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Racconti Erotici Etero

The sign

By 6 Febbraio 2005Dicembre 16th, 2019No Comments

Fa freddo.
Le montagne attorno alla città sono bianche di neve da quasi due giorni. Il mare è di un blu scuro e profondo, increspato in superficie, ma non per questo meno seducente ai miei occhi.
Ho scelto apposta la strada che costeggia il lungomare, mi piace godere della tranquillità che questa zona possiede la domenica mattina. Procedo senza fretta per prolungare il piacere della vista del mare, ma so che giungerò comunque troppo presto a destinazione.
Esco dalla macchina, mi stringo più forte nella giacca di pelle nera ed entro. L’odore di disinfettante m’investe quasi subito, il solito odore di cui è pregna tutti i giorni l’aria di un ospedale.
Mi dirigo verso una porta aperta dai vetri opachi, sbircio all’interno della stanza ed ecco che riconosco dietro una scrivania la persona che cerco.
‘Ah, maestro, prego, la stavo aspettando” mi dice, con quel suo accento tipico di chi deve aver trascorso gli anni migliori in un Est molto diverso da quello che è oggi.
Trattengo a stento un sorriso ed entro. L’uomo mi viene incontro con un piglio cordiale, uno sguardo ammirato e due occhi stanchi di chi ha passato una notte insonne.
‘Allora, come va?’
Mi tolgo la giacca e gli porgo la mano mostrandogli il punto preciso, poco al di sopra del polso, che solo una settimana prima lui ha ricucito in modo impeccabile.
‘Credo bene, dottore, veda un po’ lei.’
‘Si sieda qui’ mi dice indicandomi una lettiga. ‘Faccio in un attimo.’
Mi siedo. L’uomo chiude la porta. Poi lo vedo indossare un paio di guanti in lattice e prendere una piccola pinza e delle forbici. Chiudo gli occhi e penso che è già passata una settimana dall’ultima volta che, a causa di un particolare incidente, ho incontrato questo simpatico ‘ricamatore’ russo’

‘Noi che arriviamo sulla piazzola qui fuori a tutto gas, tu che inchiodi proprio davanti lo scivolo riservato alle ambulanze, i nostri passi affrettati, qualcuno che ci ferma e ci chiede perché mai non ci siamo rivolti al normale sevizio di pronto soccorso’
‘Chi è il capo qui dentro? Mi dica chi comanda, per favore!’
Un infermiere mi guarda attonito, sembra impaurito dal mio tono perentorio.
‘Il primario in questo momento è impegnato, sareste dovuti andare al pronto soccorso.’
‘Lo chiami, per favore. Voglio parlare con lui.’
‘Mah’ mi scusi, lei chi si crede di essere?’
Lo fisso negli occhi e d’un tratto ho un’idea brillante: ‘Sono un pianista. Vuole prendersi forse lei la responsabilità di rimettere a posto questa ferita?’ – gli rispondo secco, mostrandogli il brutto taglio tra il polso ed il mignolo della mano sinistra.
Nel frattempo si avvicina una donna, mi dice che non è il caso di litigare, mi invita a sedere e digita un numero sul cellulare. Poche parole, ma precise: ‘Senti, Igor, qui c’è un pianista che ha un brutto taglio alla mano sinistra, credo che dovresti occupartene tu’ Sì, lo accompagno nella sala tre.’
‘Chi è Igor?’ – chiedo alla donna, che nel frattempo mi fa cenno di seguirla in fondo ad un corridoio.
‘Igor? Il nostro capo ricamatore!’ mi risponde lei sorridendo e strizzandomi un occhio. ‘Un quarantenne originario di Mosca che ama soltanto Mozart e Rachmaninoff! Si fidi, tornerà a suonare anche meglio di prima.’
A dire il vero, dei medici e della medicina in genere non mi sono mai fidato. Scienza empirica, inutile negarlo. Ma a volte non puoi proprio farne a meno. Igor, chi mai sarà costui? Meglio che mi rilassi, in fondo credo di aver raggiunto il mio scopo, non dovrebbe essere uno sprovveduto ad occuparsi della mia ferita.
Intanto mi accorgo che tu, ancora ansante per la corsa nel parcheggio, hai assistito alla scena quasi divertita. La donna che ha telefonato a questo Igor si avvicina verso di te e ti chiede qualcosa, poi sorride, capisco che le stai raccontando della mia fobia per il sangue.
Sorrido anch’io, nonostante la ferita faccia un po’ male. Poi i nostri occhi si incontrano, chissà se anche tu stai pensando a quel preciso momento’
Sono sdraiato sul tappeto davanti al camino, le braccia tirate dietro la nuca, la testa poggiata sopra uno dei due divani. Tu, accovacciata su quello stesso divano, stai leggendo un romanzo con finto interesse.
Lentamente comincio a giocare con i tuoi capelli, che il riflesso delle fiamme del camino rende ancora più rossi. Fai cenno di no col capo, abbozzi un sorriso provocante, poi metti un segnalibro nella pagina che stai leggendo e mi raggiungi sul tappeto per ricevere i miei baci.
Il tuo viso è caldo ed emana la solita luce. Bianco, lattiginoso, ma sempre segnato da lineamenti molto forti.
Le nostre bocche si uniscono, rimangono incollate, poi si spostano l’una sul viso dell’altro, le labbra che scorrono impetuose.
Non indossi nulla sotto la maglia di cachemire nera. Le tue braccia si sollevano verso l’alto ed il tuo seno compare presto a pochi centimetri dai miei occhi. Lo tengo tra le mani, caldo com’era caldo un attimo fa il tuo viso, lo avvicino alla mia bocca, ne prendo le due punte tra le mie labbra.
Un brivido.
Le tue mani sono sotto la mia camicia, si spostano sul mio torace, lo carezzano, scendono fino all’addome e poi ancora più in basso, verso i jeans, verso la cintura che li tiene legati alla vita, la slacciano, incontrano i piccoli bottoni di metallo, li sfilano dalle asole’
Le tue mani trovano il mio sesso: un nuovo brivido.
Tutto molto in fretta, sono immobilizzato dalla tua passione. Mi sposto appena in avanti proprio mentre il mio pene, umido ed eretto, sparisce dentro il calore della tua bocca, e la chioma rossa dei tuoi capelli si sparpaglia sul mio ventre.
Vorrei voltarmi ed unirmi a te, sul tappeto davanti al camino. Ma le tue mani mi tengono in terra e mi dicono che questa volta vuoi godere di me in questo modo.
Mi hai bloccato le gambe con le tue gambe, sento i tuoi piccoli morsi sullo scroto, la tua lingua sul glande, e poi d’un tratto il tuo pube che si strofina sopra uno dei miei ginocchi. Muovi la testa freneticamente, respiri forte, cerchi le mie mani sopra i tuoi capelli, sulla tua nuca desideri le mie carezze, e nel frattempo ti aggrappi con forza al mio corpo.
Frustrazione.
Vorrei penetrarti, muovermi dentro di te, ma so che non sarà possibile.
Il desiderio cresce ed allora inarco in avanti il bacino per sentirti ancora più vicina. Ti osservo mentre strofini il tuo sesso sulle mie gambe, mentre nella tua bocca fai sparire l’erezione che a stento riesco a controllare.
Cerco di sollevarmi, ma in realtà mi ritrovo incastrato nello spazio tra i due divani, i movimenti quasi impediti, il senso di frustrazione intollerabile. Poi, proprio in quel momento, accade qualcosa che non avrei mai immaginato: ti sollevi, ti liberi degli slip e scendi rapidamente sulla mia carne.
Ti muovi prima piano e poi sempre più in fretta, smaniosa di prenderti e darmi il tuo piacere. Senza volerlo, mi hai imprigionato in questo spazio ristretto, ed io posso solo osservarti mentre mi cavalchi col capo reclinato all’indietro.
Sento il tuo orgasmo approssimarsi ed il tuo corpo fremere di godimento. Sento che sta per esplodere anche il mio piacere, ma non voglio rimanere così, imprigionato sotto di te. Allora con la mano destra provo di nuovo a sollevarmi, mentre con la sinistra cerco un appiglio su cui far leva.
Crash!!!
Il suono di un cristallo della Boemia, per me simile ad una liberazione, risuona nella stanza e sembra il frutto del nostro orgasmo. ‘Maledizione! La bottiglia comprata a Praga’. L’ho centrata in pieno e si è frantumata in decine di piccole schegge assassine! Una fitta al polso, poi il sangue’

