per tornare.’

Lery era sdraiata sul letto in accappattoio. La mamma la trovò così. La scrutò interrogativamente, non ebbe alcun cenno di risposta, uscì dalla camera scuotendo la testa. Elio comparve poco dopo, vestito di tutto punto.

‘Ciao nonna.’

‘Ciao, Elio. Hai fatto colazione?’

‘Fatto tutto, nonna.’

‘Vai a Messa?’

‘Più tardi, vedo se vuole venirci anche la zia.’

‘E’ bene andarci, pregare e chiedere perdono al Signore per tutti i peccati che abbiamo commesso. Specie i più brutti. Fatevi un bell’esame di coscienza, col Decalogo alla mano. E pregate, soprattutto pregate di non essere indotti in tentazione e di non indurvi altri, a vostra volta.

Io vado ad allestire il pranzo.’

Si avviò verso la cucina.

Elio andò dietro la porta della camera di Lery.

‘Zia, preparati che andiamo a Messa.’

‘Sarò pronta tra poco.’

Quando furono nell’androne, Lery si sbirciò nello specchio che era stato posto per controllare se, uscendo, si era in ordine col vestito. Sembrava la sorella di qualche anno maggiore, nessuno, in quel momento, le avrebbe dato i trentacinque anni che aveva. La sora Nena era seduta sulla sedia di paglia, accanto al portone. Li salutò.

‘Ve ce voleva, signora mia, vostro nipote pe’ favve ringiovanì de botto. Sembrate ‘na sposa. Bona passeggiata.

Gioveno’, trattala bene la zia, che se lo merita. N’ha passate tante. Penzece te!’

‘Elio, davvero vuoi andare in Chiesa?’

‘Perché?’

‘Con che faccia entriamo nella Casa del Signore. Dovremmo pentirci del male che abbiamo fatto, io, soprattutto, causa di tutto, e promettere di non peccare di nuovo. Io non so cosa fare, cosa dire. Non riseco ancora a pentirmi, forse potrei solo promettere di rifarlo ancora.’

‘Bisogna pentirsi del male, zia. Ma noi, abbiamo realmente fatto del male? A chi? Perché?’

‘Non bestemmiare, Elio, zia e nipote che vanno a letto insieme! Tu lo dirai alla tua ragazza?’

‘Un uomo e una donna che hanno seguito i loro istinti naturali, i loro sentimenti, senza provocare nocumento a chicchessia di che devono rammaricarsi? Io non sono pentito di nulla, anzi, e non prometto di non rifare quello che ho fatto. In quanto alla ragazza, il discorso sarebbe troppo lungo. Lasciamo stare.’

‘Quello che abbiamo fatto, Elio, é stato bellissimo, almeno per me, qualcosa di inimmaginabile. Sei la fonte meravigliosa che ha saputo placare la mia arsura, ma non riesco a scorgervi, scusa la brutalità, quello che i moralisti indicano come amore, attrattiva spirituale. Temo che a prevalere siano stati i sensi.’

‘E allora? Perché non hanno, essi, diritto di essere appagati? Perché, l’attrattiva fisica non significa nulla? Il corpo non ha le sue esigenze? Dormire, mangiare, bere, sono esigenze primarie, e si dimentica di annoverarvi anche il sesso, motore dell’universo, fonte della vita, alimento indispensabile per l’equilibrio del corpo e anche della mente. Se vuoi, non andiamo in Chiesa.’

‘Meglio di no, oggi. Ci andrò, sola, quando sarò certa dei miei sentimenti.’

Quella notte Lery non andò a trovare Elio, e l’indomani pregò la madre di preparare la colazione al ragazzo perché lei non si sentiva bene. Né si fece trovare in poltrona, quando lui rientrò.

‘Non ti bacio, Elio, perché sono raffreddata.’

Dopo cena andò subito a letto.

In quei giorni, Paoletto e la nonna si trovavano sempre a casa, quando c’era Elio.

E trascorse la settimana.

Il sabato, Lery lo attendeva, elegante e bella come mai, e gli andò incontro non appena sentì aprirsi la porta. Lo baciò appassionatamente sulla bocca, lo strinse a sé.

‘Passato il raffreddore?’

‘Mai stato.’

‘Passata la luna?’

‘Mai avuta.’

‘Allora?’

‘Ti voglio, Elio, e non desidero torturarmi per spiegarmene il perché, non c’&egrave nulla che mi tormenti più del desiderio che ho di te, del bisogno insopprimibile che ho di te.

Sono una vera peccatrice, perché so bene quello che faccio e voglio farlo.

Sono un’egoista, perché penso soprattutto a me, ma spero che anche per te ci sia qualcosa di bello in quello che non vedo l’ora di ripetere.’

‘Qualcosa di paradisiaco, zia. So bene, e lo sai anche tu, che prima o poi tutto dovrà cessare tra noi, ma perché soffrire oggi per un domani incerto? Ricordiamoci sempre del carpe diem. Quando tornano Paoletto e la nonna?’

‘Sono andati a Frosinone, a trovare dei parenti, torneranno lunedì sera. Vieni a vedere la tavola che ho preparato e…’

Lo prese per mano e lo condusse nella sua camera.