”Ecco! Ho rimosso il settimo ed ultimo punto. Adesso le metto una fasciatura e può andare.’
Riesco a muovere perfettamente il polso e le cinque dita, non sento nessun fastidio. Della ferita è rimasta appena una sottile linea quasi invisibile. ‘Questo Igor, originario di Mosca, è davvero in gamba’, penso tra me. Lo osservo mentre mi applica al polso una garza sterile con del nastro adesivo telato.
‘Devo ringraziarla, Igor, è stato proprio all’altezza della situazione!’
L’uomo – due occhi chiari che sembrano riflettere il cielo triste ma terso che sovrasta la Piazza Rossa – mi guarda orgoglioso del suo lavoro, ed ho la sensazione che stia per chiedermi qualcosa. Allora, per evitare domande imbarazzanti – come del resto è già accaduto una settimana prima – su concerti che non ho mai suonato, né mai suonerò, estraggo velocemente dalla tasca della giacca un piccolo involucro e glielo porgo.
‘Purtroppo, Igor, conosco poco Rachmaninoff. Mozart invece’ Ascolti questo, come pianista ritengo che non li abbia mai suonati nessuno come lui”
Igor apre eccitato l’involucro e legge a voce alta la copertina del doppio cd Decca, appartenente alla collana denominata ‘Legends’, che gli ho appena regalato, e che contiene cinque dei ventisette Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart: ‘Clifford Curzon’ Sa che non conosco questo pianista? Eppure il suo nome non mi è nuovo”
‘Forse lo confonde con Henry de Curzon – gli rispondo sorridendo -, il noto musicologo’. Quindi lo saluto e vado via.
Al ritorno, riprendo ancora una volta la strada che costeggia il mare. Questa volta però mi fermo e scendo dalla macchina per osservarlo meglio. Di un blu scuro e profondo, lievemente increspato in superficie. Un pallido sole invernale ha fatto salire di un paio di gradi la temperatura, ma l’aria è ancora terribilmente fredda.
Sollevo la benda che Igor mi ha appena fissato sul polso e guardo la perfetta sutura. Solo adesso realizzo che si tratta molto di più che di una semplice ferita: è piuttosto un ‘segno’, un segno della passione che ci lega.
Lancio via la piccola benda verso il mare. ‘Certi segni bisogna mostrarli’, penso.
Poi rientro in macchina e riprendo tranquillo la strada verso casa.

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