‘…il letto in cui staremo insieme, tutta la notte, e vorrei che non finisse mai.’

‘Il tuo letto matrimoniale?’

Lery aggrottò gli occhi.

‘Perché?’

‘Per me va benissimo, ma credevo che ti ricordasse qualcosa.’

‘Cosa?’

‘Un altro uomo.’

‘L’unico vero uomo mio sei tu, Elio.’

‘Bene, andiamo a cena che ho fame.’

‘Anch’io, ma di te. Desidero dormire tra le tue braccia, nuda, sul tuo cuore.’

L’alba li colse, sfiniti ma non sazi.

L’appartamento di Lery mutò d’aspetto.

Le finestre non erano più perennemente appannate, e le tendine scure furono cambiate con altre, chiare, allegre. La radio, che era servita solo per ascoltare le notizie, divenne festosa compagna della giornata.

Lery era trasformata, era passata dalla cupa trasandatezza alla meticolosa cura della persona e dell’abbigliamento, a volte troppo giovanile per una signora della sua età. Comunque, stava benissimo, era splendida, attraente, e aveva fatto dimenticare completamente, a Elio, gli anni che li dividevano. Lui pensava così, e la mancanza d’esperienza, caratteristica della gioventù, non gli faceva rendere conto che era totalmente in balia della donna che lo vezzeggiava, lo coccolava, lo saziava di sé, come solo una femmina matura e molto abile sa fare.

Le giovani ragazze che aveva conosciuto, molto platonicamente, o le interessate moine di qualche professionista del sesso, non potevano essere termini di paragone.

Una bella donna, appassionata, disinibita, sempre vogliosa e disponibile, non lascia spazi, a un giovane non ancora ventenne, a fantasie e immaginazione.

La nonna assisteva, con muta deplorazione, a quell’evidente trionfo dei sensi, ma non aveva il coraggio di parlarne con la figlia, temeva d’essere brutalmente scacciata. Le aveva sommessamente chiesto se si rendeva conto di cosa stesse facendo. E Lery le rispose che stava vivendo un breve momento di completa felicità la prima, e forse la sola della sua vita.

‘A che prezzo?’

Le domandò la madre.

‘Anche a costo della mia anima, la venderei a Mefistofele per qualche attimo ancora di questo paradiso.’

‘Che ne sarà, dopo?’

‘Finché vivrò, avrò il ricordo di queste ore.’

‘Non pensi a lui?’

‘No, penso a me, a quando lo sento mio, come mai avrei immaginato potesse accadermi con un uomo.’

‘Non temi qualche possibile conseguenza?’

‘Non temo nulla, sono pronta e disposta a tutto, meno che a rinunciare a lui, fin quando non si allontanerà da me.’

Ormai, appena Elio andava a letto, andava a trovarlo, calda e voluttuosa. Lo lasciava per farlo dormire. L’indomani doveva andare in ufficio, Qualche notte, però, tornava a infilarsi nel suo letto, ingorda e prepotente.

Non s’era resa conto che i giorni passavano veloci.

Consultando il calendario s’accorse che le sue regole tardavano almeno da una settimana. Dapprima, ne rimase sgomenta, poi si sentì pervadere da un senso di pace profonda, di dolcezza. Forse fioriva nel suo grembo una nuova vita, il figlio dell’amore, non quello derivato dall’adempimento, anche se non del tutto spiacevole, del debito coniugale.

Telefonò all’ostetrica che l’aveva assistita quand’era nato Paoletto, che, certamente, non sapeva della sua vedovanza. Le fu spiegato che affidarsi a sostanze, d’ogni genere, per interrompere la gravidanza era sempre pericoloso, anche nei primi giorni, e che il metodo più sicuro restava sempre un buon medico. Era bene, in ogni caso, intervenire entro tre mesi.

Si sentì sollevata, quasi allegra. Aveva ancora due mesi di tempo.

Elio si sorprese nel sentirsi sempre più attratto dalla sua ragazza. Desiderava baciarla, stringerla, carezzarla, anche audacemente, sentirla fremere al tocco delle sue sempre più esperte mani. Per il resto, Teresa gli aveva detto chiaramente che certe cose, anche se da lei tanto desiderate, le avrebbe fatte solo dopo il matrimonio.

Elio era eccitatissimo, quando la lasciava, e Lery… ne raccoglieva i vantaggi.

Quando Lery entrava nella camera di Elio, il ragazzo accendeva tutte le luci, e restava sul letto, sdraiato, ad ammirarla, mentre lei si spogliava, con sapiente lentezza, studiati indugi, provocanti movenze, pose piene di inebriante invito, di concupiscente promessa, di voluttuosa esibizione.

Si chinava su di lui, sfiorandogli le labbra coi capezzoli rigogliosi, scostava le coperte, sapendo di trovarlo nudo, lo carezzava con dita impazienti, lo baciava dalla cima dei capelli alla punta dei piedi, lungo tutto il corpo, con studiate insistenze, che lo accendevano sempre più.

Lui chiudeva gli occhi, e lasciava fare, spesso sognando le mani, le labbra, il corpo, lo splendido grembo sericeo di Teresa.

Ed era nell’inebriante e palpitante tepore di Teresa che penetrava, sentendosi deliziosamente svuotare.

A volte la prendeva da dietro, perché poteva sentirla e anche vederla sussultare restando ad occhi aperti.

Erano le natiche di Teresa, la schiena di Teresa, i capelli di Teresa, e lui stringeva forte il seno di Teresa, sentiva la gioia incontenibile di fecondare Teresa.

Lery lo sentiva, allora, vigorosamente impetuoso, ardente, invadente, padrone e signore, divinità assoluta, potenza della natura, fonte della vita. Si, perché la vita che cresceva il lei così le era stata trasmessa.

Si avvicinava il momento che doveva andare dal medico. L’ostetrica le aveva fornito il nominativo, lei lo aveva contattato telefonicamente. Era tutto predisposto.

‘Elio, domani devo andare dal medico per un piccolissimo intervento.’

‘Un intervento?’

‘Piccole cose di donne, che si aggiustano rapidamente e ambulatoriamente.’

‘Ti faranno male?’

‘Non credo.’

‘Ti accompagno io?’

‘Ti ringrazio, ma non credo che sia opportuno. Mi accompagna un’amica. Sarà cosa di qualche istante. Mi troverai a casa, al tuo ritorno. Forse a letto.’

‘A letto?’

‘Solo per una sera.’

‘Peccato che non potrò esserti vicino, tenerti tra le braccia.’

‘Forse non potrò sentirti in me, per qualche giorno. Ma verrò lo stesso, da te, per coprirti di carezze, di baci, in attesa di essere tua.’

Elio non rispose nulla.

Lei lo baciò a lungo.

‘Torno in camera mia, ti lascio riposare, domani t’attende l’ufficio.’

‘E a te il medico.’

Il medico fu bravissimo. L’anestesia locale non le fece sentire nulla, l’intervento fu rapido, una iniezione antiemorragica, e la raccomandazione di prendere una pillola ogni tre ore, di quelle che le porgeva, in una scatolina, e di stare a letto almeno ventiquattro ore.

‘Denuncerò un aborto terapeutico urgente.’

‘La pregherei di non denunciare nulla. Per cautela, non sa niente nessuno.’

‘Ho capito, ma di solito sono contrario a ciò. Per lei farò uno strappo. Se dovesse avere della temperatura, oltre 37,5, mi telefoni.’

‘Grazie dottore, le sono grata.’

‘Non vuole gravidanze, signora?’

‘Perché non usate il profilattico di gomma?’

‘Per il disagio.’

‘Comprendo. Allora, le suggerirei di farsi applicare, tra qualche giorno, una spirale. Lo potrebbe fare da sola, o potrebbe pensarci l’ostetrica. La prima volta, però, vorrei farlo io, anche per accertare le condizioni locali.’

‘E’ sicura?’

‘Abbastanza.’

‘Se ne può accorgere….?’

‘Non credo proprio.’

‘Allora quando devo venire?’

‘Lunedì mattina, verso le dieci, va bene?’

‘Benissimo, grazie.’

L’ostetrica, che aveva assistito, si tolse guanti e camice, e tornò con lei nell’anticamera.

‘Sente male?’

‘Nulla.’

‘Glielo avevo detto che era bravo. Ora cerchiamo un taxi e torniamo a casa.’

‘Grazie.’

Al portone, Lery le disse che poteva salire da sola, non era necessario che si disturbasse ad accompagnarla.

‘Mi scusi, signora, ma suo marito non vuole più bambini?’

‘Mio marito é morto da tempo.

Grazie di tutto, le manderò a casa quanto le devo per il suo disturbo.

Arrivederla.’

Entrò nel portone, seguita dallo sguardo allibito della donna.

Improvvisa e inaspettata giunse, per Elio, la chiamata alle armi. Doveva presentarsi a Lecce. Ogni rinvio era stato abrogato.

Teresa sembrava distrutta, ma non voleva darlo a vedere, per non rattristare Elio.

Lery si sentì nuovamente vedova, questa volta in modo assoluto e definitivo. Altro che la morte di Giulio. Sfruttò ogni minuto, fino al momento della partenza.

Elio le assicurò che l’avrebbe sempre pensata, e desiderata, attendendo con ansia il momento di tornare in licenza. Si possedettero freneticamente fino al momento di lasciarsi.

Teresa volle accompagnarlo alla stazione, e pianse nel vedere il treno allontanarsi lentamente.

Lui sentiva molto la lontananza di Teresa, e gli mancava la passionale disponibilità e la focosità di Lery.

Il treno aveva acquistato velocità.

Domani mattina sarebbe stato a Lecce, Quanto tempo sarebbe durato il servizio militare? Gli eventi del momento non consentivano previsioni.

Sentiva il bisogno di baciare Teresa, di carezzarla.

Di abbandonarsi in Lery. Le sue dita serbavano il ricordo del seno rigoglioso, delle natiche sode. Ne anelava il grembo palpitante.

Il treno correva nel buio.

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